giovedì 28 luglio 2011

Il VST osserva il Tripletto del Leone - e oltre.




Un'immagine vastissima, ottenuta con il VST (VLT Survey Telescope) e con il suo strumento OmegaCAM all'Osservatorio di Paranal dell'ESO, mostra un tripletto di galassie brillanti nella costellazione del Leone. Ma più che le galassie in primo piano sono i deboli oggetti sullo sfondo ad attirare l'attenzione degli astronomi. La resa così nitida di questi oggetti fiochi suggerisce la capacità di risoluzione del VST e di OmegaCAM e la loro efficienza nel descrivere l'Universo lontano.

Il VST [1] è la più recente aggiunta all'Osservatorio di Paranal dell'ESO (eso1119). È un telescopio d'avanguardia, di 2.6 metri di diametro, equipaggiato con una camera gigantesca da 268 Megapixel, OmegaCAM [2]. Come dice il nome stesso, il VST è dedicato a produrre survey del cielo in luce visibile ed è il più grande telescopio al mondo progettato esclusivamente a questo scopo. L'immagine così ampia del Tripletto del Leone dimostra la qualità eccellente delle immagini prodotte dal VST e dalla sua fotocamera.


Il Tripletto del Leone è uno straordinario gruppo di galassie interagenti a circa 35 milioni di anni luce dalla Terra. Tutte e tre sono galassie a spirale, come la VIa Lattea, anche se questo potrebbe non risultare immediatamente ovvio dall'immagine poichè i dischi sono inclinati a diversi angoli rispetto alla linea di vista. NGC 3628, a sinistra, appare di taglio, con spesse bande di polvere lungo il piano della galassia. Gli oggetti del catalogo di Messier M65 (in alto a destra) e M66 (in basso a destra) sono invece inclinati abbastanza per mostrare i loro bracci a spirale.


I grandi telescopi di solito studiano queste galassie una per volta (si veda per esempio potw1026a e eso0338c) ma il campo di vista di VST -- di larghezza uguale a due volte la luna piena -- è abbastanza grande da inquadrare tutte e tre le galassie nella stessa immagine. Il VST inoltre mostra un grande numero di galassie più deboli e più distanti, che si vedono come piccole macchie di colore sullo sfondo della fotografia.


In primo piano si vedono molte stelle di varia luminosità, stelle che appartengono alla nostra galassia. Uno degli scopi di VST è di cercare questi oggetti molto deboli, come le nane brune, i pianeti, le stelle di neutroni e i buchi neri della Via Lattea. Si pensa che questi siano diffusi in tutto l'alone della galassia ma siano troppo fiochi per essere rivelati direttamente dai telescopi, anche quelli più grandi. Il VST cercherà tutti i possibili indizi, soprattutto quelli legati al Microlensing [3], per identificare in modo indiretto questi oggetti sfuggenti e così studiare l'alone galattico.


Attraverso questi studi il VST migliorerà la nostra conoscenza della materia oscura, che si pensa sia il maggior componente degli aloni galattici. Ci si aspetta inoltre di ottenere indizi sulla natura di questa sostanza, così come sulla natura dell'energia oscura, per mezzo delle survey dell'Universo distante effettuate dal VST. Il telescopio scoprirà lontani ammassi di galassie e quasar ad alto redshift che aiuteranno gli astronomi a comprendere l'Universo primordiale e a trovare risposte a domande di vecchia data in cosmologia.


Avvicinandosi a Terra, questa immagine mostra anche le tracce di numerosi asteroidi all'interno del Sistema Solare, che si sono spostati durante l'esposizione della fotografia. Se ne vedono almeno dieci in questa immagine, che appaiono come brevi tratti colorati [4]. Poichè il Leone è una costellazione dello zodiaco, cioè si trova nel piano del Sistema Solare, il numero di asteroidi è particolarmente elevato.


Questa immagine è un composito creato combinando esposizioni prese attraverso tre diversi filtri. La luce che ha attraversato il filtro infrarosso è stata colorata di rosso, la luce della parte rossa dello spettro è stata colorata di verde, mentre la luce verde di magenta.


Note:[1] Il programma VST è una collaborazione tra l'INAF-Osservatorio Astronomico di Capodimonte, Napoli (Italia) e l'ESO.[2] L'OmegaCAM è stata progettata e costruita da un consorzio di istituti olandesi, tedeschi e italiani, con un contributo significativo da parte dell'ESO.[3] Il Microlensing è un fenomeno di lente gravitazionale per cui la presenza di un oggetto massiccio ma poco brillante può essere derivata dagli effetti della gravità sulla luce che proviene da un stella più distante. Se, a causa di un allineamento casuale, l'oggetto debole passa sufficientemente vicino alla nostra linea di vista, il suo campo gravitazionale devia la luce che proviene dalla stella di fondo. Questo può produrre un aumento misurabile della luminosità della stella lontana. Poichè gli eventi di Microlensing si basano su allineamenti casuali, si trovano di solito in survey a largo campo che possono osservare nello stesso momento un grande numero di stelle di fondo potenziali candidati.[4] Queste tracce sono verdi, oppure coppie di segmenti magenta/rosso. Ciò avviene poichè le esposizioni utilizzate per il canale verde dell'immagine finale sono state prese in una notte diversa da quelle rosse e magenta che invece sono state realizzate in sequenza nella stessa notte.
Ulteriori Informazioni
L’ESO (European Southern Observatory) è la principale organizzazione intergovernativa di Astronomia in Europa e l’osservatorio astronomico più produttivo al mondo. È sostenuto da 15 paesi: Austria, Belgio, Brasile, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Olanda, Portogallo, Repubblica Ceca, Spagna, Svezia, e Svizzera. L’ESO svolge un ambizioso programma che si concentra sulla progettazione, costruzione e gestione di potenti strumenti astronomici da terra che consentano agli astronomi di realizzare importanti scoperte scientifiche. L’ESO ha anche un ruolo di punta nel promuovere e organizzare la cooperazione nella ricerca astronomica. L’ESO gestisce tre siti osservativi unici al mondo in Cile: La Silla, Paranal e Chajnantor. Sul Paranal, l’ESO gestisce il Very Large Telescope, osservatorio astronomico d’avanguardia nella banda visibile e due telescopi per survey. VISTA, il più grande telescopio per survey al mondo, lavora nella banda infrarossa mentre il VST (VLT Survey Telescope) è il più grande telescopio progettato appositamente per produrre survey del cielo in luce visibile. L’ESO è il partner europeo di un telescopio astronomico di concetto rivoluzionario, ALMA, il più grande progetto astronomico esistente. L’ESO al momento sta progettando l’European Extremely Large Telescope o E-ELT (significa Telescopio Europeo Estremamente Grande), di 40 metri, che opera nell'ottico e infrarosso vicino e che diventerà “il più grande occhio del mondo rivolto al cielo”.

Links:http://www.eso.org/public/italy/news/eso1126/Foto del VSTQuesta è una traduzione del Comunicato Stampa dell'ESO eso1126.

Scoperto Complesso Vulcanico Sul Lato Nascosto Della Luna



Le analisi di nuove immagini di un curioso "hot spot" sul lato più lontano della Luna, rivelano la presenza di una piccola area vulcanica creata dalla risalita del magma silicico.

La sua inusuale posizione e la composizione sorprendente della lava che l'hanno formata, offrono indizi allettanti per comprendere la storia termica della Luna.

Il punto caldo è una concentrazione di un elemento radioattivo chiamato torio, posto tra il grande e antico cratere da impatto Compton e il seguente Belkovich, che è stato il primo rilevato dallo spettronomo a raggi gamma del Lunar Prospector nel 1998.
La Compton-Belkovich Anomaly appare come un occhio di bue con la più alta concentrazione di torio al suo centro.

Recenti osservazioni, fatte con le potenti telecamere ottiche del Lunar Reconnaissance Orbiter (LRO), hanno permesso agli scienziati di distinguere le caratteristiche vulcaniche del terreno al centro. Ad alta risoluzione, i modelli tridimensionali del terreno e le informazioni dallo strumento Diviner LRO hanno rivelato le caratteristiche geologiche non solo di fenomeni di vulcanesimo, ma anche in gran parte vulcanici e più rari in silicico.

