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giovedì 8 maggio 2014

Illustris ci mostra il vero volto dell'Universo



Gli astronomi dello Smithsonian Center for Astrophysics hanno fornito una istantanea dell'aspetto reale dell'Universo grazie ad una simulazione al computer, chiamata IIllustris.

"Fino ad ora, nessuna simulazione era stata in grado di riprodurre l'Universo su grandi e piccole scale simultaneamente", ha detto l'autore Mark Vogelsberger (MIT / Harvard - Smithsonian Center for Astrophysics) che ha condotto il lavoro in collaborazione con i ricercatori presso diverse istituzioni, tra cui l'Istituto per gli studi teorici di Heidelberg in Germania.
Questi risultati sono stati riportati nel numero 8 maggio della rivista Nature.

I precedenti tentativi erano stati ostacolati dalla mancanza di potenza di calcolo e dalla complessità della fisica sottostante. Come risultato tali programmi avevano scarsa risoluzione o eravo costretti a concentrarsi su una piccola porzione dell'Universo.
Le simulazioni precedenti avevano anche difficoltà a modellare le complesse dinamiche della formazione stellare, le esplosioni di supernovae e buchi neri supermassicci. Illustris impiega un sofisticato software per ricreare l'evoluzione dell'Universo in alta fedeltà.
Esso comprende sia la materia normale che la materia oscura con 12 miliardi pixel in 3D, che ha richiesto ben cinque anni di studi.

I calcoli attuali hanno impiegato ben 3 mesi, utilizzando un totale di 8.000 CPU in esecuzione simultanea. Se avessero usato un computer di casa, i calcoli avrebbero richiesto oltre 2.000 anni di tempo percessere conpletati.
La simulazione al computer è iniziata solo 12 milioni di anni dopo il Big Bang. Alle attuali dimensioni gli astronomi hanno contato più di 41.000 galassie nel cubo di spazio simulato. È importante sottolineare che Illustris ha prodotto un mix realistico di galassie a spirale come la Via Lattea e le galassie ellittiche a forma di pallone.
Ha inoltre ricreato strutture su larga scala, come gli ammassi di galassie e le bolle e i vuoti della rete cosmica. Su piccola scala, ha invece ricreato con precisione la chimiche delle singole galassie.
Dal momento che la luce viaggia a una velocità fissa, una galassia di un miliardo di anni luce di distanza è vista com'era un miliardo di anni fa.
I telescopi come Hubble possono darci una vista dell'Universo primordiale, cercando a distanze maggiori.
Tuttavia, gli astronomi non possono utilizzare Hubble per seguire l'evoluzione di una singola galassia nel corso del tempo.
"Illustris è come una macchina del tempo. Possiamo andare avanti e indietro nel tempo.
Siamo in grado di mettere in pausa la simulazione e lo zoom in una singola galassia o ammasso di galassie per vedere cosa sta realmente accadendo", ha detto il co-autore Shy Genel del TUF.

Foto in alto:
Questa immagine realizzata da Illustris è centrata su una dei più massicci ammassi di galassie esistenti oggi
I filamenti blu porposa rappresentano la matera oscura che attrae la normale materia gravitazionalmente e aiuta le galassie e gli ammassi a restare uniti. Le bolle rosse, arancioni e bianche rappresentano invece il gas espulso dalle supernovae o i getti dai buchi neri super massicci.

Credit: Illustris Collaboration

Fonte:
Materiali fornito dall'Harvard - Smithsonian Center for Astrophysics.

http://www.sciencedaily.com/releases/2014/05/140507142849.htm

Giornale di riferimento:
M. Vogelsberger, S. Genel , V. Springel , P. Torrey, D. Sijacki, D. Xu , G. Snyder, S. Bird, D. Nelson , L. Hernquist . Proprietà delle galassie riprodotte da una simulazione idrodinamica .
Nature , 2014; 509 (7499) : 177 DOI : 10.1038/nature13316

mercoledì 7 maggio 2014

Osservata per la prima volta la Materia DIM



Gli astronomi del Caltech Institute hanno ripreso le immagini inedite del mezzo intergalattico (IGM), il gas diffuso che collega le galassie in tutto l'Universo, con il Cosmic Web Imager (sviluppato dal professor Christopher Martin) posto sulla Hale da 200 pollici del telescopio Palomar Observatory.

Dalla fine degli anni '80 e primi del '90, i teorici hanno previsto che il gas primordiale del Big Bang non fosse distribuito uniformemente in tutto lo spazio ma che lo fosse in canali che attraversano le galassie e scorrono tra di loro.
Questa "rete cosmica" detta IGM è una rete di filamenti più piccoli e più grandi che si incrociano l'un l'altro attraverso la vastità dello spazio e indietro nel tempo fino ad un'epoca in cui le galassie si stavano ancora formando e le stelle venivano prodotte ad un ritmo vertiginoso.

Martin descrive il gas diffuso della IGM come "materia debole", per distinguerla dalla materia luminosa di stelle e galassie e dalla materia e dall'energia oscura che compongono la maggior parte dell'Universo.
Anche se si potrebbe non pensare così in una luminosa giornata di sole o anche una notte stellata, il 96% della massa e dell'energia nell'Universo è energia oscura e materia oscura (teorizzata da Caltech Fritz Zwicky nel 1930), la cui esistenza è nota solo a causa dei suoi effetti sul restante 4% del visibile.
Di questo 4% che è la materia normale, solo un quarto è costituito da stelle e galassie, gli oggetti luminosi che illuminano il nostro cielo notturno.

Il resto, è l'IGM o "materia dim" che è difficile da vedere. Prima dello sviluppo del Cosmic Web Imager , l'IGM è stata osservato principalmente tramite l'assorbimento in primo piano della luce, attraverso ad esempio la Terra e un oggetto distante come un quasar (il nucleo di una giovane galassia) .
"Quando si guarda il gas tra noi e un quasar, si ha una sola linea di vista", spiega Martin. "Sai che c'è qualche gas più lontano, c'è qualche gas più vicino e ci sono alcuni gas nel mezzo, ma non c'è alcuna informazione su come il gas sia distribuito nelle tre dimensioni".

Matt Matuszewski, un ex studente laureato presso Caltech che ha contribuito a costruire il Cosmic Imager Web ed è ora uno scienziato al Caltech, paragona questa visione come osservare un paesaggio urbano complesso attraverso alcune strette fessure in un muro. Solo aprendo la fessura si può vedere che ci sono edifici, grattacieli, strade, ponti, auto e persone a piedi per le strade. Solo scattando una foto si può capire come tutti questi componenti si incastrino e sapere che si sta guardando una città".
Martin e il suo team hanno ora visto il primo assaggio della città di materia dim. Non è piena di grattacieli e ponti ma è sia visivamente che scientificamente emozionante.

I primi filamenti cosmici osservati dal Cosmic Web Imager sono nelle vicinanze di due oggetti molto luminosi: un quasar etichettato QSO 1549 +19 e un cosiddetto < b>blob Lyman Alpha
in un ammasso di galassie emergente conosciuta come SSA22. Questi oggetti sono stati scelti da Martin per le osservazioni iniziali perché sono luminosi e permetteno all'IGM di rilevarne il segnale rilevabile .

Le osservazioni mostrano un filamento sottile, lungo un milione di anni luce che scorre nel quasar, forse alimentando la crescita della galassia che ospita il quasar.
Nel frattempo, vi sono tre filamenti che circondano il blob Lyman Alpha, con una rotazione che mostra come il gas da questi filamenti defluisca verso il blob alterandone le dinamiche.

Il Cosmic Web Imager è un imager spettrografico, che scatta foto a molte lunghezze d'onda differenti simultaneamente. Questa è una tecnica potente per indagare oggetti astronomici, in quanto rende possibile vederli ma anche conoscerne la loro composizione, la massa e la velocità.
Nelle condizioni previste per i filamenti della rete cosmica, l'idrogeno è l'elemento dominante ed emette luce alla lunghezza d'onda ultravioletta chiamate Lyman alpha.
Il blocco dell'atmosfera terrestre per la luce a lunghezze d'onda ultraviolette, obbliga ad essere al di fuori di essa per osservarli, come ad esempio da un satellite o da un palloncino ad alta quota.
Tuttavia, se l'emissione Lyman Alfa risulta molto più lontano da noi, cioè, ci viene da un tempo precedente nell'Universo, poi arriva ad una lunghezza d'onda maggiore (un fenomeno noto come redshifting m) . Questo porta il segnale alfa Lyman nello spettro visibile tale da poter passare attraverso l'atmosfera ed essere rilevato da telescopi terrestri come il Cosmic Web Imager.

Gli oggetti osservati dal Cosmic Web Imager sono posti a circa 2 miliardi di anni dopo il Big Bang, un tempo di rapida formazione stellare nelle galassie.
"Nel caso della blob Lyman Alpha" dice Martin, "Penso che stiamo guardando un disco protogalattico gigante di quasi 300.000 anni luce di diametro, tre volte le dimensioni della Via Lattea".

Il Cosmic Web Imager è stato finanziato dalle sovvenzioni dal NSF e Caltech. Dopo aver implementato con successo lo strumento presso l'Osservatorio Palomar, il gruppo di Martin sta sviluppando una versione più sensibile e versatile dell'Imager Web Cosmic per l'uso sul WM Keck Observatory di Mauna Kea alle Hawaii. I filamenti gassosi e le strutture che vediamo intorno al quasar e al blob Lyman Alpha sono insolitamente brillanti. Il nostro obiettivo è quello di essere finalmente in grado di vedere il mezzo intergalattico ovunque", dice Martin .
I piani sono in corso anche per le osservazioni della IGM da un telescopio a bordo di un pallone d'alta quota, il FIREBALL ( Faint Intergalactic redshift Emission Balloon ) e da un satellite l'ISTOS (Imaging Telescope spettroscopica Origins Survey).

In virtù di bypassare la maggior parte della nostra atmosfera i due strumenti permetteranno di osservare l'emissione Lyman Alpha e quindi l' IGM che sono più vicini a noi, cioè che provengono da epoche più recenti dell'Universo.

