mercoledì 31 agosto 2011

Scoperto Il "Pianeta Diamante"




Un tempo stella massiccia, si è trasformata in un piccolo pianeta di diamante: questo è ciò che gli astronomi pensano di aver trovato nella nostra Via Lattea.

La scoperta, riportata su Science, è stata fatta da un team di ricerca internazionale guidato dal professor Matthew Bailes, Pro Rettore (Ricerca) presso la Swinburne University of Technology di Melbourne e leader di un nuovo grande campo di ricerca astronomica: 'Universo Dinamico' presso il Centro di Eccellenza per la ARC All-sky Astrofisica (CAASTRO).

I ricercatori, provenienti da: Australia, Germania, Italia, Regno Unito e Stati Uniti, in primo luogo hanno rilevato una stella pulsar insolita con il CSIRO Parkes Radio telescopio e hanno seguito la loro scoperta con il radiotelescopio Lovell nel Regno Unito e uno dei telescopi Keck alle Hawaii.

Le pulsar sono stelle di piccole dinensioni, circa 20 km di diametro, come le dimensioni di una piccola città, che emettono un fascio di onde radio.
Mentre la stella ruota, il fascio radio viene emesso ripetutamente sulla Terra che i radiotelescopi individuano in uno schema regolare di impulsi radio.

Per individuare la pulsar, nota come PSR J1719-1438, gli astronomi hanno notato che i tempi di arrivo degli impulsi sono stati sistematicamente modulati. Hanno concluso che questo era dovuto all'attrazione gravitazionale di un piccolo pianeta compagno, in orbita attorno alla pulsar in un sistema binario.

La pulsar e il suo pianeta fanno parte del piano della Via Lattea di stelle e si trovano a 4.000 anni luce di distanza nella costellazione del Serpente (Serpente). Il sistema è posto a circa un ottavo dal Centro Galattico dalla Terra.
Le modulazioni degli impulsi radio dicono molte cose sul pianeta.
In primo luogo orbita intorno alla pulsar in sole due ore e dieci minuti e la distanza tra i due oggetti è di 600.000 km, un pó meno del raggio del nostro Sole.
In secondo luogo, il compagno deve essere piccolo, meno di 60.000 km (che è circa cinque volte il diametro della Terra). Il pianeta è così vicino alla pulsar che, se fosse ancor più grande, sarebbe fatto a pezzi dalla forza di gravità della pulsar.
Ma nonostante le sue ridotte dimensioni, il pianeta ha una massa poco più grande di quella di Giove.
"Questa alta densità del pianeta fornisce un indizio per la sua origine", ha detto il professor Bailes.

Il team di scienziati pensa che il 'pianeta diamante' è tutto ciò che rimane di una stella che era molto massiccia, in cui la maggior parte della sua materia è stata dirottata verso la pulsar.

La pulsar J1719-1438 ha rotazione molto veloce e pertanto che viene chiamata "pulsar millisecondo". Sorprendentemente, ruota più di 10.000 volte al minuto, ha una massa di circa 1,4 volte quella del nostro Sole, ma è solo 20 km di diametro.
Circa il 70 per cento delle pulsar millisecondo hanno compagni di qualche tipo. Gli astronomi pensano che sia il compagno a trasformare una vecchia pulsar in pulsar millisecondo, trasferendo la materia e lo spinning fino ad una velocità molto elevata.

Il risultato è una pulsar super roteante con un compagno rimpicciolito, che il più delle volte è una cosiddetta nana bianca.
"Sappiamo di alcuni sistemi del genere, hanno stelle compagne chiamate bibarie ultra-compatte a raggi X, che sono suscettibili di essere in continua evoluzione in base a questo scenario e probabilmente rappresentano i progenitori di una pulsar come J1719-1438", ha detto un membro del team Dr Andrea Possenti, direttore dell'INAF-Osservatorio Astronomico di Cagliari in Italia.

Ma la pulsar J1719-1438 e la sua compagna sono così vicini che il compagno non può che essere nana bianca che ha perso i suoi strati esterni e oltre il 99,9 per cento della sua massa originaria.

"Questo resto è probabile che sia in gran parte di carbonio e ossigeno, perché una stella fatta di elementi più leggeri come l'idrogeno e l'elio sarebbe troppo grande per i tempi misurati in orbita", ha detto il dottor Michael Keith (CSIRO), uno dei membri del team di ricerca.
La densità significa che questo materiale è certamente cristallino: vale a dire che gran parte della stella potrebbe essere simile a un diamante.

"Il destino finale della binaria è determinata dalla massa e dal periodo orbitale della stella del donatore al momento del trasferimento di massa. La rara di pulsar millisecondo con il pianeta compagni significa che la produzione di tali 'pianeti esotici' è l'eccezione piuttosto che la regola, e richiede circostanze particolari ", ha detto il dottor Benjamin Stappers presso l'Università di Manchester.

Il team ha scoperto la pulsar J1719-1438 tra quasi 200.000 GB di dati utilizzando i codici speciali al supercomputer della Swinburne University of Technology, l'Università di Manchester, e dell'INAF-Osservatorio Astronomico di Cagliari ..
La scoperta è stata fatta durante una ricerca sistematica di pulsar sopra il cielo che coinvolge anche il radiotelescopio di 100 metri di Effelsberg del Max-Planck-Institut per la radioastronomia (MPIfR) in Germania.

"Questo è il sondaggio più grande e più sensibile di questo tipo mai condotto. Ci aspettavamo di trovare cose interessanti, ed è bello vedere che ció è realmente accaduto. Vi sono grosse speranze per l'avvenire!" ha detto il professor Michael Kramer, direttore del MPIfR.

Il Prof. Matteo Bailes è membro del Centro di Astrofisica e Supercalcolo a Swinburne che ospita l'unica risorse per elaborare i flussi di dati generati dai telescopi e dalle simulazioni.

Traduzione a cura di Arthur McPaul

Foto in alto: rappresentazione artistica del sistema binario della pulsar J1719-1438 (Credit: Swinburne Astronomy Productions)

Fonte:
http://www.sciencedaily.com/releases/2011/08/110825141632.htm

sabato 27 agosto 2011

WISE Scopre Nana Bruna Di Classe Y




Gli scienziati della NASA hanno utilizzando i dati del Grandangolar Infrared Survey Explorer di WISE, scoprendo la più fredda classe di corpi simili a stelle, con temperature fresche come il corpo umano.

Gli astronomi hanno cercato questi globi oscuri, definiti "nane brune Y", per oltre un decennio senza successo. Se cercate al telescopio nella luce visibile, sono quasi impossibili da vedere.
Ma grazie alla visione ad infrarossi di WISE è stato finalmente possibile individuare il debole bagliore di sei nane Y, relativamente vicine al nostro Sole, entro una distanza di circa 40 anni luce.

"WISE ha scansionato l'intero cielo per scoprire questi e altri oggetti, ed è stato in grado di individuare la loro debole luce, con la sua visione molto sensibile ai raggi infrarossi", ha detto Jon Morse, direttore della divisione di Astrofisica presso il quartier generale della NASA a Washington. "Sono 5.000 volte più luminose alle lunghezze d'onda infrarosse utilizzate da WISE rispetto a come sarebbero osservabili da terra".

Le Y sono i più freddi membri della famiglia delle nane brune. Le nane brune sono a volte indicate come stelle "fallite". Esse sono troppo basse in massa per fondere gli atomi nel loro nucleo, e quindi non bruciano come le stelle ma restano oggetti freschi che tendono a scomparire nel tempo, emettendo solo una fioca luce alle lunghezze d'onda infrarosse.

Gli astronomi studiano le nane brune per capire meglio come si formano le stelle e per capire le atmosfere di pianeti oltre il nostro Sistema Solare. Le atmosfere delle nane brune sono simili a quelli dei pianeti giganti come Giove, ma sono più facili da osservare perché sono sole nello spazio, lontano dalla luce accecante di una stella.

Fino ad oggi, i dati provenienti da WISE hanno rivelato la presenza di circa 100 nane brune e tante sorprese sono attese per il futuro. Il telescopio ha effettuato l'indagine più avanzata del cielo alle lunghezze d'onda infrarosse mai fatta fino ad oggi, dal gennaio 2010 al febbraio 2011 per 1,5 volte.

Delle 100 nane brune, sei sono classificati come Y fresche, una nana Y, chiamato WISE 1828 2650, è il detentore del record per la più fredda nana bruna, con un una temperatura ambiente minore di circa 80 gradi Fahrenheit (25 gradi Celsius).

Kirkpatrick è autore di un articolo che appare nel Astrophysical Journal Supplement Series, descrivendo le 100 nane brune confermate. Michael Cushing è un membro del team WISE a Propulsion Laboratory della NASA di Pasadena, in California ed è autore di un documento che descrive le nane Y nell'Astrophysical Journal.

Le nane Y sono vicine al nostro Sole, dai 9 ai 40 anni luce di distanza. La nana Y a circa nove anni luce di distanza, chiamata WISE 1541-2250, può diventare il settimo sistema stellare più vicino e Ross 154 torna in ottava posizione.

In confronto, la stella più vicina al nostro Sistema Solare, Proxima Centauri, è circa quattro anni luce di distanza.
"La ricerca di nane brune vicino al nostro Sole è come scoprire c'è una casa nascosta di cui non se ne sapeva nulla", ha detto Cushing. "E' emozionante per me sapere che abbiamo vicini là fuori ancora da scoprire. Con WISE, potremmo anche trovare una nana bruna più vicino a noi rispetto alla nostra stella più vicina conosciuta".

