sabato 31 luglio 2010

Lassù nel cosmo un altro Sole con una nana bruna compagna

 
Un team internazionale guidato da astronomi dell'Università di Hawaii Beth Biller Liu e Michael con l'aiuto di astronomi dell'Università dell'Arizona Laird Close e studenti universitari UA di Eric Nielsen, Jared e Andy Skemer hanno fatto una rara scoperta utilizzando il Near-Infrared Imager Coronagraphic, o NICI, su quello internazionale di 8 metri del Gemini South Telescope, in Cile.

Ciò che rende particolare questa scoperta è la vicinanza tra la nana bruna di 36 masse gioviane, soprannominato PZ Tel B, e la sua stella principale, denominata PZ Tel A. Essi sono separati da solo 18 unità astronomiche, o Aus, cioè la distanza che intercorre tra Urano e il Sole.

La maggior parte delle giovani nane brune e dei compagni planetari trovato da immagini dirette sono a separazioni orbitali superiore a 50 UA cioè oltre l'orbita di Plutone, che è a 40 UA.
Oltre alla sua piccola separazione lo scorso anno i ricercatori hanno osservato PZ Tel B spostarsi rapidamente verso l'esterno dalla sua stella madre.

Un'immagine datata presa sette anni fa e rianalizzata da Laird Close, professore presso l'UASteward Observatory e il Dipartimento di Astronomia, ha mostrato che PZ Tel B è stata oscurata dal bagliore dalla sua stella madre di recente, nel 2003, indicando che la sua orbita è più ellittica che circolare.
"Poichè PZ Tel A è una stella molto giovane, era stata ripreso più volte in passato", Close ha detto:

"Così siamo stati molto sorpresi di vedere la presenza un nuovo compagno attorno a ciò che si pensava fosse una singola stella."

Uno degli autori, Beth Biller, ha detto: "PZ Tel B viaggia su un'orbita particolarmente eccentrica, negli ultimi 10 anni, abbiamo letteralmente osservato attraverso il suo sistema solare interno. Questo può essere meglio spiegato da un'orbita altamente eccentrica, o di forma ovale".

La stella ospite, PZ Tel A, è una versione più giovane del Sole, con massa simile ma di soli 12 milioni di anni (circa 400 volte meno della sua età). Infatti, il sistema PZ Tel è abbastanza giovane per avere ancora una notevole quantità di polvere fredda circumstellare, che potrebbe essere stata scolpita dall'interazione gravitazionale con la giovane compagna nana bruna.
Questo rende il sistema PZ Tel un importante laboratorio per lo studio delle prime fasi di formazione del Sistema Solare. Con una massa stimata di 36 volte quella di Giove, il moto orbitale di PZ Tel B ha implicazioni significative per il tipo di pianeti che si possono formare nel sistema.

Siccome PZ Tel B è così vicino alla sua stella madre, sono necessarie tecniche speciali  per distinguere la debole luce del compagno dalla luce della stella primaria. PZ Tel B è separato da 0,33 secondi d'arco da PZ Tel A, equivalente a un centesimo visto a una distanza di 7 miglia (11 km).
Per scattare foto così vicine alla stella, il team ha utilizzato un sistema di ottica adattiva accoppiato ad un coronografo, al fine di bloccare la luce delle stelle in eccesso, e poi ha applicato tecniche di analisi specializzate per le immagini per rilevare PZ Tel B e misurare il suo moto orbitale.
PZ Tel B è stato scoperto utilizzando il Near-Infrared Imager Coronagraphic, o NICI, il più potente strumento di contrasto elevato progettato per l'imaging nane brune e pianeti extrasolari attorno ad altre stelle. NICI in grado di rilevare compagni di 1.000 mila volte più deboli della stella di accoglienza, a solo 1secondo d'arco di separazione.

Una squadra internazionale di ricercatori provenienti da tutta la comunità Gemini Telescope sta attualmente conducendo uno studio su 300 stelle con lo NICI, la più grande indagine di imaging ad alto contrasto condotta fino ad oggi.
Michael Liu ha dichiarato: "Stiamo solo cominciando a raccogliere le configurazioni di molti dei sistemi solari attorno a stelle come il sole. Le funzionalità uniche di NICI ci forniscono un potente strumento per studiarle con l'imaging diretto".

La scoperta di PZ Tel B è descritta in un articolo pubblicato dall'Astrophysical Journal Letters.
Questa ricerca è stata sostenuta dalle concessioni dal National Science Foundation e dalla NASA. NICI è uno strumento presso l'Osservatorio Gemini.

Foto in alto:
Questo grafico mostra la stella simile al Sole, PZ Tel A e la sua compagna nana bruna, PZ Tel B. La grande maggioranza di luce proveniente da Tel PZ A è stata rimossa da questa immagine l'impiego di speciali tecniche di analisi dell'immagine. Per confrontare le dimensioni, è indicata la dimensione dell'orbita di Nettuno; PZ Tel B è una delle poche nane brune fotografate ad una distanza maggiore di 30 Unità Astronomiche dalla propria stella madre. Essa orbita intorno alla sua stella a una distanza pari a quella cui Urano ruota attorno nostro Sole. (Credit: L'immagine fornita da Beth Biller e il Gemini NICI Planet-Ricerca di Campagna)

A cura di Arthur McPaul 

Fonte: 
http://www.sciencedaily.com/releases/2010/07/100729172336.htm 

giovedì 29 luglio 2010

Nemesis: il contributo teorico del Dr. Lorenzo Iorio


INTRODUZIONE
Uno degli ultimi interessanti contributi teorici sulla reale possibilità che Nemesis possa esitere, è giunta l'anno passato dal Dr. Lorenzo Iorio, un fisico italiano, attivo nel campo della fisica gravitazionale.
Per chi non conoscesse questa illustre e giovane figura di spicco della ricerca italiana, Lorenzo Iorio è innanzitutto persona cordialissima e assai disponibile, che ha sempre dimostrato una umiltà e una apertura di vedute che sono cosa rara e segno indistinto del suo naturale talento di ricercatore, ormai di fama internazionale. Prima di addentrarci nella sua visione teorica su Nemesis, è doveroso, vista anche la connazionalità, introdurre una sua breve biografia, anche perché sono certo, sarà un nome, che sentiremo molto nei prossimi anni.

Nato a Bari nel 1971. Ha conseguito la laurea summa cum laude in Fisica presso l'Università di Bari nel luglio 1997 con una tesi in fisica delle particelle sulla violazione della simmetria CP nel sistema dei mesoni B. Successivamente, si trasferì al campo della fisica gravitazionale in cui è attualmente attivo. Dr. Iorio ha discusso la sua tesi di dottorato nel 2001 presso l'Università di Bari, sulle prove tecniche telaio e trascinando con i satelliti LAGEOS. L. Iorio ha avuto una associazione scientifica con l'Institue Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), Sezione di Pisa fino al 2009 e dal 2007 ha posizione permanente al MIUR Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca.