"L'area costringerà gli scienziati a modificare le idee sulla storia vulcanica della Luna", dice Bradley Jolliff, PhD, professore di ricerca presso il Dipartimento di Scienze della Terra e planetarie in Arte e Scienze della Washington University di St. Louis, che ha guidato la squadra che ha analizzato le immagini LRO.
"E' un risultato fondamentalmente nuovo che ci farà ripensare sull'evoluzione termica e vulcanica della Luna", dice.

L'opera è descritta sul numero del 24 luglio online di Nature Geoscience.





Vulcanismo sulla Luna
Il vulcanismo lunare è molto diverso dal vulcanismo terrestre, perché esso è un corpo piccolo che si è raffreddato velocemente e non ha mai sviluppato una tettonica a zolle, come quella presente sul nostro pianeta.
La Luna, si ritiene che sia stata creata quando un corpo delle dimensioni di Marte impattó sulla Terra, assumendo un aspetto infernale (circa 4,5 miliardi di anni fa) con un oceano turbolento di roccia fusa fino a circa 400 chilometri di profondità.

Ma poiché la Luna era piccola e non aveva atmosfera, l'oceano di magma si raffreddó rapidamente, in soli 100 milioni di anni.
Alla fine i minerali più leggeri come il feldspato si cristallizzarono dal magma e galleggiarono verso l'alto per creare enormi masse di roccia feldspatica che formó poi gli altopiani lunari. Il ferro e magnesio denso ricchi di minerali, affondarono quando si cristallizzarono, formando la parte superiore del mantello della Luna.

La differenziazione della crosta e del mantello è stata seguita da un'ondata di attività vulcanica dai 3 a 4 miliardi di anni fa, quando le lave basaltiche scoppiarono sulla superficie lunare, riempiendosi di crateri da impatto e altri punti bassi fino a formare i mari lunari.

Uno dei misteri del vulcanesimo lunare è l'ineguale distribuzione di questi basalti. Quasi un terzo del lato vicino della Luna è coperta da basalti antichi, ma dall'altra parte, dove le rocce crostali sono più spesse, ce ne sono molte di meno.
Inoltre, quasi tutti i mari del vulcanismo sulla Luna sono basaltici piuttosto che silicicei, arricchiti di minerali contenenti ferro e magnesio, piuttosto che silicio e alluminio.

La crosta continentale della Terra, che riflette processi geologici attivi come la subduzione, le intrusioni magmatiche e la formazione delle montagne, comprendono numerosi scogli le cui composizioni sono intermedie tra basalto e rocce ricche di silicio come il granito, che sono comuni sulla Terra.
Sulla Luna, invece, ci sono molte rocce basaltiche e solo una piccola frazione di granito. Le rocce di composizione intermedia sono tutte mancanti.

"Non molto tempo fa", ci dice Jolliff, "gli scienziati parlavano della Luna costituita da due tipi di terreno, i "mari" e gli altopiani.
Questa semplice immagine della geologia della Luna è perdurata per molti anni, ma nel 2000, Jolliff e i suoi colleghi del dipartimento di Scienze della Terra E Planetologia WUSTL di McDonnell del Centro per le Scienze dello Spazio, introdussero un concetto in cui si distinguono tre diversi tipi di "terranes", o regioni della Luna con una distintiva storia geologica.




Uno di questi, che comprende gran parte del vulcanismo basaltico è chiamato Procellarum KREEP Terrane, o PKT in breve. Questo immenso "hot spot" lunare, contiene alte concentrazioni di torio radioattivo e di altri elementi che producono calore, come il potassio e l'uranio. [KREEP acronimo di potassio, (K), elementi delle terre rare (REE), e fosforo (P).]
"Quando l'oceano di magma si andó raffreddando" Jolliff ci spiega, "Gli elementi come il torio furono esclusi dalla cristallizzazione dei minerali formando sacche di magma ricco di KREEP inserite tra la crosta e il mantello.
Una concentrazione di calore sotto il KREEP Procellarum Terrane può essere in parte responsabile dell'intenso vulcanismo. "Le maria", ci spiega Jolliff, si sono formate quando gli elementi radioattivi a caldo dei minerali fusi nel profondo manto lunare, hanno formato la lava basaltica che è spuntato dalle fessure sulla superficie. Ben oltre la metà del Procellarum KREEP Terrane è stato riasfaltato dal vulcanismo.




Sebbene la maggior parte del vulcanismo era basaltico, con conseguenti grandi macchie scure sulla Luna, visibili anche ad occhio nudo dalla Terra, una forma molto più rara di vulcanismo, ha prodotto lave ricche di silice, anche nel PKT. Questi depositi vulcanici sono noti come "macchie rosse" a causa delle loro caratteristiche spettrali, e i risultati recenti della sonda LRO confermato la loro composizioni ricca di silice.

Alcune delle macchie rosse hanno forme caratteristice a cupola, alcune molto grandi, e tutto entro i confini del PKT.
Una nuova area vulcanica rivelata
fin dalla prima missione del Lunar Prospector, ricca di torio e posta sul lato più lontano della Luna, distante dal KREEP Procellarum Terrane, ha incuriosito Joliff.
"Quando il Lunar Reconnaissance Orbiter è stato lanciato nel 2009, siamo stati finalmente in grado di ottenere un'immagine ad alta risoluzione" (Foto di Apertura).

Al centro dell'occhio di bue di torio vi è un piccolo complesso vulcanico, dai 25 ai 35 km di diametro, a seconda della direzione, incastonato tra i crateri Compton e Belkovich, che sono rispettivamente di 162 e 214 chilometri.
Significativamente, la Compton-Belkovich Anomaly si trova a circa 900 chilometri nord-est dal KREEP Procellarum Terrane.
"Nelle immagini iniziali LRO, scattate con la camere ad angolo stretto (CNA), durante la fase di messa in servizio della missione, abbiamo potuto vedere le caratteristiche del terreno e il grumoso crollo che potrebbe essere di tipo vulcanico", dice Jolliff.

Ma il materiale sulla superficie circostante poteva anche essere stato prodotto da una esplosione da impatto. "Per essere sicuri che stavamo vedendo caratteristiche di tipo vulcaniche, abbiamo guardato più da vicino, con le immagini provenienti dalla CNA scattate durante la fase di mappatura, una volta che LRO aveva raggiunto la sua orbita circolare di 50 chilometri. Le camere ottiche CNA hanno prodotto immagini di 50 centimetri per pixel di risoluzione.
"Abbiamo mappato la stessa area più di una volta con la CNA," ha detto Jolliff. "Poi abbiamo inclinato a 'testacoda' la sonda in modo che potessimo ottenere immagini con un angolo diverso. Da questi due punti di vista abbiamo costruito un modello tridimensionale e digitale del terreno, (o DTM, che ci ha permesso di ruotare il terreno nel computer ".

Tra le funzioni di diagnostica rivelate da questi punti di vista abbiamo avuto le caratteristiche comunemente oscurate da ombre di una montagna e quello che sembra essere una zona del cerchio dove è stata commessa un'infrazione con conseguente collasso e perdita di massa (il movimento discendente di roccia o regolite).

Gli scienziati hanno rafforzato l'ipotesi di vulcanesimo riprendendo le sezioni trasversali attraverso il terreno e misurando le pendenze lungo queste sezioni.

Questo ha dimostrato, ad esempio, che una delle cupole è un altopiano con al vertice un'ampia depressione centrale, caratteristiche tipiche di un vulcano.
"E' insolito per una formazione geologica, avere una cima piatta o una depressione in cima a meno che non sia vulcanico", dice Jolliff. "Quello che succede è che il magma scompare all'interno dopo l'eruzione, lasciando una depressione".
La pendenza delle caratteristiche vulcaniche forniscono indizi per la composizione della lava che li ha formati. Considerando che i vulcani a scudo basaltico situati altrove sulla, in genere hanno pendici di 7 gradi o meno, mentre i Compton-Belkovich hanno pendenze che raggiungono i 20-25 gradi, il che suggerisce che si siano formati da una lava più viscosa.