Una volta che il team di WISE ha individuato i candidati nana bruna, si è rivolto al telescopio spaziale Spitzer della NASA per restringere la loro lista. Per la loro conferma definitiva, hanno poi utilizzato alcuni dei più potenti telescopi sulla Terra per cercare tracce molecolari di ammoniaca acqua e metano.

Per la molto più fredda nana Y, il team ha utilizzato l'Hubble Space Telescope. Le nane Y sono state identificate sulla base di un cambiamento di tali caratteristiche spettrali rispetto ad altre nane brune, che indicano che hanno una temperatura più bassa dell'atmosfera.

I telescopi terrestri utilizzati in questi studi includono il Telescope Facility della NASA a raggi infrarossi in cima al Mauna Kea, nelle Hawaii; il Caltech Palomar Observatory vicino a San Diego, il WM Keck Observatory in cima al Mauna Kea, sempre nelle Hawaii, e il telescopio Magellan a Las Campanas Observatory, in Cile.


Ulteriori informazioni sono online su http://www.nasa.gov/wise - http://wise.astro.ucla.edu e http://jpl.nasa.gov/wise.


Traduzione a cura di Arthur McPaul

Foto in alto: rappresentazione artistica di una nana bruna Y (Credit: NASA/JPL-Caltech)

Fonte:
http://www.sciencedaily.com/releases/2011/08/110824102135.htm

giovedì 25 agosto 2011

L'ultimo Sussulto Di "Biancaneve"




Gli astronomi presso l'Istituto di Tecnologia della California (Caltech) hanno scoperto che il pianeta nano 2007 OR10, soprannominato Biancaneve, è un mondo coperto di ghiaccio d'acqua che una volta scorreva da antichi vulcani e metano.

Le nuove scoperte suggeriscono che il rosso venato del pianeta nano può essere derivato da un sottile strato di metano, l'ultimo sussulto di un ambiente che lentamente si sta perdendo nello spazio.

"Quello che una volta era un mondo molto attivo con vulcani d'acqua e atmosfera, ora è un corpo congelato, morto, con un'atmosfera che è lentamente scivolata via", ci dicono Mike Brown, Richard e Barbara Rosenberg.

Biancaneve, che è stato scoperto nel 2007 come parte della tesi di dottorato di Brown, e Meg Schwamb, orbita intorno al Sole ai margini del Sistema Solare ed è grande circa la metà di Plutone, diventando così il quinto pianeta nano più grande.

A quel tempo, Brown aveva intuito in modo errato che si trattava di un corpo di ghiaccio che si era rotto da un altro pianeta nano di nome Haumea, soprannominandolo Biancaneve per il suo presunto colore bianco.

Ben presto, però, le osservazioni hanno rivelato che Biancaneve è in realtà uno dei più rossi oggetti del Sistema Solare. Pochi altri pianeti nani ai margini del Sistema Solare sono rossi. Essi fanno parte di un più ampio gruppo di corpi ghiacciati chiamati Kuiper Belt Objects (KBO). Per quanto i ricercatori hanno potuto raccontare, Biancaneve, anche se relativamente grande, era insignificante, appena uno su più di 400 pianeti nani potenziali fra le centinaia di migliaia di oggetti della KBO.
"Come in tutti i pianeti nani di questa grandezza, c'è qualcosa di interessante su di loro" ha detto Brown. "Questo ci ha frustrato per anni perché non sapevamo cosa volesse significare".

A quel tempo, la Near Infrared Camera (NIRC) presso l'Osservatorio Keck, progettato da Tom Soifer e Keith Matthews era il migliore strumento a disposizione degli astronomi per studiare la KBO.
Ma la NIRC era stata appena ritirato, in modo che nessuno potesse osservare 2007 OR10 in dettaglio.
Nel frattempo, Adamo Burgasser, uno studente, ora professore presso la UC di San Diego, stava aiutando a progettare un nuovo strumento chiamato FIRE.
Lo scorso autunno, Brown, Burgasser e Wesley Fraser hanno usato questo strumento con il 6,5 metri di Baade Magellan Telescope in Cile per dare un'occhiata più da vicino a OR10 2007.

Come previsto, Biancaneve era rosso. Ma con loro grande sorpresa, lo spettro ha rivelato che la superficie era ricoperta di ghiaccio d'acqua.
"E 'stato un grande shock," dice Brown. "Il ghiaccio d'acqua non è rosso". Anche se il ghiaccio è comune nel Sistema Solare esterno, è quasi sempre bianco.
Vi è, tuttavia, un altro pianeta nano che è sia rosso che ricoperto di ghiaccio d'acqua: Quaoar, cui Brown ha contribuito alla scoperta nel 2002.

Leggermente più piccolo di Biancaneve, Quaoar è ancora abbastanza grande da avere un'atmosfera e una superficie coperta di vulcani che hanno vomitato fango ghiacciato, poi ha congelato in forma solida mentre scorreva sulla superficie.
Ma poiché Quaoar non è grande come i pianeti nani tipo Plutone e Eris, non poteva trattenere composti volatili come il metano, il monossido di carbonio, l'azoto più a lungo. Un paio di miliardi di anni dopo che Quaoar si formó, ha cominciato a perdere la sua atmosfera nello spazio e ora, tutto ciò che rimane è il metano.

Nel corso del tempo, l'esposizione alla radiazione dallo spazio ha trasformato il metano, che consiste in un atomo di carbonio legato a quattro atomi di idrogeno, in lunghe catene di idrocarburi, che sembrano rossi. Come il ghiaccio che copre un prato in una mattina fredda, il metano irradiato siede sulla superficie ghiacciata di Quaoar, dandogli un colore rosato.

Lo spettro del 2007 OR10 è simile a Quaoar, suggerendo che ciò che è accaduto in Quaoar è successo anche per 2007 OR10. "Questa combinazione, rosso e acqua, mi suggerisce la presenza del 'metano'", spiega Brown. "Stiamo praticamente guardando l'ultimo sussulto di Biancaneve. Per quattro miliardi e mezzo di anni, Biancaneve è stato là fuori, perdendo lentamente la sua atmosfera".

Anche se lo spettro di Biancaneve mostra chiaramente la presenza di ghiaccio d'acqua, Brown dice, che le prove per la presenza di metano non sono ancora definitive. Per scoprirlo gli astronomi dovranno utilizzare un telescopio più grande di quello presso l'Osservatorio Keck.
Se si scoprisse che Biancaneve ha davvero metano, si unirà a Quaoar come uno degli unici due pianeti nani a cavallo del confine tra la manciata di oggetti abbastanza grandi da trattenere composti volatili e gli organismi più piccoli che compongono la stragrande maggioranza dei corpi della KBO.

"Un altro compito" ci dice Brown, "E'di dare al pianeta nano un nome ufficiale, dal momento che "Biancaneve" era solo un soprannome che erroneamente hanno utilizzato.
Infatti, il moniker non ha più senso per descrivere questo oggetto molto rosso. Prima della scoperta di acqua ghiacciata e la possibilità di metano, "2007 OR10" sarebbe bastato per la comunità astronomica, dal momento che non sembrava abbastanza degno di nota abbastanza da giustificarne un nome ufficiale. "Non sapevamo che Biancaneve fosse così interessante", dice Brown. "Ora sappiamo che ne vale la pena studiare."

"A questo punto, suggerirei di chiamarlo Cappuccetto Rosso", mi viene spontaneo commentare (ndMcPaul)

Traduzione a cura di Arthur McPaul

Foto in alto: rappresentazione artistica di 2007 OR10 (credit: NASA)

Fonte: http://www.sciencedaily.com/releases/2011/08/110822124955.htm


martedì 23 agosto 2011

Apparsa Freccia Su Titano




Su Titano, la grande luna di Saturno, è apparsa una formazione delle dimensioni del Texas sulla sua superficie dalla strana forma di freccia.

Un gruppo di ricercatori guidato da Jonathan L. Mitchell dell'UCLA, assistente professore di Scienze della Terra e dello Spazio e delle Scienze Atmosferiche e Oceaniche, ha risposto a questa domanda utilizzando un modello di circolazione globale di Titano per dimostrare come su scala planetaria le onde atmosferiche influiscono sulle sue condizioni meteorologiche, portando ad un effetto "stencil" che si traduce in forti e talvolta sorprendenti formazioni nuvolose.

"Queste onde atmosferiche sono un pó come le naturali vibrazioni di risonanza di un bicchiere di vino", ha detto Mitchell. "Le nuvole individuali potrebbero 'suonare il campanello,' per così dire, e una volta che il suono inizia, esse devono rispondere a quella vibrazione".

Le nuvole di questo tipo, a forma di freccia, che risultano dalle onde atmosferiche possono causare precipitazioni intense, fino a più di 20 volte rispetto alle precipitazioni medie stagionali e potrebbero essere fondamentali nel plasmare la superficie di Titano dall'erosione.

La ricerca è stata pubblicata il 14 agosto nell'edizione online della rivista Nature Geoscience e sarà pubblicata in una prossima edizione in stampa.

Mitchell e collega hanno descritto il clima di Titano come "completamente tropicale", in quanto l'intero pianeta presenta fenomeni meteorologici che sulla Terra sono limitati alla regione equatoriale.

