lunedì 30 luglio 2012

I Poligoni Marziani Si Sarebbero Formati In Presenza Di Oceano





Il dibattito sull'origine dei grandi poligoni (da centinaia di metri a diversi chilometri di diametro) su Marte rimane aperto, anche dopo diversi decenni di osservazioni dettagliate.
La somiglianza delle strutture con quelle della Terra ha da tempo catturato l'attenzione di appassionati e scienziati. L'acqua è sempre il primo indagato e responsabile
.

In questo nuovo articolo dal GSA Today, i geologi presso l'Università del Texas a Austin hanno esaminato questi grandi poligoni e confrontato con le caratteristiche simili sul fondo del mare della Terra, che a loro avviso potrebbero essersi formati attraverso processi simili.

La comprensione di questi processi potrebbero a loro volta sostenere l'idea della presenza di antichi oceani su Marte.
Attraverso l'esame dei dati di THEMIS, MOLA, Viking e Mariner gli scienziati planetari hanno scoperto che le aree sulle pianure settentrionali di Marte si dividono in grandi porzioni a forma di poligono e che gruppi di questi poligoni si estendono in vaste aree della superficie marziana.

Poligoni più piccoli si trovano anche altrove su Marte, ma questi sono meglio spiegati da processi di contrazione termica simili a quelli degli ambienti terrestri del permafrost.

Nel numero di agosto del 2012 GSA Today, Lorena Moscardelli e i suoi colleghi dell'Università del Texas a Austin presentano un confronto dettagliato delle caratteristiche geometriche di questi poligoni di grandi dimensioni di Marte e caratteristiche simili che si trovano nei sedimenti delle acque profonde sulla Terra. Moscardelli e colleghi fanno notare tali somiglianze.

Sulla Terra, le aree a forma di poligono, con i bordi costituiti da difetti, sono comuni nei sedimenti del mare profondo a grana fine. Alcuni dei migliori esempi di questi poligoni si trovano nel Mare del Nord e nel Mare di Norvegia. Questi esempi vengono esposti con dettagliati sondaggi sismici in 3-D condotti per cercare giacimenti offshore di petrolio e gas. Le immagini riprodotte in questo lavoro mostrano che queste acque profonde hanno poligoni anche fino a 1.000 metri o più di diametro.

Mentre i dettagli della formazione in mare alto di tali poligoni sono complessi, Moscardelli e i suoi colleghi hanno concluso che la maggioranza di questi poligoni si formano in un ambiente comune: i sedimenti costituiti dall'argilla a grana fine dei bacini oceanici sono più profondi di 500 metri e questi sedimenti sono solo superficialmente sepolti da sedimenti più giovani.
Una chiave di osservazione, anche recentemente esposta da Michelle Cooke presso l'Università del Massachusetts, è che il meccanismo fisico di formazione dei poligoni richiede uno spesso, strato bagnato e e debole meccanicamente di sedimento.
Moscardelli e colleghi hanno anche concluso che l'angolo di inclinazione del piano di mare, svolge un ruolo importante sia nella formazione che conservazione di questi poligoni. Dove la pendenza del fondo marino è molto delicata (pendenze a meno di mezzo grado), i poligoni hanno forme e dimensioni molto regolari.

In molti luoghi in cui i poligoni si sono formati, sulla parte superiore hanno caratteristiche topografiche sepolte sul fondo del mare, le forme dei poligoni sono state modificate e in alcuni casi sono state rotte e interrotte, dove le piste erano più ripide.

Entrambe le osservazioni sono coerenti con la deformazione dei sedimenti marini soffici come lo strisciamento o la discesa del flusso in queste aree.

Nelle pianure settentrionali di Marte, dove la superficie è sostanzialmente piatta, i poligoni hanno forme molto regolari e dimensioni molto simili a quelle dei poligoni d'altura presenti sulla Terra.
Nei luoghi in cui la topografia di Marte è più varia e dove ci possono essere prove per il trasporto di altri sedimenti della superficie, le aree dei poligoni sono deformati e interrotte e si possono ancora trovare poligoni simili a quelli presenti sulla Terra.

Sulla base di queste somiglianze, il team ha concluso che queste caratteristiche molto probabilmente sono di origine comune e si sarebbero formate da meccanismi simili in un ambiente simile. Il team sostiene anche che i poligoni marziani si sarebbero formati all'interno di uno spesso strato bagnato con sedimenti a grana debole e fine che sarebbero stati depositati in un ambiente di acque profonde, similmente ai poligoni della Terra.



Traduzione A Cura Di Arthur McPaul

Foto In Alto:
(A) con il profilo di THEMIS e le immagini di MOLA vengono mostrate le differenze tra aree topografiche su larga scala marziana e i poligoni bacinali in Acidalia Planitia. Questo profilo è stato utilizzato per calcolare il massimo (2,7%) e la media (0,8%) dei valori di pendenza. (B) Cartina con poligoni bacinali e periferici in Acidalia Planitia. (Credit: Immagine per gentile concessione della Geological Society of America)

Fonte:
http://www.sciencedaily.com/releases/2012/07/120727171922.htm

domenica 29 luglio 2012

Le Stelle Più Grandi Non Vivono Da Sole


Un nuovo studio basato su dati del VLT (Very Large Telescope) dell’ESO ha mostrato che la maggior parte delle stelle più brillanti e massicce, quelle da cui dipende l’evoluzione delle galassie, non vivono da sole.

Quasi tre quarti di queste stelle, molto di più di quanto finora si pensasse, hanno accanto una stella compagna. E soprendentemente, la maggior parte di queste binarie subisce un’interazione distruttiva, come il trasferimento di massa da una stella all’altra, e addirittura un terzo di queste probabilmente diventerà una stella singola. I risultati sono presentati nel numero del 27 luglio della rivista Science.

Un’equipe internazionale ha utilizzato il VLT per studiare le stelle di tipo O, cioè stelle con temperature, massa e luminosità tutte molto elevate. Queste stelle vivono una vita breve ma violenta e rappresentano un cardine dell’evoluzione delle galassie. Sono anche legate a fenomeni estremi come le stelle “vampiro” (coppie di stelle in cui la compagna più piccola succhia materia dalla superficie della compagna più grande, o i lampi di luce gamma).

“Queste stelle sono dei veri colossi”, spiega Hugues Sana dell’Università di Amsterdam, l’autore principale dello studio. “Sono almeno 15 volte più massicce del Sole e possono essere anche un milione di volte più brillanti. Sono così calde che la loro luce è bianco-azzurra e la temperatura superficiale supera i 30 000 gradi Celsius.”

Gli astronomi hanno studiato un campione di 71 stelle di tipo O singole o in coppie (binarie) in sei ammassi stellari giovani e vicini nella Via Lattea. La maggior parte delle osservazioni dello studio sono state realizzate con telescopi dell’ESO tra cui il VLT.

Analizzando in dettaglio maggiore di quanto mai fatto prima la luce che proviene da queste sorgenti, l’equipe ha scoperto che il 75% di tutte le stelle O si trova in sistemi binari: questa percentuale, determinata in modo preciso per la prima volta, è maggiore di quanto si pensasse. Più importante ancora è che la frazione di queste binarie abbastanza vicine per interagire (per mezzo di fusioni stellari o trasferimento di massa da parte delle cosiddette stelle “vampiro”) è molto maggiore di quanto si fosse pensato finora. Questo ha profonde implicazioni sulla nostra comprensione dell’evoluzione delle Galassie.

“I sistemi binari composti da due stelle legate dall’attrazione gravitazionale erano una volta ritenuti un caso particolare, che aveva però delle interessanti applicazioni e le rendeva estremamente importanti per gli astronomi” spiega a Media INAF Antonio Frasca, dell’Osservatorio Astronomico di Catania. “Lo studio delle variazioni di velocità radiale (la componente della velocità diretta verso la Terra) consente infatti di misurare le masse delle due stelle e, se il piano orbitale giace lungo la linea di vista, le eclissi permettono di misurare i raggi e le temperature). Poi lo sviluppo tecnologico ha consentito di studiare campioni sempre più ampi di oggetti e ha mostrato che le stelle doppie o multiple sono più di quelle singole”.

Lo studio di Sana è dedicato alle stelle di grande massa (tipo spettrale O) che rappresentano una minoranza in termini numerici (circa l’1 per cento delle stelle nell’Universo) ma che hanno una enorme importanza nella formazione ed evoluzione chimica e dinamica delle galassie, continua Frasca. “Queste stelle infatti, poiché consumano molto rapidamente il combustibile nucleare al loro interno, hanno una vita molto breve che termina in modo violento con l’esplosione dell’astro come supernova. L’esplosione della stella arricchisce il mezzo interstellare, ancora ricco di gas e polveri, con elementi chimici pesanti e favorisce la formazione di nuove stelle”.

Le fusioni tra le stelle, che l’equipe stima siano il destino finale di circa il 20-30% delle stelle di tipo O, sono eventi violenti. Ma anche lo scenario relativamente tranquillo delle stelle “vampiro”, che riesce a spiegare un altro 40-50% dei casi, ha un effetto notevole sull’evoluzione di queste stelle.

Ad esempio, nel caso delle stelle “vampiro”, la stella più piccola, di massa inferiore, ringiovanisce nel succhiare l’idrogeno fresco dalla compagna. La massa aumenta così in modo notevole e di conseguenza la stella vive più a lungo della compagna e comunque molto di più di quanto farebbe una stella singola di pari massa. La stella “vittima” nel frattempo viene spogliata dei suoi strati esterni prima di poter divenire una super gigante rossa luminosa e il suo nucleo caldo e azzurrognolo viene messo a nudo. Come risultato, la popolazione stellare di una galassia distante può apparire molto più giovane di quanto sia realmente: sia le stelle “vampiro” ringiovanite che le vittime spogliate diventano più calde, di colore più blu, imitando così l’aspetto di stelle più giovani. Sapere quale sia la vera frazione di stelle supermassicce interagenti è perciò fondamentale per poter caratterizzare correttamente queste galassie lontane.

“Gli effetti del merging e del trasferimento di massa, la cui analisi è stata effettuata in maniera dettagliata e critica dagli autori, hanno delle implicazioni importanti sul destino finale di questi oggetti, sulle esplosioni di supernove e anche sulla evoluzione delle galassie” conclude Antonio Frasca. “E’ auspicabile che i risultati di questo studio vengano confermati o corretti da studi simili condotti in altri ammassi o regioni di formazione stellare della nostra galassia e, magari, nelle galassie vicine con gli strumenti di futura generazione”.

A Cura Di Nicola Nosengo

Fonte:
http://www.media.inaf.it/2012/07/26/le-stelle-piu-grandi-vivono-in-coppia/

venerdì 27 luglio 2012

Scoperto Sistema Solare Simile Al Nostro





E’ quasi un sosia del nostro sistema solare quello descritto oggi da uno studio su Nature: una grande stella madre al centro, e sopratutto pianeti che le orbitano attorno allineati gli uni con gli altri e con l’equatore della stella. Una caratterista non comune nel nostro Universo, e la configurazione più simile al nostro sistema solare finora osservata.

Gli espopianeti osservati dall’equipe di Roberto Sanchis-Ojeda del Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston sono tre, e girano attorno a una stella simile al Sole chiamata Kepler 30, in onore del telescopio con il quale è stata studiata, il Kepler della NASA.

E’ raro trovare un sistema extrasolare come questo e, infatti, il risultato dello studio dei ricercatori del MIT potrà aiutare a far luce sulle condizioni che determinano la formazione ed evoluzione di un sistema planetario. I tre pianeti sono Kepler-30b, Kepler-30c, Kepler-30d e hanno delle dimensioni notevolmente superiori alla Terra: hanno un raggio superiore di circa 4 volte, 13 e 10 volte rispetto al nostro pianeta.