Fonte:
La storia di cui sopra si basa su materiali forniti dal California Institute of Technology. L'articolo originale è stato scritto da Cynthia Eller.
http://www.sciencedaily.com/releases/2014/04/140429185005.htm

Foto d'apertura:
Immagine del blob Lyman Alpha osservato dal Cosmic Web Imager e una simulazione della rete cosmica basata sulle previsioni teoriche.
Credit: Christopher Martin, Robert Hurt

Traduzione e adattamento a cura di Arthur McPaul

Foto di apertura
I dati del Chandra X-ray Observatory della NASA sono stati utilizzato per scoprire 26 candidati buchi neri nel vicino galattico della Via Lattea, Andromeda. (Credit: X-ray: NASA / CXC / SAO / R Barnard, Z. Lee et al, Ottico:.. NOAO / AURA / NSF / REU Program / B. Schoening, V. Harvey e Descubre Foundation / CAHA / OAUV / DSA / V. Peris)

Fonte:
http://www.sciencedaily.com/releases/2013/06/130612154019.htm

sabato 15 febbraio 2014

L'Osservazione dell'Universo Potrebbe Accelerarne la Distruzione

astronomia


Se le teorie della fisica quantistica sono corrette, la comprensione dell'Universo potrebbe cambiare la nostra percezione di esso fino a distruggerlo. La drammatica conclusione è stata tratta da due fisici americani, secondo i quali, la nostra comprensione del 'sistema universo' porterà inevitabilmente alla sua fine.

La conoscenza è potere, o almeno questo è quello che siamo stati portati a credere.
Ma, paradossalmente, sapere troppo potrebbe accidentalmente innescare un conto alla rovescia che porterà alla fine dell’Universo!

Secondo questa teoria, ogni volta che guardiamo l’universo, non facciamo altro che dargli uno spintone verso la sua morte. Ad avanzare la drammatica conclusione sono Lawrence Krauss della Case Western Reserve University di Cleveland, Ohio, e il collega James Dent, secondo i quali gli studi astronomici hanno accelerato il processo nel corso degli ultimi due decenni, soprattutto concentrandosi sulla misurazione dell’energia oscura, la misteriosa forza che determina l’espansione dell’universo.

La teoria, secondo i ricercatori, è la conseguenza naturale di una strana proprietà della fisica quantistica, la branca della scienza che studia il comportamento delle particelle e forse dell’intero universo. La semplice osservazione, infatti, è capace di influenzare l’andamento di uno stato quantistico.
L’esperimento quantistico più noto è quello della doppia fenditura. L’esperimento ha mostrato che quando un osservatore guarda passare una particella attraverso due fenditure poste in una barriera, la particella si comporta come un proiettile, passando attraverso una delle due fenditure.

Tuttavia, se l’osservatore smette di guardare la particella, questa inizia a comportarsi come un’onda, riuscendo a passare attraverso entrambe le fenditure nello stesso tempo. Questo significa che la materia e l’energia possono presentare le caratteristiche sia delle onde che delle particelle e che il loro comportamento dipende dalla presenza di un osservatore.

Questo fenomeno si presenta in maniera ancor più sconcertante nel cosiddetto ‘effetto Zenone quantistico‘, il quale afferma che un sistema, che decadrebbe spontaneamente, è inibito o addirittura non decade affatto se sottoposto ad una serie infinita di osservazioni, impedendo così transizioni a stati diversi da quello iniziale.
In contrasto, interferire con una transizione a tempi successivi può portare al fenomeno opposto, noto come effetto anti-Zenone (o inverso), in cui il decadimento è accelerato. Entrambi gli effetti sono stati osservati recentemente in diversi esperimenti.

Il problema è che quando osserviamo un sistema, possiamo mantenerlo in un certo stato. Gli studi hanno dimostrato che l’osservazione ripetuta di un sistema in uno stato di alta energia, mantiene tale sistema in uno stato di decadimento accelerato. Se questo è in uno stato di bassa energia, la sua osservazione lo manterrà in uno stato di decadimento lento.

Secondo Krauss, questo principio vale anche per l’universo. Essendo l’universo in espansione un sistema ad alta energia, la sua osservazione, in particolare il suo lato ‘oscuro’, potrebbe mantenerlo in uno stato di decadimento accelerato. Insomma, più guardiamo l’universo, più anticipiamo la sua fine.
L’unica soluzione per fermare il decadimento accelerato dell’Universo sarebbe quello di fermare la ricerca, così che possa spostarsi tranquillamente in uno stato di decadimento più lento, e allora saremo tutti salvi.

Tuttavia, potremmo non essere i soli ad osservare e studiare l’Universo. Se ad un certo punto ci dovessimo accorgere che il nostro ‘sistema cosmo’ è giunto alla fine, potremmo sempre dare la colpa agli extraterrestri curiosi e alle loro osservazioni.


Fonte: 
http://www.ilnavigatorecurioso.it/2014/02/11/fisica-quantistica-losservazione-delluniverso-potrebbe-accelerare-la-sua-distruzione/





mercoledì 21 agosto 2013

Buchi Neri Affamati E Super Veloci





Un gruppo di ricercatori inglesi è riuscito a calcolare la velocità di rotazione di una galassia, a 500 milioni di anni luce dalla Terra, mentre stava inglobando grandi quantità di materiale proveniente dal disco di accrescimento della galassia circostante. Future osservazioni renderanno i dati più precisi.

Un gruppo di astronomi è stato in grado di misurare la rotazione di buchi neri supermassicci usando un nuovo metodo, tale da permettere di studiare in modo ancora più approfondito il fenomeno che porta alla crescita delle galassie.

Gli scienziati della Durham University, nel Regno Unito, hanno osservato un buco nero, con una massa 10 milioni di volte quella del Sole, al centro di una galassia a spirale 500 milioni di anni luce dalla Terra, mentre si stava alimentando con il materiale presente nel disco circostante.

La distanza è stata calcolata osservando i raggi X e ultra violetti emessi durante “il pasto” del buco nero. Usando la distanza tra questo e il disco della galassia, i ricercatori sono stati in grado di calcolare lo “spin”, cioè il momento angolare del buco nero.

I buchi neri si trovano al centro di quasi tutte le galassie e possono produrre particelle incredibilmente calde, tanto da impedire ai gas intergalattici di raffreddarsi, e che sono alla base della formazione stellare. Gli scienziati non capiscono ancora perché i getti vengono espulsi nello spazio, ma gli esperti della Durham credono che il loro immenso potere e calore potrebbe essere legato alla rotazione del buco nero, molto difficile da misurare.

La rotazione del buco nero porta verso il centro il materiale presente nel disco di accrescimento e, ovviamente, più materiale viene inglobato più il buco nero gira veloce. È proprio la distanza con il disco che determina, quindi, la velocità di rotazione.

Gli scienziati, che hanno pubblicato la ricerca su , hanno utilizzato immagini a raggi x ottenute dal satellite XMM-Newton dell’ESA.

Foto:
Crediti immagine: NASA/JPL-Caltech

A cura di Eleonora Ferroni

Fonte:
http://www.media.inaf.it/2013/07/30/buchi-neri-affamati-e-super-veloci/

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domenica 23 giugno 2013

Due Galassie nel Caos





Il telescopio spaziale Hubble della NASA / ESA, ha prodotto questa vivida immagine di una coppia di galassie interagenti note come Arp 142.

Quando due galassie si avvicinano l'uno all'altra, cominciano ad interagire, causando cambiamenti spettacolari in entrambi gli oggetti. In alcuni casi possano scontrarsi fino a fondersi.

Proprio sotto il centro di questa immagine in blu, c'è la forma contorta della galassia NGC 2936, una delle due galassie interagenti, che formano Arp 142 nella costellazione di Hydra. Soprannominato "il pinguino" o "la focena" dagli astronomi dilettanti, NGC 2936 era una galassia a spirale standard prima di essere lacerata dalla gravità della sua compagna cosmica.
I resti della sua struttura a spirale si possono ancora vedere, l'ex agglomerato galattico, l'occhio del pinguino, attorno al quale è ancora possibile scorgere i resti delle braccia della galassia.

Queste braccia perturbate, ora formano un "corpo" di uccello cosmico con strisce luminose blu e rosse su tutta l'immagine. Queste striature ad arco in basso verso la vicina compagna di NGC 2936, la galassia ellittica NGC 2937, sono visibili qui come un brillante ovale bianco.

La coppia mostra una somiglianza con un pinguino che protegge il suo uovo.
Gli effetti di interazione gravitazionale tra le galassie possono essere devastanti.
La coppia in Arp 142 sono abbastanza vicine tra loro per interagire con violenza, scambiandosi materia e provocando il caos.

Nella parte superiore dell'immagine vi sono due stelle luminose, entrambe le quali si trovano in primo piano rispetto ad Arp 142. Uno di questi è circondato da una scia di materiale blu scintillante, che è in realtà un'altra galassia.
Questa galassia è ritenuta essere troppo lontana per avere un ruolo nell'interazione, lo stesso vale per le galassie intorno al corpo di NGC 2936. Sullo sfondo ci sono in blu e rosso, le forme allungate di molte altre galassie, che si trovano a grande distanza da noi, ma che possono essere viste dall'occhio acuto di Hubble.

Questa coppia di galassie è stata chiamata così dall'astronomo americano Halton Arp, il creatore dell'Atlante delle Galassie Peculiari, un catalogo di galassie originariamente pubblicato nel 1966.
Scelse i suoi obiettivi in ​​base alle loro strane apparizioni, ma gli astronomi più tardi si resero conto che molti degli oggetti nel catalogo di Arp erano infatti galassie che interagivano e si fondevano.

A cura di Arthur McPaul

Foto
(Credit: NASA, ESA, e Hubble (STScI / AURA))

Fonte:
http://www.sciencedaily.com/releases/2013/06/130620132225.htm

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giovedì 23 maggio 2013

La Nebula Ring in Hi-Res da Hubble





La particolare forma ad anello della Nebula la rende una figura popolare per i libri di astronomia. Ma nuove osservazioni da parte del NASA Hubble Space Telescope del gas incandescente intorno ad una vecchio e morente stella simile al Sole, rivela nuovi particolari.