Un altro indizio è venuto da uno degli altri strumenti LRO, un radiometro termico chiamato Diviner. (Questa strumento registra nella parte infrarossa dello spettro).
Il team è stato in grado di dimostrare che è presenteu na ricca concentrazione di roccia silicea, granito o riolite.

"Questo è molto insolito", dice Jolliff. "Ci sono solo circa una mezza dozzina di altre regioni sulla Luna che potrebbero essere ricche in silice, in quanto la Luna, a differenza della Terra, non ha potuto modellare i materiali rocciosi in modo che si concentrasse il silicio".

Jolliff e colleghi non possono ancora essere sicuri e sono riluttanti a speculare, ma sospettano che il complesso appena scoperto potrebbe essere molto più giovane rispetto alla maggior parte delle caratteristiche vulcaniche nel KREEP Procellarum Terrane.
"Anche se sappiamo dalle analisi dirette di campioni di roccia lunare che la maggior parte del vulcanismo si è verificato 3-4 miliardi di anni fa, possiamo vedere dall'orbita alcuni flussi di basalto più recenti, fino ad 1 miliardo di anni fa" dice Jolliff.
"Non abbiamo un modo per ottenere una data assoluta della Compton-Belkovich perché non abbiamo le rocce in mano, ma dato che ci sono relativamente pochi crateri, la superficie sembra in realtà abbastanza fresca. Vediamo piccole caratteristiche che non sono state completamente erose e cancellate dal processo di impatto. Se questa provincia vulcanica si è formata molto tardi, non avrebbe potuto essere soggetta al decadimento radioattivo perché quelle fonti di calore diminuiscono con il tempo e diventano sempre più difficili da ottenere per le lave sulla superficie".
"Ma", dice, "la Luna può ancora avere un nucleo fuso esterno. GRAAL, la missione che sarà lanciata alla fine di quest'anno potrebbe confermare questa idea. Ma se il nucleo esterno fosse fuso, potrebbe generare impulsi di calore. Dopo tutto, sulla Terra abbiamo punti caldi come la catena vulcanica delle Hawaii che sono associati con pennacchi profondi di calore. Un impulso di calore dalle profondità del mantello potrebbe sciogliere una tasca di KREEP ricco di roccia alla base della crosta, lasciata dalla cristallizzazione originale dell'oceano di magma", Jolliff ci dice. Inoltre: "La fusione potrebbe aver aumentato la base della crosta vicino alla superficie, gonfiandola in una cupola.
"Dato che questa lava cominció a cristallizzarsi si sarebbe differenziata per produrre una fusione più silicica che è stata poi arricchita con il torio.
L'eruzione effusiva di questo materiale avrebbe potuto produrre le caratteristiche ai lati ovest e est del Compton-Belkovich.
Le tarde eruzioni di lava siliciche avrebbero costituito cupole con fianchi ripidi. Alcune delle eruzioni più recenti avrebbero potuto creare corpi di molto ricchi in magma silicico che in superficie, avrebbe formato piccoli 'rigonfiamenti'.

"Sarebbe stato come per la cupola Novarupta nel Katmai National Park in Alaska. Una lava molto viscosa si gonfia come un palloncino che sale dal basso. E la superficie gonfia può dividersi e crepare, per poi solidificarsi" , dice.
"Dato che queste caratteristiche vulcaniche hanno spinto verso l'alto, altre parti della superficie vicine potrebbero essere crollate, formando una caldera di forma irregolare al centro della caratteristica", dice Jolliff.
"Almeno questa è attualmente la mia ipotesi preferita per quello che è successo", dice sorridendo. "Ciò di cui abbiamo veramente bisogno di testare per questa o altre nuove idee sulla Luna è con l'esplorazione umana".

Adattamento e traduzione a cura di Arthur McPaul

Fonte: http://www.sciencedaily.com/releases/2011/07/110725091730.htm

martedì 26 luglio 2011

Scoperta La Più Grande Riserva Di Acqua Dell'universo




L'acqua è davvero ovunque.
Due squadre di astronomi, ciascuno guidato da scienziati del California Institute of Technology (Caltech), hanno scoperto il serbatoio più grande e più lontano di acqua mai rilevato nell'Universo.


Guardando da una distanza di 30 miliardi di trilioni di miglia di distanza in un quasar, uno degli oggetti più brillanti e violenti nel cosmo, i ricercatori hanno scoperto una massa di vapore acqueo che è di almeno 140 miliardi di volte quella di tutta l'acqua del mondo oceani combinato e 100.000 volte più massiccio del Sole.

Poiché il quasar è così lontano, la sua luce ha impiegato 12 miliardi anni per raggiungere la Terra. Le osservazioni rivelano dunque un momento in cui l'Universo aveva solo 1,6 miliardi di anni. "L'ambiente intorno a questo quasar è unico in quanto la produzione di acqua è una massa enorme", dice Matt Bradford, uno scienziato della NASA Jet Propulsion Laboratory (JPL), e un associato in visita al Caltech.
"E' un'altra dimostrazione che l'acqua è diffusa in tutto l'Universo, anche in tempi molto antichi".
Bradford guida uno dei due team internazionali di astronomi che hanno descritto le loro scoperte dei quasar in due documenti separati che sono stati accettati per la pubblicazione sull'Astrophysical Journal Letters.

Un quasar è alimentato da un enorme buco nero che sta progressivamente consumando un disco circostante di gas e polvere, che sputa fuori quasar enormi quantità di energia. Entrambi i gruppi di astronomi hanno studiato un quasar particolare chiamato APM 08279 5255, che ospita un buco nero 20 miliardi di volte più massiccio del Sole e produce tanta energia quanto un migliaio di miliardi di soli.

Dal momento che gli astronomi si aspettavano che il vapore acqueo fosse essere presente anche nell'Universo primordiale, la scoperta di acqua non è di per sé una sorpresa, dice Bradford. C'è vapore acqueo nella Via Lattea, anche se l'importo totale è 4.000 volte meno massiccio del quasar e come la maggior parte di acqua della Via Lattea è congelato in forma di ghiaccio.

Tuttavia, il vapore acqueo è un gas traccia importante che rivela la natura del quasar. In questo quasar particolare, il vapore acqueo è distribuito attorno al buco nero in una regione gassosa attraversa centinaia di anni luce (un anno luce è circa sei miliardi di miglia) e la sua presenza indica che il gas è insolitamente caldo e denso. Anche se il gas è a -53 gradi Celsius (-63 gradi Fahrenheit) ed è di 300 miliardi di volte meno denso di quello terrestre, è ancora cinque volte più caldo e 1-10 volte più denso di quello rilevato in genere nelle galassie come la Via Lattea.

Il vapore acqueo è solo uno dei molti tipi di gas che circondano il quasar e la sua presenza indica è apparsa sia in raggi X e raggi infrarossi. L'interazione tra radiazione e il vapore d'acqua rivela le proprietà del gas e come influenza il quasar. Per esempio, analizzando il vapore acqueo si evince come la radiazione riscaldi il resto del gas. Inoltre, le misurazioni del vapore acqueo e di altre molecole, come il monossido di carbonio, suggeriscono che c'è abbastanza gas per alimentare il buco nero fino a che non cresce a circa sei volte la sua dimensione. Se ciò avverrà in realtà, non è chiaro, dicono gli astronomi, poiché una parte del gas potrebbe finire condensata in stelle o potrebbe essere espulsa dal quasar.
La squadra di Bradford ha fatto le loro osservazioni a partire dal 2008, usando uno strumento chiamato Z-Spec presso l'Osservatorio Caltech Submillimeter (CSO), un telescopio di 10 metri vicino alla cima del Mauna Kea alle Hawaii. Z-Spec è uno spettrografo estremamente sensibile, che richiede temperature di raffreddamento all'interno di 0,06 gradi Celsius sopra lo zero assoluto. Lo strumento misura la luce in una regione dello spettro elettromagnetica chiamata "banda millimetrica", che si trova tra l'infrarosso e la lunghezze d'onda. a microonde.