Ma lo studio è innovativo soprattutto per quanto riguardo l’architettura dei sistemi solari: l’equatore del Sole e i piani orbitali dei pianeti sono quasi allineati e i ricercatori credono che probabilmente tutti i corpi si siano formati a partire da un unico disco di gas rotante.

In altri sistemi planetari extrasolari, invece, i pianeti non sono allineati con l’equatore della stella madre probabilmente a causa di influenze dovute a stelle vicine. Un esempio sono i sistemi che comprendono i cosiddetti pianeti ‘hot Jupiter’, pianeti giganti simili a Giove che orbitano vicino alle loro stelle, spesso disallineati con l’equatore stellare e alcuni con orbite retrograde, ossia che ruotano in senso opposto alla loro stella. Proprio l’osservazione di sistemi di questo tipo sembrava mettere in crisi l’idea che i pianeti si formino a partire da un unico disco, teoria che invece apparirebbe confermata dallo studio del sistema di Kepler 30.

A cura di Eleonora Ferroni

Fonte:
http://www.media.inaf.it/2012/07/26/quel-sistema-solare-ci-copia/

giovedì 26 luglio 2012

Il Mistero Dell'Acqua Mancante


A noi che ci abitiamo, la Terra sembra un pianeta decisamente ricco di acqua, ma in realtà essa rappresenta meno dell’un per cento della massa terrestre. E probabilmente l’acqua presente sulla Terra proviene in realtà da comete e asteroidi.

Uno studio condotto da Rebecca Martin e Mario Livio del Space Telescope Science Institute di Baltimora ha provato a spiegare il motivo per cui il nostro pianeta è relativamente asciutto. Cosa su cui gli astronomi si interrogano da anni. Infatti, il modello teorico più accreditato spiega la formazione del sistema solare a partire da un disco protoplanetario, un disco turbinante di gas e polvere che circondava il nostro Sole.

Secondo questo modello, il nostro pianeta dovrebbe essere ben più ricco di acqua. La Terra, sempre secondo il modello, dovrebbe essersi formata da materiale ghiacciato in una zona attorno al Sole dove le temperature erano abbastanza fredde da far condensare il ghiaccio stesso. Perché è relativamente asciutta?

Lo studio effettuato, basato su simulazioni al computer dell’evoluzione del Sistema Solare, ci spiega come il nostro pianeta si sia formato da detriti rocciosi in una zona più calda, dentro la cosiddetta “linea della neve”. Questa linea di demarcazione nel nostro Sistema Solare si trova attualmente nel mezzo della fascia principale degli asteroidi, una regione compresa fra le orbite di Marte e Giove; oltre questo punto la luce del Sole è troppo debole per liquefare i detriti ghiacciati rilasciati dal disco protoplanetario.

I precedenti modelli del disco di accrescimento suggerivano che la linea della neve fosse molto più vicina al Sole 4,5 miliardi di anni fa, quando la Terra si formò e quindi il nostro pianeta avrebbe dovuto formarsi in una zona dove il ghiaccio non poteva essere sciolto dal calore solare. Ma Martin e Livio suggeriscono un’altra possibilità: “Diversamente dal modello standard del disco di accrescimento, la linea della neve nella nostra analisi non si sposta mai dentro l’orbita della Terra ma rimane, invece, sempre più esterna” ha dichiarato Livio ” e ciò spiega perché il nostro sia un pianeta asciutto. Infatti, il nostro modello spiega perché anche altri pianeti come Mercurio, Venere e Marte siano relativamente asciutti”.

“Se la linea della neve fosse stata all’interno dell’orbita della Terra quando questa si formò” ha aggiunto Martin, “ìl nostro pianeta sarebbe dovuto essere un corpo ghiacciato. I pianeti come Urano e Nettuno che si sono formati oltre quella linea sono composti dal 10% di acqua. Ma la Terra non ne ha molta e questo è sempre stato un enigma”.

Lo studio è pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.

A cura di Silvia Dragone

Fonte:
http://www.media.inaf.it/2012/07/18/l’enigma-dell’acqua-mancante/

mercoledì 25 luglio 2012

Mars Express: Risolto Il Mistero Sulla Perdita Di Dati Del 2005





Nel mese di agosto del 2005, la sonda Mars Express stava diligentemente inviando i dati sulla stratigrafia delle regioni superiori della crosta marziana quando il suo segnale fu misteriosamente interrotto da qualcosa di ignoto.

Uno nuovo studio condotto dalla Boston University College of Arts & Sciences fornisce una risposta chiara al perché di questo evento.
Lo studio, diretto dal Professor Paul Withers e dallo studente laureato Kamen Kozarev del Dipartimento di Astronomia BU e colleghi, hanno individuato l'altitudine dove un'alta tensione di protoni, emessi durante le eruzioni solari, potrebbero maggiormente interferire con i segnali radio. Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Geophysical Research.

I ricercatori hanno analizzato la densità di ioni e elettroni a varie quote nell'atmosfera marziana a seguito di un brillamento solare. Molto protoni ad alta energia espulsi dal Sole nel corso di una riacutizzazione possono colpire gli atomi neutri (di solito anidride carbonica) nell'atmosfera, in maniera così forte da scomporre un elettrone, creando un elettrone libero e uno ione positivo. Se un numero sufficiente di questi elettroni e ioni si accumulano nell'atmosfera, possono interferire con le onde radio. Questo è ciò che stava accadendo al Mars Express.

"Ci deve essere stato un altissimo livello ionizzazione per permettere una tale perdita di onde radio", ha detto Withers. Lui e i suoi colleghi hanno creato un modello che aiuterà gli scienziati a capire meglio e prevedere l'effetto dei protoni altamente caricati dell'atmosfera marziana.

Withers ha anche co-pubblicato uno studio separato, sul Journal of Geophysical Research, sugli effetti della luce ultravioletta (UV) e dei raggi X, sulla ionosfera marziana (parte dell'atmosfera superiore) in seguito di un brillamento solare. Withers e il primo autore Anthony Lollo (BU College of Arts & Sciences '10), e gli studenti laureati alla BU Astronomy, Katy Fallows, Zach Girazian e Majd Matta, hanno scoperto un incremento di quasi dieci volte la densità di elettroni a livelli più bassi della ionosfera durante un brillamento solare.
Come un protone fortemente carico, un raggio X puó colpire una molecola di gas e scindere un elettrone.

Traduzione e adattamento a cura di Arthur McPaul

Fonte:
http://www.sciencedaily.com/releases/2012/07/120724131435.htm?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+sciencedaily%2Fspace_time+%28ScienceDaily%3A+Space+%26+Time+News%29

venerdì 20 luglio 2012

Risolto Il Mistero Della "Pioneer Anomaly"





Il misterioso rallentamento delle Sonde Pioneer 10 e 11, sembra essere stato finalmente spiegato.

A descrivere quella che è conoscoita come "Pioneer Anomaly", cioè il rallentamento inaspettato delle sonde Pioneer 10 e 11 è stato pubblicato il ​​12 giugno sul Physical Review Letters.

"L'effetto è qualcosa di simile a quando si guida una macchina e i fotoni dei tuoi fari ti spingono all'indietro", ha detto Slava Turyshev, autore principale del documento.

Lanciati nel 1972 e 1973, Pioneer 10 e 11 hanno viaggiato su una traiettoria verso l'esterno dal nostro Sole. Nei primi anni '80, gli scienziati notarono un rallentamento a bordo della sonda Pioneer 11, nella parte posteriore in direzione verso il Sole, mentre la navicella si stavano avvicinando a Saturno. Lo liquidarono come l'effetto di sbavature e residui del carburante. Ma nel 1998, giunta a oltre 8 miliardi di chilometri (13 miliardi di chilometri) di distanza dal Sole, un gruppo di scienziati guidato da John Anderson del JPL comprese che c'era una decelerazione effettiva di circa 300 centimetri al giorno quadrato (0,9 nanometri al secondo quadrato). Sollevarono la possibilità che questo potesse essere qualche nuovo tipo di fisica che contraddiceva la teoria generale della relatività di Einstein.

Nel 2004, Turyshev decise di iniziare la raccolta di registrazioni memorizzate in tutto il paese e analizzare i dati per vedere se poteva definitivamente capire la fonte della decelerazione. In parte, stavano contemplando una profonda missione di fisica dello spazio profondo per studiarne l'anomalia e volevano essere sicuri prima di fare richiesta alla NASA per ottenere un veicolo spaziale.

Lui e i suoi colleghi erano alla ricerca dei Doppler dei dati, il modello di dati trasmessi a Terra dalla sonda e i dati di telemetria inviati dalla sonda. Al momento che furono lanciati i due Pioneer, i dati venivano memorizzati su schede perforate. Ma Turyshev e colleghi ricopiarono i file digitalizzandoli, dai loro computer di bordo.
Essi scoprirono anche oltre una dozzina di scatole di nastri magnetici conservati al JPL e file ricevuti dal National Space Science Data Center e lavorarono con il NASA Ames Research Center di Moffett Field, per salvare quanti più dati possibili raccogliendo più di 43 gigabyte di dati, una quantità enorme per gli anni 1970.
La Planetary Society invió vari appelli ai suoi membri per aiutare a finanziare il recupero dei dati. La NASA più tardi fornì anche un ulteriore finanziamento per continuare il recupero dei dati.

Nel processo, un programmatore in Canada, Viktor Toth, contattó Turyshev aiutandolo a creare un programma in grado di leggere i nastri di telemetria e ripulire i vecchi dati.

Videro che quello che stava accadendo a Pioneer non stava accadendo agli altri veicoli spaziali, soprattutto a causa del modo in cui erano stati costruiti. Ad esempio, le sonde Voyager furono meno sensibili agli effetti visti sul Pioneer, perché i loro propulsori si allineavano lungo tre assi, mentre per i Pioneer erano posti su una filatura che tendevano a rimanere stabili.
Con tutti i dati disponibili, Turyshev e colleghi sono stati in grado di calcolare il calore emesso dai sottosistemi elettrici e dal decadimento del plutonio, che combaciavano con l'accelerazione anomala osservata su entrambi i Pioneer.

"Il mistero sta giungendo alla sua conclusione, perché si scopre che la fisica standard prevale" ha detto Turyshev. "Anche se, naturalmente, sarebbe stato interessante scoprire un nuovo tipo di fisica".

I Pioneer 10 e 11 sono stati gestiti dalla NASA Ames Research Center di Moffett Field, e l'ultimo segnale è stato ricevuto dal Pioneer 10 nel gennaio 2003.
L'ultimo segnale dal Pioneer 11 è stato ricevuto nel novembre del 1995.

Traduzione A cura Di Arthur McPaul

Fonte:
http://www.sciencedaily.com/releases/2012/07/120718115354.htm

UFO Nel Baltico: Arma Segreta Nazista?


Il giornale svedese Aftonbladet ha pubblicato un articolo sul progetto.
Il mistero dell'UFO nel Mar Baltico potrebbe presto essere risolto, ma la trama si infittisce intorno ad esso.


Mentre Dennis Asberg e Peter Lindberg stanno per partire per una nuova spedizione, leggiamo le ultime interessanti novità.

L'estate scorsa Dennis Asberg e Peter Lindberg hanno fatto quella che forse è stata la più grande scoperta di tutta la loro vita.
Ad 87 metri di profondità nel bel mezzo del Mar Baltico, hanno scoperto un oggetto circolare con una circonferenza di 180 metri e 60 metri di diametro.

Hanno effettuato due immersioni insieme al loro equipaggio per cercare di capire cosa si nascondesse la sotto, ma un anno dopo il mistero è ancora irrisolto.