"La nebulosa non è come una ciambella, ma piuttosto, è come una ciambella gelatinosa, perché è pieno di materiale nel mezzo", ha detto C. Robert O'Dell della Vanderbilt University di Nashville, Tenn.
È a capo di un gruppo di ricerca che ha utilizzato Hubble e parecchi telescopi terrestri per ottenere la miglore vista della nebulosa ad anello. Le immagini mostrano una struttura più complessa di quanto gli astronomi una volta pensassero e hanno permesso loro di costruire il modello 3-D più preciso della nebulosa mai ottenuto.

"Con il dettaglio di Hubble, vediamo una forma completamente diversa da ciò che è stata ritenuta storicamente per questa classica nebulosa", ha detto O'Dell. "Le nuove osservazioni di Hubble mostrano la nebulosa molto più chiara in dettaglio, e vediamo le cose non sono così semplici come si pensava in precedenza".

La Nebulosa Anello è a circa 2.000 anni luce dalla Terra e misura circa 1 anno luce. Situato nella costellazione della Lira, la nebulosa è una destinazione popolare per gli astronomi dilettanti.
Precedenti osservazioni di diversi telescopi avevano rilevato il materiale gassoso nella regione centrale dell'anello.

Ma la nuova vista dalla Wide Field Camera 3 di Hubble mostra la struttura della nebulosa in modo più dettagliato. La squadra di O'Dell suggerisce l'anello avvolge una struttura blu a forma di calcio. Ciascuna estremità della struttura sporge su lati opposti dell'anello.
La nebulosa è inclinata verso la Terra in modo che gli astronomi vedono l'anello frontalmente. Nell'immagine di Hubble, la struttura blu è il bagliore di elio. La radiazione dalla stella nana bianca, il punto bianco al centro dell'anello eccita l'elio fino a farlo brillare. La nana bianca è il residuo stellare di una stella simile al Sole che ha esaurito il suo combustibile d'idrogeno e ha gettato i suoi strati esterni di gas fino a collassare gravitazionalmente ad un oggetto compatto.

La squadra di O'Dell è stata sorpresa dalle dettagliate immagini di Hubble, buio, che ha mostrato nodi irregolari di gas denso incastonati lungo il bordo interno dell'anello, sembrando quasi raggi di una ruota di bicicletta. Questi tentacoli gassosi si formarono durante l'espansione del gas caldo, spinto dal gas freddo espulso precedentemente dalla stella morente.

I nodi sono più resistenti all'erosione dall'ondata di luce ultravioletta scatenata dalla stella. Le immagini di Hubble hanno permesso al team di abbinare i nodi con le punte di luce intorno al brillante anello principale, formando un effetto ombra.
Gli astronomi hanno scoperto nodi simili in altre nebulose planetarie.
Tutto questo gas è stato espulso dalla stella centrale circa 4000 anni fa. La stella originale era diverse volte più massiccia del nostro Sole.

Dopo miliardi di anni la conversione dell'idrogeno in elio nel suo nucleo, l'ha resa a corto di carburante. Ha aumentato a dismisura le sue dimensioni, diventando una gigante rossa. Durante questa fase, la stella gigante ha espulso i suoi strati gassosi esterni nello spazio e ha cominciato a crollare, mentre le reazioni di fusione hanno cominciato a morire.

Un pozzo petrolifero di luce ultravioletta proveniente dalla stella morente ha eccitato il gas, rendendolo bagliore.
Gli anelli esterni si sono formati quando il gas più veloce ha urtato col materiale che si muoveva più lentamente.
La nebulosa si sta espandendo a più di 43.000 chilometri l'ora, ma il centro si muove più velocemente di quanto si espande l'anello principale.
Il team di O'Dell ha misurato l'espansione della nebulosa confrontando le nuove osservazioni di Hubble Hubble con gli studi effettuati nel 1998.

La Nebulosa Anello continuerà ad espandersi per altri 10 mila anni, una breve fase nella vita della stella. La nebulosa diventerà sempre più debole fino a fondersi con il mezzo interstellare.
Studiare il suo destino fornirà quello che accadrà al Sole fra 6 miliardi di anni. Il Sole è meno massiccio della stella progenitrice della Ring Nebula, e non avrà un finale così violento.

"Quando il Sole diverrà una nana bianca, si riscalderà più lentamente dopo che avrà espulso i suoi strati gassosi esterni", ha detto O'Dell. "Il materiale, quando sarà più lontano e caldo illuminerà il gas e la nebulosa solare sarà pertanto più debole, perché più estesa".

In analisi, il team di ricerca ha anche ottenuto le immagini dal Large Binocular Telescope presso il Mountain Graham International Observatory in Arizona e i dati spettroscopici dalla San Pedro Martir Observatory in Baja California, Messico.

Traduzione a Cura di Arthur McPaul

Fonte:
http://www.sciencedaily.com/releases/2013/05/130523113207.htm


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venerdì 3 maggio 2013

Una Regione Anarchica Di Formazione Stellare


Il telescopio danese da 1,54 metri situato a La Silla in Cile, ha catturato una suggestiva immagine di NGC 6559, un oggetto che mette in mostra l'anarchia che regna quando si formano le stelle all'interno di una nube interstellare.

NGC 6559 è una nube di gas e polveri che si trova ad una distanza di circa 5000 anni luce dalla Terra, nella costellazione del Sagittario (l'Arciere). La regione luminosa è un oggetto relativamente piccolo e vicino in contrasto con il più suo famoso vicino di casa, la Nebulosa Laguna (Messier 8, eso0936).

Anche se di solito è trascurato in favore del suo compagno, NGC 6559 ha il ruolo di primo piano in questa nuova immagine.
Il gas tra le nuvole di NGC 6559, principalmente idrogeno, è la materia prima per la formazione delle stelle. Quando una regione all'interno di questa nebulosa raccoglie materia sufficiente, inizia a collassare sotto la sua stessa gravità. Il centro della nube diventa sempre più denso e più caldo, fino a quando inizia la fusione termonucleare facendo nascere una nuova stella. Gli atomi di idrogeno si combinano per formare atomi di elio, liberando energia che la fa brillare.

Queste brillanti e giovani stelle calde nate dalla nuvola, eccitano il gas di idrogeno ancora presente attorno as esse nella nebulosa [1]. Il gas riemette questa energia, producendo l'incandescente filiforme nuvola rossa vista vicino al centro dell'immagine. Questo oggetto è noto come una nebulosa ad emissione.

Ma NGC 6559 non è solo fatto di gas idrogeno. Esso contiene particelle solide di polvere, fatte di elementi più pesanti, come il carbonio, il ferro o il silicio. La patch bluastra accanto alla nebulosa ad emissione rossa, mostra la luce delle stelle di recente formazione che essendo sparsi, riflettono in molte direzioni diverse, dalle particelle microscopiche della nebulosa.

Conosciuta dagli astronomi come una nebulosa a riflessione, questo tipo di oggetto di solito appare blu perché la diffusione è più efficiente nelle lunghezze d'onda più corte della luce [2].
Nelle regioni in cui è molto densa, la polvere blocca completamente la luce dietro di essa, come nel caso delle macchie scure isolate e dei vicoli sinuosi sul lato inferiore sinistro e nel lato destro dell'immagine.

Per guardare attraverso le nuvole e a ciò che le sta dietro, gli astronomi avrebbero bisogno di osservare la nebulosa con lunghezze d'onda più lunghe che non sarebbero assorbite.
La Via Lattea riempie lo sfondo dell'immagine con innumerevoli stelle giallastre più vecchie. Alcune di loro sembrano più deboli e più rosse a causa della polvere di NGC 6559.
Questa bellissima immagine di formazione stellare è stata catturata dagli spettrografo danesi Faint Object e Camera (DFOSC) sul telescopio danese di 1,54 metri a La Silla in Cile.

Questo telescopio nazionale è in uso a La Silla dal 1979, ma è stato recentemente ristrutturato per trasformarlo in un telescopio di state-of-the-art telecomandato.

Note:
[1] Queste giovani stelle sono di solito di tipo spettrale O e B, con temperature comprese tra 10.000 e 60.000 K, che irradiano enormi quantità di luce ultravioletta ad alta energia che ionizza gli atomi di idrogeno.

[2] dal nome del fisico inglese Lord Rayleigh, che accade quando la luce viene dispersa dalle particelle di materiale che sono molto più piccole della lunghezza d'onda della luce. È molto più efficace per brevi lunghezze d'onda della luce, che è a lunghezze d'onda corrispondenti al fine blu dello spettro visibile, quindi il risultato è una luce diffusa bluastra. Questo è lo stesso meccanismo che spiega il colore blu del cielo diurno nubi.

Foto in Alto
La regione di formazione stellare NGC 6559. Il telescopio danese da 1,54 metri situato a La Silla in Cile, ha catturato una suggestiva immagine di NGC 6559, un oggetto che mette in mostra l'anarchia che regna quando si formano le stelle all'interno di una nube interstellare. (Credit: Immagine gentilmente concessa dall'ESO)

Fonte:
http://www.sciencedaily.com/releases/2013/05/130502082252.htm

A cura di Arthur McPaul

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giovedì 2 maggio 2013

Dettagliata Immagine di Una Remota Porzione di Universo


Fissando una piccola porzione di cielo per più di 50 ore con l'ultra-sensibile Karl G. Jansky Very Large Array (VLA), gli astronomi hanno per la prima volta identificato le fonti nascoste che rappresentano quasi tutte le onde radio provenienti dalle galassie lontane.
Essi hanno scoperto che circa il 63% dell'emissione radio di fondo proviene da galassie con buchi neri all'interno del loro nucleo e il restante 37% proviene da galassie che stanno rapidamente formando stelle.

"La sensibilità e la risoluzione del VLA, dopo il suo aggiornamento, hanno consentito di identificare gli oggetti specifici responsabili della quasi totalità delle emissioni radio di fondo provenienti oltre la nostra Via Lattea", ha detto Jim Condon, del National Radio Astronomy Observatory (NRAO). "Prima di avere questa capacità, non abbiamo rilevato le numerose sorgenti deboli che producono gran parte delle emissioni di fondo", ha aggiunto.

Gli studi precedenti avevano misurato la quantità di emissione radio provenienti dall'Universo lontano, ma non erano stati in grado di attribuire tutte le onde radio per gli oggetti specifici. Nelle osservazioni precedenti, l'emissione di due o più oggetti deboli spesso è stata offuscata o miscelata in quello che sembrava essere un'unica, forte sorgente di onde radio.