La scoperta di acqua è stata possibile solo perché la copertura spettrale Z-Spec è 10 volte maggiore di quella degli spettrometri a queste lunghezze d'onda.
Gli astronomi hanno fatto seguito con le osservazioni dell'Array combinate per la Ricerca in Astronomia a onde millimetriche (CARMA), una serie di piatti radio nelle montagne dell'Inyo of Southern California.

Questa scoperta mette in evidenza i benefici dell'osservazione nelle lunghezze d'onda millimetrica e submillimetrica. Il campo si è sviluppato rapidamente negli ultimi due o tre decenni, e per raggiungere il pieno potenziale di questa linea di ricerca.

Gli autori dello studio, stanno ora progettando il CCAT, un telescopio di 25 metri, costruito nel Deserto di Atacama in Cile. CCAT permetterà agli astronomi di scoprire alcune delle prime galassie nell'Universo. Misurando la presenza di acqua e altri gas traccia importanti, gli astronomi possono studiare la composizione di queste galassie primordiali.

Il secondo gruppo, guidato da Dariusz Lis, ricercatore associato senior in fisica presso Caltech e vice direttore del CSO, ha utilizzato l'interferometro Plateau de Bure, nelle Alpi francesi per trovare l'acqua. Nel 2010, il team di Lis era alla ricerca di tracce di fluoruro di idrogeno nello spettro di APM 08279 5255, ma casualmente ha rilevato un segnale nello spettro del quasar che indicava la presenza di acqua. Il segnale era ad una frequenza corrispondente alla radiazione che viene emessa quando l'acqua transita da uno stato energetico superiore ad uno inferiore. Mentre il team di Lis ha trovato solo un segnale ad una singola frequenza, la larghezza di banda di Z-Spec ha permesso a Bradford e colleghi di scoprire l'emissione di acqua in molte frequenze.

Queste varie transizioni di acqua hanno permesso al team di Bradford di determinare le caratteristiche fisiche del gas del quasar e la massa dell'acqua.

Traduzione a cura di Arthur McPaul

Fonte: http://www.sciencedaily.com/releases/2011/07/110722132828.htm


sabato 23 luglio 2011

Le Aurore Sugli Esopianeti



Una nuova ricerca mostra che le aurore sui lontani "pianeti gioviani caldi" potrebbero essere 100-1000 volte più luminose delle aurore terrestri.


Le aurore della Terra (aurora boreale e australe) offrono uno spettacolo abbagliante di luce alle persone che vivono nelle regioni polari.
Tende luccicanti di verde e rosso ondeggiano nel cielo come un essere vivente.

Inoltre sarebbero visibili dall'equatore ai poli (a causa della vicinanza del pianeta a qualsiasi eruzione stellare), offrendo uno spettacolo ultraterreno.

Le aurore sulla Terra vengono create quando le particelle energetiche del Sole urtano contro il campo magnetico del nostro pianeta. Le particelle solari giungono verso i poli, dove si distruggono nell'atmosfera terrestre, provocando il brillamento delle molecole d'aria come un'insegna al neon.
Lo stesso processo può avvenire sui pianeti che orbitano intorno a stelle lontane.

Particolarmente luminose sono le aurore create da una espulsione di massa coronale o CME, una gigantesca esplosione che immette miliardi di tonnellate di plasma solare (carica elettrica, gas caldo) nel Sistema Solare.
Un CME può disturbare la magnetosfera terrestre, la bolla di spazio protetta dal campo magnetico terrestre, causando una tempesta geomagnetica.
Nel 1989, una CME ha colpito la Terra con tale forza che la tempesta geomagnetica ha oscurato ampie regioni del Quebec.

Cohen e colleghi hanno utilizzato i modelli di computer per studiare che cosa succederebbe se un gigante gassoso in orbita a pochi milioni di chilometri dalla sua stella, fosse colpito da una eruzione stellare.
Il gigante gassoso sarebbe sottoposto a forze estreme. Nel nostro Sistema Solare, un CME si estende mentre viaggia nello spazio, per cui è più diffuso una volta che ci raggiunge.

Un gioviano caldo sentirebbe un colpo più forte e più concentrato, come tra l'essere a 1 km di distanza da un vulcano in eruzione, anziché a 100 di distanza.
"L'impatto per il pianeta extrasolare sarebbe completamente diverso da ciò che vediamo nel nostro Sistema Solare e molto più violento", ha detto il co-autore Vinay Kashyap di CfA.

Nel modello, una CME colpisce il pianeta extrasolare e ne indebolisce il suo scudo magnetico. Poi le particelle del CME raggiungono l'atmosfera del gigante gassoso. Le sue luci dell'aurora in un anello intorno all'equatore, sarebbero circa 100-1000 volte più potenti delle aurore terrestri. Nel corso di circa 6 ore si avrebbero le increspature dell'aurora su e giù verso il nord e polo sud del pianeta fino a scomparire.

Nonostante le estreme forze coinvolte, gli scudi del campo magnetico del pianeta extrasolare non eroderebbero la sua atmosfera.
"I nostri calcoli mostrano quanto bene il meccanismo di protezione del pianeta opera", ha spiegato Cohen. "Anche un pianeta con un campo magnetico molto più debole di Giove sarebbe rimasto relativamente sicuro".
Questo lavoro ha importanti implicazioni per l'abitabilità dei mondi rocciosi in orbita attorno a stelle lontane. Dal momento che le stelle nane rosse sono le stelle più comuni nella nostra galassia, gli astronomi hanno suggerito di ricercare mondi simili alla Terra.
Tuttavia, poiché una nana rossa è più fredda del nostro Sole, un pianeta roccioso avrebbe dovuto orbitare molto vicino alla stella per essere abbastanza caldo per ospitare l'acqua liquida.

Esso sarebbe sottoposto a una sorta di violente eruzioni stellari secondo quanto previsto dal modello di Cohen ecolleghi.
Il loro lavoro futuro esaminerà se anche i mondi rocciosi possano proteggersi da eruzioni del genere.

Questa ricerca è stata accettato per la pubblicazione sul The Astrophysical Journal ed è disponibile online.




Traduzione a cura di Arthur McPaul

Fonte: http://www.sciencedaily.com/releases/2011/07/110721131201.htm

giovedì 21 luglio 2011

Una Superbolla Cosmica



Il VLT (Very Large Telescope) dell'ESO ha catturato questa suggestiva vista della nebulosa intorno all'ammasso stellare NGC 1929 nella Grande Nube di Magellano, una galassia satellite della VIa Lattea. Un esempio mastodontico di quella che gli astronomi chiamano superbolla domina questa incubatrice stellare, scolpita dai venti delle giovani stelle molto brillanti e dalle onde d'urto causate dalle esplosioni di supernova.


La Grande Nube di Magellano è una piccola galassia vicina alla Via Lattea. Contiene molte regioni in cui nuove stelle si formano a partire da nubi di gas e polvere. Una di queste regioni, che circonda l'ammasso stellare NGC 1929, viene riprodotta in questo ingrandimento ottenuto con il VLT (Very Large Telescope) dell'ESO. Questa nebulosa è ufficialmente nota come LHA 120-N 44, o per brevità N 44. Le stelle giovani e calde contenute nell'ammasso NGC 1929 emettono un'intensa luce ultravioletta che fa risplendere il gas. Questo effetto dà rilievo alla super bolla, un guscio di materia che si estende all'incirca 325 per 250 anni luce. Per confronto, la stella più vicina al Sole è distante soli quattro anni luce.

La superbolla N 44 è stata prodotta dalla combinazione di due processi. Innanzitutto i venti stellari -- correnti di particelle cariche prodotte dalle stelle massicce e caldissime che si trovano nell'ammasso centrale -- hanno spazzato la regione centrale. Successivamente alcune delle stelle massicce dell'ammasso sono esplose come supernove e hanno creato onde d'urto che hanno spostato il gas ancora più lontano, a formare la bolla rilucente.

Anche se le forze che hanno dato forma alla superbolla sono distruttive, nuove stelle si stanno formando sui bordi, dove il gas viene compresso. Come una grande impianto di riciclaggio su scala cosmica, questa nuova generazione di stelle porterà nuova vita nell'ammasso NGC 1929.