La sua attività di ricerca riguarda la teoria / esperimento di interfaccia-osservazione nella relatività generale e della gravitazione, con particolare attenzione per le prove generali di gravitomagnetismo relativistico (ossia quei fenomeni gravitazionali che, nel debole campo sembrano linearizzati dell'elettromagnetismo di Maxwell) e modelli modificati di gravità con gli organismi naturali e artificiali nel Sistema Solare e di altri sistemi stellari e astrofisica.

Il Dr. Iorio ha pubblicato oltre 120 lavori in riviste internazionali peer-reviewed, contributi diversi atti di congressi internazionali, ha invitato diversi capitoli di libri a cura, e un libro curato. Alcuni articoli di lui attirato l'attenzione di riviste scientifiche internazionali come New Scientist, Scientific American, GEO Magazin, Welt der Physik. Ha partecipato a numerose conferenze internazionali, workshop e scuole come relatore invitato. Dr. Iorio ha agito come un arbitro per le istituzioni internazionali come l'Agenzia spaziale europea (ESA), l'ex fisica delle particelle e astronomia Research Council (PPARC), il ceco Science Foundation (GA CR). Ha anche ricevuto un invito, a nome della Royal Swedish Academy of Sciences di nominare un candidato per il Premio Crafoord 2006, il premio più prestigioso nel campo della geologia. Richiesto come supervisore della loro attività di dottorato di ricerca da diversi studenti stranieri, il dottor Iorio è Associated Editor del comitato editoriale di The Open Astronomy Journal, pubblicato da Bentham Open Access, e agisce come referee per numerose riviste internazionali peer-reviewed. Attualmente è Fellow della Royal Astronomical Society (RAS) e della Società Italiana di Fisica (Società Italiana di Fisica, SIF), è stato borsista dell'Associazione Americana per l'Avanzamento della Scienza (AAAS). Il dottor Iorio è stato il destinatario di un premio dalla SIF nel 2003 per la sua attività scientifica, e ha ricevuto un premio dalla Volta Centro Internazionale per l'astronomia nel 2006.

Abbiamo di fronte un vero e proprio scienziato di fama internazione quindi.
Come solo alcuni sanno osare, ha tentato di decifrare nell'alchimia dei misteri e delle anomalie del nostro Sistema Solare, la possibilità che Nemesis possa esistere, ricercando con ostinazione le possibili prove.

NEMESIS DI IORIO

Il Sole, potrebbe avere una stella compagna o un massiccio pianeta ancora ignoto ai suoi remoti confini esterni?
E' questo il quesito che Iorio affronta nel suo studio intitolato "Constraints on planet X/ Nemesis from Solar System's inner dynamics", iniettando nuova linfa vitale al lungo dibattito sulla questione, iniziato ormai quasi un secolo fa.
Il primo ad accorgersi delle tante anomalie presenti nella meccanica del nostro Sistema Solare fu l'astronomo P.Lowell nel 1915, che ipotizzò la presenza di Planet X per spiegare le incongruenze dell'orbita di Urano. I suoi studi portarono alla scoperta di Plutone, ma era evidente che i conti non quadravano ugualmente. La massa di Plutone era cosi bassa da non poter minimamente influire sull'orbita di Urano.
A spiegare questo mistero fu Standish nel 1993 che imputò la colpa ad una errata valutazione dello 0,5% della massa di Nettuno.
Ma spiegato uno dei misteri ne rimanevano altri insoluti come le estinzioni di massa terrestri appurate dalle analisi stratigrafiche del terreno (Alvarez), spiegabili solo con degli impatti cometari ogni 26 milioni di anni.
Secondo il celebre astrofisico statunitense Richard Muller, la causa era proprio Planet X, che soprannominò Nemesis, dal nome della divinità greca della sventura, il quale avvicinandosi alla nube di Oort, spingerebbe verso l'interno pericolose comete che poi, alcune di esse, finirebbero per schiantarsi sulla Terra.
Dai primi anni '80 in poi, numerosi astrofisici si sono "dilettati" nella stesura di modelli teorici per scoprire massa, dimensione, natura e posizione di Nemesis, sulla falsa riga di Muller.
Brunini e Mekita proposero ad esempio nel 2002 la presenza di un oggetto del diametro di Marte alle 60 UA dal Sole, per giustificare l'anomala distribuzione tra gli Oggetti Trans Nettuniani (TNOs).
Nel 2008, Iorio ci ricorda poi che Lykawka & Tadashi proposero un corpo X come la Terra, tra le 100 e le 170 UA per spiegare l'architettura della fascia di Edgeworth-Kuiper.
Vorrei aggiungere che questi sono solo alcuni esempi, che cercheremo di trattare tutti nei prossimi mesi, ma gli articoli riguardo a ipotesi su corpi X sono innumerevoli e tutti meritevoli di approfondimento.
Non va dimenticato in tal senso l'apporto dei colleghi Matese e Whitmire, che tra i tanti hanno proposto le teorie piu eleganti in merito alle docce cometarie periodiche imputate a Nemesis.

Lo stesso Iorio ricorda che il dibattito sulla natura di Planet X, ha avuto almeno due identikit principali: una piccola stella nana rossa (Muller) o una grossa nana bruna (Matese, Whitmire, Jackson e molti altri).

Nel suo studio, Iorio, considera differenti tipologie di corpi orbitanti in uno spazio che va da 0,4 a 1,5 UA con lo stesso approccio seguito da Khriplovich e Pitjeva (2006) e Khriplovich (2007), per indagare sulla densita della materia oscura nel Sistema Solare.
Nei vari punti del modello, Iorio affronta alcune questioni fondamentali sulla sua teoria, indagando il tipo di accelerazione impartita da un corpo X distante su un pianeta interno P con la stima della precessione al perielio su un'orbita completa di P.
Inoltre vengono discusse le possibili distanze del corpo X in cui esso potrebbe esistere in base alla sua massa, vero e proprio nucleo focale dell'intero studio.
Viene accennato al fallito tentativo del telescopio IRAS di individuare Planet X, presumibilmente a causa della sua bassa sensibilità e anche se non lo si nomina crediamo che anche il Dr. Iorio sarà in trepida attesa per le analisi del favoloso lavoro che ha fatto WISE, l'ultimo global all-sky survey della NASA.





I risultati parlano chiari. Un corpo X delle dimensioni di Marte, potrebbe facilmente esistere senza interagire in modo negativo con il Sistema Solare interno, a non meno di 70-85 UA, mentre un corpo come la Terra a non meno di 147 -175 UA, un corpo come Giove a non meno di 1000-1200 UA, una ipotetica nana bruna (80 masse gioviane) sarebbe a non meno di 4000-5170 UA, una nana rossa a non meno di 8113-9524 UA e un oggetto di massa come il Sole potrebbe infine esistere a non meno di 10222-12000 UA
I suoi risultati sono degni di indagine e sicuramente il telescopio WISE presto svelerà l'arcano e anche il Dr. Iorio potrebbe entrare nella storia della fisica planetaria, come grande sostenitore di quella stella oscura, che è il pomo della discordia tra gli astronomi.