"La tecnologia avanza e ci sta rivelando sempre più dell'Universo nel corso degli ultimi decenni e il nostro studio mostra i singoli oggetti che rappresentano circa il 96% dell'emissione radio di fondo proveniente dall'Universo lontano", ha detto Condon. "Il VLA ora è un milione di volte più sensibile dei radiotelescopi che hanno fatto sondaggi nel punto di riferimento del cielo nel 1960", ha aggiunto.

Nei mesi di febbraio e marzo del 2012, Condon e i suoi colleghi hanno studiato una regione del cielo che in precedenza era stata osservata prima dell'aggiornamento del VLA e dal telescopio spaziale Spitzer, che osserva la luce ad infrarossi.

Hanno attentamente analizzato ed elaborato i dati, per poi produrre un'immagine che mostrava i singoli oggetti radio emettitori all'interno del loro campo visivo.
Il loro campo di vista, nella costellazione del Draco, comprendeva circa un milionesimo di tutto il cielo.

In quella regione, hanno identificato circa 2.000 oggetti discreti che emettono onde radio. Ciò indicherebbe agli scienziati che esistono circa 2 miliardi simili in tutto il cielo. Questi sono gli oggetti che rappresentano il 96% della emissione radio di fondo.

Tuttavia, i ricercatori hanno sottolineato, che il restante 4% delle emissioni radio potrebbe essere proveniente da ben 100 miliardi oggetti molto deboli.
Un'ulteriore analisi ha permesso agli scienziati di determinare quali oggetti siano galassie che contengono enormi buchi neri centrali che stanno attivamente consumando il materiale circostante e quali siano le galassie che subiscono rapide esplosioni di formazione stellare.

I loro risultati indicano che, come proposto in precedenza, che i due tipi di galassie si sono evolute allo stesso ritmo nell'Universo primordiale.
"Quello che i radioastronomi hanno realizzato nel corso degli ultimi decenni è analogo al progredire dalle prime mappe greche del mondo mostravano solo il bacino del Mediterraneo, a confronto con le mappe di oggi, che mostrano il mondo intero nei minimi dettagli", ha detto Condon.

Condon ha lavorato con William Cotton, Edward Fomalont, Kenneth Kellermann, e Rick Perley di NRAO; Neal Miller dell'Università del Maryland, e Douglas Scott, Tessa Vernstrom, e Jasper Muro della University of British Columbia. I ricercatori hanno pubblicato il loro lavoro sulla rivista Astrophysical Journal.
Il National Radio Astronomy Observatory è una struttura della National Science Foundation, operato sotto accordo di cooperazione da parte dell'Università associate, Inc.

Foto in Alto
(Credit: Condon, et al., NRAO/AUI/NSF)

A cura di Arthur McPaul

Fonte:
http://www.sciencedaily.com/releases/2013/04/130430105948.htm

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venerdì 19 aprile 2013

Testa di Cavallo In Alta Definizione


Per celebrare il suo ventitreesimo anno in orbita, il telescopio spaziale Hubble della NASA e dell’ESA ha reso pubblica una nuova, straordinaria, immagine di uno degli oggetti più caratteristici del nostro cielo: la Nebulosa Testa di Cavallo.

Sono già passati 23 anni da quando il telescopio spaziale Hubble ha cominciato a osservare il cielo. Oltre a produrre scienza d’avanguardia, l’osservatorio orbitante ci ha regalato innumerevoli immagini astronomiche, una più bella dell’altra. Fra i soggetti che si sono rivelati più fotogenici ci sono senza dubbio le nebulose, vaste nubi interstellari di gas e polvere.

La nuova fotografia di Hubble, scattata e ora resa pubblica proprio per celebrare i suoi 23 anni, mostra una regione del cielo nella costellazione di Orione. A emergere dalle onde turbolente di polveri e gas, con le sembianze d’un cavalluccio marino gigante, è la Nebulosa Testa di Cavallo, nota anche come Barnard 33. La nebulosa si è formata in seguito al collasso del materiale d’una nube interstellare di materiale, e splende di luce riflessa proveniente da una vicina stella calda.

Le nubi di gas che circondavano la Testa di Cavallo, nel tempo, si sono dissipate, ma il caratteristico pilastro a strapiombo, con i suoi densi blocchi di materiale, sembra proprio fatto per durare. E si è rivelato assai più difficile da erodere. Gli astronomi stimano che la Testa di Cavallo abbia davanti a sé ancora circa cinque milioni di anni, prima di disintegrarsi.

È ormai un oggetto celebre, questa nebulosa, obiettivo fra i più gettonati per le osservazioni. La maggior parte di quest’ultime ritrae la Testa di Cavallo come una nube scura che si staglia su un fondale di gas incandescente. La nuova immagine di Hubble mostra la medesima regione, ripresa però in luce infrarossa: una banda le cui lunghezze d’onda, superiori a quelle della luce visibile, riescono ad attraversare il materiale polveroso che di solito offusca le zone più interne della nebulosa. Quello che ne emerge è una struttura eterea, dall’aspetto fragile, nella quale delicate pieghe di gas s’avviluppano l’una nell’altra. Una prospettiva assai diversa da quella offerta in luce visibile.

La radiazione infrarossa è invisibile ai nostri occhi, così come alle telecamere tradizionali, progettate per rilevare la luce in banda ottica. Per osservare oggetti come questa nebulosa, abbiamo a disposizione telescopi e strumenti sensibili agli infrarossi, come appunto il sensore ad alta risoluzione Wide Field Camera 3 di Hubble, montato nel 2009. Sensibilità ai raggi infrarossi e risoluzione senza rivali sono l’accoppiata vincente di Hubble, una combinazione in grado d’offrirci un’anticipazione suggestiva di quanto saprà fare il suo successore, il James Webb Space Telescope, il cui lancio è in programma per il 2018.

Guarda il video ESA




A cura di Redazione Media INAF

Foto di apertura
Crediti: NASA, ESA, and the Hubble Heritage Team

Fonte:
http://www.media.inaf.it/2013/04/18/un-flipper-planetario-allorigine-di-saturno/

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lunedì 15 aprile 2013

Una Super Gigante Blu Estremo


Un duo di astronomi ha scoperto una stella supergigante blu nel gas lasciato indietro da una piccola galassia che sta "cadendo" dentro all'ammasso della Vergine. La stella sembra nata in modo molto diverso rispetto ai meccanismi di formazione stellare tipici della Via Lattea.

Una supergigante blu, nata e cresciuta in un ambiente davvero estremo. L’hanno scoperta due astronomi orientali, Youichi Ohyama (Istituto di Astronomia e Astrofisica, Academia Sinica di Taiwan) e Ananda Hota (UM-DAE Centro di Eccellenza nelle scienze di base, India). Più di 55 milioni di anni fa, la stella è nata in un ambiente estremamente selvaggio, circondata da plasma molto caldo (un milione di gradi centigradi) e da venti che soffiano a circa quattro milioni di chilometri all’ora.

La ricerca che utilizza il telescopio Subaru, il Canada-France-Hawaii-Telescope (CFHT) e il Galaxy Evolution Explorer (GALEX) della NASA ha rivelato immagini senza precedenti del processo di formazione stellare in questo contesto intergalattico e ha gettato le basi per future indagini di un modo di formazione stellare forse del tutto nuovo, sicuramente differente rispetto a quello della Via Lattea.

Circa un migliaio di galassie risiedono in un cluster formato anche da grandi quantità di materia oscura e da un plasma ad una temperatura di milioni di gradi. L’ammasso della Vergine, il più vicino ammasso di galassie situate a circa 55 milioni di anni luce dalla Terra nella costellazione della Vergine, è un laboratorio ideale per studiare il destino dei gas strappati dal corpo principale delle galassie. Ohyama e Hota si sono concentrati su IC 3418, una piccola galassia che sta cadendo nell’ammasso della Vergine alla velocità di circa un migliaio di chilometri al secondo. Mentre passava attraverso l’ammasso, il gas freddo strappatole via ha formato una scia di 55.500 anni luce che assomiglia molto al sentiero di vapore acqueo rilasciato da un jet supersonico. Il plasma bollente circonda la scia di IC 3418, e non è chiaro se le nubi di gas freddo siano destinate a vaporizzarsi ( un po’ come l’acqua spruzzata su di una padella calda) o si condenseranno per formare nuove stelle. L’immagine ultravioletta di GALEX mostra che nuove stelle massicce si formano lungo quel percorso. Questo processo non è conforme alla formazione di stelle nella nostra galassia, in cui le stelle massicce si sviluppano in gruppi all’interno di vivai stellari racchiusi da gigantesche nubi fredde di gas molecolari.

Durante le sue rilevazioni Ohyama ha visto un minuscolo punto di luce nella scia di IC 3418 che lo ha insospettito. La spettroscopia di quel puntino effettuata con la Camera Faint Object Subaru Telescope e Spectrograph (FOCAS) ha rivelato qualcosa di sorprendente. Ohyama ricorda: “Quando ho visto lo spettro ero molto perplesso, dato che non somigliava a nulla che avessi visto fin ad ora”. Mancavano infatti i tipici segni rivelatori di una regione di formazione stellare. Confrontando le emissioni da stelle vicine, i ricercatori hanno chiarito che si tratta di una stella di grande massa, in una fase conosciuta come stella supergigante blu e presto dovrà andare incontro alla sua morte per esplosione come una supernova.

Spiega ancora Ohyama: “Se le nostre interpretazioni sono corrette, questa è probabilmente la stella più lontana mai scoperta con l’osservazione spettroscopica. L’abbiamo osservata solo per una frazione della notte con il telescopio Subaru da 8,2 metri, ma con i telescopi molto più grandi in programma per il futuro c’è un grande potenziale per espandere la ricerca”.

A cura di Antonio Marro

Foto in alto:
Immagine ultravioletta GALEX della galassia IC 3418.
CREDIT: NAOJ, CFHT, GALEX, Y. Ohyama & A. Hota.

Fonte:
http://www.media.inaf.it/2013/04/11/una-supergigante-blu-estrema/

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giovedì 4 aprile 2013

Dietro Le Lenti Oscure Del Cosmo


Ripercorrendo l’effetto del gravitational lensing sulla radiazione fossile, gli scienziati del team di Planck hanno ricostruito la distribuzione della materia oscura su tutto il cielo e nell’arco dell’intera storia dell’Universo.