L'immagine è stata prodotta dall'ESO utilizzando dati osservativi identificati dall'argentino Manu Mejias [1], che ha partecipato alla gara di fotografie astronomiche "Tesori Nascosti 2010" dell'ESO. La gara è stata organizzata dall'ESO nel periodo ottobre-novembre 2010, rivolta a tutti coloro che amano produrre immagini accattivanti del cielo notturno utilizzando dati astronomici ottenuti da telescopi professionali.

Note
[1] Manu Mejias ha scavato nell'archivio dell'ESO per identificare i dati utili a comporre la sua immagine di NGC 1929, che si è piazzata settima nella gara, tra circa cento fotografie. La sua opera originale si può vedere qui.

[2] La gara "Tesori Nascosti 2010" dell'ESO ha dato agli astronomi dilettanti l'opportunità di setacciare gli enormi archivi di dati astronomici dell'ESO alla ricerca di una gemma nascosta che richiedeva solo di essere lucidata dai partecipanti. Per scoprire tutti i dettagli di "Tesori Nascosti", visitate il sito http://www.eso.org/public/outreach/hiddentreasures/.

Ulteriori Informazioni
L’ESO (European Southern Observatory) è la principale organizzazione intergovernativa di Astronomia in Europa e l’osservatorio astronomico più produttivo al mondo. È sostenuto da 15 paesi: Austria, Belgio, Brasile, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Olanda, Portogallo, Repubblica Ceca, Spagna, Svezia, e Svizzera. L’ESO svolge un ambizioso programma che si concentra sulla progettazione, costruzione e gestione di potenti strumenti astronomici da terra che consentano agli astronomi di realizzare importanti scoperte scientifiche. L’ESO ha anche un ruolo di punta nel promuovere e organizzare la cooperazione nella ricerca astronomica. L’ESO gestisce tre siti osservativi unici al mondo in Cile: La Silla, Paranal e Chajnantor. Sul Paranal, l’ESO gestisce il Very Large Telescope, osservatorio astronomico d’avanguardia nella banda visibile e due telescopi per survey. VISTA, il più grande telescopio per survey al mondo, lavora nella banda infrarossa mentre il VST (VLT Survey Telescope) è il più grande telescopio progettato appositamente per produrre survey del cielo in luce visibile. L’ESO è il partner europeo di un telescopio astronomico di concetto rivoluzionario, ALMA, il più grande progetto astronomico esistente. L’ESO al momento sta progettando l’European Extremely Large Telescope o E-ELT (significa Telescopio Europeo Estremamente Grande), di 40 metri, che opera nell'ottico e infrarosso vicino e che diventerà “il più grande occhio del mondo rivolto al cielo”.

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Questa è una traduzione del Comunicato Stampa dell'ESO eso1125.

Fonte: http://www.eso.org/public/italy/news/eso1125/

Strano Anello Nella Via Lattea



Nuove osservazioni dell'Osservatorio Spaziale Herschel, mostrano un bizzarro, contorto anello di gas denso al centro della nostra galassia Via Lattea.
Esso si estende per più di 600 anni luce ma non era mai stato visti in precedenza.


"Abbiamo esaminato questa regione al centro della Via Lattea già molte volte in precedenza, ma nell'infrarosso", ha detto Alberto Noriega-Crespo
del Centro di Analisi del California Institute of Technology di Pasadena. "Ma quando abbiamo guardato le immagini ad alta risoluzione usando le lunghezze d'onda nel sub-millimetrico è apparsa chiara la presenza di un anello". Noriega-Crespo è co-autore di un nuovo articolo di recente pubblicato sull'Astrophysical Journal Letters.

L'Osservatorio Spaziale Herschel è una missione guidata dall'ESA con importanti contributi della NASA. Vede nella luce infrarossa e sub-millimetrica, che può facilmente penetrare attraverso la polvere a meta tra il vivace centro della nostra galassia e noi.
I suoi rilevatori sono adatti anche a rilevare il materiale più freddo nella nostra galassia.

Quando gli astronomi hanno puntato il telescopio al centro della nostra galassia, hanno catturato, come mai prima d'ora, il suo anello interno, un tubo denso di gas freddo mescolato con polvere, dove si formano nuove stelle.

Gli astronomi sono rimasti scioccati dall'anello presente nel piano della nostra galassia, apparso come "un simbolo di infinito" con due lobi che puntava ai lato.

In realtà possiede solo due lobi. Sergio Molinari dell'Istituto di Fisica dello Spazio a Roma, Italia, principale autore della nuova carta ha dichiarato in merito: "Abbiamo un nuovo mistero emozionante nelle nostre mani, proprio al centro della nostra galassia".

Le osservazioni da terra con il Nobeyama Radio Observatory in Giappone hanno completato i risultati di Herschel determinando la velocità del gas più denso sull'anello. I risultati radar dimostrano che l'anello si muove insieme come un'unità, alla stessa velocità rispetto al resto della galassia.

L'anello si trova al centro della nostra Via Lattea, una regione di formazione stellare al centro dei suoi bracci a spirale. Questo anello è in realtà all'interno di un anello ancora più grande. Altre galassie presentano simili anelli. Un classico esempio di un anello interno è nella galassia NGC 1097, qui fotografato dal telescopio spaziale Spitzer della NASA. L'anello brilla al centro della struttura più grande nella galassia. Non è noto se questo anello è un caso raro o meno.

I dettagli di come si formino nelle galassie a spirale non sono ben compresi, ma le simulazioni al computer dimostrano come le interazioni gravitazionali possono produrre tali strutture. Alcune teorie sostengono che le barre derivano da interazioni gravitazionali tra galassie. Per esempio, la barra al centro della nostra Via Lattea potrebbe essere stata influenzata dalla nostra galassia più vicina, Andromeda.

La torsione sull'anello non è l'unico mistero uscito dalle nuove osservazioni Herschel.
Gli astronomi dicono che il centro dell'anello non è dove il centro della galassia come si ritiene che sia, ma è leggermente sfalsato. Il centro della nostra galassia è chiamato "Sagittarius A *", dove opera un massiccio buco nero. Secondo Noriega-Crespo, non è chiaro perché il centro dell'anello non corrisponda con il centro assunto della nostra galassia. "C'è ancora così tanto sulla nostra galassia da scoprire", ha infine detto.

Traduzione a cura di Arthur McPaul

Fonte: http://www.sciencedaily.com/releases/2011/07/110719151234.htm

Scoperta Quarta Luna Di Plutone



Gli astronomi della NASA, utilizzando il telescopio spaziale Hubble hanno scoperto una quarta luna in orbita attorno al pianeta nano ghiacciato Plutone. Chiamato temporaneamente P4, è stato scoperto durante un sondaggio alla ricerca di anelli attorno al pianeta nano.

La nuova luna è la più piccola finora scoperta intorno a Plutone. Ha un diametro stimato tra 8 e 21 miglia (13 a 34 km).
A confronto, Caronte, la luna più grande di Plutone, è di 648 miglia (1.043 km), Nix e Hydra, sono dai 20 ai 70 miglia di diametro (da 32 a 113 km).
"Trovo singolare che le telecamere di Hubble ci abbiano permesso di vedere un oggetto così piccolo così chiaramente da una distanza di oltre 3 miliardi di miglia (5.000 milioni km)", ha dichiarato Mark Showalter del SETI Institute di Mountain View, California, che ha guidato questo programma osservativo con Hubble.

La scoperta è il risultato dei lavori in corso a sostegno della missione New Horizons della NASA, che raggiungerà Plutone nel 2015. La missione è progettata per fornire nuove intuizioni sui mondi ai margini del nostro Sistema Solare.
La mappatura di Hubble della superficie di Plutone e la scoperta dei suoi satelliti sono stati preziosi per la pianificazione dell'incontro ravvicinato di New Horizon.

"Questa è una scoperta fantastica", ha detto Alan Stern, del Southwest Research Institute di Boulder, Colorado. "Ora che sappiamo che c'è un'altra luna nel sistema di Plutone, possiamo pianificare le osservazioni di essa in primo piano durante il flyby".