"I nostri nuovi risultati dimostrano la potenza di questa analogia, non solo per le caratteristiche generali del clima di Titano, ma anche per le tempeste individuali", ha detto Mitchell. "Nel lavoro futuro, abbiamo in programma di estendere la nostra analisi alle altre osservazioni su Titano e fare previsioni su come le nuvole potrebbero essere osservate durante la prossima stagione.
"Titano è il suo clima tropicale ci dà l'opportunità di studiare tale clima tropicale in un ambiente più semplice che sulla Terra", ha aggiunto. "La nostra speranza è che questo potrà aiutarci a comprendere meglio anche il clima della Terra".

La Sonda Cassini della NASA è in orbita attorno a Saturno dalla fine del 2004 e ha rivoluzionato la nostra comprensione di Titano, che è più grande di volume rispetto al pianeta Mercurio e la seconda più grande luna del sistema solare dopo Ganimede di Giove. Titano, ricordiamo che ha una spessa atmosfera di azoto e pioggie fatte di gas metano naturale.

"Titano è come uno strano fratello della Terra, l'unico altro corpo roccioso del Sistema Solare che ha fenomeni piovosi, ha detto Mitchell.
"Titano è un mondo alieno, ma stranamente non è così diverso dalla Terra. Come la Terra, il componente principale della sua atmosfera è l'azoto molecolare. L'acqua, è abbondante su Titano, anche se congelata nella crosta a temperature molto basse. Il metano è termodinamicamente attivo nella bassa atmosfera, e proprio come il vapore acqueo sulla Terra, forma le nuvole, precipitazioni e viene rifornito da fonti di superficie", ha detto Mitchell.

Il deflusso atmosferico crea allora sulla superficie fredda quello che sembrano essere dei fiumi.
Gli scienziati ritengono che anche sulla Terra, poco dopo che si formò un clima primordiale, presentava grandi quantità di metano e pochissimo ossigeno.
Il metano ha fornito un importante effetto serra per il riscaldamento che impedì di rimanere perennemente in uno stato congelato, a causa dalla luce debole dal Sole molto giovane", ha detto Mitchell.
"Pertanto, attraverso lo studio del clima moderno di Titano, potremo acquisire nuove conoscenze sul modo in cui era il clima primprdiale della Terra", ha detto Mitchell.
Lui e il suo gruppo di ricerca hanno sviluppato un modello atmosferico per studiare il clima e le nubi di Titano.

I co-autori della ricerca su Nature Geoscience sono Ádámkovics Máté, uno scienziato del progetto con UC Berkeley Dipartimento di Astronomia, Rodrigo Caballero, professore di meteorologia in Svezia per la Stockholm University e Elisabetta P. Turtle, un ricercatore di laboratorio alla Johns Hopkins University Applied Physics.

Traduzione a cura di Arthur McPaul

Fonte: http://www.sciencedaily.com/releases/2011/08/110815194403.htm



martedì 16 agosto 2011

Scoperto Il Pianeta Oscuro




Gli astronomi hanno scoperto il pianeta extrasolare più buio in assoluto, delle dimensioni di Giove e chiamato TrES-2b.

Le loro misurazioni mostrano che TrES-2b riflette meno dell'uno per cento della luce stellare che cade su di esso, rendendolo più nero del carbone o di qualsiasi altro pianeta o luna nel nostro Sistema Solare.
Il nuovo lavoro appare in una carta nelle Comunicazioni rivista mensile della Royal Astronomical Society.

"TrES-2b è molto meno riflettente del nero acrilico, quindi è veramente un mondo alieno" ha detto l'astronomo e l'autore David Kipping del Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics (CfA).

Nel nostro Sistema Solare, Giove è avvolto in nubi luminose di ammoniaca che riflettono più di un terzo della luce solare. Al contrario, TrES-2b (che è stato scoperto nel 2006 dal Trans-Atlantic Survey Exoplanet, o TrES) manca di nuvole riflettenti a causa della sua alta temperatura.

TrES-2b orbita intorno alla sua stella a una distanza di soli cinque milioni di chilometri. L'intensa luce della stella, riscalda TrES-2b ad una temperatura di oltre 1000 gradi Celsius (troppo caldo per le nuvole di ammoniaca). Invece, la sua atmosfera esotica contiene prodotti chimici che assorbono la luce come il sodio e il potassio vaporizzato e l'ossido di titanio. Eppure nessuna di queste sostanze chimiche puó spiegare completamente l'oscurità estrema di TrES-2b.
"Non è chiaro quello che ha la responsabilità di rendere questo pianeta così straordinariamente oscuro", ha dichiarato il co-autore David Spiegel dell'Università di Princeton.
"Tuttavia, non è completamente nero come la pece. E' così caldo che emette un debole bagliore rosso, molto simile ad un tizzone ardente o alle bobine su un fornello elettrico."
Kipping e Spiegel ha determinato la riflettività di TrES-2b utilizzando i dati della sonda Keplero della NASA.

Keplero è progettato per misurare la luminosità delle stelle lontane con estrema precisione.
Il team ha monitorato la luminosità del TrES-2 del sistema quando il pianeta orbitava attorno alla sua stella.
Hanno rilevato un oscuramento sottile di luminosità grazie alla fase di cambiamento del pianeta.
TrES-2b si crede che sia in rotazione sincrona come la nostra Luna, in modo da mostrare solo un lato alla stella. E come la nostra Luna, il pianeta mostra fasi di cambiamento, facendo sì che la luminosità totale della stella più il pianeta varino leggermente.

"Unendo la precisione impressionante di Keplero con le osservazioni di oltre 50 orbite, abbiamo rilevato la più piccola in assoluto variazione di luminosità di un pianeta extrasolare: soli 6 parti per milione", ha detto Kipping. "In altre parole, Keplero è stato in grado di rilevare direttamente la luce visibile proveniente dal pianeta stesso".
Le fluttuazioni estremamente piccole hanno dimostrato che TrES-2b è incredibilmente oscuro. Un mondo più riflessivo avrebbe mostrato variazioni di luminosità più grandi, mentre cambia la sua fase.

Keplero ha individuato più di 1.200 candidati planetario nel suo campo visivo. Ulteriori analisi riveleranno se eventuali altri pianeti insolitamente scuri si nascondono in tali dati.

TrES-2b orbita intorno alla stella GSC 03549-02811, che si trova a circa 750 anni luce di distanza in direzione della costellazione del Dragone. (Un anno luce è circa 10 milioni di milioni di chilometri).


Adattamento a cura di Arthur McPaul

Fonte: http://www.sciencedaily.com/releases/2011/08/110811105115.htm


mercoledì 10 agosto 2011

La Terra Aveva Due Lune?





La regione montuosa sul lato nascoato della luna, nota come "The Dark Side Of The Moon", (il lato oscuro della Luna), potrebbe essere il resto solido di una collisione con un'altra luna compagna più piccola, secondo quanto sostiene un nuovo studio condotto dagli scienziati planetari della University of California a Santa Cruz.

Le notevoli differenze tra il lato vicino e lontano della Luna sono sempre state un enigma irrisolto. Il lato a noi visibile è relativamente basso e piatto, mentre la topografia della faccia esterna è alta e montuosa, con una crosta più spessa.
Il nuovo studio, pubblicato sul numero del 4 agosto di Nature, si basa sul modello del "grande impatto" che ha originato la Luna, in cui un oggetto delle dimensioni di Marte (Theia) entró in collisione con la Terra nella storia antica del Sistema Solare, per poi espellere detriti che si fusero sotto l'azione della forza di gravità, per formare la Luna. Lo studio suggerisce che questo gigantesco impatto creó anche un altro, più piccolo corpo, che inizialmente condivideva un'orbita con la luna e che alla fine ripiegò su di essa nel lato nascosto rivestitendolo con uno strato supplementare di crosta solida alto fino a decine di chilometri.

"Il nostro modello funziona bene con i modelli della Luna che la vogliono formatasi grazie ad un impatto gigante e che prevede l'esistenza di massicci detriti lasciati in orbita intorno alla Terra.
Esso è anche in accordo con ciò che è noto circa la stabilità dinamica di un tale sistema, i tempi di raffreddamento della luna e le età delle rocce lunari", ha detto Erik Asphaug, docente di scienze della Terra e planetarie presso la UC di Santa Cruz.
Asphaug, che è coautore della carta per la UCSC e il ricercatore postdottorato Martin Jutzi, che hanno fatto simulazioni al computer della Luna formatasi dopo un impatto gigante.
Una seconda Luna compagna, è un risultato comune in tali simulazioni.

Nel nuovo studio, lui e Jutzi hanno utilizzato simulazioni al computer di un impatto tra la luna e un compagno più piccolo (circa un trentesimo della massa della Luna) per studiare la dinamica della collisione e seguire l'evoluzione e la distribuzione di materiale lunare nella sua conseguenze. In una tale collisione a bassa velocità, l'impatto non ha formato un cratere e non ha causato la fusione. Invece, la maggior parte del materiale in collisione è stato accumulato sull'emisfero colpito come uno spesso strato di nuova crosta solida, formando una regione montuosa paragonabile per estensione alla faccia esterna degli altopiani lunari.