Iorio web page: 
http://digilander.libero.it/lorri/index.htm

Fonti dell'articolo:  
Mon.Not.Roy.Astron.Soc.400:
346-353,2009, doi: 10.1111/j.1365-2966.2009.15458.x  http://dx.doi.org/10.1111/j.1365-2966.2009.15458.x

Open Astron.J.3: 1-6, 2010, doi: 10.2174/1874381101003010001
http://dx.doi.org/10.2174/187438110100301000

Constraints on X and KBO's mass from planetary dynamics, relazione tenuta presso COSPAR-10, 38th scientific assembly, Bremen, Germany,18-25 July 2010.
http://miur.academia.edu/documents/0117/5554/B04_0024_10.pdf


A cura di Arthur McPaul

Meteorite su un campo da cricket



Quella che sembrava la solita, tranquilla domenica allo stadio si è trasformata in una giornata dalle emozioni forti a Uxbridge, vicino Londra. Durante una partita di cricket del Sussex contro il Middlesex, qualcosa ha sorvolato il campo e ha scatenato attimi di panico. No, non era una pallina colpita dal battitore. Ma un pezzetto di meteroite. Il sasso venuto dallo spazio ha sfiorato due spettatori Jan Marszel, 51 anni, e Richard Haynes, 52, mentre si stavano godendo una birra in attesa del lancio successivo. Il sassolino, grande qualche centimetro, risale a circa 4,5 miliardi di anni fa.

“Eravamo seduti a bordocampo quando di colpo, dal cielo, abbiamo visto questo piccolo oggetto scuro precipitare verso di noi”, ha raccontato Jan al Daily Telegraph. “Ha toccato terra a quattro metri e mezzo da noi e si è rotto in due pezzi. Un pezzo è rimbalzato e mi ha colpito al petto, mentre l’altro è finito a bordo campo. E’ arrivato a una certa velocità, se mi avesse colpito sarebbe stato interessante”.

Anche Richard si è preso uno spavento. “Stavamo bevendo le nostre birre tranquilli, entrambi abbiamo guardato verso l’alto nello stesso momento e abbiamo visto un oggetto scuro venirci incontro: non avevamo idea di che cosa fosse. Se fosse venuto da un’altra direzione avremmo potuto sospettare che qualcuno lo avesse lanciato, ma lo abbiamo visto arrivare a terra con una certa angolazione”.

Certo, per esser centrati da un meteorite caduto dal cielo ci vuole davvero un bel colpo di sfortuna. “La Terra è costantemente investita da piccoli meteoriti di varie dimensioni, di quelli delle dimensioni di una pallina da tennis ne entrano in atmosfera fra i 10.000 e i 100.000 all’anno – spiega Giovanni Valsecchi esperto di meteoriti dell’INAF-IASF di Roma. “Ma la maggior parte si polverizza all’ingresso con l’atmosfera. Solo una minima frazione dei meteoriti più grandi o quelli metallici raggiunge la superficie, finendo con alta probabilità in mezzo al mare, che copre il 75% del nostro pianeta. L’eventualità che un sasso spaziale cada su una zona delle terre emerse, abitata ed esattamente nel punto in cui si trova una persona di passaggio è estremamente rara, ma certamente non è impossibile”.

In Italia, per esempio, una ventina di anni fa, è capitato a un ingegnere di una ditta aerospaziale, Claudio Casacci. Era appena uscito dalla mensa aziendale quando un masso celeste si è schiantato a terra a pochi passi da lui, mandandogli di traverso il pranzo. “Il caso recente più famoso è il meteorite caduto a Carancas, nel 2007, al confine tra il Peru e la Bolivia”, racconta l’astronomo. “L’impatto, fortunatamente fuori dal centro abitato, ha formato un cratere di 10 metri, scaraventando a terra per l’onda d’uro un ciclista che stava pedalando a pochi metri di distanza. I frammenti schizzati via hanno sfondato il tetto di una baracca e colpito le corna di un povero toro che stava pascolando nei paraggi”.

Non si ricordano, a memoria d’uomo, vittime di meteorite. L’unico caso di ferimento in tempi recenti risale al novembre del 1954, quando un meteorite dal cielo precipitò nel soggiorno di casa di Elizabeth Hodges, a Sylacauga, in Alabama procurandole quasi un infarto e qualche graffio. C’è poi un documento antico che riferisce di un malcapitato frate che nel 17esimo venne beccato in pieno da un meteorite e non sopravvisse, ma è difficile verificare la veridicità della notizia.

Anche se il rischio è quasi nullo, non è possibile prevedere la caduta di una “tegola” spaziale sulla testa? “No – risponde Valsecchi – questi meteoriti hanno dimensioni troppo piccole perché possano essere rilevati dai sistemi di impact monitoring che invece controllano asteroidi di dimensioni maggiori e per tempi molto più lunghi. Soltanto una volta nel caso del celebre meteorite 2008 TC3, si è riusciti a prevedere con precisione la caduta di piccolo asteoride con 20 ore di anticipo in una zona desertica del Sudan. Ma è stato un colpo di fortuna!”


A cura di Daniela Cipolloni

Link:
"http://www.media.inaf.it/2010/07/26/meteorite-precipita-sul-campo-da-cricket/"




mercoledì 28 luglio 2010

HiRise: Nuove immagini da Marte

FOTO 1


Questa immagine misura il pavimento e due pareti di un pozzo in Noctis Labyrinthus, un sistema diripide valli in profondità sul bordo occidentale di Valles Marineris. Le valli essi sono caratteristiche tettoniche conosciute come graben (trincea) che si formano in risposta all'estensione (o all'allungamento) della crosta. Nel caso di Noctis Labyrinthus, l'attività vulcanica nella regione di Tharsis può formare un rigonfiamento, che allora gli ha allungato e gli fratturato la crosta.


FOTO 2


Il luogo di atterraggio candidato per future missioni in Acidalia Mens.



FOTO 3


Questa immagine mostra un cratere non specificato situato in Utopia Planitia; questo cratere è di più di 10 chilometri di diametro e 700 metri di profondità. Le caratteristiche differenti intorno a questo cratere possono indicare la presenza di liquido sotto la superficie.

Le caratteristiche lineari che si irradiano esternamente dall'orlo del cratere sono evidenti nelle parti più basse superiori dell'immagine completa:


Un esame più ravvicinato mostra che queste caratteristiche sono costituite dalle roccie e dai terreni più fini che sono situati seguendo una linea retta; sono “spokes„ prodotti subito dopo, dell'effetto dei materiali espulsi dall'impatto. Poiché queste emissioni provengono dalle profondità del cratere, la loro composizione ci dirà che tipo di roccie sono presenti sotto la superficie.