«Elementare, mio caro Watson», avrebbe forse esclamato Sherlock Holmes innanzi al procedimento seguito dal team del telescopio spaziale ESA Planck per ricostruire la mappa della materia più inafferrabile che si conosca: l’elusiva materia oscura. Solo che, mentre il detective londinese usava la sua inseparabile lente come strumento, per far emergere dalla scena del delitto microscopici indizi, i cosmologi di Planck hanno seguito il processo inverso: hanno usato gli indizi per far emergere la lente. Un processo, assicurano, tutt’altro che elementare. Ma che ha portato a un risultato straordinario: la mappatura completa, a tutto cielo e in tre dimensioni – le due spaziali della mappa e quella temporale – della distribuzione della materia oscura nello spazio e nel tempo.

Il fenomeno della lente gravitazionale è ben noto agli astronomi, che lo usano da tempo per sondare gli oggetti più distanti: il percorso della luce emessa da una galassia distante, per esempio, attraversando nel suo viaggio verso di noi zone ad alta densità di materia, subisce una deviazione, dando nei casi più fortunati origine a un ingrandimento. Ecco così che la microscopica galassia, assumendo forme distorte come quella — notissima — del cosiddetto “anello di Einstein”, viene amplificata al punto da diventare visibile.

Ora, queste “lenti naturali” sono costituite nella maggior parte dei casi da densi agglomerati di materia oscura: materia che, pur essendo a tutt’oggi non rilevabile direttamente, esercita la sua attrazione gravitazionale su tutto ciò che la circonda e la sfiora. Non solo sulla luce proveniente da singole galassie e ammassi di galassie, dunque, ma anche sui fotoni primordiali, quelli appunto catturati da Planck nel corso della sua missione per ricostruire l’immagine del cosmo a 380mila anni dal Big Bang.

Eccoci così al ragionamento “elementare” seguito dagli scienziati di Planck: se le lenti gravitazionali di materia oscura alterano il percorso della luce primordiale, confrontando le differenze fra l’immagine originale e quella giunta fino a noi – vale a dire, la mappa della CMB, la cosmic microwave background radiation raccolta da Planck – dovrebbe essere possibile ricostruire dove si trovano, quelle lenti, e quale forma hanno. E poiché quelle “lenti” sono per lo più addensamenti di materia oscura, la ricostruzione dovrebbe corrispondere alla mappa della materia oscura nell’intero cosmo.



La distribuzione a tutto cielo della materia oscura nell’universo ricostruita da Planck. La zona grigia corrisponde alle emissioni di foreground galattici, qui oscurate perché troppo intense per essere rimosse. Crediti: ESA and the Planck Collaboration.


Certo, c’è un problema: grazie a Planck abbiamo sì l’immagine a valle delle lenti, ma quella originaria? Ebbene, si può almeno in parte inferire statisticamente, osservando le anomalie nella conformazione di alcuni cold spot, i punti freddi presenti nella mappa stessa, rispetto alla loro forma tipica. Operazione tutt’altro che semplice, però, e soggetta a un inevitabile “rumore statistico”, come spiega Karim Benabed, dell’Istituto di Astrofisica di Parigi: «Isolare l’effetto di gravitational lensing nella CMB è estremamente difficile, perché ciò che dobbiamo individuare è la deformazione di un segnale già di per sé assai poco strutturato. Siamo perciò costretti a far ricorso a metodi statistici, che ci consentono di individuare e sfruttare scostamenti minimali presenti nella forma della CMB per ricostruire il potenziale gravitazionale della struttura che ha causato queste distorsioni».

«È un po’ come cercare d’indovinare la conformazione del suolo, al di sotto di un terreno innevato, potendo osservare solo lo spesso strato di neve che lo copre. Parte di ciò che vedremmo sulla superficie bianca è conseguenza, in effetti, della conformazione del terreno o della presenza di pietre e altri oggetti al di sotto della neve. Tuttavia», mette in guardia Benabed, «potremmo anche notare altre caratteristiche causate da null’altro che dalla distribuzione non uniforme dello strato di neve stesso, e dedurne erroneamente che corrispondano a oggetti reali presenti al di sotto di esso».

Una mappa, dunque, da prendere con le molle, questa della distribuzione della materia oscura. Ma, in media, frutto di una ricostruzione assai accurata, garantiscono gli scienziati di Planck. E destinata a raggiungere gradi di accuratezza ancora maggiore una volta combinata con altre osservazioni, come sottolinea il project scientist di Planck Jan Tauber, dell’ESA: «La rilevazione del gravitational lensing della CMB su quasi tutto il cielo è un traguardo straordinario raggiunto da Planck: si tratta di un insieme di dati unico, che gli astronomi e i cosmologi studieranno per anni. In particolare, integrando i dati sul lensing gravitazionale ottenuto dalla CMB con quelli provenienti da sonde per lo studio di strutture a larga scala, come le survey di galassie, saremo in grado di approfondire la complessa relazione tra la distribuzione della materia oscura e di quella luminosa presenti nel nostro universo».

A cura di Marco Malaspina

Foto di apertura:
Effetto di lensing gravitazionale sulla radiazione di fondo cosmico a microonde. Crediti: ESA and the Planck Collaboration; C. Carreau

Fonte:
http://www.media.inaf.it/2013/04/02/planck-dark-matter/

La Tisana Buddista


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mercoledì 20 marzo 2013

Un giovanissimo resto di supernova


Durante una survey a raggi X delle regioni centrali della nostra galassia, il satellite Swift della NASA ha scoperto i resti precedentemente sconosciuti di una stella in frantumi, esplosa circa 2500 anni fa. Si tratta di uno dei più giovani noti resti di supernova scoperti nella Via Lattea.

Per essere un resto di supernova, è praticamente un ragazzino. Appena 2500 anni. Si tratta di G306.3-0.9, l’oggetto appena individuato grazie al satellite della NASA Swift, che diventa uno dei più giovani “relitti” causati dall’esplosione di una supernova identificati nella nostra galassia.

Gli astronomi stimano che l’esplosione di una supernova si verifichi una o due volte in un secolo nella Via Lattea. L’espansione dell’onda d’urto e il caldo dei detriti stellare si disperdono lentamente nel corso di centinaia di migliaia di anni, per poi mescolarsi e fondersi con il gas stellare. I giovani resti di supernova sono quindi un’ottima occasione per studiare le caratteristiche della stella di partenza e la dinamica della sua esplosione, perché ne portano ancora i segni, presto destinati a disperdersi.

I resti di supernova emettono energia in tutto lo spettro elettromagnetico, dalle onde radio ai raggi gamma, e importanti indizi si possono trovare in ogni banda di energia. I raggi X rivelano il movimento dei detriti in espansione, il loro contenuto chimico, e la loro interazione con l’ambiente interstellare.

“Gli astronomi hanno già catalogato più di 300 resti di supernova nella galassia”, ha detto il ricercatore Mark Reynolds, post-dottorato presso l’Università del Michigan ad Ann Arbor. “La nostra analisi indica che G306.3-0.9 ha probabilmente un età di 2.500 anni, che lo rende uno dei 20 più giovani resti individuati.”

Reynolds conduce l’indagine Swift Galactic Plane Survey, che punta a mappare una striscia di cielo dell’ampiezza di due gradi lungo il piano centrale della Via Lattea, in raggi X e ultravioletti. La scansione è iniziata nel 2011 e si prevede di completarla entro questa estate.

“L’indagine Swift sfrutta le immagini a raggi infrarossi precedentemente compilate dal telescopio spaziale Spitzer della NASA e la estende alle energie più alte”, ha detto il membro del team Michael Siegel, ricercatore associato presso il Swift Mission Operations Center (MOC) a State College, Pennsylvania, che è gestito dalla Penn State University. “Le immagini ad infrarossi e raggi X si completano a vicenda, perché la luce a queste lunghezze d’onda penetra le nubi di polvere nel piano galattico, mentre i raggi ultravioletti vengono in gran parte assorbiti.”

Il 22 febbraio 2011, Swift si è concentrato su un settore di cielo vicino al confine meridionale della costellazione del Centauro. Anche se nulla di insolito è apparso nel esposizione ai raggi ultravioletti, l’indagine ai raggi X ha rivelato un corpo esteso, semi-circolare che ricordava un resto di supernova. Una ricerca sui dati d’archivio ha rivelato che nella stessa regione era stato avvistato qualcosa anche nelle immagini a infrarossi del telescopio spaziale Spitzer e nei dati radio dal Synthesis Telescope Molonglo Observatory in Australia.

Per approfondire, i ricercatori hanno allora eseguito una scansione di 83 minuti di con il NASA Chandra X-ray Observatory, arricchita dalle osservazioni radio aggiuntive dal Australia Telescope Compact Array (ATCA).

“La fantastica sensibilità di ATCA ci ha permesso di vedere quello che, a lunghezze d’onda radio, risulta essere il più debole resto di supernova che abbiamo mai visto nella nostra galassia”, ha detto Cleo Loi, uno studente universitario presso l’Università di Sydney che ha condotto le analisi delle osservazioni radio.

Utilizzando una distanza stimata di 26.000 anni-luce per G306.3-0.9, gli scienziati hanno stabilito che l’onda d’urto dell’esplosione è corsa attraverso lo spazio a circa 1,5 milioni mph (2,4 milioni di km / h). Le osservazioni di Chandra rivelano la presenza di ferro, neon, silicio e zolfo a temperature che superano i 50 milioni di gradi F (28 milioni C).

“Non abbiamo ancora informazioni sufficienti per determinare il tipo di supernova, ma abbiamo programmato una ulteriore osservazione Chandra per migliorare l’immagine”, ha detto il coautore Jamie Kennea, anche un ricercatore presso il Swift MOC. “Non vediamo nessuna prova convincente che l’esplosione abbia formato una stella di neutroni, ma ci auguriamo di capirlo in futuro.”