"Ci siamo immersi per esaminare l'oggetto due volte e sappiamo già che quello che abbiamo trovato è unico. Ciò che stiamo per fare adesso è prendere un campione dell'oggetto stesso" dice Dennis Asberg.

"Non è un sottomarino.
Speriamo che l'analisi dei campioni porterà chiarezza su ciò che si nasconde sul fondo. Ci sono state diverse teorie su ciò che potrebbe essere, a partire da una formazione geologica ad una base sottomarina russa".


Essi hanno anche trovato un buco sull'oggetto che porta dritto fino in fondo.
"Non è un deposito di missili e non è un sottomarino. Forse c'è una piccola città laggiù" dice Dennis Asberg.

"Molti pensano che sia un UFO. L'oggetto di forma circolare ha soprattutto catturato l'attenzione degli appassionati ufologi. Circa il 95% del pubblico pensano infatti che si tratta di un UFO", dice Dennis Asberg

"A lungo ho pensato che potesse essere un meteorite, ma un meteorite avrebbe creato un cratere neidintorni e non vi è nessuna traccia di ció. Naturalmente bisogna essere realisti, ma questo oggetto è strano, molto strano".

"Non abbiamo mai visto nulla del genere, non sappiamo cosa pensare", hanno dichiarato i sub coinvolti nella spedizione, garantendo però che non si tratta, a loro avviso, di una formazione rocciosa naturale.
Tra l'altro, secondo gli stessi ricercatori impegnati nella missione, l'oggetto avrebbe la capacità di interferire con gli apparecchi elettrici, mandandoli letteralmente in tilt, come se alterasse il campo magnetico in un raggio di 200 metri.

Questo dettaglio probabilmente è stato decisivo per ispirare l'ultima ipotesi sulla cosiddetta "anomalia del Baltico", che la riporta decisamente sulla Terra senza però togliergli il fascino del mistero.

Un ex ufficiale della Marina svedese, tale Anders Autellus, si dice sicuro di aver capito cosa sia quel disco adagiato nel Golfo di Botnia: sarebbe un'arma segreta nazista, di tecnologia sconosciuta, risalente alla Seconda Guerra Mondiale.

La strumentazione, rimasta sepolta nel fondale per tutti questi decenni, sarebbe stata utilizzata per rendere difficile la navigazione dei sottomarini nemici, soprattutto britannici e sovietici. La struttura, in doppio strato di cemento armato, sarebbe stata dotata in origine di una rete metallica, erosa dal passare del tempo, che serviva per bloccare i sonar.

"Questa area del Baltico era vitale per l'industria bellica tedesca, perchè qui venivano prodotti i cuscinetti a sfera per i carri armati: non averne più avrebbe significato una battuta d'arresto", ha spiegato l'esperto in un'intervista al giornale svedese 'Expressen'.

Autellus ha poi aggiunto: "Questa scoperta supera di gran lunga tutte le altre ed è di un' importanza storica straordinaria".

Anche Stefan Hogeborn, uno dei sommozzatori che ha realizzato le immagini sottomarine, sostiene questa ipotesi.
"È una buona candidata a risolvere il mistero. In effetti quello strano oggetto si trova proprio al centro delle rotte navali", ha detto. Un entusiasmo che però non è condiviso da tutti. Altri ricercatori sembrano scettici non solo sull'ipotesi nazista, ma sull'intera vicenda.

A cura Di Arthur McPaul

Fonte:
http://www.ufoonline.it/2012/07/17/caso-ufo-nel-baltico-nuovi-sviluppi-nei-fondali-un-arma-nazista/

Spitzer Scopre Piccolo Mondo Di Lava Con Possibile Secondo Pianeta


Gli astronomi della NASA grazie alle immagini del telescopio spaziale Spitzer, hanno individuato un possibile esopianeta, più piccolo della Terra.

Il candidato, chiamato UCF-1.01, è situato a soli 33 anni luce di distanza.
Da quando lo Spitzer ha condotto i suoi studi sugli supianeti extrasolari in transito, UCF-1.01 è il primo ad essere stato individuato, più piccolo della Terra, indicando un possibile ruolo anche nell'aiutare a scoprire mondi come il nostro pianeta.

"Abbiamo trovato una forte evidenza per un pianeta molto piccolo, molto caldo e molto vicino alla sua stella, con l'aiuto del telescopio spaziale Spitzer", ha detto Kevin Stevenson presso la University of Central Florida di Orlando.

Stevenson è autore principale dello studio apparso sul The Astrophysical Journal.

Il pianeta è stato trovato inaspettatamente nelle osservazioni di Spitzer. Stevenson e colleghi, stavano studiando il pianeta extrasolare GJ 436b, intorno alla stella nana rossa GJ 436.

Nei dati di Spitzer, hanno notato dei leggeri cali della quantità di luce infrarossa dalla stella, distinti dai buchi causati da GJ 436b. Una revisione dei dati d'archivio ha mostrato che i buchi erano periodici, suggerendo l'ipotesi che potesse esistere un secondo pianeta a bloccare una piccola frazione della luce della stella.

UCF-1.01 sarebbe pertanto di circa 5.200 miglia (8.400 chilometri), o due terzi della Terra. Ruoterebbe abbastanza vicino a GJ 436, a circa sette volte la distanza della Terra dalla Luna, con il suo "anno" che durerebbe solo 1,4 giorni terrestri.

Data questa vicinanza alla sua stella, molto più di quanto lo sia il pianeta Mercurio al Sole, la temperatura superficiale del pianeta sarebbe di oltre 1.000 gradi Fahrenheit (circa 600 gradi Celsius).
Se il candidato pianeta abbia mai avuto un'atmosfera, quasi sicuramente è ormai evaporata da tempo.
UCF-1.01 potrebbe quindi assomigliare ad un pianeta ricco di crateri come Mercurio, geologicamente morto.

Il co-autore Joseph Harrington, anch'egli della University of Central Florida e ricercatore principale della ricerca, ha suggerito un'altra possibilità, che il calore estremo a cui GJ 436 si è sottoposto possa aver sciolto la superficie.

"Il pianeta potrebbe anche essere coperto di magma", ha detto Harrington.

Oltre a UCF-1.01, Stevenson ei suoi colleghi hanno notato accenni di un terzo pianeta, soprannominato UCF-1.02, sempre in orbita GJ 436.
Spitzer ha osservato la prova dei due nuovi pianeti più volte. Tuttavia, anche gli strumenti più sensibili non sono in grado di misurare facilmente le masse dei pianeti extrasolari piccoli come UCF-UCF-1.01 e 1.02, che sono forse solo un terzo della massa della Terra.
Conoscere la massa è prerogativa necessaria per confermare la scoperta e in assenza di ció gli autori della carta stanno cautamente chiamando entrambi i pianeti extrasolari ancora come candidati.

Delle circa 1.800 stelle candidate dal telescopio Kepler per avere sistemi planetari, solo tre hanno pianeti più piccoli della Terra. Tra quelli dello Spitzer, solo un esopianeta potrebbe essere più piccolo, con un raggio simile a Marte, o il 57 per cento quella della Terra.
"Spero che le osservazioni future confermino questi risultati entusiasmanti, che mostrano come lo Spitzer possa essere in grado di scoprire pianeti extrasolari come Marte", ha detto Michael Werner, Project Scientist Spitzer della NASA al Jet Propulsion Laboratory (JPL) di Pasadena, in California:
"Anche dopo quasi nove anni nello spazio, le osservazioni di Spitzer continuano a portarci in direzioni scientifiche nuove e importanti".

Traduzione A cura Di Arthur McPaul

Fonte:
http://www.sciencedaily.com/releases/2012/07/120718114944.htm

giovedì 19 luglio 2012

Marte, Ingresso Per Il Sottosuolo





Cosa ha creato questo buco inusuale su Marte?

Questa cavità è stata scoperta per caso grazie alle immagini delle piste polverose del vulcano marziano “Pavonis Mons”, un vulcano a scudo nella regione equatoriale di Tharsis, riprese a bordo del robot Mars Reconnaissance Orbiter attualmente in giro su Marte.

Il foro sembra essere un’apertura di una caverna sotterranea in parte illuminata sulla destra dell’immagine. Le analisi dell’immagine hanno rivelato delle dimensioni di circa 35 metri di diametro, mentre l’angolo d’ombra interiore indica che la caverna sottostante è profonda circa 20 metri.

La presenza di questo cratere rimane un argomento discusso tra scienziati e appassionati. Fori come questi sono di particolare interesse perché le loro grotte interne sono relativamente protette dalla dura superficie di Marte, che le rende possibili “rifugi” di eventuali forme di vita marziana.

Questo pozzo rappresenta uno degli obiettivi primari per eventuali missioni spaziali sulla superficie del pianeta rosso, dal momento che le idee sono contrastanti e non si è ancora in grado di comprendere cosa realmente l’abbia causata.

A cura Di Renato Sansone

Fonte:
http://www.meteoweb.eu/2012/07/inusuale-cavita-osservata-sulla-superficie-di-marte-dibattito-aperto-tra-gli-scienziati/144431/

martedì 17 luglio 2012

I Movimenti Segnati Sulla Superficie Lunare Sono Stati Causati Dagli Impatti





La superficie lunare è puntellata da migliaia di crateri da impatto, i resti delle collisioni che si sono verificati negli ultimi 4,5 miliardi di anni.
Il bacino Orientale, contiene una parte considerevole di recente formazione che si distingue dal resto. Il cratere, che si trova lungo il confine sud-occidentale tra le parti visibili e oscure della Luna, appare come una macchia scura circondata da cerchi concentrici di ejecta che raggiungono più di 900 km (560 miglia) dal punto d'impatto.


Anche se altri crateri sono dotati di anelli simili, la superficie lunare che circonda il bacino Orientale è insolitamente dura con concavità ridotta. Le caratteristiche anomale sono state identificate dal team di Kreslavsky dopo aver prodotto una mappa della rugosità della superficie lunare topografica grazie alle osservazioni dal Lunar Orbiter Laser Altimeter a bordo del Lunar Reconnaissance Orbiter.

Il fatto che altri crateri, anche quelli di analoghe dimensioni ed età, non abbiano caratteristiche simili, suggerisce agli autori che meccanismi quali agenti atmosferici o assestamenti gravitazionale non possono spiegare l'anomalia.

Invece, gli autori suggeriscono che il bacino Orientale, che si è formato circa 3,8 miliardi di anni fa, si distingue semplicemente perché è il più giovane grande cratere.
Essi propongono che ogni volta che un grande corpo impatta sulla Luna, le onde sismiche prodotte durante l'impatto si muovono attraverso il materiale solido lunare, inducendo uno scuotimento sismico che provoca frane e la sedimentazione di superficie. Si stima che il dispositivo di simulazione dovrebbe essere di almeno 100 km (62 miglia) per causare un notevole scuotimento sismico.

Purtroppo, per gli autori potrebbe essere necessario aspettare più di un pó di tempo per testare definitivamente le loro ipotesi, almeno fino a quando la Luna sarà nuovamente scossa da un asteroide massiccio, un evento cui il verificarsi è previsto nel prossimo futuro.

Traduzione e Adattamento A Cura Di Arthur McPaul

Foto In Alto
Bacino Orientale (credit: NASA)

Fonte:
http://c727752.r52.cf2.rackcdn.com/lro/lro_orientale.jpg



lunedì 16 luglio 2012

Hubble Scopre Le Galassie Mancanti?





Gli astronomi hanno usato il telescopio spaziale Hubble per studiare alcune delle galassie più piccole e più deboli nel nostro vicinato cosmico. Esse sono fossili dell'Universo primordiale: hanno appena circa 13 miliardi di anni.

La scoperta potrebbe aiutare a spiegare il cosiddetto problema del "satellite mancante", in cui solo una manciata di galassie satelliti sono state trovate intorno alla Via Lattea, contro le migliaia che sarebbero previste dalle teorie.