L'Immagine di contesto di MOC (in alto) di questo cratere mostra un basamento elevato a forma di un pancake. Il basamento è di circa 20 chilometri di diametro. I crateri del basamento come questo possono formarsi perché il ghiaccio sotto la superficie si è fuso quando è accaduto l'evento.


L'immagine in alto mostra una parte del pendio dei rivestimenti ovest all'interno del cratere;

Non è chiaro se queste scanalature fossero intagliate dai landslides asciutti o da un liquido. Le scanalature tagliate attraverso le creste relativamente più vecchie, prolungate sono approssimativamente perpendicolari al pendio (A). Al contrario, nelle creste relativamente più giovani della posizione B sia in cima alle scanalature, alcune mostrano dune nei loro pavimenti.

Una spiegazione possibile per queste creste, ondulazioni e fenditure potrebbero essere gli strisciamento.
Lo strisciamento è il lento movimento in discesaì dei terreni del pendio che sono tenuti insieme in qualche modo, forse cementati da ghiaccio o da un altro agente. Dai rapporti di traversa-taglio visti in questo sottoinsieme, arguiamo che vi possnao essere parecchi episodi alternati di formazione della scanalatura e di strisciamento.

Queste immagini sono state riprese da HiRISE, la potente camera a colori posta sulla sonda orbitante Mars Reconnaissance Orbiter della NASA.
Potete trovare altre immagini con commenti in inglesi al seguente sito: http://hirise.lpl.arizona.edu//



martedì 27 luglio 2010

Anno 2182: impatto sulla Terra?



L'asteroide potenzialmente pericoloso (101.955) 1999 RQ36 ha una possibilità su mille di impattare sulla Terra, e più della metà di questa probabilità indica che questo potrebbe accadere nel corso dell'anno 2182.
Ciò potrebbe contribuire a progettare in anticipo meccanismi volti a deviare il percorso dell'asteroide.

Dopo la paura per il possibile impatto dell'asteroide Apophis nel 2036, la Terra pare che abbia una nuova data per cui tremare.

"La probabilità di un impatto totale dell'asteroide (101955) 1999 RQ36 può essere stimata in 0,00092, circa una su mille, ma ciò che è più sorprendente è che oltre la metà di questo caso (0,00054) corrisponderebbe all'anno 2182", spiega Maria Eugenia Sansaturio, co-autore dello studio e ricercatrice della Universidad de Valladolid (UVA).

La ricerca ha coinvolto anche scienziati dell'Università di Pisa (Italia), il Jet Propulsion Laboratory (USA) e INAF-IASF-Roma (Italia).
Gli scienziati hanno stimato e controllato l'impatto potenziale di questo asteroide per mezzo di due modelli matematici (metodo Monte Carlo e la linea di variazioni di campionamento). Così, è stato stimato il cosiddetto Virtual urto (VIS). I VIS sono insiemi di incertezza statistica di collisioni con la Terra in date diverse del secolo XXII. Due di essi segnerebbero appunto per l'anno 2182 come data più probabile per il disastroso impatto.

L'asteroide (101955) 1999 RQ36 fa parte degli asteroidi potenzialmente pericolosi (PHA), che hanno la possibilità di colpire la Terra a causa della vicinanza delle loro orbite, e possono causare danni. Questo PHA è stato scoperto nel 1999 e conta circa 560 metri di diametro.

In pratica, la sua orbita è ben determinata grazie a 290 osservazioni ottiche e 13 misurazioni radar, ma vi è una significativa "incertezza orbitale" perché, oltre la gravità, il suo percorso è influenzato dall'effetto Yarkovsky. Tali perturbazioni modificano leggermente l'orbita di piccoli oggetti del Sistema Solare perché a causa della rotazione, ricevono la radiazione solare.

La ricerca, che è stata pubblicata sulla rivista Icarus, predice ciò che potrebbe accadere nei prossimi anni in considerazione di questo effetto. Fino al 2060, la divergenza delle orbite di impatto è modesta; tra il 2060 e 2080 aumenterà di 4 ordini di grandezza, perché l'asteroide si avvicinerà alla Terra in quegli anni, poi, aumenterà di nuovo su una base leggera fino a quando nel 2162 un altro approccio la farà diminuire e nel 2182 si verificherà l'anno più probabile per la collisione.

"La conseguenza di questa dinamica complessa non è solo la probabilità di un impatto relativamente grande, ma anche che una procedura di deformazione realistica (deviazione dalla traiettoria) potrebbe prima dell'impatto nel 2080, e più facilmente, prima del 2060" spiega Sansaturio .

Lo scienziato conclude: "Se questo oggetto fosse stato scoperto dopo il 2080, sarebbe stato necessario una tecnologia che non è attualmente disponibile. Quindi, questo esempio indica che il monitoraggio dell'impatto, che fino ad oggi non copre più di 80 o 100 anni, può necessitare di tempi che vanno oltre tali anni. Pertanto, gli sforzi per deviare questo tipo di oggetti potrebbero essere condotti con risorse moderate dal punto di vista tecnologico e finanziario".


Adattamento e traduzione a cura di Arthur McPaul

Link:
"http://www.sciencedaily.com/releases/2010/07/100727082656.htm"



sabato 24 luglio 2010

Gli alieni comunicherebbero su frequenze vicine ai 10 gigahertz


Ancora critiche al
metodo di ricerca del SETI. Questa voltà i punti deboli sarebbero le frequenze troppo rumorose utillizate e si ipotizza che gli alieni siano più parsimoniosi con segnali brevi e potenti piuttosto che lunghi e deboli.

Un nuovo studio suggerisce che il rapporto costo / efficacia delle trasmissioni radio galattiche avverrebbe a frequenze più elevate rispetto ai progetti di ricerca del SETI che tradizionalmente monitorizza, vanificando la possibilitá di entrare in contatto con civiltà aliene.

"Se ET stesse costruendo efficaci ricevitori avrebbe già individuato la nostra presenza? Secondo James Benford , presidente della società Scienze microonde a Lafayette, in California, la risposta è un secco NO!

Gli alieni che volessero comunicare nello spazio probabilmente trasmetterebbero a frequenze tra 1 e 10 gigahertz, dove c'è meno rumore di fondo astronomico che in altre bande. La maggior parte dei progetti SETI entrano in banda di frequenze tra gli 1,42 e gli 1,72 gigahertz, che è la frequenza della radiazione emessa dalle nubi di idrogeno e idrossile interstellari.

Secondo Benford e colleghi, gli alieni avrebbero scelto di comunicare su frequenze vicine ai 10 gigahertz, in quanto ciò rende più semplice e più conveniente creare un potente fascio di luce.

Impulsi brevi piuttosto che un segnale continuo, permetterebbe alle civiltà aliene di utilizzare trasmettitori piccoli ed economici. Trasmettitori di piccole dimensioni possono emettere un potente fascio di radiazioni con tensioni elevate, ma solo se questi trasmettono impulsi brevi che non danno ai campi elettrici tempo per scaricarsi.