"Naturalmente, i modelli dell'impatto che cercano di spiegare tutto con la collisioni, richiedeno una collisione strana:. Movimento in caduta lenta, che non ha formato un cratere, ma ha distribuito il materiale su un lato", ha detto Asphaug. "E' un qualcosa di nuovo a cui pensare."
Lui e Jutzi ipotizzano che la luna compagna era inizialmente intrappolata in uno dei punti gravitazionalmente stabili "punti di Troia" e condivideva l'orbita della Luna, per diventato destabilizzarsi dopo che l'orbita della luna si era estesa lontano dalla Terra.
"La collisione sarebbe potuto accadere in qualsiasi punto della luna", ha detto Jutzi. "Il corpo finale era sbilenco e si èri-orientato sul lato si affaccia sulla Terra."
Il modello può anche spiegare le variazioni nella composizione della crosta lunare, che è dominata sul lato vicino da un terreno relativamente ricco di potassio, elementi delle terre rare e fosforo (KREEP). Questi elementi, così come il torio e l'uranio, si ritiene che siano stati concentrati in un oceano di magma che è rimasto come roccia fusa solidificatasi sotto la crosta ispessita della luna.

Altri modelli sono stati proposti per spiegare la formazione degli altipiani, tra cui uno pubblicato l'anno scorso su Science da Jutzi e Asphaug e i colleghi all'Università di Santa Cruz, Ian Garrick-Bethell e Francis Nimmo. La loro analisi suggeriscono che siano state le forze di marea piuttosto che un impatto q modellare lo spessore della crosta lunare.

"Il fatto che il lato vicino della luna sembra così diverso dalla parte opposta è un enigma che esiste fin dagli albori dell'era spaziale, forse seconda solo all'origine della Luna stessa", ha detto Nimmo, professore di Scienze della Terra e Planetarie. "Uno degli aspetti eleganti dell'articolo di Erik è che unisce questi due puzzle insieme: forse la collisione gigante che ha formato la Luna ha anche scheggiato fuori alcuni corpi più piccoli, uno dei quali poi ricadde sulla Luna per provocare la dicotomia che vediamo oggi".

Per ora, ha detto, non ci sono dati sufficienti per dire quale dei modelli alternativi offre la migliore spiegazione per la dicotomia lunare. "Quando saranno ottenuti ulteriori dati spaziali e si spera, campioni lunari, diverrà chiaro quale di queste due ipotesi è più attendibile", ha detto Nimmo.

Il nuovo studio è stato sostenuto dalla geologia planetaria della NASA e del programma di Geofisica. Le simulazioni sono state eseguite sul NSF sponsorizzato dalla UC di Santa Cruz.

Traduzione a cura di Arthur McPaul

Fonte: http://www.sciencedaily.com/releases/2011/08/110803133519.htm

lunedì 8 agosto 2011

Le Civiltà Mesopotamiche, Zecharia Sitchin E Nibiru Intervista Esclusiva Al Prof. Verderame




Eclisseforum.it ha intervistato in esclusiva il Professor Lorenzo Verderame, ricercatore e docente di Assiriologia presso l’università La Sapienza di Roma, di cui riportiamo la biografia alla fine dell’articolo.
Gli argomenti trattati e le domande poste, riguardano le civiltà mesopotamiche in generale, la figura del controverso scrittore Zecharia Sitchin, il famoso pianeta Nibiru e altre curiosità sulle lingue e le culture mesopotamiche.
Ringraziamo il Prof. Verderame per la cortesia e la disponibilità che ci ha dimostrato, nonchè per lo straordinario contributo che ci ha offerto, concedendoci quest’intervista.
L’articolo è il frutto del lavoro di squadra di staff e utenti del nostro forum, è rappresenta uno dei primi tasselli di un più ampio progetto di divulgazione che continuerà nei prossimi mesi, affrontando molti temi controversi nei loro molteplici aspetti, come parte del grande progetto di ConoScienza condivisa per cui è nato questo portale.
A cura di "Il Padre della Menzogna".


Una necessaria premessa. Alcune delle domande da voi poste, in particolare le prime, non possono trovare una risposta esauriente in questo breve spazio. Esse toccano problemi più ampi e generali, come il concetto di “civiltà” e “progresso”. Per necessità dunque risponderò brevemente ricorrendo in molti casi a generalizzazioni e semplificazioni.
In questa rassegna non vorrei risultare in alcun modo offensivo nei confronti dei lettori appassionati di un tipo di letteratura che, tuttavia, non può considerarsi in alcun modo scientifico.Anch’io sono cresciuto nutrito dai volumi di Peter Kolosimo che mio padre comprava e ho conservato un certo affetto verso questo genere. Rispondendo alle vostre domande mi si chiede, tuttavia, un parere in quanto ricercatore di lingue antiche e come tale ho proceduto. Per non tediarvi e non apparire pomposo, ho evitato di infarcire il testo con lunghe citazioni, ma ho riportato al termine una bibliografia scientifica attendibile, reperibile, in alcuni casi anche online.

1.Professore, sappiamo che ci sono difficoltà nel tradurre le scritture di civiltà scomparse, distanti nel tempo e nello spazio dalla nostra. Come si opera nel campo per comprendere ciò che è scritto in un’altra lingua e attraverso quali strumenti potete poi assegnare, in maniera oggettiva ed univoca, ad un simbolo/parola il giusto significato? Attraverso quale processo si svolge la “certificazione” di una traduzione affinché risulti attendibile?

La riscoperta di antiche culture e la decifrazione delle stesse procede per quelle che, partendo dal celebre caso del geroglifico egiziano, si chiamano “stele di Rosetta”, ovvero documenti il cui testo, invariato nei suoi tratti principali, è reso in due lingue o scritture differenti. Conoscendo una delle due lingue si può procedere alla decifrazione dell’altra. Si tratta, in parole povere, di una chiave di decrittazione e in tal senso operarono i primi decifratori del cuneiforme che, non conoscendo né la scrittura, né la lingua espressa, procedettero praticamente faticosamente alla cieca.
Nel 1857 si svolse a Londra il famoso esperimento che ratificò ufficialmente la decifrazione del cuneiforme: la Royal Asiatic Society fornì in busta chiusa un testo cuneiforme a quattro esperti (Hincks, Rawlinson, Oppert, Fox Talbot), le cui traduzioni indipendenti, ma corrispondenti nei tratti principali, dimostrarono che le conoscenze sino allora raggiunte e i metodi e strumenti creati permettevano una decifrazione corretta. Quindi una interpretazione non “soggettiva” e personale, ma “oggettivamente” provata a prescindere dal singolo studioso.
Ai giorni nostri ogni “certificazione” di una traduzione o di una lettura di un segno, etc. procede allo stesso modo, ovvero mediante il confronto, la critica e il riconoscimento della comunità scientifica.
Il processo di comprensione del sumerico e dell’accadico, tuttavia, ha proceduto lentamente. Non è stata un’impresa che un solo uomo o una sola generazione ha portato a compimento. Essa è il frutto della somma degli studi precedenti, compresi gli errori e i vicoli ciechi. A questo si aggiunga la casualità dei ritrovamenti archeologici e la difficile situazione politica del Vicino Oriente nell’ultimo mezzo secolo.

2. Come definirebbe il grado di civiltà e il livello tecnologico delle popolazioni mesopotamiche (Sumeri, Assiri, Babilonesi)?

È difficile rispondere a questa domanda che comporta spesso una certa relazione tra civilizzazione = progresso = tecnologia. È importante puntualizzare, per i meno esperti, che la Mesopotamia è una piana alluvionale praticamente priva di qualsiasi materia prima, se si eccettua l’argilla e la canna (e il petrolio per i tempi moderni) e con queste gli abitanti dell’alluvio mesopotamico hanno creato praticamente tutto: dagli strumenti per scrivere (tavoletta d’argilla e calamo fatto di canna) alle grandi costruzioni, come li Ziqqurat in mattoni d’argilla. Contrariamente all’Egitto la cui abbondanza di pietra, in particolare granito, ha permesso di creare monumenti imperituri che si considerano ancora oggi tra le più grandi meraviglie del passato, poco rimane delle antiche costruzioni mesopotamiche. Anche il legname era una materia prima preziosa, raramente usata in costruzioni, figurarsi se lo si poteva utilizzare come combustibile per cuocere i mattoni. Questi dunque, come avviene ancora ai giorni nostri, erano seccati al sole.
La forza delle civiltà sta sicuramente nella cooperazione/cooptazione delle grandi masse per grandi opere idrauliche (canali, dighe, etc.). Infatti il suolo della bassa Mesopotamia, paludoso, se lavorato è molto fertile, ma c’è bisogno appunto della collaborazione di tutti. È da questa necessità di controllo delle masse che sono nate le città e gli stati, la burocrazia e la scrittura, il controllo politico e teologico.
L’assenza di materie prime spinse gli abitanti della Mesopotamia sempre alla ricerca di soluzioni sostitutive, sviluppando quindi una tecnologia basata principalmente sulle poche risorse disponibili. Un esempio, solo per rendere l’idea dell’inventiva e delle risorse mesopotamiche: l’apprezzatissimo e raro lapislazuli, originario di una regione dell’Afghanistan, fu in parte sostituito da una “pietra” artificiale, costituita da sabbia e argilla.

3.Quali erano le conoscenze in campo astronomico dei Sumeri delle altre civiltà mesopotamiche di quel periodo? Conoscevano i pianeti? Avevano maturato una cosmogonia?