Gli astronomi sono rimasti perplessi sul perché alcune delle galassie nane siano estremamente povere di stelle nel vicinato della nostra Via Lattea.
Le galassie nane sono ritenute più antiche delle galassie più giovani, e sono le più incontaminate nell'Universo. Esse sono state scoperte negli ultimi dieci anni dagli astronomi, utilizzando tecniche informatiche automatizzate attraverso le immagini della Sloan Digital Sky Survey.

Ma un team internazionale di astronomi aveva bisogno del NASA / ESA Hubble Space Telescope per cercare di risolvere il mistero del perché queste galassie siano povere di stelle, e perché così solo poche di loro sono state scoperte fin ora.

Hubble ha individuato tre di queste, Hercules, Leone IV e le galassie nane dell'Ursa Major, rivelando che tutte hanno iniziato a formare stelle oltre 13 miliardi di anni fa per poi bruscamente interrompersi nel primo miliardo di anni dopo che nacque l'Universo.

In effetti, l'età estrema delle loro stelle è simile a Messier 92, il più antico ammasso globulare noto [1] nella Via Lattea.

"Queste galassie sono tutte antiche e hanno tutte la stessa età", ha detto Tom Brown dello Space Telescope Science Institute di Baltimora, USA, leader dello studio. "La spiegazione più probabile è che sono nate nel processo chiamato "rionizzazione".

Le galassie reliquia sono prova di una fase transitoria nell'Universo primordiale che ha posto fine alla creazione stellare nelle piccole galassie.
Questa fase sembra coincidere con il momento in cui le prime stelle hanno bruciato in una nebbia di idrogeno freddo, un processo chiamato rionizzazione.

In questo periodo, iniziato nel primo miliardo di anni dopo il Big Bang, la radiazione dalle prime stelle ha espulso elettroni degli atomi di idrogeno primordiale e gas freddo ionizzato di idrogeno dell'Universo [2].
La radiazione stessa che ha scatenato la rionizzazione universale sembra aver soffocato la nascita stellare nelle galassie nane, come quelle nello studio di Brown. Le piccole galassie irregolari sarebbero nate circa 100 milioni di anni prima che ebbe inizio la fase di rionizzazione, quando cioè avevano appena iniziato a sfornare stelle. Circa 2000 anni luce gamma, queste galassie sono i cugini più leggeri e più luminose delle galassie nane vicino alla nostra Via Lattea.

A differenza dei loro parenti più massicci, le galassie nane non erano abbastanza massicce per proteggersi dalla luce ultravioletta. I gas che avevano strappato il flusso di luce ultravioletta precipitarono verso di loro esaurendo il loro approvvigionamento di gas e le galassie non poterono più creare nuove stelle.

La scoperta potrebbe aiutare a spiegare il cosiddetto "problema del satellite mancante", dove solo poche decine di galassie nane sono state osservate attorno alla Via Lattea mentre le simulazioni al computer prevedono che ce ne dovrebbero esistere migliaia.
Una possibile spiegazione per il basso numero scoperto fino ad oggi è che c'è stato poca, se non addirittura inesistente formazione stellare nella più piccole di queste galassie nane, lasciandole praticamente invisibili.

L'indagine con lo Sloan ha recentemente scoperto più di una dozzina di queste galassie nel nostro vicinato cosmico. Esse hanno pochissime stelle, solo poche centinaia o migliaia, ma una grande quantità di materia oscura, l'impalcatura sottostante su cui sono costruite le galassie.

Le galassie nane vicino alla Via Lattea contengono 10 volte più materia oscura rispetto alla materia ordinaria che costituisce il gas e le stelle, mentre in queste cosiddette galassie nane ultradeboli, la materia oscura supera la materia ordinaria di almeno un fattore 100.

Gli astronomi pensano che il resto del cielo dovrebbe contenere decine di altre di queste galassie nane ultra-deboli con poche stelle e le prove della formazione stellare suggerisce che ce ne possano essere ancora migliaia senza molte stelle.

"Misurando le storie di formazione stellare delle nane osservate, Hubble ha sostenuto la spiegazione teorica per la scarsità di tali oggetti, secondo il quale formazione stellare negli ammassi più piccoli sarebbe stato bloccato dalla reionizzazione", ha detto Jason Tumlinson dello Space Telescope Science Institute, un membro del team di ricerca.

I risultati sono stato pubblicati nel numero del 1 luglio di Astrophysical Journal Letters.

[1] Gli ammassi globulari sono strettamente legati a poche centinaia di migliaia stelle. Essi sono noti per contenere alcune delle stelle più antiche dell'Universo. Inoltre, gli ammassi globulari sono noti per essersi formati in singoli eventi, in modo che tutte le stelle hanno la stessa età.

[2] Il periodo di reionizzazione è anche il limite in cui i telescopi possono vedere: il processo è ciò che rendeva l'idrogeno dell'Universo trasparente alla luce ultravioletta.

Traduzione e AdattamentoA cura Di Arthur McPaul

Fonte:
http://www.sciencedaily.com/releases/2012/07/120710133102.htm



sabato 14 luglio 2012

La Strana Coppia


Ogni secolo, circa, due stelle massicce della nostra galassia si mostrano nel magnifico spettacolo dell’esplosione di una supernova. Queste esplosioni stellari sono estremamente importanti per gli astronomi perché inviano nel cosmo particelle prive di carica, chiamate neutrini, e generano onde gravitazionali.

Gli scienziati attendono di poter studiare i neutrini e le onde gravitazionali emesse da circa 1000 supernovae già esplose nella nostra galassia e hanno predisposto strumenti adeguati a rilevare e studiare gli effetti della loro esplosione così da ottenere ulteriori informazioni su ciò che accade nel nucleo di stelle massicce poco prima che esplodano.

A tal fine, i ricercatori del California Institute of Technology (Caltech) pensano di aver trovato, tramite una simulazione al computer, quel che si pensa possa essere una firma inconfondibile, una caratteristica peculiare dell’esplosivo evento: se l’interno della stella morente ruoterà più rapidamente poco prima di esplodere i segnali dovuti all’emissione del neutrino e alla generazione delle onde gravitazionali oscilleranno alla stessa frequenza.

“Abbiamo visto, con grande sorpresa, questa correlazione nei risultati delle nostre simulazioni”, dice Christian Ott, assistente professore di astrofisica teorica a Caltech e autore principale dell’articolo pubblicato sulla rivista Physical Review D. “Nel segnale delle sole onde gravitazionali si ottiene questa oscillazione anche a lenta rotazione, ma se questa coincide con anche l’oscillazione di frequenza dovuta all’emissione di neutrini allora si dimostra che la stela ruotava su se stessa assai più rapidamente”.

Gli scienziati non conoscono ancora tutti i meccanismi che portano di una stella supermassiccia, dieci volte almeno la massa del nostro Sole, a diventare una Supernova. Quello che si sa (per la prima volta ipotizzato dall’astronomo Caltech Fritz Zwicky e il suo collega Walter Baade nel 1934) è che quando una stella esaurisce il combustibile che la alimenta, non potendo più sostenere la forza di gravità, comincia a crollare su se stessa, formando quella che viene chiamata una proto-stella di neutroni.

La correlazione ipotizzata dal team di Ott sembra fornire un modo per determinare se la velocità di rotazione del nucleo svolge un ruolo nella creazione di una supernova. Per avere una conferma, non ci resta che osservare finalmente una supernova con i rivelatori di neutrini e quelli di onde gravitazionali, evento che finora ci è sfuggito.

Foto In Alto
Rappresentazione artistica di supernova (credit:NASA)

A cura Di Media INAF

Fonte:
http://www.media.inaf.it/2012/07/13/la-strana-coppia/



venerdì 13 luglio 2012

Strano Avvistamento Dallo Spazio





E' stato ripreso uno strano e raro fenometo atmosferico dallo spazio.

L'immagine in alto è dtata catturata dalla spedizione di 31 astronauti a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS), e mostra un enigmatico fenomeno atmosferico noto come un "folletto rosso", sopra un lampo in un temporale su Myanmar.

Documentato per la prima volta in una foto nel 1989, il fenomeno in rosso era associato a lampi molto brevi di scariche elettriche derivanti da potenti tempeste, ma i meccanismi esatti che le creano non sono ancora noti.

Questa immagine fa parte di una sequenza di foto scattate durante un passaggio della ISS d 30 aprile.

Poiché gli sprite, così chiamati vista la loro natura sfuggente, si verificano soprattutto durante temporali, possono essere difficili da osservare da terra. Per decenni i piloti hanno riferito della presenza di tali flash sopra le tempeste, ma non sono stati mai documentati fino agli anni '90, quando sono stati catturati in modo chiaro.

Questi sprites appaiono come diversi gruppi rossi che raggiungono dall'alto la regione di un lampo, e a volte si estendono più in alto a 90 km nell'atmosfera. La regione più luminosa di uno sprite è di solito intorno ad altitudini di 65-75 km. Durano solo 3-10 millisecondi e appaiono luminosi come una moderata attività aurorale ed emettono rumore radio. È stato anche suggerito dalla ricerca di attività anologa su altri pianeti, che possono aiutare a identificare gli ambienti che sono favorevoli alla vita.
Questi fenomeni furtivi dare un suggerimento alla natura complessa dell'ambiente elettrico della Terra, delle tempeste e dell'influenza della metereologia che interagisce con esse. Per saperne di più sulla ricerca di tali sprite si puó andare nel sito della University of Alaska Fairbanks.

Foto In Alto
Image credit: NASA / JSC

Traduziobe A cura Di Arthur McPaul

Fonte:
http://news.discovery.com/space/big-pic-space-station-lightning-sprite-120712.html/



giovedì 12 luglio 2012

Quinta Luna Per Plutone





Una quinta luna nell’orbita di Plutone. È stato un team di astronomi del telescopio spaziale Hubble a scoprire questo oggetto cosmico, in orbita attorno al ghiacciato pianeta nano posto alla periferia del nostro sistema solare.

La “nuova” Luna di Plutone, P5, visibile nel puntino di luce nell’immagine ripresa da Hubble e pubblicata qui a destra, è stimata esseretra i 10 ai 25 km di diametro, con una forma irregolare. Ha un’orbita circolare, sullo stesso piano di quella delle altre lune di Plutone già conosciute, del diametro di 95.000 km.

“Le lune formano una serie di orbite una dentro l’altra, un po’ come le matrioske”, ha detto Mark Showalter, del SETI Institute di Mountain View, USA, leader del team scientifico che ha scoperto la luna nuova.

Resta la curiosità di come un pianeta così piccolo possa avere un sistema così complesso di satelliti, ma certo la nuova scoperta fornisce ulteriori prove su come il sistema di Plutone si sia formato e evoluto. La teoria più accreditata è che le lune di Plutone siano il risultato di uno scontro tra il pianeta nano e un altro grande oggetto della cintura di Kuiper, avvenuto miliardi di anni or sono.

La più grande delle lune di Plutone, Caronte, fu scoperta nel 1978. Grazie alle osservazioni di Hubble nel 2006 furono scoperte altre due lune, Nix e Hydra, mentre una terza, P4, fu “ricavata” dai dati ottenuti con il telescopio spaziale nel 2011.

New Horizons, una sonda spaziale della NASA, è attualmente in viaggio verso Plutone, con il quale ha “prenotato” un veloce flyby nel 2015. Da tale passaggio ravvicinato ritorneranno le prime immagini dettagliate del sistema di Plutone, così piccolo e distante che anche Hubble lo vede a fatica.

Dopo New Horizons gli astronomi per approfondire la conoscenza su Plutone e il suo sistema, potranno avvalersi della visione ad infrarossi del successore di Hubble, il James Webb Space Telescope, nato da una collaborazione NASA/ESA/CSA.