Foto In alto:
L’immagine di G306.3-0.9. CREDIT: X-ray: NASA/CXC/Univ. of Michigan/M. Reynolds et al; Infrared: NASA/JPL-Caltech; Radio: CSIRO/ATNF/ATCA

A Cura Di Antonio Marro

Fonte:
http://www.media.inaf.it/2013/03/18/mondi-a-confronto/

martedì 12 marzo 2013

Il Prgetto VIPERS Mostra Un Universo-Ragnatela


Un team internazionale di astronomi guidati da ricercatori dell’INAF presenta i primi risultati del grande progetto che sta ricostruendo la struttura a grande scala dell’Universo quando questo aveva circa metà della sua età attuale. Misurando la distanza di 55.000 galassie con il VLT dell’ESO, è stata prodotta una mappa della distribuzione di materia con un’estensione e un dettaglio mai raggiunti prima a quest’epoca cosmica.

Una ragnatela cosmica che si estende per miliardi di anni luce, fatta di galassie, gas, polveri, ma anche di numerose zone apparentemente sgombre di materia visibile, dove invece potrebbe annidarsi quella ‘oscura’. Ecco il primo spettacolare colpo d’occhio dell’Universo realizzato nell’ambito del progetto VIPERS (VIMOS Public Extragalactic Redshift Survey), sviluppato da un team internazionale coordinato da ricercatori dell’INAF e a cui partecipano colleghi di varie Università italiane . VIPERS utilizza lo spettrografo VIMOS installato al Very Large Telescope (VLT) dell’ESO per ricostruire la distribuzione spaziale delle galassie quando l’Universo aveva circa metà dell’età attuale, ovvero attorno a 7 miliardi di anni. La novità del progetto è nella combinazione senza precedenti delle dimensioni del volume esplorato e del dettaglio con cui la struttura a grande scale viene ricostruita. L’ambizioso obiettivo è quello di misurare le distanze di circa 100.000 galassie in un volume di quasi due miliardi di anni-luce cubici per ricostruirne la loro distribuzione tridimensionale. I risultati, molto attesi, cominciano ad arrivare: sono stati infatti presentati una serie di articoli inviati alla rivista Astronomy&Astrophysics e pubblicati online su arxiv.org che si basano sulle prime 55.000 galassie finora osservate. “È il primo traguardo di un lavoro iniziato nel 2008 e che richiederà altri 3 anni per essere completato” commenta Luigi Guzzo, dell’INAF – Osservatorio Astronomico di Brera, coordinatore generale del progetto.

Il primo e più spettacolare risultato fornito da questi dati è nelle mappe della distribuzione delle galassie basate sulle nuove misure di distanza che mostrano come già a quell’epoca l’Universo fosse organizzato in grandi strutture filamentose, che connettono gli ammassi di galassie e circondano ampie zone vuote. E’ il cosiddetto Cosmic Web, la ragnatela cosmica che i ricercatori spiegano come il risultato dell’amplificazione da parte della forza di gravità di piccole perturbazioni nell’Universo primordiale. La struttura è analoga a quella osservata nell’Universo più vicino a noi, ma rappresenta un fotogramma intermedio del film cosmico, scattato circa 7 miliardi di anni fa e per di più dettagliatissimo e molto esteso. Un fondamentale passo in avanti che ci permette di avere a disposizione, per la prima volta, una visione d’assieme dell’Universo a queste epoche. Grazie all’estensione di queste mappe, il team di VIPERS è stato in grado di produrre già con il campione attuale dei risultati che migliorano significativamente la nostra conoscenza sia delle proprietà globali della popolazione di galassie, sia della loro distribuzione spaziale a grande scala.

Il livello di disomogeneità alle diverse scale (galassie, ammassi di galassie, filamenti) è infatti strettamente legato alle proprietà delle componenti fondamentali dell’Universo. Quanta e quale materia oscura è necessaria per spiegare ciò che vediamo? Che cosa produce l’accelerazione dell’espansione che oggi osserviamo? È la cosiddetta energia oscura oppure in realtà stiamo usando una teoria non corretta per descrivere l’Universo su queste scale? Tra i principali obiettivi di VIPERS c’è quello di fornire risposte a questi interrogativi. Uno dei lavori in fase di pubblicazione mostra che la distribuzione e le velocità delle galassie sono compatibili con le previsioni della Relatività Generale e confermano quindi la necessità di inserire una forma di energia oscura nelle relative equazioni, per spiegare l’espansione accelerata.

Un altro degli articoli in corso di pubblicazione presenta una misura molto precisa del numero di galassie di grande massa già presenti nell’Universo quando questo aveva 7 miliardi di anni. “Avere a disposizione queste informazioni per campioni di centinaia di migliaia di galassie – come sarà il caso di VIPERS al termine del progetto tra tre anni - permette di identificare nel dettaglio i processi e le leggi fisiche che ne regolano l’evoluzione, informazioni che possono essere fraintese se si usano campioni troppo piccoli e non rappresentativi di simili oggetti celesti” commenta Micol Bolzonella dell’INAF – Osservatorio Astronomico di Bologna, che nel progetto coordina gli studi di evoluzione delle galassie.

A cura di Marco Galliani

Foto di apertura
La distribuzione nello spazio delle 55.000 galassie che compongono l’attuale campione PDR-1 della survey VIPERS. Le due “fette” di torta corrispondono ai due campi W1 e W4 in cui sono state compiute le misure. L’osservatore in questa immagine è situato al vertice immaginario dei due pseudo-coni, fuori dallo schermo a destra dell’immagine. La dimensione delle fette in lunghezza corrisponde a 6 miliardi di anni luce riportati all’epoca attuale. Crediti: © VIPERS Collaboration

Fonte:
http://www.media.inaf.it/2013/03/12/universo-ragnatela/

lunedì 11 marzo 2013

Un Anello Scintillante Per Hubble


Zw II 28, ripresa dal telescopio spaziale Hubble, è un esempio di galassia ad anello, particolari oggetti cosmici che si formano probabilmente a causa dell'impatto tra due galassie di diverse dimensioni.

Il telescopio della Hubble ha catturato una splendida immagine della galassia ad anello Zw II 28 e ha così permesso agli studiosi di studiarne i particolari. Le galassie ad anello, a cui appartiene Zw II 28, sono oggetti per certi versi misteriosi. Si ritiene che si formino dallo scontro tra due galassie di dimensioni diverse. Visto che le galassie sono fatte per lo più di spazio vuoto, questo scontro non è così aggressivo o distruttivo come si potrebbe immaginare. La probabilità che due stelle entrino in collisione è minima ma lo scontro crea comunque una perturbazione all’interno delle galassie.

Questa perturbazione sconvolge il materiale in entrambe le galassie, provocando una ridistribuzione che porta a formare un nucleo denso centrale, circondato da stelle luminose. Tutto questo trambusto crea nubi di gas e polveri al collasso e innesca nuovi periodi di intensa formazione stellare esterna all’anello.

L’anello scintillante rosa e viola di Zw II 28 non è una tipica galassia ad anello a causa della sua mancanza di un compagno visibile centrale. Per molti anni si è pensato che fosse un cerchio solitario, ma le osservazioni con Hubble hanno mostrato che ci potrebbe essere un compagno appena dentro l’anello, che sembra riavvolgersi su su se stesso.

A cura di Antonio Marro

Foto:
La galassia ad anello Zw II 28 con i suoi colori scintillanti. CREDIT: ESA/Hubble & NASA

Fonte:
http://www.media.inaf.it/2013/03/11/un-anello-scintillante-per-hubble/

lunedì 3 dicembre 2012

Un Nuovo Paradigma Spiegherebbe L'Inizio Dell'Universo


Un nuovo paradigma per la comprensione dei primordi della storia dell'Universo è stato sviluppato dagli scienziati della Penn State University.

Utilizzando dei concetti propri della moderna cosmologia quantistica "a loop", hanno esteso la loro ricerca alle grandi strutture che oggi osserviamo che si sono evolute da fluttuazioni fondamentali nella natura essenziale di "spazio-tempo", che esistevano già oltre 14 miliardi di anni fa. La realizzazione prevede anche nuove opportunità per testare le teorie concorrenti della cosmologia che i telescopi di nuova generazione potranno confermare o smentire.

"Noi esseri umani abbiamo sempre desiderato capire di più circa l'origine e l'evoluzione del nostro Universo", ha dichiarato Abhay Ashtekar, autore principale della carta. "É un momento emozionante per il nostro team in questo momento, da quando abbiamo iniziato a utilizzare il nostro nuovo paradigma per capire, più in dettaglio, le dinamiche che la materia e la geometria hanno sperimentato durante le primissime epoche dell'Universo". Ashtekar è titolare della cattedra in Fisica presso la Penn State e direttore dell'Istituto dell'Università per la Gravitazione e il Cosmo. I coautori della carta, insieme a Ashtekar, sono stati i borsisti post-dottorati Agullo Ivan e William Nelson.
Il nuovo paradigma fornisce un quadro concettuale e la matematica per descrivere l'esotica "meccanica quantistica e geometrica dello spazio-tempo" nell'Universo neonato.

Nei primi momenti di vita, con densità inimmaginabili, l'Universo non era governato dalla fisica classica della teoria generale della relatività di Einstein, ma da una teoria ancora più fondamentale che incorpora anche le strane dinamiche della meccanica quantistica.

La densità di materia era enorme, presumibilmente circa 1094 grammi per centimetro cubo, rispetto alla densità di un nucleo atomico oggi, che è solo 10alla14 grammi.
In questo bizzarro ambiente quanto-meccanico, in cui si può parlare solo di probabilità degli eventi, piuttosto che di certezze, le proprietà fisiche erano molto diverse da quelle in cui viviamo oggi. Tra queste differenze, ha detto Ashtekar, il concetto di "tempo", così come le mutevoli dinamiche dei vari sistemi nel tempo, sperimentano il tessuto della geometria quantistica stessa.
Nessun osservatorio spaziale è stato in grado di rilevare tracce di questa epoca remota descritta dal nuovo paradigma. Ma un paio di osservatori si sono avvicinati. La radiazione cosmica di fondo è stata rilevata in un'epoca in cui l'Universo aveva solo 380 mila anni. A quel punto, dopo un periodo di rapida espansione detta "inflazione", l'Universo mutó in una versione diluita della sua precedente super-compressa.

All'inizio dell'inflazione, la densità dell'Universo era un trilione di volte inferiore a quella durante la sua infanzia e i fattori quantistici ora sono molto meno importanti nel governare le grandi dinamiche della materia e della geometria.