La nuova luna si trova tra le orbite di Nix e Hydra, che Hubble scoprì nel 2005. Caronte è stata scoperta nel 1978 presso la US Naval Observatory e fu risolta la prima volta utilizzando Hubble nel 1990, apparendo come un corpo separato da Plutone.

L'intero sistema di lune si ritiene che possa essersi formato da una collisione fra Plutone ed un altro oggetto di dimensioni planetarie, durante le prime di vita del sistema solare. L'impatto fece esplellere materiale che si fuse nella famiglia di satelliti osservati intorno a Plutone.

Le rocce lunari riportate sulla Terra dalle missioni Apollo hanno portato alla teoria che la Luna è il risultato di una collisione simile tra Terra e un corpo delle dimensioni di Marte circa 4400000000 anni fa.
Gli scienziati ritengono che dal materiale esplulso si possa essere formato un anello attorno a a Plutone ma le foto di Hubble non ne hanno rilevato alcuna presenza finora.

"Questa osservazione sorprendente, è una potente dimostrazione della capacità di Hubble come un osservatorio astronomico per vari utilizzi e scoperte impreviste", ha detto Jon Morse, direttore divisione di astrofisica della NASA a Washington.

P4 è stato ripreso la prima volta in una foto scattata con la Wide Field Camera 3 il 28 giugno.
E' stato poi confermato nelle successive immagini di Hubble riprese il 3 luglio e il 18 luglio. La luna non era stata vista nelle precedenti immagini di Hubble, perché i tempi di esposizione sono stati più brevi. C'è una possibilità che appare come una macchia molto debole nelle immagini del 2006 ma era stata trascurata perché troppo scura.

Traduzione a cura di Arthur McPaul

Fonte: http://www.sciencedaily.com/releases/2011/07/110720090505.htm

martedì 19 luglio 2011

Vesta Sotto Gli Occhi Di Dawn

La sonda spaziale della NASA, ha ottenuto questa immagine il 17 luglio 2011 da una distanza di circa 9.500 miglia (15.000 chilometri) dal protopianeta Vesta protopianeta. Ogni pixel dell'immagine corrisponde a circa 0,88 miglia (1,4 chilometri).

"Stiamo iniziando lo studio della superficie del più antico protopianeta esistente del Sistema Solare", ha detto il principale ricercatore di Dawn, Christopher Russell presso la University of California, Los Angeles. "Questa regione di spazio è stata ignorata per troppo tempo. Finora, le immagini ricevute rivelano una superficie complessa che sembra aver conservato alcuni dei primi eventi nella storia di Vesta, come i bombardamenti subiti durante la prima parte della sua vita nel corso degli eoni".

 Vesta comparato con altri asteroidi della Fascia Principale


Vesta è ritenuto essere la fonte di un gran numero di meteoriti che cadono sulla Terra. Vesta e Dawn sono attualmente a circa 117 milioni miglia (188 milioni di chilometri) di distanza dalla Terra. Il team inizierà la raccolta dei dati scientifici in agosto. Le osservazioni forniranno dati senza precedenti per aiutare gli scienziati a capire il primo capitolo della storia del nostro Sistema Solare. I dati inoltre aiuteranno a spianare la strada per le future missioni spaziali umane.

Dopo aver viaggiato per quasi quattro anni e 1,7 miliardi di miglia (2,8 miliardi km), Down ha anche realizzato la più grande accelerazione propulsiva di un veicolo spaziale, con una variazione di velocità di oltre 4,2 chilometri al secondo (6,7 chilometri al secondo), grazie ai suoi motori ionici . I motori espellono gli ioni di come spinta per creare e fornire una velocità superiore a quella di qualsiasi altra tecnologia attualmente disponibile.


Polo Sud di Vesta

"Dawn scivola dolcemente in orbita con la stessa grazia che ha mostrato durante gli anni  attraverso lo spazio interplanetario", ha detto Marc Rayman, ingegnere delegato e direttore della missione presso il Laboratorio di Propulsione Jet della NASA a Pasadena, in California. "E 'incredibilmente emozionante perchp comincerà a fornire all'umanità le informazioni dettagliate di uno degli ultimi mondi inesplorati nel Sistema Solare interno".



Anche se la cattura in orbita è completa, la fase di approccio si protrarrà per circa tre settimane. Durante l'approccio, il team continuerà la ricerca di lune possibile intorno all'asteroide, per ottenere più immagini utili per la navigazione e osservare le sue proprietà fisiche per ottenere i dati di calibrazione.

Inoltre, verrà misurata la forza gravitazionale di Vesta a bordo della sonda per calcolare la massa dell'asteroide con una precisione molto maggiore di quanto sia stato precedentemente fatto, cosa che permetterà di affinare il tempo di inserimento orbita.

Down passarà un anno in orbita a Vesta, per poi mettersi in viaggio verso una nuova destinazione, il pianeta nano Cerere, arrivando nel febbraio 2015

Traduzione a cura di Arthur McPaul





sabato 16 luglio 2011

Dawn Entra In Orbita Attorno A Vesta




Il 15 luglio, il veicolo spaziale Dawn della NASA ha iniziato un incontro prolungato con l'asteroide Vesta, diventando il primo satellite artificiale ad entrare in orbita ad un oggetto nella Fascia Principale degli asteroidi.

La Fascia Principale degli asteroidi si trova tra le orbite di Marte e Giove. Esso studierà Vesta per un anno e le osservazioni aiuteranno gli scienziati a capire la storia del nostro Sistema Solare primordiale.

Mentre la sonda si avvicinava a Vesta, i dettagli di superficie sono man mano venuti a fuoco, come si puó vedere in una recente immagine ripresa da una distanza di circa 26.000 miglia (41000 km). L'immagine è disponibile all'indirizzo: http://www.nasa.gov/mission_pages/dawn/multimedia/dawn-image-070911.html .

Dawn è entrato in orbita alle 22:00 PDT circa di Venerdì 15 luglio (01:00 EDT di Sabato 16 Luglio). Quando Dawn sarà in orbita stabile attorno a Vesta gli ingegneri stimano che sarà a circa 9.900 miglia (16.000 chilometri) da esso. A quel punto, il veicolo spaziale e l'asteroide saranno a circa 117 milioni miglia (188 milioni di chilometri) dalla Terra.

"Ci sono voluti quasi quattro anni per arrivare a questo punto," ha dichiarato Robert Mase, responsabile del progetto presso il Laboratorio di Propulsione Jet della NASA a Pasadena, in California. "I nostri ultimi test e check-out mostrano che Dawn si trova proprio sul bersaglio e sta proseguendo normalmente la sua missione".

Gli ingegneri sono stati costretti a modificare sottilmente la traiettoria di Dawn per Vesta. A differenza di altre missioni, dove vi è un esoso consumo propulsivo per entrare in orbita attorno a un pianeta, Dawn è facilitato per Vesta. La gravità dell'asteroide catturerà il veicolo spaziale in orbita. Tuttavia, saranno nevessarie stime accurate mentre Dawn si avvicina a Vesta che consentiranno di misurare la massa dell'asteroide e la sua forza di gravità. Così il team avrà bisogno di un paio di giorni per perfezionare il momento esatto della cattura in orbita.

Lanciato nel settembre 2007, Dawn partirà poi per la sua destinazione, il pianeta nano Cerere, nel mese di luglio del 2012.

Traduzione a cura di Arthur McPaul

Fonte: http://www.jpl.nasa.gov/news/news.cfm?release=2011-208

Cerere E Vesta Hanno Orbite Caotiche




Cerere e Vesta sono corpi minori situati nella Cintura degli Asteroidi, e a lungo sono stati ritenuti pacificamente in orbita stabile, ma si troverebbero secondo nuovi calcoli, ad incidere sui loro grandi vicini e in particolare con la Terra, in un modo che non era stato previsto.