Benford giunge alla conclusione che gli alieni utillizzerebbero un fascio di microonde a impulsi attraverso il disco della Via Lattea, dove risiedono la maggior parte delle stelle della nostra galassia.
"Non singole stelle per comunicare, sono troppe!" dice. "Invece meglio costruire un faro potente, e colpire più stelle"


Si calcola che gli alieni potrebbero usare un'antenna con un piatto di 0,9 km e che mandino della Via Lattea una sola esplosione a impulsi di 35 secondi a tutte le stelle entro 1.080 anni luce.

Se ad un alieno che ha seguito la strategia, i loro segnali non ripetere per molti mesi. "Gli astronomi hanno ricevuto alcuni segnali inspiegabili della durata di decine di secondi che poi non sono stati mai più intercettati", dice Benford. "Alcuni di questi avrebbero potuto essere degli extraterrestri, ma non c'era abbastanza tempo per aspettare l'osservazione di eventuali ripetizioni" Egli esorta gli astronomi a riesaminare tutti i loro archivi dei segnali anomi ricevuti.

Foto in alto: SEGNALE "Wow!".
Il segnale Wow! è un forte segnale radio a banda stretta che venne rilevato dal Dottor Jerry R. Ehman il 15 agosto 1977 lavorando al progetto SETI con il radiotelescopio Big Ear dell'Università dello Stato di Ohio. Il segnale non proveniva dalla Terra o dal Sistema Solare. Esso durò 72 secondi e non venne mai più rilevato.


Adattamento e traduzione a cura di Arthur McPaul

Link:
"http://www.newscientist.com/article/dn19206-stingy-aliens-may-call-us-on-cheap-rates-only.html"



venerdì 23 luglio 2010

Altre analisi confermano: sulla Luna c'era l'acqua



Nel 41esimo anniversario dello sbarco dell’uomo sulla Luna, yarriva un’altra scoperta a sostegno dell’antica presenza di acqua sul nostro satellite naturale. Le analisi di un minerale di origine vulcanica, l’apatite, riportato a Terra nella missione Apollo 14 del 1971, indicano tracce di gruppi ossidrilici. Secondo i ricercatori del California Institute of Technology e dell’Università del Tennessee che hanno presentato la ricerca su Nature, questa sarebbe una prova che un tempo questa roccia basaltica, formatisi sotto la superficie ed emersa come lava miliardi di anni fa, è stata a contatto con l’acqua. Ovvero: che c’era acqua nell’interno del satellite.

“Finora era opinione comune che la Luna fosse priva di materiali idratati, e invece non è così”,
ha detto Robert Sharp professore di Geologia e di geochimica del Caltech, e coautore del lavoro. Il cristallo di apatite è stato analizzato per cercare tracce di idrogeno, zolfo e cloro utilizzando una microsonda ionica in grado di analizzare i grani di minerali più piccoli dello spessore di un capello umano. Le analisi con questa tecnica hanno dimostrato che, per quanto riguarda il contenuto di idrogeno, zolfo e cloro, l’apatite lunare è indistinguibile dallo stesso tipo di minerale raccolto sulla Terra.

La scoperta è ritenuta importate per migliorare la comprensione della composizione del suolo lunare e dei processi che hanno portato alla sua formazione, ma anche per l’eventualità futura di un insediamento umano sulla luna. Si aprirebbe la possibilità di estrarre acqua dalle rocce.

“Questi risultati implicano che i processi geologici sulla Luna sono in grado di produrre almeno un composto idratato” ha concluso Eiler.

“Recenti osservazioni spettroscopiche della Luna hanno mostrato che l’idrogeno è presente sulla sua superficie, anche in forma di acqua ghiacciata. Ma in tal caso l’idrogeno sarebbe potuto arrivare dalle comete o con il vento solare. Questi ultimi risultati mostrano invece che l’idrogeno è lì fin dalle epoche primordiali della storia del nostro satellite.”



Di certo non vuol dire che sulla Luna c'erano oceani o che si potrà andare a dissetarsi, ma queste ricerche testimoniano che il suo passato geologico e idrologico era assai differente da come lo osserviamo oggi.
Tuttavia, se un tempo esisteva l'acqua, è possibile che ce ne sia ancora molta, in forma ghiaccita nel fondo di crateri, non solo al Polo Sud.
Questa eventualità potrebbe allora essere oggetto di studio e anche fonte utilizzabile per delle basi di rifornimento. Si sa, quello che oggi è fantascienza, tra qualche anno sarà inevitabilmente scienza.

Noi non possiamo fare altro che seguire con attenzione queste scoperte e per certi versi, sognare...


Foto in alto: microsezione di campione lunare numero 14053. (Credit: Larry Taylor/University of Tennessee)


Tratto da materiale INAF con conclusione a cura di Arthur McPaul

Link:
"http://www.media.inaf.it/2010/07/21/rocce-di-luna-bagnate-dacqua/"




L'idrogeno potrebbe rilevare l'energia oscura



In attesa di mantenere la promessa dell’energia pulita, l’idrogeno rischia di aiutarci a risolvere il mistero dell’energia oscura. È quanto spera un team di astronomi guidato da Tzu-Ching Chang, dell’Academia Sinica di Taiwan e dell’Università di Toronto, in un articolo pubblicato oggi su Nature. Avvalendosi di osservazioni effettuate con il più grande radiotelescopio orientabile al mondo, il Green Bank Telescope (GBT), Chang e colleghi hanno messo a punto un nuovo metodo per tracciare la mappa di strutture cosmiche a grande scala. Si chiama intensity mapping, dunque mappa dell’intensità, e misura l’emissione dell’idrogeno proveniente da migliaia di galassie remote. Se applicato ad ampie porzioni di Universo, potrebbe rivelare come le strutture a grande scala sono cambiate nel corso degli ultimi miliardi di anni: uno strumento ideale, dunque, per decidere quale, fra gli attuali modelli teorici dell’energia oscura, è il più accurato.

«È una mappa dell’idrogeno a distanze cosmiche mai raggiunte prima», spiega Tzu-Ching Chang per illustrare il progetto, «e dimostra che le tecniche da noi sviluppate si possono usare per tracciare la distribuzione a tre dimensioni di enormi volumi di Universo, consentendo così di mettere alla prova le teorie rivali sull’energia oscura». Tecniche che hanno permesso di rilevare più idrogeno di tutto quello mai osservato in passato, e a distanze dieci volte superiori a quelle delle emissione radio dell’idrogeno più distanti fino a ora conosciute.

