mercoledì 26 marzo 2014

Oltre Plutone, oltre Sedna, scoperto nuovo Pianeta Nano

Concezione artistica di Sedna, un pianeta nano del sistema solare che ottiene solo nel raggio di 76 unità astronomiche (distanze Terra-Sole) del nostro sole.  Credit: NASA / JPL-Caltech


Gli astronomi hanno annunciato la scoperta di 2012 VP113, un nuovo mondo di 450 chilometri di diametro, oltre Plutone e Sedna. Composto di ghiaccio, potrebbe essere abbastanza grande e sferico da poter essere definito un pianeta nano.
Il suo approccio più vicino al Sole è di circa 80 unità astronomiche, rendendolo 80 volte più lontano dal Sole rispetto alla Terra, in una regione di spazio in precedenza nota solo per contenere Sedna (posto a 76 UA di distanza). Esso è anche lontano dalla fascia di Kuiper, una regione di corpi rocciosi e ghiacciati posta tra le 30 e le 50 UA che include Plutone.


La scoperta di 2012 VP113 è stata resa possibile grazie alla nuova fotocamera Dark Energy (Decam) motata sul telescopio di 4 metri del National Optical Astronomy Observatory in Cile. L'orbita è stata determinata grazie al telescopio di 6,5 metri Magellan del Las Campanas Observatory di Carnegie, anch'esso in Cile.
Il documento, intitolato "Un corpo come Sedna, con un perielio di 80 unità astronomiche", sarà presto disponibile sul sito web di Nature.

A cura di Arthur McPaul

Fonte:
http://www.universetoday.com/110719/discovery-possible-dwarf-planet-found-far-beyond-plutos-orbit/








giovedì 6 marzo 2014

Dove dobbiamo cercare la vita extra-terrestre?


Secondo un recente studio mondi tre volte più grandi del nostro potrebbero avere condizioni ben più propizie per ospitare la vita. E questa è solo l'ultima di una serie di proposte che spingono a cercare la vita extraterrestre al di fuori della zona abitabile.

Come detto, quella di Heller e Armstrong non è l’unica spinta per un cambiamento di paradigma nella ricerca di pianeti abitabili. Nel maggio scorso, un articolo pubblicato su Science a firma del fisico teorico Sara Seager del Massachusetts Institute of Technology, proponeva qualcosa di simile. L’acqua e la vita, scriveva Seager, posso trovarsi anche su Super-Terre che orbitano la loro stella fuori dalla zona abitabile, a distanze dieci volte superiori di quella Terra-Sole, a patto che le atmosfere di questi mondi contengano idrogeno gassoso a sufficienza, e quindi un effetto serra potente, capace di mantenere il calore all'interno dell’atmosfera e creare un clima mite nonostante le poche radiazioni ricevute in superficie. Allo stesso modo anche pianeti aridi e più vicini alle proprie stelle madri potrebbero avere bisogno di una quantità minore di acqua per creare la vita, vista l’alta umidità atmosferica. E la vita potrebbe esserci addirittura sui pianeti vagabondi che viaggiano per l’universo liberi da vincoli orbitali, scrive Seager, in caso abbiano avuto la fortuna di sviluppare calore da processi radioattivi o del nucleo e di avere i giusti gas nell'atmosfera.

Articoli di questo tipo raramente trovano consenso unanime all'interno della comunità scientifica. Questo perché a oggi il problema principale rimane la nostra effettiva incapacità tecnologica di determinare tutte le caratteristiche di un pianeta. Al di là di massa, raggio e quantità di luce ricevuta, infatti, non abbiamo ancora i mezzi per analizzare in maniera esaustiva le atmosfere, le superfici e le composizioni geologiche dei pianeti extrasolari. Per questo molti ritengono prematuro, se non completamente superfluo, mettere in discussione il concetto di “zona abitabile” e abitabilità dei pianeti così come l’abbiamo formulata finora: finché non svilupperemo le tecnologie adatte, quello della zona abitabile sembra il migliore degli strumenti possibili.


Certo, bisognerebbe quantomeno mettersi d’accordo sull'effettiva grandezza di queste fasce. La definizione standard della zona abitabile attorno a una stella simile al Sole ha subito nel corso degli anni diverse ridefinizioni a seconda del modello fisico utilizzato per le stime. L’ultima proposta di revisione di questi parametri è del dicembre scorso ed è stata avanzata dall'astrofisico Jérémy Leconte, del Pierre Simon Laplace Institute di Parigi, in un articolo pubblicato su Nature. Secondo i modelli utilizzati da Leconte e colleghi le dimensioni della zona abitabile sono per esempio molto più piccole delle stime utilizzate dalla missione Kepler, che aveva fornito una cifra probabilistica forse troppo ottimistica di 22 miliardi di pianeti simili alla Terra e potenzialmente abitabili, nella Via Lattea.

Fonte: 
http://www.media.inaf.it/2014/02/05/dove-dobbiamo-cercare-la-vita-extra-terrestre/

martedì 4 marzo 2014

Molecole Da Esopianeti Per Scoprire la Vita Aliena



Gli astronomi hanno sviluppato un nuovo metodo per misurare la pressione atmosferica di pianeti extrasolari, ricercando un certo tipo di molecola, utile anche rilevare la presenza di vita aliena. 


Se c'è vita nello spazio, gli scienziati un giorno potrebbero scoprirlo utilizzando una tecnica che misura la pressione atmosferica di un esopianeta.
Il metodo, ideato dall'astronomo Amit Misra, prevede delle simulazioni al computer della chimica atmosferica terrestre per isolare quelle che vengono chiamate "molecole dimero" (coppie di molecole che tendono a formarsi a pressioni e densità elevate nell'atmosfera di un pianeta). Ci sono molti tipi di molecole dimero ma questa ricerca è concentrata solo su quelle di ossigeno.

Misra e il suo team eseguiranno delle simulazioni sullo spettro della luce in diverse lunghezze d'onda. Le molecole dimero assorbono la luce in un modello distintivo e la velocità con cui si formano è sensibile alla pressione, o densità, nell'atmosfera del pianeta.
La presenza di tali molecole, indicherebbero che il pianeta ha almeno da un quarto a un terzo la pressione dell'atmosfera terrestre.
I potenti telescopi in costruzione come il James Webb Space Telescope, previsto per il 2018, potranno consentire agli astronomi di utilizzare questo metodo sui pianeti extrasolari distanti, rilevando le molecole nelle loro atmosfere e quindi la ricerca della vita nel cosmo.
Le molecole di ossigeno dimero sono spesso più rilevabili in un'atmosfera rispetto ad altri marcatori dell'ossigeno, cosa molto importante da un punto di vista biologico.
Tali molecole sono legate alla fotosintesi e abbiamo abbastanza prove per ritenere che la sua presenza possa indicare l'esistenza di alghe o piante che lo potrebbero produrre.
La rilevazione di queste molecole tra 10 o 15 anni potrebbero essere possibili, mostrando la presenza indiretta della vita sull'esopianeta.

Un altro co-autore dello studio, è stato Victoria Meadows, professore di astronomia; altri co-autori sono anche Mark Claire dell'Università scozzese di St. Andrews e Dave Crisp del Jet Propulsion Laboratory della NASA a Pasadena, in California.
Il documento del team è stato pubblicato nel numero di febbraio della rivista Astrobiology .
La ricerca è stata effettuata attraverso il Virtual Planetary Laboratory della UW e finanziato dalla NASA (Grant NNH05ZDA001C).

A cura di Arthur McPaul

Fonte: 
http://www.sciencedaily.com/releases/2014/03/140304154527.htm