Le conoscenze astronomiche mesopotamiche sono strettamente legate alla ragioneria e al computo. La dea sumera Nisaba, letta anche Nidaba, è la dea dei cereali e patrona del computo, strettamente legato all’immagazzinamento, e, indirettamente delle conoscenze astronomiche. Di lei si dice che misura il cielo e la terra, e “conta i giorni”. La relazione di Nisaba con le stelle è evidente dal nome del suo tempio, “casa/tempio delle stelle” (e-mulmul) e da uno dei suoi principali attributi, la tavoletta di lapislazzuli definita “tavoletta delle stelle del cielo (puro)” (dub-mul-an(-ku)). Nonostante i vari riferimenti agli astri e altri elementi che suggeriscono una conoscenza profonda delle cose celesti da parte dei Sumeri del III mill., oco sappiamo delle loro conoscenze astrologiche e astronomiche. Di fatto nei successivi periodi si continueranno ad usare i nomi sumeri dei corpi celesti.
All’inizio del II mill. A.C. assistiamo ad una diffusione della letteratura in lingua accadica e ad un ampiamento dei generi letterari documentati, compresi i testi relativi ai movimenti celesti. Risale al XVIII sec. A.C. l’osservazione del ciclo di Venere registrata su di una tavoletta del periodo del re Ammi-ṣaduqa, uno dei successori di Hammurabi di Babilonia. Si tratta di un importante documento che permette di ancorare alla datazione astronomica la cronologia storica dell’antico Oriente. Nei secoli successivi compariranno importanti composizioni “astronomiche”, come il MUL.APIN, che registrano conoscenze dei moti celesti maturate nei secoli precedenti.
Per evitare lunghe e pedanti discussioni, possiamo dire che i testi del periodo “classico” (metà del II mill.) documentano una conoscenza approfondita dei pianeti e del loro ciclo oltre alle costellazioni, i confini delle quali e anche alcuni loro nomi coincidono con quelle greche. Molte di queste conoscenze, quali lo zodiaco e il calcolo sessagesimale (per es. la misurazione del tempo) e dell’arco, sono giunte immutate sino ai nostri giorni.
Tali conoscenze sono il frutto di un’osservazione costante: ogni giorno gli scribi mesopotamici osservavano e registravano i movimenti astrali; tali registrazioni erano conservate anche per secoli e lo studio dei loro dati aveva permesso di scoprire i movimenti dei pianeti e altri fenomeni, quali il ciclo del Saros.
Anche la matematica era molto sviluppata: in una civiltà fondata sull’estrema burocratizzazione e controllo di entrate ed uscite, si svilupparono presto calcoli complessi, come quello forfettario, e la geometria per la progettazione per esempio di opere idrauliche.
Risalgono all’inizio del II mill. una serie di tavolette con la rappresentazione di alcuni teoremi, tra cui quello di Pitagora!
Per quanto riguarda la cosmogonia, se intendiamo questo termine in senso moderno, la risposta è sicuramente negativa. Sumeri e Accadi avevano diverse idee della creazione del mondo, conservateci nei testi letterari e mitologici, tra cui anche la volta celeste e il ciclo dei pianeti. Nel noto passo della Tavola V dell’Enūma eliš, il poema della creazione babilonese, il dio Marduk
«Fece apparire le stazioni dei grandi dèi
e stabilì le “immagini” delle stelle, le costellazioni,
definì l’anno, del quale tracciò il quadro
e stabilì tre stelle per ogni mese.
Quando ebbe tracciato il “disegno” dell’anno,
fissò la stazione di Nebiru, per far conoscere le loro (delle stelle) relazioni
e in modo che nessuna di esse sbagliasse il suo percorso,
stabilì i sentieri di Enlil ed Ea».

4.Veniamo a Zecharia Sitchin. Come vengono considerate le sue traduzioni e le sue interpretazioni dei testi cuneiformi dal mondo accademico? La sua opinione personale?

Nel mondo accademico non vi è alcuna considerazione dei lavori di Sitchin ed il suo nome, quale autore di opere pseudo-scientifiche, è pressoché sconosciuto. A prescindere dalla generale chiusura degli ambienti accademici, non esistono lavori di Sitchin che possano ritenersi scientifici, per varie ragioni. Sitchin, come altri autori del genere, costruisce le sue teorie sulla traduzione di passi e non sull’interpretazione del testo originale, nonostante proclami di essere l’unico a conoscere il cuneiforme. A tal uopo, per sfatare dubbi e miti, l’Assiriologia, ovvero la disciplina che studia le culture che si sono espresse tramite la scrittura cuneiforme come quella sumerica e accadica, esiste da oltre un secolo ed è insegnata in molte università del mondo. Sebbene meno nota e appariscente della sorella Egittologia, è in continuo sviluppo e annualmente molti studenti frequentano i corsi di lingua e letteratura sumerica e accadica.

5.Sitchin afferma che i Sumeri ebbero contatti con razze extraterrestri, che la stessa razza umana sia una creazione extraterrestre. Aggiunge che le conoscenze astronomiche dell’epoca fossero tali da arrivare a definire un sistema solare così come oggi lo conosciamo e tali da permettere il calcolo di orbite e masse planetarie. Inoltre, secondo Sitchin, nel 2000 a.c. sarebbe scoppiata una guerra nucleare tra “extraterrestri” e la ricaduta nucleare sarebbe “il vento malvagio”che distrusse Ur. Egli avrebbe desunto tutto questo dalla traduzioni di cilindri, sigilli e tavolette mesopotamiche. Esiste qualche riscontro oggettivo di queste affermazioni?

Intanto dovremmo chiaramente distinguere le fasi di quelle che sono state le civiltà mesopotamiche che si sono sviluppate in circa tre millenni. Non possiamo appiattire l’evoluzione delle conoscenze maturate in secoli di osservazioni e farne un unico mucchio da cui attingere singoli dati fuori contesto.
Dunque, come già accennato, abbiamo pochissimi dati circa le conoscenze dei Sumeri nel III mill. e solo pochi indizi, per cui affermare che le loro conoscenze astronomiche fossero evolute è un’illazione. Inoltre, molte culture anche non complesse (quelle che si chiamerebbe “preistoriche”) hanno conoscenze astronomiche estremamente sviluppate, derivate dall’osservazione, senza che si debba attribuire a fattori esterni, tali conoscenze.
Per quanto riguarda la guerra nucleare e il vento malvagio che avrebbe distrutto Ur, alla fine di questo periodo il grande regno con capitale proprio ad Ur cadde. La letteratura posteriore attribuì alla decisione del consiglio divino la fine della dinastia, fine che ebbe luogo su un piano mitico tramite una tempesta distruttrice, sul piano umano tramite l’invasione di genti dalle montagne orientali. La tempesta distruttrice, spesso accompagnata da piena e diluvio, è l’arma prediletta delle divinità: Enlil la scatenò contro l’umanità con lo scopo di sterminarla nel celebre mito del diluvio. Entrambe le idee, quella della tempesta e della piena, sono strettamente legate alla realtà geofisica della Mesopotamia: le nubi cariche di pioggia, sin dall’antichità rappresentate come un gigantesco uccello dalla testa leonina, producevano improvvise piene incontrollabili causate dall’assenza di rocce. Gli stessi letti dl Tigri e dell’Eufrate sono fangosi e il loro corso, in particolare quello del Tigri, può mutare annualmente e investire le città o allontanarsi da esse determinandone la distruzione. Quindi si tratta di un motivo antico e costante nell’immaginario della regione. Non ci sono tracce di guerre per questo periodo.
L’archeologia inoltre non ha fornito alcuna traccia di distruzioni diffuse e in particolare proprio ad Ur c’è una continuità abitativa che indica un periodo di passaggio non traumatico.

6.Esiste un testo cuneiforme che parla di un pianeta chiamato Nibiru e che ne descrive caratteristiche fisiche ed orbitali?

Neberu in accadico significa “traghetto”. È un termine utilizzato per indicare anche alcuni corpi celesti in molti testi sia letterari che astronomico/astrologici. Va precisato infatti che a fianco di alcuni nomi associati in modo univoco ad un pianeta o stella, è sviluppato in Mesopotamia un sistema legato all’interpretazione teologica ed esoterica per cui alcuni astri possono avere più di un nome, associato ad un dio (Marte) o ad una caratteristica (rosso); in alcuni casi, inoltre, tali nomi sono volutamente ambigui e utilizzati per diversi corpi celesti. Nel caso di Neberu lo si definisce in vari passi come uno dei nomi del pianeta Giove; il passo sopra citato dall’Enūma eliš sembrerebbe indicare invece una stella fissa, forse la polare. Non vi sono invece descrizioni chiare delle caratteristiche fisiche (ma neanche per altri corpi) o orbitali di Neberu.

7.Nella mitologia Sumera/Babilonese/Assira e nei loro scritti, c’è qualche riferimento che possa far pensare che tali popoli avessero un livello tecnologico avanzato o che fossero venuti in contatto con qualcuno che possedesse una tecnologia paragonabile o superiore alla nostra?

No.

8. Sitchin collega molti elementi tratti dalle sue traduzioni di testi Sumeri, con avvenimenti narrati nella Genesi biblica, lasciando intendere che quest’ultima derivi in grande parte proprio dalla mitologia Sumera. Ad esempio, gli Anunnaki della mitologia Sumera, secondo Sitchin, sarebbero i Nephilim che compaiono nella Bibbia. Cosa può dirci a riguardo? Esistono riscontri oggettivi per queste supposizioni?