L’energia oscura è la forza inafferrabile che, secondo i modelli cosmologici più in voga, sta causando l’accelerazione dell’espansione dell’Universo, del quale dovrebbe costituire circa il 70%. Una forza a oggi misteriosa, ma qualche indizio sulla sua natura potrebbe essere scoperto studiando le impronte delle onde acustiche generate in quella zuppa primordiale di materia ed energia che era l’Universo all’origine. Impronte rilevabili, appunto, nella distribuzione a grande scala delle galassie.

Il principale vantaggio della tecnica messa a punto dal team di Chang è quello di riuscire a misurare questa distribuzione non più osservando le galassie una a una, bensì raccogliendo in un colpo solo l’emissione dell’idrogeno da porzioni di Universo molto più estese, contenenti migliaia di galassie. Non solo: poiché le onde radio provenienti da nubi d’idrogeno così distanti sono estremamente deboli, i ricercatori hanno anche sviluppato nuovi metodi in grado di rimuovere sia le interferenze generate dall’uomo sia le emissioni provenienti da sorgenti astronomiche vicine. Esaltando così le già notevoli capacità del Green Bank Telescope, un mostro da 100 metri di diametro che sorge in un luogo—a Pocahontas County, in West Virginia—denominato non a caso Quiet Zone: la «zona quieta», una sorta di area protetta nella quale le interferenze radio sono costantemente controllate e ridotte al minimo. Infine, per verificare la validità della loro tecnica, i ricercatori hanno confrontato i risultati con la mappa della stessa porzione di cielo osservata in ottico dal telescopio Keck II, nelle Hawaii.

«La nuova tecnica osservativa ideata dal team guidato da Chang», commenta Tiziana Venturi, radioastronoma dell’INAF-IRA di Bologna, «promette grandi risultati nello studio dell’evoluzione del nostro Universo. È un lavoro entusiasmante». Il prossimo passo vedrà probabilmente l’ampliarsi delle osservazioni, e dunque della «rete cosmica» tracciata dall’idrogeno, ad altre porzioni di cielo.




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"http://www.media.inaf.it/2010/07/22/gbt-idrogeno-energia-oscura/"




Cratere da impatto scoperto in Egitto



Un giorno negli ultimi 5.000 anni, forse addirittura qualche secolo fa, un corpo cosmico è arrivato come una vera e propria bomba dal cielo e si è schiantato in una zona disabitata dell’Egitto meridionale, nel deserto roccioso a pochi chilometri dal Sudan e a circa 50 km dal confine libico. Nell’impatto ha scagliato via materiali su un raggio di oltre 300 metri, vetrificato le rocce per fusione e creato una voragine larga 45 metri, profonda 15, grande abbastanza per ospitare le fondamenta di un palazzo. Si tratta di un cratere meteoritico unico nel suo genere sulla Terra. Così perfettamente conservato da assomigliare a un cratere lunare o di un corpo planetario senza atmosfera. Ad annunciare la scoperta su Science sono Luigi Folco, geologo del Museo Nazionale dell’Antartide dell’Università di Siena, e Mario Di Martino, dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Torino, in collaborazione con Massimo D’Orazio dell’Università di Pisa, che ha svolto le analisi delle meteoriti, di ricercatori dell’Università di Bologna, dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), e colleghi egiziani. (Qui la galleria immagini del cratere)

Sul cratere si è imbattuto la prima volta Vincenzo De Michele, curatore del Museo Civico di Storia Naturale di Milano, nel 2008, quasi per caso. “Stava analizzando in maniera dettagliata la zona su Google Earth, alla ricerca di villaggi neolitici, quando ha notato questa formazione del tutto simile al cratere prodotto da una bomba di grande potenza. Poteva trattarsi di un bombardamento o dell’esplosione di un missile, visto che è una zona calda dal punto di vista politico”, racconta Di Martino. “Abbiamo deciso di andare a guardare con i nostri occhi. Una volta sul posto è stato subito evidente che si trattava un cratere da impatto. La bomba era arrivata dallo spazio”.

Al primo sopralluogo è seguita la spedizione scientifica congiunta italo-egiziana. “Abbiamo raccolto circa 850 kg di meteoriti metalliche, su un totale di oltre 1.700 kg, composte prevalentemente di ferro e nichel. Il frammento più grande è un masso di 83 kg, staccatosi in atmosfera prima dell’impatto a terra del corpo principale che ha prodotto il cratere, e rinvenuto a circa 200 metri da questo”, prosegue l’astronomo. “Dalle prime analisi risulta che il meteorite doveva avere una massa compresa tra 5 e 10 tonnellate ed era circa quattro volte superiore all’ingresso in atmosfera rispetto al momento dell’urto al suolo. È piombato alla velocità che abbiamo stimato fra 3 e 4 km/s. La sua composizione metallica indica che originariamente era il nucleo di un asteroide frantumatosi dopo una collisione catastrofica con un altro oggetto nella fascia principale, tra le orbite di Marte e Giove”.

La scoperta è estremamente interessante perché crateri da impatto causati da meteoriti di piccola scala sono estremamente rari sul nostro pianeta e la sua “freschezza” permetterà di mettere a punto modelli molto più precisi di quelli finora esistenti. “Strutture così piccole vengono erose rapidamente dagli agenti atmosferici. Degli oltre 170 crateri da impatto finora scoperti, questo è l’unico che presenta le strutture primarie perfettamente conservate. Tutto fa pensare che lo schianto sia avvenuto di recente”. Ci sono anche altri indizi: il cratere è stato riempito da pochi metri di sabbia e non ne è stato sommerso. Soprattutto, sono stati rinvenuti pezzi di meteorite e rocce espulse dall’impatto sui sentieri di antichi insediamenti neolitici, popolati fino a 5.000 anni fa, prima che la zona si inaridisse. “Se l’oggetto fosse precipitato prima, i nostri antenati avrebbero spostato le rocce dai sentieri ed utilizzato il ferro per farne degli strumenti”, spiega Di Martino.

“Sarà la datazione con termoluminescenza a svelare la data precisa dell’impatto”. Il team italiano ha riportato a casa circa 50 kg di meteoriti, rocce e vetri per ulteriori studi, mentre 850 kg di meteoriti, sono stati trasferiti al Museo Geologico del Cairo. Il 12 luglio le meteoriti sono state “battezzate” ufficialmente con il nome Gebel Kamil e la classificazione è stata pubblicata su Meteoritical Bulletin della International Society for Meteoritics and Planetary Science.

Recentemente, con grande disappunto dei ricercatori che hanno condotto la spedizione, una certa quantità di meteoriti, probabilmente quelle lasciate in loco, sono state immesse nel mercato internazionale, nonostante il divieto di accesso nell’area del ritrovamento.

La spedizione congiunta italo-egiziana è stata possibile grazie al generoso contributo dato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, dal Monte dei Paschi di Siena e dalla Telespazio SpA. Un particolare ringraziamento va al Prof. Franco Porcelli, addetto scientifico presso l’Ambasciata d’Italia al Cairo per il suo determinante contributo nell’organizzazione della spedizione.