Foto In Alto
Credit: NASA

A cura Di Francesco Rea

Fonte:
http://www.media.inaf.it/2012/07/11/luna-nuova-per-plutone/

martedì 10 luglio 2012

Nuovo Studio Sul Sole Sfida Le Attuali Teorie Sulla Sua Fisica





Un team di scienziati ha creato un "MRI" dei movimenti interni al plasma del Sole, mettendo in luce come si trasferisce il calore dal suo profondo fino alla sua superficie.

Il risultato, pubblicato in uno studio sulla rivista The Proceedings of National Academy of Sciences, rovescia la nostra comprensione attuale del fenomeno.

Il lavoro è stato condotto dai ricercatori della NYU Courant Institute of Mathematical Sciences e dal suo Dipartimento di Fisica, dall'Università di Princeton, dal Max Planck Institute, e dalla NASA.

Il calore del Sole, generato dalla fusione nucleare nel suo nucleo, viene trasportato alla superficie per convezione verso l'esterno. Tuttavia, la nostra comprensione di questo processo è in gran parte soltanto teorica.
il Sole è opaco e tale convezione non può essere osservata direttamente. Di conseguenza, le teorie devono basarsi su ciò che sappiamo del flusso del fluido e quindi sulla loro applicazione al Sole, che è composto principalmente di idrogeno, elio, e plasma.

Sviluppare una comprensione più precisa della convezione è di vitale importanza per spiegare una serie di fenomeni, compresa la formazione delle macchie solari, che hanno una temperatura più bassa rispetto al resto della superficie e del campo magnetico del Sole, che viene creato quest'ultimo dai movimenti di plasma interni.

Al fine di sviluppare la loro "MRI" dei flussi di plasma del Sole, i ricercatori hanno esaminato le immagini ad alta risoluzione della superficie del Sole riprese dall'Helioseismic e Magnetic Imager (HMI) a bordo del NASA Solar Dynamics Observatory.

Usando una macchina fotografica 16 milioni di pixel, HMI misura i movimenti sulla superficie del Sole causati dalla convezione.
Una volta che gli scienziati hanno catturato le onde del movimento preciso sulla superficie sono stati in grado di calcolare i suoi movimenti invisibili nel plasma.

Questa procedura non è dissimile a quella per misurare la forza e la direzione di corrente di un oceano.
Notevolmente discostato dalla teoria esistente è stata in particolare la velocità dei moti del plasma solare che erano circa 100 volte più lenti di quanto gli scienziati avessero già previsto in precedenza.

"La nostra attuale comprensione teorica sulla generazione del campo magnetico del Sole si basa su questi movimenti che sono di una certa grandezza", ha spiegato Shravan Hanasoge, della Princeton University.

"Questi moti convettivi sono attualmente ritenuti responsabili nel sostenere le grandi circolazioni esterne del Sole che generano i campi magnetici", ha detto.
"Tuttavia, i nostri risultati suggeriscono che i moti convettivi siano circa 100 volte minori rispetto a queste attuali stime teoriche", ha aggiunto Hanasoge, collega post-dottorato presso il Max Plank Institute di Katlenburg-Lindau, in Germania.
"Se questi movimenti sono così lenti, allora la teoria più largamente accettata, relativa alla generazione del campo magnetico solare è sbagliata, lasciandoci con una teoria convincente per spiegare la sua generazione di campi magnetici e la necessità di rivedere la nostra comprensione del fisica dell'interno del Sole".

Foto In Alto
Credit: NASA

Traduzone A cura Di Arthur McPaul

Fonte:
http://www.sciencedaily.com/releases/2012/07/120709092457.htm



lunedì 9 luglio 2012

Individuata Pre-Nana Bruna





Nascerà sotto il segno dell’Ofiuco. E sarà un parto dei più riservati: così discreto che quasi nessuno se ne accorgerà. Con la poca massa che si ritrova, corrispondente ad appena il 2-3 percento di quella del Sole, la stella allo stato embrionale Oph B-11 non ha infatti alcuna speranza di riuscire a innescare i processi di fusione nucleare necessari ad accendersi: il confine fra chi, nel cosmo, conduce un’esistenza opaca e chi una vita all’insegna dello splendore si colloca infatti attorno alle 0.075 masse solari. Ma almeno la piccola Oph B-11 si troverà in buona compagnia, visto che le stelle spente alla nascita sono presenti in numero pari, se non superiore, a quelle che bruciano idrogeno.

Stelle come quella che Oph B-11 è destinata a diventare sono note come nane brune, in inglese brown dwarfs. Scoperte per la prima volta nel 1995, le nane brune si collocano a metà strada fra le normali stelle e i pianeti. A deciderne la sorte è principalmente la quantità di gas e polveri in gioco. Se è inferiore allo 0.02 percento della massa del Sole, uscirà pianeta. Se è superiore allo 0.075 percento, uscirà stella. Se invece la moneta rimane in piedi, lì nella zona franca, molto probabilmente diventerà una nana bruna. Ma non è tutto così lineare. Altri fattori entrano in gioco oltre alla massa, primi fra tutti la presenza di altre stelle nei dintorni e gli shock dovuti ai getti supersonici generati dalla turbolenza interstellare.

Come districarli e come interpretare i ruolo di ognuno di questi fattori nella formazione delle nane brune? È proprio per tentare di rispondere a questa domanda che dal 2006 Philippe André, astrofisico del CNRS, e i suoi due colleghi Derek Ward-Thompson e Jane Greaves non fanno che osservare Oph B-11. La sua fredda massa di gas e polveri in fase d’aggregazione è infatti la prima pre-brown dwarf conosciuta. Importante, dunque, perché con la sua stessa esistenza dimostra che l’universo contiene oggetti del genere, le pre-brown dwarf, appunto. Ma importante anche, più in generale, per osservare il processo di gestazione d’una nana bruna e il contesto entro il quale avviene.

L1688, la regione di formazione in cui si trova Oph B-11, dista circa 457 anni luce da noi, e per sondarla con la precisione richiesta il team guidato da André s’è avvalso d’un “ecografo” tra i più sensibili: l’interferometro di Plateau de Bure dell’IRAM, l’Institut de radioastronomie millimétrique. I risultati, pubblicati oggi su Science, oltre a confermare la natura di pre-brown dwarf di Oph B-11, sono coerenti con il modello secondo il quale le nane brune si formano in modo analogo alle altre stelle, dunque principalmente per collasso gravitazionale.

A cura Di Marco Malaspina

Fonte:
http://www.media.inaf.it/2012/07/05/formazione-nane-brune/



domenica 8 luglio 2012

Binarie Da Record




Binarie da record quelle trovate da un team di astronomi utilizzando l’Infrared Telescope (UKIRT) del Regno Unito sito alle Hawaii. Quattro coppie di stelle binarie che ruotano uno intorno all’altra in meno di quattro ore. Un record e un fenomeno mai finora riscontrato. O meglio, finora non era mai stato trovato un sistema binario la cui rotazione vicendevole durasse meno di cinque ore.

La nuova scoperta, resa possibile grazie alla Wide Field Camera del telescopio (WFCAM), un gioiello della più avanzata tecnologia, è stata pubblicata sulla rivista mensile della Royal Astronomical Society.

Circa la metà delle stelle nella nostra galassia, la Via Lattea, sono, a differenza del nostro Sole, parte di un sistema binario in cui due stelle orbitano una intorno all’altra. Molto probabilmente le stelle in questi sistemi si sono formate vicine e fin dalla nascita hanno orbitato una intorno l’altra.

Fino a questo momento si è pensato che la loro orbita reciproca non potesse essere troppo stretta, superare in sostanza il limite che avrebbe portato le stelle a congiungersi per fomare una stella più grande. Questo almeno ci dicevano le osservazioni degli ultimi decenni, nele quali non erano state trovate stelle binarie con periodi orbitali inferiori alle cinque ore.

La svolta si è avuta decidendo di studiare, tra le centinaia di migliaia di stelle binarie, anche le binarie formate da nane rosse, stelle assai più piccole e luminose (migliaia di volte meno) del Sole. Anche se esse formano il tipo più comune di stelle nella Via Lattea, le nane rosse non compaiono nelle normali survey a causa della loro debole luce visibile.

“Con nostra sorpresa, abbiamo trovato molte binarie composte da nane rosse, con periodi orbitali notevolmente più brevi rispetto alla cinque ore, limite che avevamo riscontrato nelle binarie con dimensioni simili al Sole. “Qualcosa che in precedenza si pensava impossibile”, ha detto Bas Nefs del Leiden Observatory nei Paesi Bassi, e primo autore dell’articolo. “Vuol dire che dobbiamo ripensare come questi stretti sistemi binari si formano e si evolvono”.

Le stelle riducono le loro dimensioni all’inizio della loro esistenza. Il fatto che questi sistemi binari siano molto stretti farebbe ipotizzare che le loro orbite debbano essersi così ridotte contemporaneamente alla riduzione delle loro dimensioni, altrimenti le stelle sarebbero entrate in contatto molto presto, fondendosi. Tuttavia, non è affatto chiaro come queste orbite abbiano potuto ridursi così tanto.

A cura Di Francesco Rea

Fonte:
http://www.media.inaf.it/2012/07/06/le-strane-coppie/

N. Stella Sul Bosone Di Higgs: "Notevoli Implicazioni Tecnologiche"





Mercoledì 4 Luglio 2012, un team di fisici presso il CERN di Ginevra, ha annunciato in una storica conferenza ripresa in mondovisione, la scoperta forse più sensazionale della fisica mai fatta dall'umanità, cioè, l'esistenza sperimentale del cosiddetto "bosone di Higgs".

Il bosone di Higgs, già soprannominato da tempo "la particella di Dio", è un bosone massivo e scalare previsto dal Modello standard.
Fu teorizzato già nel 1964, come elemento mancante per giocare un ruolo fondamentale in campo subatomico, ovvero portatore di forza del campo di Higgs, che secondo la teoria dovrebbe permeare l'Universo e mediante rottura spontanea di simmetria dei campi elettrodebole e fermionico, conferirebbe la massa alle particelle.

La sua esistenza era necessaria per dare assoluta certezza allo stesso Modello Standard. ed è anche per questo motivo che scoprirne l'esistenza era una priorità fondamentale per i fisici teorici e per i ricercatori di tutto il mondo.

Risulta opportuno fare una distinzione fra meccanismo di Higgs e bosone di Higgs. Introdotti nel 1964, il meccanismo di Higgs fu teorizzato dal fisico britannico Peter Higgs, insieme a François Englert e Robert Brout (lavorando su un'idea di Philip Anderson), e indipendentemente da G. S. Guralnik, C. R. Hagen e T. W. B. Kibble.

Ma solo Higgs citava esplicitamente, in una nota finale, la possibile esistenza di un nuovo bosone. Egli aggiunse tale nota dopo che una prima stesura era stata rifiutata dalla rivista Physics Letters prima di reinviare il lavoro a Physical Review Letters.

Il bosone e il meccanismo di Higgs sono stati successivamente incorporati nel Modello standard, in una descrizione della forza debole come teoria di gauge, indipendentemente da Steven Weinberg e Abdus Salam nel 1967.

Il bosone di Higgs è dotato di massa propria, il cui valore non è previsto dal Modello standard. Misure indirette dalle determinazioni dei parametri elettrodeboli danno indicazioni che i valori più probabili siano comunque relativamente bassi, in un intervallo accessibile al Large Hadron Collider presso il CERN.

Molti modelli supersimmetrici predicono inoltre che il valore più basso possibile della massa del bosone di Higgs sia intorno a 120 GeV o meno, mentre la teoria dà un limite massimo di circa 200 GeV (≈3,5 · 10-25 kg).