Le osservazioni della radiazione cosmica di fondo mostrano che l'Universo aveva una consistenza uniforme prevalentemente dopo il gonfiaggio, ad eccezione di una spruzzata luce di alcune regioni che erano più dense e altre che erano meno dense.
Il paradigma standard dell'inflazione per descrivere l'Universo primordiale, che utilizza le classiche equazioni standard di Einstein, trattano lo spazio-tempo come un continuum liscio.

"Il paradigma inflazionario gode di un notevole successo per spiegare le caratteristiche osservate della radiazione cosmica di fondo. Tuttavia questo modello è incompleto. Mantiene l'idea che l'Universo esplose dal nulla in un Big Bang, che deriva naturalmente dalla incapacità generale della fisica standard di descrivere bene le situazioni estreme della meccanica quantistica", ha detto Agullo. "Abbiamo bisogno di una teoria quantistica della gravità, come la cosmologia quantistica a loop, per andare al di là di Einstein, al fine di catturare la vera fisica vicino all'origine dell'Universo".

All'inizio del lavoro con la fisica quantistica a loop, Ashtekar e colleghi avevano aggiornato il concetto di Big Bang con il concetto intrigante di un Big Bounce, che prevede la possibilità che il nostro Universo non fosse emerso dal nulla, ma da un super-compressa massa di materia che in precedenza aveva aveva una storia a sé stante.

Anche se le condizioni della meccanica quantistica all'inizio dell'Universo fossero molto diverse condizioni dalla fisica classica dopo l'inflazione, la nuova realizzazione dai fisici della Penn State rivela una sorprendente connessione tra i due diversi paradigmi che descrivono queste epoche.

Quando gli scienziati hanno usato il paradigma dell'inflazione con le equazioni di Einstein per modellare l'evoluzione dei semi (le zone sparse in tutta la radiazione cosmica di fondo) hanno scoperto che le irregolarità fungevano da semi che si evolvevano nel corso del tempo negli ammassi di galassie e di altri grandi strutture che vediamo nell'Universo di oggi. Sorprendentemente, quando gli scienziati della Penn State hanno usato il loro nuovo paradigma con le sue equazioni della cosmologia quantistica, hanno scoperto che le fluttuazioni fondamentali nella natura stessa dello spazio al momento del Big Bounce si sono evolute per diventare come le strutture a semi viste nella radiazione cosmica di fondo.
"Il nostro nuovo lavoro mostra che le condizioni iniziali dell'Universo portano alla struttura a larga scala che osserviamo oggi", ha detto Ashtekar. "In termini umani, è come scattare una fotografia di un bambino alla nascita in cui poi siamo in grado di proiettarne un profilo preciso di come sarebbe all'età di 100".

"Questa carta spinge indietro la genesi della struttura cosmica del nostro Universo dall'epoca inflazionistica fino al Big Bounce, che copre circa 11 ordini di grandezza nella densità della materia e della curvatura dello spazio-tempo", ha detto Nelson. "Ora abbiamo ristretto le condizioni iniziali che possono esistere al tempo del Big Bounce, scoprendo che l'evoluzione di tali condizioni iniziali è d'accordo con le osservazioni della radiazione cosmica di fondo".

I risultati del team hanno anche individuato una gamma più ristretta di parametri per i quali il nuovo modello predice nuovi effetti, distinguendolo dall'inflazione standard. Ha detto Ashtekar, "É emozionante che ben presto saremo in grado di verificare le previsioni di queste due diverse teorie contro le future scoperte con le missioni di osservazione di prossima generazione. Tali esperimenti ci aiuteranno molto presto ad avere una comprensione più profonda dell'Universo".

La ricerca è stata sostenuta dalla National Science Foundation e sarà pubblicata l'11 dicembre del 2012 sul Physical Review Letters.

Foto In Alto
L'immagine mostra la potenza dello spettro della "Cosmic microwave background (CMB)" predetto nella "Loop Quantum Cosmology" e nello Scenario Inflazionario Standard.
I due differenti spettri sono contrastati per mostrare il loro andamento in funzione dell'inverso della durata delle onde nelle fluttuazioni delle microonde nello sfondo cosmico. Per molti dei parametri osservabili le onde k sono più grandi di 9 e le due previsioni sono indistinguibili.
(Credit: Image courtesy of Penn State)

Traduzione a cura di Arthur McPaul

Fonte:
http://www.sciencedaily.com/releases/2012/11/121129143452.htm

sabato 17 novembre 2012

Candidato Galassia Record Ai Primordi Dell'Universo


Combinando la potenza del telescopio spaziale Hubble della NASA e di Spitzer assieme alle lenti gravitazionali, gli astronomi hanno scoperto un nuovo candidato record per la galassia più distante ma vista nell'Universo.

La più lontana galassia appare come una piccola bolla che è solo una piccola frazione delle dimensioni della nostra galassia, la Via Lattea. Ma offre uno sguardo indietro in un tempo in cui l'Universo era solo il 3% della sua età attuale di 13,7 miliardi di anni.
La galassia di recente scoperta, denominata MACS0647-JD, è stato osservata a soli 420 milioni anni dopo dall'inizio dell'Universo. La sua luce ha viaggiato 13.300 milioni anni per raggiungere la Terra.
Questa scoperta è l'ultima di un programma che utilizza come obiettivi gli zoom naturali per rivelare le galassie distanti nell'Universo primordiale.
L'indagine del Cluster Lensing And Supernova con Hubble (CLASH), un gruppo internazionale guidato da Marc Postman dello Space Telescope Science Institute di Baltimora, Maryland, sta usando ammassi di galassie massicce, come telescopi cosmici per ingrandire delle galassie lontane dietro di loro.
Questo effetto è chiamato lente gravitazionale.

Lungo la strada, a 8 miliardi di anni nel suo viaggio, luce da MACS0647-JD ha preso una deviazione lungo percorsi multipli intorno ai massicci cluster delle galassie MACS J0647 7015. Senza il potere di ingrandimento del cluster, gli astronomi non avrebbero visto questa galassia remota. A causa della lente gravitazionale, il team di ricerca CLASH ha potuto osservare tre immagini ingrandite di MACS0647-JD con il telescopio Hubble. La gravità del cluster ha aumentato la luce della galassia lontana, rendendo le immagini otto, sette e due volte più luminose di quanto gli astronomi abilitati per rilevare la galassia più efficiente e con maggiore fiducia avrebbero potuto fare.
"Questo gruppo fa quello che nessun telescopio artificiale può fare", ha detto Marc Postman. "Senza l'ingrandimento, sarebbe necessario uno sforzo erculeo per osservare questa galassia".

MACS0647-JD è così piccolo che può essere nelle prime fasi di formazione di una galassia più grande. L'analisi mostra che la galassia si trova a meno di 600 anni luce di larghezza. Sulla base di osservazioni di galassie un pó più piccole, gli astronomi stimano che una galassia tipica di un'età simile dovrebbe essere a circa 2.000 anni luce di larghezza.
Per confronto, la Grande Nube di Magellano, una galassia nana compagna alla Via Lattea, è di 14.000 anni luce di larghezza. La nostra Via Lattea è di 150.000 anni luce.
"Questo oggetto può essere uno dei tanti elementi costitutivi di una galassia", ha detto l'autore principale dello studio, Dan Coe dello Space Telescope Science Institute.
"Nel corso dei prossimi 13 miliardi di anni, si possono avere decine, centinaia, o addirittura migliaia di eventi di fusione con altre galassie e frammenti di galassia".
La galassia è stata osservata con 17 filtri, che vanno dal vicino ultravioletto al vicino infrarosso, usando la Wild Field Camera 3 di Hubble (WFC3) e l'Advanced Camera for Surveys (ACS).

Coe, un membro del team CLASH, ha scoperto la galassia nel mese di febbraio, mentre stava guardando un catalogo di migliaia di oggetti gravitazionalmente ingranditi con lenti che si trovano in osservazioni di Hubble di 17 cluster nel sondaggio di CLASH. Ma la galassia appare solo nei due filtri più rosse.

"Quindi, o MACS0647-JD è un oggetto molto rosso, brillante solo a lunghezze d'onda rosse, o è molto distante e la sua luce è stata 'spostata verso il rosso' a queste lunghezze d'onda, o una combinazione dei due", ha detto Coe. "Abbiamo preso in considerazione una vasta gamma di possibilità".

Il team ha identificato con CLASH immagini multiple di otto galassie con lenti dal cluster galassia. Le loro posizioni hanno permesso al team di produrre una mappa della massa del cluster, che è principalmente formata da materia oscura. La materia oscura è una forma invisibile di materia che costituisce la maggior parte della massa dell'Universo.
"E' come un grande puzzle", ha detto Coe. "Dobbiamo organizzare la massa del cluster in modo che devi la luce di ogni galassia alle posizioni osservate".
Le analisi del team hanno rivelato che la distribuzione di massa del cluster ha prodotto tre immagini con le lenti di MACS0647-JD e le posizioni e la luminosità relativa osservate nell'immagine Hubble.
Coe e i suoi collaboratori hanno trascorso dei mesi per escludere sistematicamente queste spiegazioni alternative per trovare l'identità dell'oggetto, tra cui le stelle rosse, le nane brune e le rosse (vecchie e polverose) galassie a distanze intermedie dalla Terra.
Essi hanno concluso che una galassia molto distante è stata la spiegazione corretta.

Il documento apparirà nel numero del 20 dicembre della rivista The Astrophysical Journal.

Il Redshift è una conseguenza dell'espansione dello spazio nel tempo cosmico. Gli astronomi studiano l'Universo lontano nel vicino infrarosso per l'espansione dello spazio cui si estende la luce ultravioletta e visibile dalle galassie in lunghezze d'onda infrarosse.
Coe stima che MACS0647-JD ha un redshift di 11, il più alto ancora osservato.

Le immagini della galassia a lunghezze d'onda ottenute con il telescopio spaziale Spitzer hanno svolto un ruolo chiave per l'analisi. Se l'oggetto fosse intrinsecamente rosso, sembrerebbe luminoso nelle immagini Spitzer. Al contrario, la galassia appena è stato rilevata, ha indicato la sua grande distanza.