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"http://www.media.inaf.it/2010/07/22/scoperto-cratere-da-impatto-in-egitto/"




WISE ha mappato tutto il cielo






PASADENA, California - Il NASA Wide-field Infrared Survey Explorer, ha completato la sua prima indagine di tutto il cielo il 17 luglio 2010. La missione ha generato più di un milione di immagini da asteroidi a galassie lontane.

"WISE ha completato un tour con 1,3 milioni di foto che coprono tutto il cielo" ha detto Edward Wright, il ricercatore principale della missione presso la University of California, Los Angeles. 




Alcune di queste immagini sono state trasformate e cucite insieme e pubblicate sul sito di WISE, tra cui l'ultima delle Pleiadi, nota anche come le Sette Sorelle, che riposa in un letto di polvere con ciuffi aggrovigliati. La regione nella foto copre sette gradi quadrati, o una superficie equivalente a 35 lune piene, mettendo in evidenza la capacità del telescopio di scattare foto di vaste regioni di spazio [foto in alto].

La nuova immagine è stata presa a febbraio. Essa mostra la luce infrarossa da WISE a quattro rilevatori in una gamma di lunghezze d'onda. Questo punto di vista a raggi infrarossi mette in evidenza la nuvola di polvere espansiva della regione, attraverso la quale le "sette sorelle" e altre stelle passano.  La luce infrarossa rivela anche le stelle più piccola e fredda della famiglia.

"Lo studio di WISE di tutto il cielo ci sta aiutando setacciare la popolazione immensa e variegata di oggetti celesti", ha detto Hashima Hasan, WISE scienziato Program della NASA a Washington.  
"E 'un grande esempio della scienza di grande impatto che è possibile da Explorer della NASA del programma".

Il primo rilascio dei dati di WISE, che copre circa l'80% del cielo, sarà consegnato alla comunità astronomica nel maggio del prossimo anno. La missione di strisciamento del cielo in orbita intorno ai poli della Terra è iniziata dal suo lancio nel dicembre scorso. WISE rimane sempre sopra la linea del giorno e della notte della Terra. Mentre la Terra si muove intorno al Sole, rileva fette di cielo nel campo del suo telescopio. Ci sono voluti sei mesi, per portare al termine la missione e scansionare tutto il cielo


Per i prossimi tre mesi, rimapperà ancora il cielo permettendo di migliorare i dati del telescopio, rivelando più asteroidi, stelle e galassie. La mappatura darà un'occhiata a ciò che è cambiato nel cielo nel corse di questi mesi e finirà quando lo strumento terminerà l'idrogeno liquido refrigerante necessario per raffreddare i suoi rilevatori ad infrarossi.

Fino ad oggi, WISE ha osservato più di 100.000 asteroidi, noti e inediti. La maggior parte di queste rocce spaziali sono nella cintura principale tra Marte e Giove. Tuttavia, alcuni sono gli oggetti vicini alla Terra. WISE ha scoperto più di 90 di questi nuovi oggetti vicini alla Terra. Il telescopio sta rilevando anche comete che orbitano lontano dalla Terra e ha scoperto più di una dozzina di buovi oggetti del genere finora.

Ha ripreso anche stelle fredde, chiamate nane brune, galassie lontane piena di luce ed energia. Queste galassie sono chiamate galassie infrarosse ultra-luminose.

"WISE sta riempiendo gli spazi vuoti sulle proprietà infrarossi di tutto l'Universo dagli asteroidi vicini a quasar distanti", ha detto Peter Eisenhardt del JPL, scienziato di progetto WISE. "Ma le scoperte più entusiasmanti potrebbero essere oggetti che non abbiamo ancora immaginato esistere" (...si sta riferendo forse a Nemesis?)

Un ascensore lunare potrebbe essere costruito anche entro un decennio


L’idea di un ascensore spaziale circola sin dalla fine dell’800, ma nonostante i grandi sogni e anni di ricerca, le promesse per un ascensore che permetta un accesso all’orbita, a basso costo e veloce, è rimasto solo fantascienza. Il maggiore problema resta il fatto che nessuno è stato in grado di creare dei nastri fatti di nanotubi di carbonio, ultra-leggeri e ultra-resistenti. I nanotubi di carbonio sono l’unico materiale conosciuto in grado di reggere lo stress di una struttura come un ascensore spaziale. Ma l’imprenditore Michael Laine crede che un ascensore lunare (che unisca la superficie della Luna con lo spazio) potrebbe essere creato con materiali già esistenti ora. Con più ricerca, ed il giusto capitale, Laine pensa che potrebbe essere costruito anche entro un decennio.

Mentre Laine ha detto che è ancora “emotivamente molto coinvolto” nel concept di un ascensore basato sulla Terra, per adesso ha spostato il suo focus su un ascensore lunare.
“La questione che mi si era presentata, era dove avrei investito il mio tempo e dato che questo progetto potrebbe essere messo in piedi presto, forse entro 5-7 anni, e non tra 15-25, è una cosa che mi intriga molto”.
 
Visto che la gravità della Luna è soltanto un sesto di quella della Terra, riduce drasticamente i requisiti necessari riguardo ai nastri in nanotubi di carboni. un materiale già esistente oggi, un polimero sintetico chiamato Zylonpolyp-phenylene-2.6-benzobiosoxazole che ha una resistenza molto alta ed un eccellente stabilità termica, potrebbe essere usato già da ora.
Inoltre, i componenti per costruire un ascensore che sarebbero mandati sulla Luna sarebbero tutti relativamente leggeri, quindi un piccolo razzo potrebbe anche bastare.
“I requisiti fisici dell’impianto potrebbero essere mandati anche con un razzo standard Atlas o Delta” ha spiegato Laine. “E' davvero un notevole risparmio non dover costruire qualcosa come un Saturn V”.

Se da una parte Laine ha dichiarato che potrebbe essere costruito in 5-7 anni di tempo, non voleva che si pensasse che la costruzione in cosi poco tempo fosse possibile senza alcune condizioni e problemi.
La sfida maggiore sarà quella di riuscire a mettere le mani su almeno 6 metri cubici di Zylon.
Inoltre, ci sono tanti punti non chiari nei piani per la costruzione.
“Come dicevo riguardo al ascensore spaziale, non abbiamo neanche tutte le domande ancora, figuriamoci le risposte” ha detto Laine. "...e questo vale ancor di più nel caso dell’ascensore lunare”.

Un altro ostacolo sono i soldi. Ma un ascensore lunare potrebbe in realtà essere ben meno caro da costruire, inizialmente, di un ascensore terrestre per lo spazio.