La relazione tra elementi della tradizione letteraria sumero-accadica e la successiva tradizione biblica sono note sin dalle prime scoperte delle tavolette cuneiforme nel XIX sec. Tra questi il più noto è il caso della narrazione del diluvio e l’arca di Noè. Nella religione sumerica gli Anunna(ki) sono gli dèi superiori e gli Igigi quelli inferiori. I Giganti (Nephilim) e l’idea dell’unione tra esseri sovraumani e donne umane è assente da qualsiasi fonte mesopotamica. L’idea generale di un contatto tra il divino e l’umano nella religione mesopotamica è totalmente assente. Persino l’idea di eroe in senso greco (figlio di un dio e un essere umano) è assente e documentato unicamente in un unico eccezionale caso, Gilgameš (si legge Ghilgamesh).

9.Sitchin afferma che dal sigillo VA 243 sia possibile ricavare che i Sumeri conoscessero 12 pianeti, compresi Sole e Luna. Può confermare questa interpretazione o si tratta di forzature?

Si tratta di forzature. Sole e Luna sono astri noti per ovvietà a tutte le culture. Oltre a questi vi era Venere identificata con la dea Inanna/Ištar, e poi i pianeti Marte, Mercurio, Giove e Saturno. Assieme a questi astri principali venivano spesso rappresentate anche le Pleiadi, simbolizzate da sette pallini. Queste rappresentazioni si trovano sui kudurru, pietre di confine coperte con segni astrali e simboli divini.

10.Alcune curiosità: come venivano rappresentati Sole, Luna e Stelle dai popoli Mesopotamici? Avevano una simbologia fissa e univoca, oppure gli stessi simboli venivano usati per indicare l’uno o l’altro astro o addirittura altri oggetti? E’ vero che nell’Enuma Elish il termine GA.GA corrisponde a Plutone? Cosa vuol dire la parola Nibiru?

Mentre per gli astri più importanti vi erano differenti nomi, i simboli che li rappresentavano erano fissi. Come detto le pleiadi erano rappresentati da sette pallini, Sole, Luna e Venere coincidenti con tre delle divinità principali, erano rappresentati da un astro iscritto in un cerchio con piccole differenze l’una dall’altro. Per gli altri pianeti non abbiamo rappresentazioni, ma si usano i simboli delle divinità ad esse associate.

11.Per finire, cosa si sente di dire a coloro i quali ritengono che Zecharia Sitchin fosse un brillante studioso, pioniere della traduzione di testi Mesopotamici, osteggiato dal mondo accademico per le sue scomode scoperte?

Il mondo accademico è sicuramente un ambiente chiuso, tuttavia, in particolare nel mondo dell’antichistica e, più specificamente, del Vicino Oriente antico le poisizioni e i punti di vista sono tra i più diversi. Basti pensare che tra questi studiosi ci sono molti che appartengono a ordinamenti religiosi e svolgono le loro ricerche avendo in mente di confermare le rispettive fedi. Nel secolo passato diverse persone hanno proceduto a leggere e interpretare in maniera personale le fonti mesopotamiche, in particolare quelle che descrivono riferimenti ai corpi celesti. La tentazione non ha risparmiato neppure il fisico Stephen Hawkins che in un suo volume ha interpretato il mito di Gilgameš come una rappresentazione astrale.
Per quanto riguarda Sitchin, che io sappia non ha mai tentato di far parte di quell’ambiente accademico che lo vorrebbe osteggiare.
Nel suo curriculum inoltre non è specificato in nessun luogo dove avrebbe svolto tali studi. Di sicuro non esistono traduzioni di testi mesopotamici da parte di Sitchin a me note e le sue pubblicazioni mostrano solo una grande creatività spesa a favore di coloro che apprezzano tale genere.

BIBLIOGRAFIA:

Traduzioni italiane di testi sumerici e accadici:

Bottéro, J., & Kramer, S. N. (1992). Uomini e dèi della mesopotamia. Alle origini della mitologia. Torino: Einaudi.
Castellino, G. R. (1977). Testi sumerici e accadici. Torino: UTET.
Pettinato, G. (2001). Classici delle religioni: Mitologia sumerica. Torino: UTET.

La letteratura sumerica si può trovare in trascrizione (ovvero resa in alfabeto latino della scrittura cuneiforme) può trovarsi alla pagina del progetto The Electronic Text Corpus of Sumerian Literature (ETCSL): http://etcsl.orinst.ox.ac.uk/

Un motore di ricerca per materiale mesopotamico è www.etana.org


Opere introduttive all’astronomia e astrologia mesopotamica in lingua italiana:

Neugebauer, O. (1974). Le scienze esatte nell’antichità. Milano: Feltrinelli.
Pettinato, G. (1998). La scrittura celeste. Milano: Mondadori.
Pichot, A. (1993). La nascita della scienza. Mesopotamia, egitto, grecia antica. Bari: Dedalo.
Walker, C. B. F. (1997). L’ astronomia. Prima del telescopio. Bari: Dedalo.

Alcune importanti opere in altre lingue:

Brown, D. (2000). Mesopotamian planetary astronomy-astrology. Groningen: Styx.
Horowitz, W. (1998). Mesopotamian cosmic geography. Winona Lake: Eisenbrauns.
Hunger, H., & Pingree, D. E. (1989). MUL.APIN : An astronomical compendium in cuneiform. Horn: F. Berger.
Hunger, H., & Pingree, D. E. (1999). Handbuch der Orientalistik: Astral sciences in Mesopotamia. Leiden – Boston – Köln: Brill.
Koch-Westenholz, U. (1995). Mesopotamian astrology. An introduction to Babylonian and Assyrian celestial divination. Copenhagen: The Carsten Niebuhr Institute of Near Eastern Studies.
Reiner, E. (1995). Astral magic in Babylonia. Philadelphia: The American Philosophical Society.
Rochberg, F. (2004). The heavenly writing: Divination, horoscopy, and astronomy in Mesopotamian culture. Cambridge – New York: Cambridge University Press.
Weidner, E. F. (1915). Handbuch der babylonischen Astronomie. Leipzig: J. C. Hinrichs.

Catalogo dei corpi celesti nella letteratura mesopotamica:

Gössmann, F. (1950). Planetarium babylonicum, oder die sumerisch-babylonischen Stern-namen. Roma: Papstl. Bibelinstituts.
Kurtik, G. E. (2007). ЗВЕЗДНОЕ НЕБО ДРЕВНЕЙ МЕСОПОТАМНН [the star heaven of ancient mesopotamia]. St. Petersburg: Aletheia.


Un ottimo sito ricco di informazioni e bibliografia è quello di van Gent, Bibliography of Mesopotamian Astronomy and Astrology


ESTRATTO DALLA BIOGRAFIA del Prof. Verderame, Biografia Completa:

Carriera accademica:
Lorenzo Verderame si è laureato presso la “Sapienza” Università di Roma nel 1998 discutendo una tesi in Assiriologia dal titolo “Le tavole I-XIV della serie astrologica mesopotamica Enuma Anu Enlil” e presso il medesimo ateneo ha coseguito il dottorato in “Studi Filologici e Letterari sul Vicino Oriente Antico e l’Iran pre-islamico” nel 2004 con la tesi “Il ruolo degli ‘esperti’ (ummânu) nel periodo neo-assiro”. Dal 2005 al 2009 è stato docente di Storia del Vicino Oriente Antico presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Palermo. Dal 2008 è ricercatore in Assiriologia presso la “Sapienza” Università di Roma.

Pubblicazioni:
Tra le principali pubblicazioni monografiche: Le Tavole I-VI della serie astrologica Enuma Anu Enlil, NISABA 2, Messina, 2002; (con F. D’Agostino) Umma Messenger Texts in the British Museum, Part Three (UMTBM 3), Supplemento alla Rivista degli Studi Orientali LXXVI, Roma, 2003; (con J. Politi) Drehem Texts in the British Museum (DTBM), NISABA 7, Messina, 2005; (con F.N.H. al-Rawi) Testi amministrativi neo-sumerici da Umma conservati al British Museum (NATU II), NISABA 11, Messina, 2006. Sono in preparazione Il rituale del re sostituto in Mesopotamia, The Role of the “Scholar” (ummânu) in the Neo-Assyrian Period, The Astrological Series Enuma Anu Enlil:Chapters VII-XIII, gli ultimi due per la casa editrice Brill.

Ricerca:
Gli ambiti di ricerca di Lorenzo Verderame sono i testi magici e divinatorii, la religione, i documenti amministrativi ed economici del III mill., gli studi tecnologici. Da vari anni si occupa, in collaborazione con altri colleghi, dell’edizione di testi astrologici e astronomici mesopotamci, in particolare della serie astrologica Enuma Anu Enlil, di cui ha curato l’editio princeps delle Tavole I-VI e sta preparando quella delle Tavole VII-XIII.

Progetti di Ricerca:
Dal 2008, in seguito ad un accordo con il British Museum, è il responsabile per il progetto di riedizione completa del materiale lessicografico e scolastico mesopotamico. Altri progetti di ricerca cui la cattedra di Assiriologia collabora sono: l’edizione ed il catalogo dei documenti neo-sumerici inediti del British Museum e di altre collezioni del Regno Unito; in collaborazione con F. Pomponio (Università di Messina), P. Mander (IUO Napoli), F. D’Agostino (“Sapienza” Università di Roma); il progetto di collaborazione con lo State Board of Antiquities della provincia del Dhi Qar (Nasiriya, Iraq).

Copyright EclisseForum.it

La riproduzione è consentita previa citazione della fonte.