Il team di ricerca prevede di utilizzare lo Spitzer per ottenere più profonde osservazioni della galassia, che dovrebbero dare fiducia e rilevamenti per le stime dell'età dell'oggetto e sul contenuto della polvere presente.
La galassia MACS0647-JD, tuttavia, può essere troppo lontana per qualsiasi altro telescopio corrente per confermare la distanza basata sulla spettroscopia, che diffonde la luce di un oggetto in migliaia di colori.

Tuttavia, Coe è fiducioso: "Tutte e tre le immagini di galassie con le lenti corrispondono abbastanza bene e sono in una posizione che ci si aspetta per una galassia a quella remota distanza quando si guardano le previsioni dei modelli di migliori lenti per questo gruppo", ha detto Coe.

L'oggetto record è la seconda galassia scoperta nell'indagine di CLASH, un censimento a multi-lunghezza d'onda di 25 ammassi di galassie pesanti con l 'ACS di Hubble e la WFC3.

All'inizio di quest'anno, il team di CLASH aveva annunciato la scoperta di una galassia che esisteva quando l'Universo aveva solo circa 490 milioni di anni, 70 milioni di anni dopo il nuovo record. Finora, l'indagine ha completato le osservazioni per 20 dei 25 cluster.
Il team spera di utilizzare per la ricerca di Hubble per le galassie nane a queste epoche iniziali.
Se queste giovani galassie sono molteplici, allora avrebbero potuto fornire l'energia per bruciare la nebbia di idrogeno che ricopriva l'Universo, un processo chiamato re-ionizzazione. La re-ionizzazione infine ha fatto l'Universo trasparente alla luce.

Foto In Alto
Credit: NASA, ESA, M. Postman and D. Coe (STScI), and the CLASH Team)

A Cura Di Arthur McPaul

Fonte:
http://www.sciencedaily.com/releases/2012/11/121115141456.htm

domenica 19 agosto 2012

Galassie A Bit





Dal Big Bang al monitor del pc, tutta la storia del cosmo in pochi mesi.

A scriverla non la Natura, questa volta, bensì un nuovo software di simulazione chiamato Arepo. Grazie anche all’ausilio di Odissey (il supercomputer di Harvard con 1024 cpu, che per settimane ha macinato senza tregua le innumerevoli righe di codice), l’algoritmo messo a punto dagli scienziati dello Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics (CfA) e dai loro colleghi dello Heidelberg Institute for Theoretical Studies (HITS) ha restituito una cronaca virtuale dell’evolversi del cosmo ricca come non la si era vista mai. Come ha dichiarato Mark Vogelsberger, del CfA, «abbiamo ricreato le galassie che osserviamo nel nostro universo locale in tutta la loro varietà».

Già, la varietà. Perché i programmi che simulano la formazione delle galassie non mancano, ma quando poi le vai a vedere e le confronti con lo spettacolo che ci mostrano i telescopi, la delusione è grande. Lassù un cielo popolato da creature maestose, avvolte nelle loro eleganti spirali di stelle, come Andromeda, la Galassia Vortice o la Galassia Girandola, tanto per citarne tre. Impressi sul silicio, dopo giorni e giorni di complicatissimi calcoli, si ritrovano invece ammassi informi di bit, bolle irregolari di pixel nelle quali ritrovare anche solo la parvenza d’un disco, o le movenze d’un braccio di spirale, è un’impresa disperata.

Per non cadere nello stesso errore, i progettisti di Arepo hanno adottato una geometria originale. Invece di dividere l’universo in cubi di forma e dimensione immutabili, come fa la maggior parte dei software rivali, lo hanno frazionato seguendo le linee di una griglia flessibile, che si sposta e si espande nello spazio seguendo i movimenti del gas soggiacente, delle stelle, della materia oscura e dell’energia oscura. E lo fa partendo dalle origini: prendendo come input il bagliore residuo del Big Bang e immaginandone l’evolversi, passo dopo passo, lungo tutti i 14 miliardi di anni della storia del cosmo fino ai giorni nostri. Per poi confrontarlo con quanto effettivamente ci circonda.

I primi risultati sono descritti in tre articoli di prossima uscita su MNRAS, ma di strada per arrivare al traguardo Arepo ancora ne deve percorrere. Anzitutto, occorre aumentare il volume di cosmo simulato. Inoltre, la risoluzione va migliorata. Ma se tutto procederà come gli scienziati si augurano, presto potremmo avere il modello di universo più grande e più realistico mai realizzato.

A cura di Francesco Rea

Foto In Alto:
Un fotogramma, prodotto da Arepo, nel quale è chiaramente apprezzabile la sua capacità di dare forma a galassie a spirale realistiche. CfA/UCSD/HITS/M. Vogelsberger (CfA) e V. Springel (HITS)

A Cura Di Marco Malaspina

Fonte:
http://www.media.inaf.it/2012/08/16/galassie-di-bit/


lunedì 16 luglio 2012

Hubble Scopre Le Galassie Mancanti?





Gli astronomi hanno usato il telescopio spaziale Hubble per studiare alcune delle galassie più piccole e più deboli nel nostro vicinato cosmico. Esse sono fossili dell'Universo primordiale: hanno appena circa 13 miliardi di anni.

La scoperta potrebbe aiutare a spiegare il cosiddetto problema del "satellite mancante", in cui solo una manciata di galassie satelliti sono state trovate intorno alla Via Lattea, contro le migliaia che sarebbero previste dalle teorie.

Gli astronomi sono rimasti perplessi sul perché alcune delle galassie nane siano estremamente povere di stelle nel vicinato della nostra Via Lattea.
Le galassie nane sono ritenute più antiche delle galassie più giovani, e sono le più incontaminate nell'Universo. Esse sono state scoperte negli ultimi dieci anni dagli astronomi, utilizzando tecniche informatiche automatizzate attraverso le immagini della Sloan Digital Sky Survey.

Ma un team internazionale di astronomi aveva bisogno del NASA / ESA Hubble Space Telescope per cercare di risolvere il mistero del perché queste galassie siano povere di stelle, e perché così solo poche di loro sono state scoperte fin ora.

Hubble ha individuato tre di queste, Hercules, Leone IV e le galassie nane dell'Ursa Major, rivelando che tutte hanno iniziato a formare stelle oltre 13 miliardi di anni fa per poi bruscamente interrompersi nel primo miliardo di anni dopo che nacque l'Universo.

In effetti, l'età estrema delle loro stelle è simile a Messier 92, il più antico ammasso globulare noto [1] nella Via Lattea.

"Queste galassie sono tutte antiche e hanno tutte la stessa età", ha detto Tom Brown dello Space Telescope Science Institute di Baltimora, USA, leader dello studio. "La spiegazione più probabile è che sono nate nel processo chiamato "rionizzazione".

Le galassie reliquia sono prova di una fase transitoria nell'Universo primordiale che ha posto fine alla creazione stellare nelle piccole galassie.
Questa fase sembra coincidere con il momento in cui le prime stelle hanno bruciato in una nebbia di idrogeno freddo, un processo chiamato rionizzazione.

In questo periodo, iniziato nel primo miliardo di anni dopo il Big Bang, la radiazione dalle prime stelle ha espulso elettroni degli atomi di idrogeno primordiale e gas freddo ionizzato di idrogeno dell'Universo [2].
La radiazione stessa che ha scatenato la rionizzazione universale sembra aver soffocato la nascita stellare nelle galassie nane, come quelle nello studio di Brown. Le piccole galassie irregolari sarebbero nate circa 100 milioni di anni prima che ebbe inizio la fase di rionizzazione, quando cioè avevano appena iniziato a sfornare stelle. Circa 2000 anni luce gamma, queste galassie sono i cugini più leggeri e più luminose delle galassie nane vicino alla nostra Via Lattea.

A differenza dei loro parenti più massicci, le galassie nane non erano abbastanza massicce per proteggersi dalla luce ultravioletta. I gas che avevano strappato il flusso di luce ultravioletta precipitarono verso di loro esaurendo il loro approvvigionamento di gas e le galassie non poterono più creare nuove stelle.

La scoperta potrebbe aiutare a spiegare il cosiddetto "problema del satellite mancante", dove solo poche decine di galassie nane sono state osservate attorno alla Via Lattea mentre le simulazioni al computer prevedono che ce ne dovrebbero esistere migliaia.
Una possibile spiegazione per il basso numero scoperto fino ad oggi è che c'è stato poca, se non addirittura inesistente formazione stellare nella più piccole di queste galassie nane, lasciandole praticamente invisibili.

L'indagine con lo Sloan ha recentemente scoperto più di una dozzina di queste galassie nel nostro vicinato cosmico. Esse hanno pochissime stelle, solo poche centinaia o migliaia, ma una grande quantità di materia oscura, l'impalcatura sottostante su cui sono costruite le galassie.

Le galassie nane vicino alla Via Lattea contengono 10 volte più materia oscura rispetto alla materia ordinaria che costituisce il gas e le stelle, mentre in queste cosiddette galassie nane ultradeboli, la materia oscura supera la materia ordinaria di almeno un fattore 100.

Gli astronomi pensano che il resto del cielo dovrebbe contenere decine di altre di queste galassie nane ultra-deboli con poche stelle e le prove della formazione stellare suggerisce che ce ne possano essere ancora migliaia senza molte stelle.

"Misurando le storie di formazione stellare delle nane osservate, Hubble ha sostenuto la spiegazione teorica per la scarsità di tali oggetti, secondo il quale formazione stellare negli ammassi più piccoli sarebbe stato bloccato dalla reionizzazione", ha detto Jason Tumlinson dello Space Telescope Science Institute, un membro del team di ricerca.

I risultati sono stato pubblicati nel numero del 1 luglio di Astrophysical Journal Letters.

[1] Gli ammassi globulari sono strettamente legati a poche centinaia di migliaia stelle. Essi sono noti per contenere alcune delle stelle più antiche dell'Universo. Inoltre, gli ammassi globulari sono noti per essersi formati in singoli eventi, in modo che tutte le stelle hanno la stessa età.

[2] Il periodo di reionizzazione è anche il limite in cui i telescopi possono vedere: il processo è ciò che rendeva l'idrogeno dell'Universo trasparente alla luce ultravioletta.

Traduzione e AdattamentoA cura Di Arthur McPaul

Fonte:
http://www.sciencedaily.com/releases/2012/07/120710133102.htm