Il 13 dicembre 2011, in un seminario presso il Cern, era stata illustrata una serie di dati degli esperimenti ATLAS e CMS, coordinati dai fisici italiani Fabiola Gianotti e Guido Tonelli, che individuavano il bosone di Higgs in un intervallo di energia fra i 124 e 126 GeV con una probabilità prossima al 99%.
Benché tale valore fosse sicuramente notevole, la comunità scientifica richiede che sia raggiunto un livello di confidenza, ossia una possibilità di errore dovuto al caso (nella fattispecie a fluttuazioni quantistiche), non superiore a 6 parti su 10 milioni, corrispondente a una probabilità del 99,99994% (5 deviazioni standard), prima di poter annunciare ufficialmente una scoperta.

Il 5 aprile 2012 nell'anello che corre con i suoi 27 km sotto la frontiera tra Svizzera e Francia, è stata raggiunta l'energia massima mai toccata di 8 000 miliardi di elettronvolt (8 TeV).

Gli ulteriori dati acquisiti hanno permesso, il 4 luglio 2012, l'annuncio da parte del CERN della scoperta di una particella compatibile con il bosone di Higgs, la cui massa risulta intorno ai 126 GeV per l'esperimento ATLAS e ai 125,3 GeV per l'esperimento CMS. L'accuratezza delle misure ha raggiunto la precisione richiesta di 5 sigma (5 deviazioni standard), ovvero una probabilità del 99,9996%.

Una migliore definizione delle caratteristiche della particella rilevata sarà disponibile entro la fine del 2012.

Da questo monento in avanti, siamo di fatto entrati in una nuova era della fisica e con essa dell'umanità.

Molti fisici teorici adesso si aspettano che la fisica vada oltre il Modello standard alla scala del TeV, a causa di alcune proprietà insoddisfacenti del modello stesso. In particolare i ricercatori (tra cui molti italiani, secondi finanziatori e seconda comunità scientifica del Cern) sperano di verificare l’esistenza delle particelle più sfuggenti della materia e comprendere la natura della materia e dell’energia "oscure", che costituiscono rispettivamente il 23% e il 72% dell’Universo (l'energia e la materia visibili ne costituiscono solo il 5%).

Oltre ai fisici di tutto il mondo, molti semplici appassionati e curiosi, sorpresi e meravigliati dalla scoperta, si chiedono adesso, cosa cambierà nel prossimo futuro.
Si parla già di rivoluzioni in campo teorico per comprendere l'origine dell'Universo e delle energie/masse oscure che sfuggono alle osservazioni.
Si parla di future applicazioni della nuova fisica alla tecnologia, dall'avionica aerea e aerospaziale fino ai viaggi superluminari.

Per queste e altre domande abbiamo deciso di intervistare il fisico teorico Nicola Stella (http://www.nicolastella.it), che ci illustrerà, da fisico e da fiero visionario di questa nuova era che si apre, i possibili campi di ricerca che implicherà la conoscenza del Bosone di Higgs.

Dot. Stella, sappiamo benissimo che questa è per voi fisici teorici e sperimentali solo la conferma di un "qualcosa" che già, non solo si ipotizzava, ma che era già evidente negli ultimi anni come "ombra" nei dati sperimentali. Adesso che finalmente è stato raggiunto il famoso livello di 5 sigma (5 deviazioni standard), ovvero una probabilità del 99,9996%, cosa cambia realmente per il modo di intendere la fisica teorica?
Ritengo che tale conferma possa consolidarea livelli maggiori quelle teorie che si poggiano sul modello standard con particolare riferimento ai processi interessati dal meccanismo di Higgs, in particolar modo alle teorie cosmologiche.
Più che modo di intendere la fisica teorica penso che questa scoperta dia tutti gli elementi necessari e le certezze per poter scegliere una linea da seguire per i futuri sviluppi della fisica teorica. In molti potranno dire "ok siamo sulla strada giusta, continuiamo lungo essa".
Al contrario molte dottrine che confutano la bontà del meccanismo di Higgs troveranno altre falle nella teoria stessa, com'è normale che sia. Lo stesso accade ancora oggi per la Teoria della Relatività, in un processo che continua da decenni.


Il Bosone di Higgs sarebbe pertanto la massa stessa dell'atomo, ci spieghi meglio concetto...
In realtà il meccanismo di Higgs, da cui emerge il bosone omonimo, opera a scale subatomiche nei processi di interazione elettrodebole, ossia quei processi interessati da decadimento.
E' pertanto più appropriato parlare di conferimento di massa ai costituenti di un atomo in fase di processi di decadimento.
Nel dettaglio, tale meccanismo, come già detto, interviene nei processi di interazione debole ai quali sono interessate le particelle soggette a decadimento. In tali processi intervengono i cosiddetti "portatori" di campo: nel caso di interazione elettromagnetica i portatori sono i fotoni mentre nel caso di interazione elettrodebole sono i Bosoni vettori W e Z. In tali processi vengono "rotte" simmetrie locali che, con meccanismi di ripristino delle stesse, per via del noto teorema di Goldstone (http://it.wikipedia.org/wiki/Bosone_di_Goldstone), portano alla luce nuove particelle, i Bosoni di Goldstone. Nel caso specifico delle interazioni deboli si tratta dei bosoni W, Z più il Bosone H di Higgs, portatore di massa. Esso opera anche nei processi di interazioni unificate come quella elettrodebole, ma anche in quelli che unificano le interazioni debole-forte-elettromagnetica (ad es. meccanismo di Yukawa per la massa dei fermioni, particelle a spin non intero composte da quark, questi ultimi soggetti a interazioni forti).


Con queste nuove conoscenze, cambia pertanto anche la visione dell'Universo. Avrà tale scoperta implicazioni teoriche per la conoscenza della "materia oscura" e dell"energia oscura", che costituirebbero assieme circa il 95% della massa dello stesso Universo?
Molto probabilmente l'affermazione del meccanismo di Higgs aprirà nuovi scenari sulle teorie cosmologiche, partendo per l'appunto dalla certezza del meccanismo di Higgs (certezza a livello 5 sigma); in particolar modo dando più accreditamento alla teoria delle stringe.
Per meglio spegare l'importanza di ciò è opportuno fare una premessa, ossia sull'esistenza di campi detti tachionici (http://it.wikipedia.org/wiki/Tachione), campi scalari dotati di massa immaginaria (che elevata al quadrato diventa massa negativa).
Sotto determinate condizioni spazio-temporali tali campi subiscono un processo detto di condensazione tachionica che portano i campi tachionici a diventare campi di Higgs (bosoni di Higgs per l'appunto).

Tuttavia ritengo che i problemi legati alle teorie cosmologiche siano legati a concetti la cui dimostrazione è strettamente connessa ai limiti tecnologici.
La nuova sfida non è tanto "dimostrare" ma raggiungere energie sempre più alte. In questo modo l'occhio scientifico potrà vedere i primi istanti dell'Universo.


Gli stessi scienziati del CERN hanno dichiarato che si entra in una nuova era, di grandi implicazioni tecnologiche. Ma prima di vedere quali, è opportuno farle una domanda che molti si chiedono: sarà in un futuro possibile interagire con queste particelle per modificare la massa di un elemento lasciando invariate le sue proprietà?

Non sono in grado di dare una risposta a tale domanda, ma di certo in un lontano futuro sarà possibile utilizzare processi di interazione che, utilizzando in modo indiretto il meccanismo di Higgs, potrebbero creare prodotti di decadimento studiati ad hoc. Ma si tratta comunque di processi che contemplano energie elevatissime, raggiungibili al momento con acceleratori di particelle come LHC.

Non credo si possa ad oggi utilizzare un acceleratore per tali scopi. Tuttavia le implicazioni tecnologiche saranno di certo notevoli e da subito. Il raggiungimento di energie elevate in LHC ha presupposto lo sviluppo di tecnologie avanzate riutilizzabili e sfruttabili. Penso immediatamente ai materiali semiconduttori innovativi: tutto il nostro quotidiano non può prescindere da tecnologie accessibili composte daquesto tipo di materiali.


Come intendono a suo avviso sfruttare questa scoperta, i teorici, per i viaggi "superluminari"?
Non credo sia possibile sfruttare questa ed altre scoperte per viaggi superluminari e/o temporali. La mia (e non solo mia) visione convinta su ciò, si basa su presupposti teorici e pratici che ne dimostrerebbero l'impossibilità. Magari ne parleremo volentieri in un'altra intervista.

Quali potrebbero essere a suo avviso le implicazioni per l'aeronautica spaziale e altre discipline come ad esempio la medicina?
E' tutto legato alle tecnologie utilizzate per l'implementazione degli strumenti per attuare la ricerca del bosone. Tuttavia i campi che hai elencato sfruttano prodotti di decadimento: basti pensare ai combustibili impiegati nel campo dell'avionica.

Come ben saprà, nel 1999, ho avuto la fortuna di assistere a qualcosa di unico, un disco volante che gli ufologi chiamano UFO, a pochissimi metri di distanza. Milioni di persone dicono di vedere spesso oggetti simili. Tuttavia ricordo benissimo che dopo qualche istante di sospensione nel vuoto, schizzó via, scomparendo. Fermo restando che si potesse trattare di un prototipo sperimentale e non di alieni, l'esistenza di un oggetto del genere implicherebbe che tali conoscenze siano ben note da tempo. E' plausibile che qualche gruppo di ricerca abbia già conseguito queste tecnologie, manipolando la massa e e le stia tenendo nascoste? In confidenza, se non lo ritenesse ipotizzabile, cosa potrei aver visto, o meglio cosa potremmo aver visto non essedo da solo?
La mia idea è che si trattasse di tecnologie sperimentali non conosciute in campo civile.
Credo in altre vite extraterrestri per il fatto che esiste una probabilità non nulla che in altre parti dell'universo ci siano le condizioni per dar luogo a nuove forme di vita, magari sviluppatesi in tempi più remoti rispetto a quanto avvenuto per la terra e quindi più evolute. Ma non ci sono le condizioni per credere che questi oggetti non identificati che a volte appaiono nel nostro campo visivo siano extraterrestri.


Dott. Stella, cosa cambia adesso, dopo la scoperta del Bosone Di Higgs, nella sua personale visione della Fisica e dell'Universo?
Ho sempre creduto nell'esistenza del Bosone di Higgs e a parte ciò, penso in generale che la scoperta sperimentale o teorica di una nuova particella porterà alla conoscenza di nuove particelle sconosciute e di nuove problematiche nelle teorie, in un meccanismo di moto perpetuo della conoscenza. E' emblematica una frase del logico matematico B. Russell "La ricerca della perfezione genera incertezza".

Questa è la mia personale ed immutabile visione della fisica e della scienza in generale, ed è sempre dimostrata.


E con queste emblematiche parole del fisico Stella. chiudiamo l'intervista sperando di aver scritto per tutti voi un altro grande contributo scientifico laddové altri blog o siti non osano!

A cura Di Arthur McPaul

Contacts:

Dott. Nicola Stella
Tel.: +39 3391386519
Skype: charm_79
Web Site:
http://www.nicolastella.it
info@nicolastella.it
nicolastella1@gmail.com



Nuova Tecnica Per Osservare I Pianeti Extrasolari Direttamente





Un avanzato sistema di imaging telescopico, che ha iniziato il rilevamento dei dati del mese scorso, è il primo del suo genere in grado di avvistare pianeti orbitanti al di fuori del nostro Sistema Solare.
Il team chiamato Project 1640, è operativo sul telescopio Hale presso l'Osservatorio Palomar in California dopo più di sei anni di sviluppo da parte di ricercatori e ingegneri presso il Museo Americano di Storia Naturale, del California Institute of Technology, e il Jet Propulsion Laboratory (JPL).