A cura di Padre Della Menzogna


Fonte:http://www.eclisseforum.it/2011/07/20/le-civilta-mesopotamiche-zecharia-sitchin-e-nibiru-intervista-esclusiva-al-prof-verderame/

venerdì 5 agosto 2011

Clamoroso Dalla NASA: Su Marte Scorre Acqua Liquida




Le osservazioni del NASA Mars Reconnaissance Orbiter hanno rivelato che è possibile che l'acqua scorra sulla superficie marziana durante i mesi più caldi.

"L'esplorazione del NASA Mars Reconnaissance Explorer Orbiter potrebbe determinare se il Pianeta Rosso puó ancora ospitare la vita in qualche forma", ha detto l'amministratore della NASA Charles Boldene e ribadisce che "Marte è una destinazione importante per il futuro dell'esplorazione umana".
Scure e simili a dita, così appaiono e si estendono alcune tracce che scendono a picco da diversi pendii, durante la tarda primavera e per tutta l'estate, dissolvendosi in inverno per poi ritornare durante la successiva primavera.

Ripetute osservazioni hanno monitorato i cambiamenti stagionali di queste caratteristiche ricorrenti in diversi ripidi pendii alle medie latitudini dell'emisfero meridionale di Marte".
"La migliore spiegazione di queste osservazioni è che si tratti di acqua salmastra", ha detto Alfred McEwen dell'università dell'Arizona, Tucson. McEwen è il ricercatore principale di HiRISE e autore di un rapporto sui flussi ricorrenti pubblicati sulla rivista Science.

Alcuni aspetti delle osservazioni sono ancora un enigma per i ricercatori, ma i flussi liquidi di salamoia si adattano alle ipotesi".
La salsedine abbassa la temperatura di congelamento dell'acqua. I siti con flussi attivi abbastanza caldi, anche nel basso sottosuolo, possono sostenere l'acqua liquida, che è più salata come gli oceani della Terra, mentre l'acqua pura sarebbe congelata alle temperature osservate.

"Queste linee scure sono diverse da altri tipi simili in altre pendenze di Marte", ha detto Mars Richard Zurek della NASA: "Le osservazioni si ripetono e si estendono sempre più in discesa con il tempo durante la stagione calda".
Le caratteristiche riprese sono solo di circa 0,5-5 metri di larghezza, con lunghezze fino a centinaia di metri. La larghezza è più stretta dei calanchi precedentemente segnalati sui pendii marziani.

Tuttavia, alcuni di quei luoghi possiedono più di 1.000 singoli flussi. Inoltre, mentre i flussi in altri calanchi sono abbondanti nelle zone fredde, questi flussi scuri sono in zone più calde.

Le immagini mostrano i flussi che si allungano e scuriscono il versante roccioso dalla tarda primavera all'inizio dell'autunno. La stagionalità, la distribuzione della latitudine e i cambiamenti di luminosità suggeriscono che è coinvolto un materiale volatile ma non c'è il rilevamento diretto di esso. I dati raccolti mostrano che la temperatura è troppo elevata per il biossido di carbonio e, in alcuni siti troppo fredda per l'acqua pura.

Ciò suggerisce l'azione della salamoia, che ha un punto di congelamento inferiore.
I depositi di sale su gran parte di Marte indicano che le salamoie erano abbondanti in passato". Queste osservazioni recenti portano a ritenere che le salamoie si possono ancora formare oggi, in prossimità della superficie per periodi e luoghi limitati.

Quando i ricercatori hanno controllato i flussi di tali piste con lo spettrometro "Compact Reconnaissance Imaging dell'Orbiter (CRISM), non era apparso nessun segno d'acqua. Le caratteristiche possono rapidamente seccarsi in superficie o potrebbero esserci flussi flussi sotto la superficie.
"I flussi non sono oscuri a causa del fatto che sono bagnati," ha detto McEwen. "Loro sono scuri per qualche altro motivo."
Un flusso avviato da acqua salmastra potrebbe riorganizzare grani o cambiare la rugosità superficiale in un modo che oscura l'aspetto. Il perchè esse si illuminano di nuovo quando le temperature scendono è più difficile da spiegare.
"E' per adesso un mistero ma penso che sia un mistero risolvibile con ulteriori osservazioni ed esperimenti di laboratorio", ha detto McEwen.
Questi risultati rappresentano il passo più vicino degli scienziati alla scoperta di acqua liquida sulla superficie di Marte.

L'acqua ghiacciata, tuttavia era già stata rilevata in prossimità della superficie in mezzo a molte regioni ad alta latitudine. Dall'aspetto recente dei calanchi si ipotizzano dei movimenti pendenza in tempi geologicamente recenti, forse aiutati dalla stessa acqua.
Gocce di salamoia erano apparse anche sui montanti del Mars Phoenix Lander.
Se ulteriori studi dei flussi scuri supportassero prove della presenza di salamoie, questi potrebbero essere i primi luoghi marziani noti con acqua allo stato liquido.

Traduzione a cura di Arthur McPaul

Fonte: http://www.sciencedaily.com/releases/2011/08/110804142118.htm


giovedì 4 agosto 2011

Multiverso E Universo-Bolla In Fase Di Ricerca




La teoria che il nostro Universo possa essere contenuto all'interno di una bolla e che esistono più universi alternativi all'interno delle loro bolle, che compongono il "multiverso", è, per la prima volta, in fase di test da parte dei fisici.

In due articoli pubblicati sul Physical Review Letters e sul Physical Review D, sono riportati i primi dettagli di come sta avvenendo la ricerca di tracce di altri universi.
I fisici sono alla ricerca nel disco di fondo cosmico delle radiazioni a microonde (CMB), la radiazione fossile del calore residuo del Big Bang, che potrebbe fornire prove sulle collisioni tra altri universi e il nostro.

Molte teorie moderne della fisica fondamentale prevedono che il nostro Universo possa essere contenuto all'interno di una bolla. In aggiunta alla nostra bolla, questo "Multiverso" ne conterrebbe altri, ognuno dei quali potrebbe a sua volta contenere un altro universo.

Negli altri 'universi interni' le costanti fondamentali e anche le leggi fondamentali della natura, potrebbero essere diverse.
Fino ad ora, nessuno era riuscito a trovare un modo per cercare in modo efficiente i segni delle collisioni di universo e quindi la prova del Multiverso nella radiazione CMB.

Inoltre, i fisici necessitano di poter verificare se tutti i modelli hanno rilevato il risultato di collisioni o modelli semplicemente casuali nel rumore di fondo dei dati

Un gruppo di cosmologi presso l'University College London (UCL), l'Imperial College di Londra e l'Istituto di Fisica Teorica perimetrale hanno affrontato questo problema.
"E' un problema molto difficile per gli statistici e computazionali la ricerca delle impronte di collisione in qualsiasi posto possibile nel cielo", spiega Hiranya Peiris, co-autore della ricerca presso il Dipartimento UCL di Fisica e Astronomia. "Ma questo è quello che punse la mia curiosità."

Il team ha effettuato delle simulazioni di ciò che sarebbe il cielo con e senza collisioni cosmiche e ha sviluppato un innovativo algoritmo che si adatta meglio con la ricchezza di dati CMB dal NASA Wilkinson Microwave Anisotropy Probe (WMAP).

Hanno posto il primo limite di osservazione superiore al numero di tracce di collisione della bolla che ci potrebbe essere nelle radiazioni di fondo nel cielo.

Stephen Feeney, uno studente di dottorato presso la UCL che ha creato il potente algoritmo del computer per cercare la spia delle tracce di collisioni tra "Universi-Bolla", e co-autore del documento di ricerca, ha dichiarato: "Il lavoro rappresenta l'occasione per testare un teoria che è davvero sconvolgente: esistiamo all'interno di un vasto multiverso, dove esiatono altri Universi".
Uno dei dilemmi che devono affrontare i fisici è che gli esseri umani sono molto bravi a trovare modelli nei dati, che potrebbero essere solo una coincidenza. Tuttavia, l'algoritmo della squadra è molto più difficile da ingannare, avendo in sé regole molto severe.

Il dottor Daniel Mortlock, un co-autore del Dipartimento di Fisica dell'Imperial College di Londra, ha dichiarato: "E' fin troppo facile interpretare modelli interessanti in dati casuali (come il volto su Marte che, se visto più da vicino, è solo una normale montagna), così abbiamo avuto grande cura per valutare quanto possa essere probabile e non frutto delcaso la possibile prova della collisione tra Universi".
Gli autori sottolineano che questi primi risultati non sono sufficienti per l'esistenza del Multiverso o per individuare definitivamente l'impronta di una collisione tra bolle.
Tuttavia, WMAP non ha detto ancora l'ultima parola: i nuovi dati attualmente provenienti dal satellite Planck dell'ESA, dovrebbero aiutare a risolvere l'enigma.

Traduzione a cura di Arthur McPaul

Fonte: http://www.sciencedaily.com/releases/2011/08/110803102844.htm

mercoledì 3 agosto 2011

Nemesis Non Esiste?




Che probabilità ha la Terra di essere colpita da un asteroide o una cometa ora, rispetto a 20 milioni di anni fa?

Diversi studi hanno affermato di aver scoperto delle variazioni periodiche che aumentano e diminuiscono in modo regolare nel corso dei milioni di anni.
Ora una nuova analisi di Coryn Bailer-Jones del Max Planck Institute for Astronomy (MPIA), pubblicata nella Nota mensile della Royal Astronomical Society, ha mostrato i modelli periodici privi di artefatti statistici. I suoi risultati indicherebbero sia che la Terra ha più probabilità di subire un impatto importante oggi come in passato, sia che c'è stato un leggero aumento di impatti negli ultimi 250 milioni di anni.