I risultati sono riportati con i nuovi calcoli astronomici rilasciati da Jacques Laskar dall'Osservatorio di Parigi e suoi colleghi, tra i quali J. Laskar, M. Gastineau, J.-B. Delisle, A. Farrés (IMCCE, Observatoire de Paris, Francia), e A. Fienga (IMCCE / Observatoire de Paris e Observatoire de Besançon, Francia).

Anche se piccoli, Cerere e Vesta interagiscono gravitazionalmente tra loro e con gli altri pianeti del Sistema Solare. A causa di queste interazioni, sono continuamente tirati o spinti un pó fuori della loro orbita iniziale. I calcoli mostrano che, dopo qualche tempo, questi effetti non mediano. Di conseguenza, i corpi lasciano le loro orbite iniziali e, soprattutto, esse appaiono caotiche, nel senso che non è possibile prevedere le loro posizioni future.

I due corpi hanno anche una significativa probabilità di un impatto tra loro, stimato nello 0,2% per miliardo di anno.

Inoltre, Cerere e Vesta interagiscono gravitazionalmente con la Terra, la cui orbita diventa anche imprevedibile, dopo solo 60 milioni di anni. Ciò significa che l'eccentricità della Terra, provoca variazioni climatiche sulla sua superficie e non si può far risalire a più di 60 milioni di anni fa. Questa è davvero una brutta notizia per gli studi di Paleoclima.

Questa scoperta inaspettata arriva in un momento in cui entrambi gli oggetti sono gli obiettivi della NASA. La sonda Dawn incontrerà Cerere nel mese di febbraio drl 2015. Allo stato attuale, Dawn si avvicina a Vesta, e il passaggio ravvicinato è avvenuto Sabato 16 luglio 2011.

Rimaniamo quindi in trepida attesa di ricevere e pubblicare le immagini ravvicinate di questi due "protopianeti".

Credito dell'Immagine in alto: Vesta a confronto con Cerere (NASA)


Traduzione e adattamento a cura di Arthur McPaul

Fonte:
http://www.sciencedaily.com/releases/2011/07/110715135156.htm

venerdì 15 luglio 2011

CoRoT Scopre Altri Dieci Nuovi Esopianeti






Un team internazionale, tra cui gli scienziati dell'Università di Oxford, ha scoperto dieci nuovi pianeti. Tra essi, uno orbita intorno a una stella forse di solo poche decine di milioni di anni, un pianeta gemello di Nettuno e un raro mondo tipo Saturno.

I pianeti sono stati rilevati utilizzando il telescopio spaziale CoRoT (Convection, rotazione e transiti) gestito dall'Agenzia Spaziale Francese CNES. Esso cerca pianeti oltre il nostro Sistema Solare, quando 'transitano' davanti alle loro stelle.
Le nuove scoperte sono state annunciate il ​​14 giugno presso il Secondo Simposio CoRoT, tenutosi a Marsiglia.

Dei dieci nuovi pianeti extrasolari (CoRoT-16b fino al 24b, c) sette sono pianeti gioviani caldi, alcuni dei quali sono insolitamente densi e/o su orbite insolitamente allungate, mentre uno è in orbita intorno a una stella insolitamente giovane.
La scoperta comprende anche un pianeta poco più piccolo di Saturno, due tipo Nettuno in orbita intorno alla stessa stella.
Dr Suzanne Aigrain del Dipartimento della Oxford University of Physics, scienziato britannico per CoRoT, ha dichiarato: 'CoRoT-18b è speciale perché la sua stella potrebbe essere abbastanza giovane. La ricerca di pianeti attorno a stelle giovani è particolarmente interessante perché i pianeti si evolvono molto velocemente all'inizio, prima di stabilirsi in un modello più stabile.
Se vogliamo capire come ció accade abbiamo bisogno di catturarli entro le prime poche centinaia di milioni di anni. Dopo di che, la memoria delle condizioni iniziali è sostanzialmente persa. Nel caso di CoRoT-18, diversi modi di determinare l'età danno risultati diversi, ma è possibile che la stella potrebbe essere solo di poche decine di milioni di anni.
Se questo fosse confermato, allora potremmo imparare molto sulla formazione e sull'evoluzione dei primi pianeti giganti gassosi caldo confrontando le dimensioni di CoRoT-18b per le previsioni di modelli teorici.

Un altro sistema di particolare interesse è CoRoT-24, che è posto a circa 4.400 anni luce da noi ed è costituito da una stella un pó più piccola del nostro Sole, con ben due pianeti in transito.
Il primo di questi pianeti è tre volte la Terra e impiega 5,1 giorni per orbitare attorno alla stella, mentre il secondo è 4,8 volte più grande della Terra e impoega 11,8 giorni per completare un'orbita.

"Quindi, questi pianeti sono simili a Nettuno per dimensioni, ma molto più caldi", ha detto Aigrain.
"Tuttavia, non sappiamo ancora se sono simili a Nettuno in composizione, perché anche con i migliori strumenti del mondo, potremmo ottenere solo limiti superiori per le loro masse. E' il primo sistema con due pianeti in transito trovato da CoRoT e si lega bene con sistemi simili scoperti dalla missione Keplero.

CoRoT-22b è un raro esempio di pianeta con dimensioni simili a Saturno. Situato a circa 2.000 anni luce da noi, impiega circa 10 giorni per orbitare intorno alla sua stella, che è leggermente più calda del nostro Sole.
Il Dr Aigrain ha detto: "Abbiamo solo un limite superiore alla sua massa, ma questo è sufficiente per stabilire la densità, che non è molto più di quella di Giove, il che significa che ha una composizione prevalentemente gassosa, anche se potrebbe anche contenere quantità significative di roccia e ghiaccio".

Una volta che CoRoT rileva un transito, vengono effettuate ulteriori osservazioni da terra, utilizzando una serie di telescopi in tutto il mondo.
Anche se gli astronomi non possono vedere direttamente i pianeti, usano i dati spaziali e terrestri per misurare le dimensioni, le masse e le orbite di questi nuovi pianeti.
Ecco perché, tra tutti i pianeti extrasolari conosciuti, quelli con i transiti danno le informazioni più complete sulla formazione dei pianeti e sull'evoluzione.
I nuovi pianeti sono stati anche presentati in un seminario il 15 giugno presso l'Istituto di Fisica di Londra.

I 10 nuovi pianeti sono:
CoRoT-16b: Un pianeta gigante con metà della massa di Giove e il suo stesso raggio. Orbita attorno alla sua stella simile al Sole, in 5,3 giorni, con un'età di 6 miliardi di anni.
L'orbita di questo pianeta è molto allungata, il che è raro per un simile pianeta cosi vecchio.

CoRoT-17b: E' un pianeta gigante che orbita attorno a una stella di 10 miliardi di anni, in 3,7 giorni, con 2.4 masse di Giove e una densità doppia. Osservando un simile sistema planetario molto vecchio, si ottengono importanti informazioni per comprendere l'evoluzione a lungo termine dei pianeti giganti.

CoRoT-18b: A differenza dei pianeti precedenti, questo gioviano caldo orbita attorno a una stella giovane che si trova a soli 600 milioni di anni. Questo pianeta ha una dimensione 1,4 volte quella di Giove, ma ha 3,5 volte la sua massa. Questo pianeta è molto denso, con quasi il doppio della densità di Giove.

CoRoT-19b: E' un pianeta con la stessa massa di Giove, ma 1,5 volte la sua dimensione. Ha una densità molto inferiore a quella di Saturno, il pianeta meno denso del nostro Sistema Solare.

CoRoT-20b: E' un gioviano caldo posto in un'orbita eccentrica con un periodo di 9,2 giorni. CoRoT-20b è speciale perché ha un'orbita molto allungata, che può essere correlata alla sua densità estremamente elevata.
Ha una densità doppia rispetto a quella di Marte, anche se è un pianeta gigante gassoso.

CoRoT-21b: E' un pianeta gigante gassoso con una dimensione di 1,3 volte quella di Giove e di 2,5 volte la sua massa. Questa è una delle stelle più deboli esaminate da CoRoT per la quale è stata determinata la massa di un pianeta.
Queste misure di massa hanno richiesto osservazioni con il telescopio Keck di 10m alle Hawaii negli Stati Uniti, il più grande telescopio del mondo.