Le prime immagini del progetto mostrano l'efficacia di una nuova tecnica che crea "buchi neri" estremamente precisi intorno a stelle di interesse.
Nonostante le centinaia di esopianeti noti grazie a metodi di rilevazione indiretti, sono estremamente difficili da vedere direttamente in un'immagine ottica. Ciò a causa della luce emessa dalle rispettive stelle che essendo decine di milioni di miliardi di volte più luminose copre quella riflessa o emessa dai pianeti.

"Siamo accecati dalla luce stellare", ha detto Oppenheimer. "Una volta che possiamo realmente vedere questi pianeti extrasolari, possiamo determinare i colori che emettono, le composizioni chimiche delle loro atmosfere e anche le caratteristiche fisiche delle loro superfici. In ultima analisi, le misurazioni dirette, se condotte dallo spazio, possono essere utilizzate per comprendere meglio l'origine della Terra e per cercare segni di vita in altri mondi".

Anche se gli scienziati hanno utilizzato esempi di stelle relativamente vicine a non più di 200 anni luce di distanza, è necessario uno straordinario livello di precisione per produrre risultati accurati.
"L'Imaging diretta dei pianeti è estremamente impegnativa", ha detto Charles Beichman, direttore esecutivo del NASA Science Institute Per I Pianeti Extrasolari, presso il California Institute of Technology. "Immaginate di provare a vedere una lucciola attorno ad un faro a più di mille chilometri di distanza".

Il "Progetto 1640" si basa su quattro strumenti principali che generano immagini nella luce infrarossa dei pianeti in orbita. Gli strumenti sono ora in funzione per ottenere alcune delle immagini a più alto contrasto mai prodotte, rivelando oggetti celesti da 1 milione a 10 milioni di volte più deboli della stella al centro dell'immagine.

Il nucleo di questo progresso tecnologico è il funzionamento coordinato: il più avanzato sistema di ottiche adattive, costruito a Caltech e al JPL, che puó manipolare la luce mediante l'applicazione di più di 7 milioni di deformazioni dello specchio attive al secondo con un livello di precisione superiore a 1 nanometro, "circa 100 volte più piccolo di un tipico batterio, con un coronografo, realizzato presso il Museo, che otticamente offusca la stella, ma non altri oggetti celesti nel campo visivo e uno spettrografo costruito da un team del Museo e la Cambridge University, che registra le immagini di altri sistemi solari in un arcobaleno di colori contemporaneamente e un sensore di fronte d'onda specializzata realizzato da un team del JPL che si annida nel coronografo e le imperfezioni nel percorso della luce in una precisione di un nanometro.
Anche se il coronografo crea una "eclissi artificiale" All'interno del progetto 1640, bloccando la luce estremamente luminoso proveniente dalla stella, circa la metà di un per cento di quella luce rimane nella forma di uno sfondo luminoso screziato sovrapposto ai sistemi solari di interesse. Ognuna di queste macchie possono essere centinaia di volte più luminose rispetto ai pianeti e deve essere controllata con precisione squisita.

Il Progetto 1640, tuttavia, ha ora dimostrato una tecnica che può scurire le macchie ben oltre qualsiasi qualsiasi capacità precedente, creando un quadrato scuro sulla stella. La regione scura può essere creata a misura e controlla le distorsioni nella luce della stella lontana, causate dal disturbo attraverso l'atmosfera e l'ottica, al livello di 5-nanometri (una piccola frazione della lunghezza d'onda della luce).

In precedenza, il buco nero creato dalla tecnica del progetto 1640 era stata osservata solo in condizioni controllate di laboratorio. Ora, l'effetto su una vera stella è stato osservato attraverso un telescopio.
"Ad alto contrasto di imaging è necessario che ogni sottosistema esegua senza problemi e all'unisono le operazioni complete per distinguere la luce dal pianeta", ha detto Richard Dekany, direttore associato per la strumentazione a Caltech Optical Observatories. "Anche una piccola perdita di luce delle stelle, infatti, potrebbe inondare i nostri fotorivelatori e coprire questi pianeti».

Ora che l'intero sistema sta funzionando, i ricercatori hanno avviato un indagine che durerà tre anni, durante i quali essi hanno intenzione di scandagliare centinaia di immagini di stelle giovani.

"Più impariamo su di loro, più ci rendiamo conto di quanti differenti sistemi planetari possano esistere dalla nostra Galassia", ha detto l'astronomo al Jet Propulsion Laboratory, Gautam Vasisht. "Tutte le indicazioni mostrano una enorme diversità dei sistemi planetari, ben oltre ciò che è stato immaginato solo 10 anni fa".

I pianeti in orbita attorno a queste stelle luminose nel campo di applicazione del Progetto 1640, sono probabilmente molto grandi, dell'ordine delle dimensioni di Giove e troppo caldi per la vita, anche se è possibile che altri pianeti in questi sistemi o le loro lune, possano ospitare la vita.

Una delle più grandi potenzialità di ricerca del nuovo progetto è quello di sbloccare la conoscenza di ciò che le architetture di sistemi solari dicono sul nostro pianeta.
"Per capire l'origine della Terra, abbiamo bisogno di capire l'origine dei pianeti in generale", ha detto Lynne Hillenbrand, un professore di astronomia presso l'Istituto di Tecnologia della California. "Come si formano, come si evolvono? Come funziona il nostro Sistema Solare rispetto ai giganti gassosi e ai piccoli pianeti rocciosi degli altri sistemi? Queste sono domande molto importanti per l'umanità".

Foto In Alto
Due immagini di HD 157728, una stella 1,5 volte più grande del Sole. La stella è centrata in entrambe le immagini e la sua luce è stata rimossa dalle ottiche adattive e dal coronografo. La luce emessa coprirebbe gli oggetti presenti sullo sfondo. A sinistra l'immagine è stata realizzata senza del le ottiche del Project 1640. Mentre a destra l'immagine è stata realizzata con le ottiche adattive e un cerchio nero eclissa la stella permettendo di vedere gli oggetti di sfondo.
L'immagine è stata presa il 14 giugno 2012 dal Project 1640 con il Palomar Observatory's 200-inch Hale telescope. (Credit: Courtesy of Project 1640)

Traduzione A cura Di Arthur McPaul

Fonte:
http://www.sciencedaily.com/releases/2012/07/120705161252.htm

venerdì 6 luglio 2012

Per H. Newman, La Particella Scoperta Potrebbe Non Essere Il Bosone Di Higgs





Cosa accadrebbe se ci fossero indicazioni che non fosse il bosone di Higgs la particella scoperta e da poco annunciata?

La particella ritrovata potrebbe essere una varietà più esotica di un bosone di Higgs.
Questo potrebbe essere in realtà una scoperta ancora più emozionante.
Un bosone di Higgs è prodotto nella collisione di due protoni a 14 TeV che decade rapidamente in quattro muoni.
CERN / ATLAS

I fisici del Large Hadron Collider (LHC) dicono di aver scoperto un nuovo tipo di particelle Higgs: un fascio di energia che ha la maggior parte delle caratteristiche previste per il bosone di Higgs.
Ci sono sottili indizi che la particella possa infatti un altro tipo di particella non nota.

Harvey Newman, uno fisico delle alte energie al California Institute of Technology e membro dell'esperimento Compact Muon Solenoid (CMS) (uno dei due esperimenti dell'LHC che ha scoperto la nuova particella), ha detto che scoprire una varietà più esotica di bosone di Higgs è in realtà "una delle cose più eccitanti che possono accadere". Ecco perché.

Il campo di Higgs, con il relativo bosone di Higgs, era stato previsto come la più semplice spiegazione del motivo per cui tutte le particelle elementari dell'Universo hanno una massa. In breve, il campo di Higgs è come una piscina microscopica, in cui tutto ciò sta nuotando in esso. Le particelle contenute interagiscono fortemente con il campo di Higgs, come un uomo immerso in acqua i cui vestiti si incollano alla sua pelle", ha detto John Gunion, un fisico presso l'Università della California e "soltanto le più pesanti particelle sfrecciano come un nuotatore olimpico in una muta".

Una piscina di Higgs (e una corrispondente del bosone di Higgs - una sorta di tuffo in piscina) è sufficiente per conferire massa a tutte le particelle del Modello Standard: la teoria standard che descrive le particelle elementari conosciute e le forze che agiscono tra di loro. Ma il Modello Standard non è tutto.

"Il Modello Standard è semplice e potente, ma sappiamo che non può essere la teoria completa", ha detto Newman. Credere nel Modello Standard "sarebbe come credere nelle leggi del moto di Newton".
Le leggi presuppongono che lo spazio e il tempo siano entità separate e immutabili. Questo va bene per descrivere i movimenti di oggetti lenti e a bassa massa, ma le leggi vengono frantumate per oggetti che si avvicinano alla velocità della luce, o per i buchi neri, che piegano lo spazio e il tempo. "Le leggi di Newton sono meravigliosamente semplici e descrivono così tanto, ma sappiamo che non è la teoria fondamentale, solo la bassa energia al limite di una teoria più fondamentale", cioè, la teoria della relatività di Einstein, che sembra descrivere lo spazio-tempo esattamente. "E' la stessa cosa qui. Sappiamo che ci deve essere una teoria più fondamentale rispetto al modello standard".

"Il Modello Standard è incompleto", ha detto Newman, perché non tiene conto delle particelle che compongono l'84 per cento della materia dell'Universo: la sostanza invisibile conosciuta come materia oscura. Inoltre non riesce a comprendere la gravità. Inoltre, il Modello Standard tratta la materia e il suo opposto gemello, l'antimateria, come se fossero simmetriche e quindi non tiene conto del motivo per cui non vi è più antimateria nell'Universo. E, infine, quando si tenta di proiettare il Modello Standard per le energie superiori come quelle che esistevano nei primi istanti dell'Universo", la teoria cade essenzialmente su se stessa", ha detto Newman.

La teoria principale che pone il Modello Standard all'interno di una più potente, è chiamata supersimmetria, o SUSY. Secondo SUSY (che è incorporata nella teoria delle stringhe), in cui tutte le particelle conosciute hanno de partner molto più pesanti supersimmetrichi, noti come sparticelle. Non solo SUSY predice l'esistenza di particelle di materia oscura, ma è anche in grado di spiegare le interazioni delle particelle ad energie molto elevate, come quelle appena dopo il Big Bang.

Inoltre SUSY può spiegare la strana preferenza della natura per la materia sull'antimateria: si richiede l'esistenza di almeno cinque piscine sovrapposte in atto in tutto l'Universo, che potrebbero avere una asimmetria (come un vortice gigante in senso antiorario), dando luogo ad un surplus di materia. Quelle cinque piscine sono i campi di Higgs, ognuno con un tipo di bosone di Higgs.

Quando è stato generato un presunto bosone da un collisionatore di particelle come l'LHC, ogni presunto bosone di Higgs ci si aspetterebbe di decadere in un unico insieme di particelle più leggere. Sembra che la particella ritrovata presso il LHC è decaduta in modo non previsto dal Modello Standard Higgs, hanno detto i fisici, anche se sono necessari ulteriori dati prima di poter dire con certezza di che tipo di particella di Higgs era. Ma se la particella fosse infatti, una più esotica di Higgs, allora potrebbe essere un "Higgs SUSY", o almeno non una del Modello Standard e sarebbe la prima scoperta della fisica oltre tale modello.

"Questo sarebbe imprimerebbe uno slancio enorme a tutto il settore," ha detto Gunion, riferendosi al "settore" o gruppo di possibili particelle di Higgs.

Newman conclude: "Complessivamente, abbiamo questa visione tremenda di fronte a noi".