Gli impatti giganti sono causati da comete o asteroidi che sono stati collegati a diversi eventi di estinzione di massa sulla Terra, il più famoso noto causó la scomparsa dei dinosauri circa 65 milioni di anni fa.
Quasi 200 crateri identificabili sulla superficie terrestre, alcuni di centinaia di chilometri di diametro, sono la testimonianza di queste collisioni catastrofiche.

Comprendere il modo in cui i tassi di impatto siano variati nel corso del tempo non è solo una questione accademica. È un ingrediente importante per gli scienziati che stimano il rischio di catastrofici impatti cosmici.

Dalla metà degli anni '80, un certo numero di autori hanno affermato di aver identificato delle variazioni periodiche del tasso di impatto. Utilizzando i dati e le stime dell'età per diversi crateri, essi hanno ottenuto un andamento regolare in cui tra i 13 e i 50 milioni di anni vi è un'epoca con meno impatti succeduta da un epoca con un aumento dell'attività impatto, e così via.

Un meccanismo proposto per queste variazioni è il moto periodico del nostro Sistema Solare rispetto al piano principale della Via Lattea. Ciò potrebbe portare a differenze nel modo in cui l'influenza gravitazionale delle stelle vicine funge da rimorchiatore sugli oggetti nella nube di Oort, un serbatoio gigantesco di comete che forma un guscio intorno al Sistema Solare esterno. Le comete sarebbero indotte a lasciare la nube di Oort e a farsi strada nel Sistema Solare interno, potenzialmente anche verso una collisione con la Terra.

Una proposta più spettacolare postula l'esistenza di una stella compagna del Sole, non ancora rilevata, soprannominata "Nemesis". La sua orbita molto allungata, la porrebbe periodicamente più vicino alla nube di Oort, innescando ancora una volta un aumento del numero di comete verso la Terra.

Per gli autori Coryn-Bailer-Jones, questi risultati non sarebbero prove utili per scoprire fenomeni cosmici, ma insidie ​​sottili dei tradizionali ragionamenti statistici: Ci sarebbe una tendenza di alcuni scienziati a trovare un modello in natura che purtroppo non esiste, frugando in certe situazioni statistiche tradizionali che hanno particolare debolezza".
Ecco perché, per la loro analisi, Bailer-Jones hanno scelto un modo alternativo di valutazione probabilistica, dettatatistica bayesiana, che evita molte delle insidie ​​che ostacolano l'analisi tradizionale dei dati dei crateri da impatto.

Egli ha scoperto che semplici variazioni periodiche possono essere tranquillamente escluse. Invece, vi è una tendenza generale: in circa 250 milioni di anni fa, il tasso di impatto, come giudicato dal numero di crateri di diverse età, è aumentato costantemente.
Ci potrebbero essere due spiegazioni possibili per questa tendenza. I Crateri più piccoli si erodono più facilmente, e quelli più crateri vecchi hanno avuto più tempo per erodersi. La tendenza potrebbe semplicemente riflettere il fatto che i crateri più grandi sono più facili per noi da trovare rispetto a quelli più piccolii. "Se guardiamo solo crateri più grandi di 35 km e più giovani di 400 milioni di anni, che sono meno colpiti dall'erosione e dal riempimento, non troviamo alcuna tendenza in merito", spiega Bailer-Jones.

D'altra parte, almeno una parte del tasso crescente d'impatto potrebbe essere reale.
In realtà, ci sono analisi di crateri da impatto sulla Luna, dove non ci sono processi geologici naturali che portano al riempimento e all'erosione dei crateri, che puntano proprio verso tale tendenza.

Qualunque sia la ragione per la tendenza, semplici variazioni periodiche, come quelle causate da Nemesis sarebbero annullate e contestate dai risultati di Bailer-Jones: "Dai dati dei crateri non ci sono prove per sostenere l'esistenza di Nemesis. Ciò che rimane è l'intrigante questione del perché gli impatti sono diventati sempre più frequenti negli ultimi 250 milioni di anni," conclude.

Traduzione a cura di Arthur McPaul

Fonte: http://www.sciencedaily.com/releases/2011/08/110801094258.htm

lunedì 1 agosto 2011

Scoperto Il Primo Asteroide Trojano Terrestre




Gli astronomi che studiano i dati osservativi del telescopio spaziale ad infrarossi della NASA, chiamato WISE, hanno scoperto il primo asteroide "Trojano" in orbita attorno al Sole e alla Terra.

I trojani, sono asteroidi che condividono un'orbita con un pianeta vicino a punti stabili di fronte o dietro di esso. Poiché seguono costantemente la stessa orbita del pianeta e non possono entrare in collisione con esso. Nel nostro Sistema Solare, i Trojani condividono le orbite con Nettuno, Marte e Giove.
Due luna di Saturno sono Trojani.

Gli scienziati avevano previsto già che la Terra potesse avere dei Trojani, ma la loro scoperta è stata difficile perché sono relativamente piccoli e appaiono vicino al Sole dal nostro punto di vista.
"Questi asteroidi orbitano per lo più alla luce del giorno, il che li rende molto difficili da vedere", ha detto Martin Connors dell'Athabasca University in Canada, autore principale della scoperta, pubblicata sul numero del 28 luglio di Nature. "Ma ne abbiamo finalmente trovato uno, perché l'oggetto ha un'orbita insolita più lontana dal Sole di quello che è tipica per i Trojani. WISE ha cambiato le regole del gioco, dandoci un punto di vista difficile da avere sulla superficie terrestre".

Il telescopio WISE ha scansionato l'intero cielo in luce infrarossa dal gennaio 2010 al febbraio 2011. Connors e il suo team hanno iniziato la ricerca di un Trojano utilizzando i dati di NEOWISE, grazie alla missione aggiuntiva di WISE che si è concentrata in parte su oggetti chiamati NEO (Near Earth Objects) pertanto vicini alla Terra, come gli asteroidi e le comete.

I NEO sono corpi che passano all'interno di 28 milioni miglia (45 milioni di chilometri) del percorso della Terra intorno al Sole. Il progetto NEOWISE ha osservato più di 155.000 asteroidi nella fascia principale tra Marte e Giove, e più di 500 NEO, scoprendone 132 sconosciuti.
I candidati Trojani sono stati due: uno chiamato 2010 TK7, che è stato confermato come Trojano della Terra dopo la conferma ottenute dal telescopio terrestre Canada-France-Hawaii Telescope a Mauna Kea alle Hawaii.

L'asteroide è di circa 1.000 piedi (300 metri) di diametro. Ha un'orbita insolita che traccia un movimento complesso in prossimità di un punto stabile sul piano dell'orbita terrestre, anche se l'asteroide si muove anche sopra e sotto il piano. L'oggetto è posto a circa 50 milioni di miglia (80 milioni di chilometri) dalla Terra. L'orbita dell'asteroide è ben definita e per almeno i prossimi 100 anni, non si avvicinerà alla Terra oltre i 15 milioni di miglia (24 milioni di chilometri).

Un'animazione che mostra l'orbita è disponibile all'indirizzo: http://www.nasa.gov/multimedia/videogallery/index.html?media_id=103550791 .

"E 'come se la Terra stesse giocando a inseguirlo", ha detto Amy Mainzer, il ricercatore principale di NEOWISE a Propulsion Laboratory della NASA di Pasadena, in California. "La Terra è sempre a caccia di questo asteroide in giro".

Una manciata di altri asteroidi hanno anche orbite simili alla Terra. Tali oggetti potrebbero divenire ottimi candidati per la futura esplorazione robotica e umana. L'asteroide 2010 TK7 non è un buon obiettivo, perché viaggia troppo sopra e sotto il piano dell'orbita terrestre, il che richiederebbe grandi quantità di carburante per raggiungerlo.
"Questa scoperta spiega perché il programma di osservazione NEO della NASA ha finanziato la missione di valorizzazione e di elaborazione dei dati raccolti da WISE", ha detto Lindley Johnson, direttore del programma NEOWISE presso la sede della NASA a Washington. "Credevamo ci fosse un grande potenziale per trovare oggetti vicini alla Terra nello spazio che non era stato visto prima".

I dati della missione NEOWISE sulle orbite di centinaia di migliaia di asteroidi e comete osservate, sono disponibili attraverso il Minor Planet Center della NASA, finanziato dall'Unione Astronomica Internazionale presso la Smithsonian Astrophysical Observatory di Cambridge, Mass.
JPL dirige e gestisce WISE per la Mission Directorate della NASA Science di Washington. Il ricercatore principale, Edward Wright, professore presso la University of California, Los Angeles.

La missione è stata selezionata nell'ambito del programma di esplorazione della NASA, che è gestita dall'agenzia del Goddard Space Flight Center di Greenbelt, nel Maryland. Lo strumento scientifico è stato costruito dal Laboratorio di Dinamica Spaziale a Logan, Utah.
La navicella spaziale è stata costruita dalla Ball Aerospace & Technologies Corp., Boulder, in Colorado e le operazioni di elaborazione dei dati scientifici hanno avuto luogo presso la lavorazione a infrarossi e il Centro di Analisi del California Institute of Technology di Pasadena.
Caltech gestisce il JPL della NASA.

Per ulteriori informazioni visitare il sito WISE: http://www.nasa.gov/wise .

A cura di Arthur McPaul

Fonte: http://www.sciencedaily.com/releases/2011/07/110727170226.htm