Un ascensore spaziale terrestre è essenzialmente un lungo cavo, forse 100.000 km, che è ancorato alla Terra da una parte e controbilanciato da un peso dall’altra parte (da un satellite per esempio) in orbita geosincrona. La forza di gravità e l’accelerazione centripeta mantengono il cavo in posizione mentre un piccolo ascensore può muoversi lungo il cavo ad una fazione dell’energia e della spesa necessaria per lanciarlo in orbita con le attuali tecniche. Una volta che un ascensore è stato costruito, usarlo per mandare qualcosa in orbita costerebbe solo qualche centinaio di dollari al kg, contro gli attuali 7000$ per pound che servono per lanciare un satellite o lo space shuttle.

Un ascensore lunare userebbe un cavo da almeno 50.000 km steso nel punto L1 LaGrange tra la Terra e la Luna, da un punto di ancoraggio vicino al centro della parte visibile dalla Terra, della Luna. Un piccolo razzo come Atlas o Delta potrebbe mandare componenti al punto L1, dopo di che il cavo di Zylong sarebbe disteso da quel punto verso la Luna e verso la Terra.

“Si userebbe il hardware di Atlar come del contrappeso” ha spiegato Laine.
“Ma questo sarebbe un contrappeso molto piccolo, il che significa che il cargo che si sposterà su è giù dalla luna dev’essere molto piccolo. Non è come nel caso di un ascensore terrestre che si potrebbero spostare 100 tonnellate a settimana nello spazio. Questo invece sarebbe un sistema più piccolo,capace di trasportare circa 200,250 kg"



Ma per mettere le cose in prospettiva, Laine ha aggiungo che, per esempio, l’intero sistema di ritorno di campioni , della sonda giapponese Hayabusa, che è tornata da poco dall’incontro con l’asteroide Itokawa, pesava soltanto 20 kg.

Ed è proprio questo che ha Laine in mente per il primo ascensore lunare: ritorno di campioni.
“Sarebbe una missione per ottenere campioni lunari, da effettuare entro i prossimi 5-7 anni, per quello che pensiamo essere un prezzo molto ragionevole”.
Una volta che il cavo iniziale è montato e funzionante, Laine ha aggiungo che si potrebbero mandare anche altri cavi per rinforzarlo, usando gli stessi concept sviluppati per l’ascensore terrestre, come stadi multipli per la costruzione e cavi aggiuntivi.
Ovviamente, niente di questo, inclusi i soldi, sarà facile da ottenere. Anche se il cavo iniziale avrebbe un costo molto minore di quello per un ascensore terrestre, la costruzione aggiuntiva per un ascensore lunare sarebbe comunque costoso, e richiederebbe più tempo comparato alla costruzione di uno terrestre.
“Una volta che la prima striscia è stata fissata per l’ascensore terrestre, si inizierà a lavorare dal basso verso l’alto, mentre nel caso di un ascensore lunare,bisognerà mandare tutto dalla Terra. Quindi il costo aumenta. Non abbiamo una stima completa sul prezzo, tuttavia non stiamo parlando di miliardi e miliardi di dollari, forse di centinaia di milioni, ma non di miliardi".

Laine ha comunque ammesso di avere una sua visione ed un preciso piano.
“La mia non è una visione fatta di bandiera ed impronte, ma va al cuore di quello che il nuovo budget della NASA ha proposto, ed al suo intento di focalizzarsi sullo sviluppo di infrastrutture e tecnologie che siano in grado di essere subito messe al lavoro. Ed è proprio questo che cercheremmo di fare,sviluppando i nastri necessari. Abbiamo anche giocato un po con l’idea di costruire on piccolo laboratorio di ricerca come contrappeso, qualcosa come un Bigelow(anche se Laine ci ha tenuto a sottolineare che non ha ancora parlato con nessuno di Bigelow di questo). Se potessimo poi legare un paio di moduli insieme, questo ci permetterebbe di aver un ottimo contrappeso, cosa che ci metterebbe in una posizione molto interessante. Alcune persone non pensano che andare sulla Luna valga la pena se il nostro obbiettivo è arrivare su Marte, ma molte persone pensano anche, che avere un deposito di combustibile abbia senso. Sarebbe ottimo avere un deposito di carburante per i viaggi e le missioni più lunghe. Nel caso dell’ascensore terrestre, il contrappeso è essenzialmente un peso morto. Nel caso dell’ascensore lunare invece diventa un ambiente in cui lavorare. E cosi, le persone possono andare nei moduli intorno alla Luna,o andare sulla Luna stessa usando l’ascensore, o prendere carburante da li, e andare verso Marte. E’ un grande investimento iniziale, ma una volta completato, si potrebbe avere accesso alla Luna al prezzo di un razzo Delta o Atlas. E’ un vantaggio enorme. ” ha spiegato Laine.

Laine inoltre ci ha tenuto a precisare che non vuol dare a nessuno l’impressione che lui o altri interessati a questo concept abbiano già capito tutto a riguardo.
“Abbiamo studiato questo concept abbastanza da sapere che è fattibile, interessante ed è probabile che venga costruito prima piuttosto che dopo, ed è il motivo per cui lo stiamo affrontando in maniera ancora più approfondita”. 

Cosi Laine e un gruppo di entusiasti dell’idea hanno dato vita ad una serie di laboratori e centri di studio per discutere questo concept ed affrontare alcune delle questioni più significative con chiunque sia interessato e che ha la forza-cervello e lo spirito ed entusiasmo giusto per lanciarsi in un progetto del genere.
Il primo workshop si terrà tra il 29 luglio ed il 1 agosto a Seattle,Washington.
“Sono convinto del grande potenzialità che ha il connettere con la comunità, quindi se artisti, o musicisti vogliono aggiungersi, sarebbe fantastico” ha spiegato Laine.
“Ingegneri,scienziati, progettisti di razzi sarebbero molto d’aiuto. Ma politici, persone che si occupano di marketing e relazioni pubbliche sono ugualmente importanti per risolvere le questioni intorno al progetto”.
Inoltre c’è anche la conferenza dedicata all’ascensore spaziale, che si terrà tra il 13 ed il 15 Agosto, al Microsoft Conference Center, in Redmond, Washington.

Laine ha avviato una compagnia che si occupa dell’ascensore spaziale nel 2003,chiamata LiftPort, che falli per problemi finanziari nel 2007. Cosi vede nel ascensore lunare una possibilità di rinascita per la vecchia azienda, che una volta aveva 14 ingaggiati a pieno tempo.
“Questo è un progetto di rinascita. Sto applicando moltissimo di quello che ho imparato riguardo all’ascensore terrestre per questa nuova visione. Mentre affrontare il progetto per un ascensore terrestre, era finanziato dai soldi che venivano dai miei beni immobili, e ne avevo tanti a disposizione, questa volta è diverso. Per costruire questo ascensore dovremmo guadagnarci i soldi".

“Ma sono convinto che sarebbe un infinitamente lucrativo,come progetto” ha continuato Laine. “Sulla strada faremmo scoperte che poteranno allo sviluppo di prodotti e servizi che non sono collegati con l’andare sulla Luna. Pensiamo che ci sia un solido valore aggiunto come parte di questo progetto".

A cura di Adrian 

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