Traduzione A cura Di Arthur McPaul

Fonte:
http://news.discovery.com/space/what-if-particle-is-not-higgs-120706.html

N. Solomey Ritiene Che Higgs Porterà A Nuove Meravigliose Tecnologie





"Nel perseguimento di domande apparentemente infinite, ci può essere solo più comprensione.

Questo era il sentimento prevalente del fisico Nickolas Solomey, Mercoledì 4 luglio, dopo che al Centro Europeo di Ricerca Nucleare (meglio conosciuto come CERN), hanno annunciato la probabile scoperta del bosone di Higgs, una particella che gli scienziati del centro di ricerca di Ginevra, ritengono possa sbloccare alcune delle risposte alle origini del nostro Universo.

L'Higgs, che fino ad ora era stata puramente teorica, è considerata la chiave per comprendere perché la materia ha massa, che si combina con la gravità per dare tutto il peso agli oggetti.

L'esistenza della particella è considerata fondamentale per la creazione dell'Universo.

"Ora che sappiamo che esiste, c'è da chiedersi dove essa proviene?" secondo Solomey, il direttore di fisica alla Wichita State University. E poi: "Come agisce e se forse un giorno potremo iniziare ad usarla?".

Solomey ha diversi stretti legami con la saga che ha portato alla scoperta del bosone Higgs.
Il soprannome comunemente usato per il bosone di Higgs nella cultura popolare è la "particella di Dio", coniato da un intimo amico di Solomey, Leon Lederman, nel titolo del suo popolare libro sulla fisica delle particelle, "La particella di Dio: Se l'universo è la risposta, qual è la domanda?".

Il soprannome induce gli scienziati a pensare che particella ci possa raccontare la genesi della creazione. Solomey disse in merito che: "Leon aveva solo bisogno di un titolo accattivante per il suo libro. So che si rammarica. Ci conosciamo da molto tempo".

Solomey, nativo di Pittsburgh, ha lavorato al CERN nel periodo 1985-1992 sotto la direzione del Premio Nobel Georges Charpak e ha conseguito il Ph.D. in fisica delle particelle presso l'Università di Ginevra nel 1992.

Mentre al CERN, Charpak e Solomey hanno lavorato per creare strati di materia ad alta densità..

"Abbiamo fatto delle collisioni di ioni pesanti", ha detto Solomey. "Stavamo cercando di creare un ambiente troppo caldo per i protoni e i neutroni. La chiave per qualsiasi fraintendimento del nostro lavoro è che stavamo creando le condizioni che erano presenti all'inizio del Big Bang. Quello che abbiamo fatto è stato così controllato in uno spazio così piccolo in cui non è possibile rilasciare più energia di quanta se ne mette dentro".

La scoperta del bosone di Higgs al CERN solleva la domanda: Se gli scienziati stanno creando una particella che professa di essere il luogo in cui tutta la massa giace, come possono contenere la sua crescita? Il bosone di Higgs presenta pericolo per il pianeta?

"Non c'è pericolo, perché ci vuole una certa quantità di energia per farlo e non se ne può ottenere più di quanta se mette dentro", ha detto Solomey. L'acceleratore di particelle sta producendo una certa quantità di energia elettrica e non è come se fosse incontrollata o ci sono un numero infinito di particelle".

"Si stanno producendo particelle elementari in una quantità non pericolosa".

Solomey ha anche sottolineato che la scoperta del bosone di Higgs potrebbe richiedere molto tempo per essere compresa appieno, paragonandola alla scoperta dell'elettrone da parte di JJ Thomson nel 1897.

"Immaginate dopo che Thomson scoprì l'elettrone, ci sono voluti ben dai 50 ai 100 anni per imparare a manipolarla", ha detto Solomey. "per creare televisori, radio a transistor, come fare immagini mediche ... sterilizzare i nostri cibi etc."

"La scoperta del bosone di Higgs potrebbe portare a cose nuove ... immaginiamo tutto ciò che ha una massa e come si accoppia a masse diverse. Potremmo applicare queste cose a nuove meravigliose tecnologie.

Traduzione A cura Di Arthur McPaul

Fonte:
http://csmonitor.com/Science/2012/0705/Higgs-boson-discovery-could-usher-in-new-wonderful-technologies-says-physicist-video

L. Krauss Non Ritiene Che Higgs Porterà A Nuove Conquiste Tecnologiche





Un secolo dopo che Albert Einstein elaboró le sue teorie della relatività, una costellazione di satelliti Global Positioning System orbitano attorno alla Terra, facendo uso pratico della sua rivoluzionaria concezione del tempo.La scoperta della particella di Higgs porterà nuove tecnologie?

E' teoricamente possibile, dice il fisico dell'Arizona State University Lawrence Krauss, ma praticamente, improbabile.

"Se si potesse manipolare il campo di Higgs a livello locale, potremmo costruire l'Enterprise di Star Trek o si potrebbero fare sparire gli oggetti e sarebbe anche una grande arma".

Ma come si potrebbe modificare il campo, che si ritiene dia alla materia la sostanza?

"E' possibile che, se si fosse in grado di riscaldare una regione a qualcosa come un miliardo di miliardi di miliardi di gradi, il campo di Higgs sarebbe probabilmente dissociato. Naturalmente, nel momento in cui riscaldassimo qualcosa fino ad un miliardo di miliardi di miliardi di gradi, tutto sarebbe andato perso", ha detto Krauss.

Si consideri il trasportatore di Star Trek, un fiocco di fantascienza per la conversione di materia in energia, alla velocità della luce riassembla poi i pezzi nella loro forma precedente in un altro luogo.

Teoricamente, la manipolazione di un campo di Higgs potrebbe essere un modo per trasformare una persona in energia e farlo "sparire". La parte più difficile sarebbe rimetterlo di nuovo insieme.

"L'unico motivo per cui sono legate le particelle che ci circondano e che ci fanno esistere è a causa del campo di Higgs", ha detto Krauss.
"Loro hanno una massa. Se il campo di Higgs dovesse andare via, allora le particelle sarebbero tutto un movimento improvviso alla velocità della luce".

"Se potessimo manipolare un campo di Higgs, sarebbe un primo passo per ottenere un trasportatore, ma l'unico modo che conosco per manipolare il campo di Higgs è quello di riscaldarlo ad una tale temperatura incredibile che tutto sparirebbe in ogni caso", ha detto.

Il viaggio nel tempo è un'altra prospettiva teorica.

"Se fossimo in grado di manipolare un campo di Higgs in una regione di grandi dimensioni in modo che diventi energia, sarebbe gravitazionalmente repulsiva. Arrecherebbe a quella regione dell'Universo una accelerazione alla velocità della luce" ha detto Krauss.

Gli scienziati ritengono che un simile scenario è quello che è avvenuto nella prima parte della storia dell'Universo.

"L'esistenza di Higgs rende chiaro che si può ottenere qualcosa dal nulla. Un campo di Higgs può produrre lo spazio e il tempo stesso" ha detto Krauss. "Ma è difficile immaginare una tecnologia di Higgs".

"La bellezza della ricerca di Higgs", conclude Krauss, "è che ci spiega il perché siamo qui".

Traduzione A cura Di Arthur McPaul

Fonte:
http://news.discovery.com/space/higgs-boson-sci-fi-technologies-120705.html

giovedì 5 luglio 2012

Bosone Di Higgs: Benvenuti nella fantascienza!





Capire come funziona il bosone di Higgs potrebbe essere la porta di accesso ai celebri viaggi alla velocità della luce di Star Trek e ad altre idee del cinema fantascientifico. Benvenuti nella fantascienza!

I fisici hanno detto alla conferenza della scoperta della "particella di Dio" che essa rappresenta un portale per una nuova era che potrebbe vedrà l'umanità sbloccare alcuni dei grandi misteri dell'Universo, tra cui la natura della materia oscura.

L'Organizzazione europea per la ricerca nucleare (CERN), ha presentato i dati del Large Hadron Collider Mercoledì 4 luglio. , una particella inafferrabile ideata per aiutare a spiegare perché la materia ha massa da Peter Higgs (fisico scozzese nella foto in alto all'arrivo alla Conferenza).

L'evento è stato salutato come un grande momento per la scienza, anche da parte dei fisici in Australia, dove sono stati presentati i risultati del CERN via teleconferenza da Ginevra in cui hanno partecipato centinaia di esperti del campo.

Gli scienziati sono andati in delirio dopo l'annuncio, ipotizzando che un giorno potrebbero essere fattibili i viaggi alla velocità della luce con oggetti senza massa o sarà possibile portare in orbita facilmente, astronavi altrimenti pesantissime.

Lo scienziato del CERN Albert De Roeck, ha paragonato questo evento alla scoperta dell'energia elettrica, quando fu affermato che l'umanità non avrebbe mai potuto immaginare le sue future applicazioni.

"Ciò che è veramente importante per il bosone di Higgs è che spiega come l'Universo potrebbe essere stato nel primo milionesimo di secondo nel Big Bang", ha detto de Roeck .

"Possiamo applicarlo a qualcosa? In questo momento la mia immaginazione è troppo piccola per farlo". Inoltre ha detto: "Potrebbe avere qualcosa a che fare con la materia oscura", riferendosi al fatto che esso costituisce la maggior parte della massa dell'Universo.

"Potrebbe essere, ad esempio, che la particella di Higgs funga da ponte tra la materia ordinaria, che costituisce gli atomi, e la materia oscura, che sappiamo essere una componente molto importante dell'Universo".

"Sarebbe davvero fantastico avere implicazioni per la comprensione di tutta la materia dell'Universo, non solo per gli atomi ordinari", ha aggiunto.

De Roeck ha detto che bisognerà determinare se la nuova particella possa rappresentare qualcosa di diverso dal Modello Standard, cioè sarebbe il passo successivo per gli scienziati del CERN.

Per questa conferma dovremmo aspettare l'inizio del 2013, mentre la prova definitiva che si integra con il modello standard potrebbe richiedere il 2015 quando il Large Hadron Collider (LHC) sará più potente e potrebbe raccogliere più dati.

De Roeck ha detto che sarà un pó noioso se alla fine si scoprisse che questo è solo il Modello Standard di Higgs.

Al contrario, sperava che sia un portale per una nuova fisica, con nuove teorie che sono effettivamente in esecuzione della natura", come la supersimmetria, in cui si ipotizza che ci siano cinque diverse particelle di Higgs che disciplinano la massa.

Il logico passo successivo, di cui de Roeck ha detto che dovrà basarsi la ricerca è infine la produzione di particelle di materia oscura, che ha già avuto enormi vantaggi alla medicina e nella lla tecnologia.

"Vogliamo solo sapere come funziona il mondo, ma per rispondere a queste domande si devono sviluppare nuove tecnologie", ha detto.

I finanziamenti per la fisica delle particelle è già oggetto di esame in Nord America, dove è stato chiuso il predecessore dell'LHC, il Tevatron, l'anno scorso a causa di problemi finanziari.

De Roeck ha detto che ci sono stati problemi simili in Europa, dove i fisici si incontreranno in settembre per discutere le priorità di ricerca per i prossimi 20 anni e se avranno bisogno e potranno permettersi un acceleratore dopo l'LHC.

"Questa sarà una dura lotta", ha detto. "Nonostante questo momento epocale che abbiamo davanti non comporti necessariamente il finanziamento cui si richiederebbe". Egli ha esortato i governi e gli altri collaboratori chiave per la scienza a considerare questi fondi come un dovere e non un lusso.

"Questo è l'unico modo in cui possiamo veramente andare avanti e avere una maggiore comprensione di come funzionano le cose a nostro esclusivo vantaggio".

Traduzione A cura Di Arthur McPaul

Fonte:
http://news.discovery.com/space/physics-universe-gateway-higgs-boson-120705.html