CoRoT-22b: Questo pianeta ha una dimensione di 0,74 raggi quello di Saturno. La massa di questo pianeta extrasolare deve ancora essere determinata con esattezza, ma è certamente meno della metà di quella di Saturno.

CoRoT-23b: E' un gioviano caldo in un'orbita di 3,6 giorni.

CoRoT-24 ter e 24 quater: Sono un sistema con due pianeti in orbite dimensioni di 5,1 e 11,8 giorni. I pianeti hanno dimensioni da 1 e 1,4 volte quella di Nettuno.

Nonostante i loro migliori sforzi, il team di scienziati non è stato in grado di rilevare le tracce della velocità radiale di CoRoT-22b, 24b e 24 quater. Tuttavia, sono stati in grado di escludere quasi ogni configurazione di stelle che possano simulare un pianeta nei dati CoRoT.


Traduzione a cura di Arthur McPaul

Fonte:
http://www.sciencedaily.com/releases/2011/07/110714102456.htm

giovedì 14 luglio 2011

Polvere Interstellare Prodotta Da Supernovae?




Dai nuovi dati provenienti dall'Herschel Space Observatory dell'ESA è stato messo in luce una quantità sorprendentemente grande di polvere fredda nel resto della famosa supernova SN 1987A, che gli astronomi hanno osservato 24 anni fa nella Grande Nube di Magellano, una galassia vicina della Via Lattea.

Con questa scoperta, gli astronomi confermano che le supernove sono in grado di produrre quantità significative di polveri su scale temporali molto brevi. Questo può aiutare a spiegare le osservazioni precedenti, da Herschel e altri osservatori, di abbondante polvere nell'Universo primordiale, come dell'alto redshift delle galassie.
I risultati sono stati pubblicati on line su Science Express.

L'Osservatorio Spaziale Herschel ha aperto una nuova finestra sull'Universo, rivelando il cosmo nelle lunghezze d'onda del lontano infrarosso e sub-millimetrico, una gamma spettrale caratterizzata da una forte emissione di polvere cosmica fredda miscelata con il gas molecolare.
Mentre traccia solo una componente in termini di massa, la polvere cosmica è un costituente fondamentale delle galassie ed è fortemente legata al ciclo di vita delle stelle. La polvere è creata attorno alle stelle ed è particolarmente importante nel contesto della formazione stellare, in quanto svolge un ruolo attivo nelle nubi molecolari in cui nascono le stelle, inoltre, è in agglomerati di polvere che, durante il processo di formazione delle stelle, prendono forma i semi dei sistemi planetari.

Precedenti osservazioni di galassie ad alto redshift avevano dimostrato che la polvere era già presente nell'Universo primordiale. La polvere cosmica è costituita da piccoli grani solidi che contengono una varietà di elementi pesanti tra cui il carbonio, silicio e ferro: la sua formazione deve aver seguito l'inizio della prima generazione di stelle, dove sono stati sintetizzati gli elementi per la prima volta. Quando ha avuto origine esattamente la polvere cosmica nella storia cosmica è ancora materia di dibattito, ed i dettagli dei processi che creano grani di polvere rimangono poco chiari.

Le prime stelle che esplosero come le supernovae solo poche centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang sono sospettate di essere i luoghi di formazione di tale polvere.
Se le supernove sono effettivamente in grado di produrre polvere sufficiente a corrispondere gli importi rilevati in un alto redshift delle galassie, tuttavia, è rimasto a lungo una questione insoluta.

I nuovi dati raccolti con Herschel hanno dimostrato che questo possa effettivamente essere possibile.
"È interessante notare che questo nuovo indizio non viene da osservazioni di galassie molto distanti, ma da uno dei nostri vicini galattici più prossimi", ha commentato Mikako Matsuura presso la University College London, nel Regno Unito. Matsuura è l'autore principale di uno studio che sarà pubblicato sulla rivista Science, che presenta l'analisi delle emissioni di polvere dalla famosa supernova SN 1987A. L'esplosione di questo oggetto è stato osservato 24 anni fa nella Grande Nube di Magellano, una delle galassie nane in orbita intorno alla Via Lattea.

Per la sua vicinanza, ad una distanza di solo 160.000 anni luce, questa supernova è diventata un laboratorio 'locale' in primo piano gli studi della scomparsa stellare.
"Con SN1987A, siamo in grado di indagare i dettagli che sono quasi impossibili da distinguere in supernovae all'interno di galassie più distanti. Questo ci aiuta a migliorare la nostra comprensione di queste esplosioni stellari, che possiamo poi applicare al più ampio contesto dell'evoluzione delle galassie", aggiunge Matsuura.

Le osservazioni sono state eseguite come parte dell'nventario di Herschel, "Programma Chiave dell'Evoluzione delle Galassie nella Nube di Magellano (PATRIMONIO)", una indagine che sonda la grande formazione galattica nelle Nubi di Magellano.
"Non ci aspettavamo di vedere SN1987A quando abbiamo programmato l'indagine", spiega Margaret Meixner, Principal Investigator di PATRIMONIO della Space Telescope Science Institute di Baltimora, nel Maryland.
"Sulla base delle nostre conoscenze attuali di polvere in supernovae, non avremmo potuto prevedere che Herschel avrebbe rilevato questa fonte. E' stata sicuramente una delle più grandi sorprese del nostro progetto", aggiunge.

Il rilevamento di SN1987A con Herschel dimostra che questo oggetto contiene polvere, circa 1000 volte più di quanto indicato da gran parte delle osservazioni svolte in precedenza nel breve e medio infrarosso.
Sulla base dei nuovi dati, la quantità di polveri presenti è stata stimata in quasi l'equivalente alla massa del Sole. Oltre a dimostrare che SN1987A contiene più polvere del previsto, le misure di Herschel hanno portato alla luce un altro fattore importante.
A temperature di 16-23 gradi Kelvin, la componente di recente scoperta è circa 20 volte più fredda rispetto alla polvere rilevata in passato in questo resto di supernova.

Precedenti osservazioni condotte a lunghezze d'onda infrarosse forse non avevano la copertura spettrale adatta o la sensibilità sufficiente per osservare questa emissione.
"Dal momento che nessuna struttura paragonabile a Herschel è esistita negli ultimi due decenni, non possiamo dire con certezza se questa grande quantità di polvere fredda sia stata prodotta di recente o se l'abbiamo osservata solo adesso perché siamo finalmente stati in grado di individuarla con Herschel, fa notare Matsuura.
Ma questo non porta l'importanza del risultato in discussione. "Abbiamo dimostrato che una supernova è in grado di produrre una quantità di polvere paragonabile alla massa del Sole in un periodo cha va da un paio di anni a dodici, un batter d'occhio rispetto alla vita di una stella", aggiunge .

Il capostipite di SN1987A era una stella supergigante blu con una massa di 18-20 masse solari. Stelle più massicce sono ritenute capaci di produrre una quantità ancora più grande di polvere.
Questo studio dimostra chiaramente che le prime supernove sembrano essere state fabbriche di polvere estremamente efficaci e potrebbero quindi essere state le principali fonti di polvere si trovata in redshift alte delle galassie. L'emergere di grandi quantità di polvere nell'Universo primordiale deve aver avuto un profondo impatto sulla dinamica complessiva della formazione stellare, in quanto la polvere è cruciale per il raffreddamento delle nubi molecolari, aumentando l'efficienza e il ritmo di nascita stellare.
"Questo risultato, basato su misure effettuate nel nostro cortile cosmico, fornisce una possibile spiegazione per le osservazioni di Herschel di polvere in galassie molto distanti", sottolinea Göran Pilbratt, Herschel, scienziato del progetto. "Questo dimostra come l'osservatorio ci permette di costruire una più profonda comprensione di come l'Universo si è evoluto nel tempo cosmico," conclude.

I dati di questo studio sono stati raccolti come parte dell'inventario di Herschel sugli agenti dell'evoluzione delle galassie nelle Nubi di Magellano (PATRIMONIO) Programma Key, un sondaggio uniforme della Grande Nube di Magellano, la Piccola Nube di Magellano e il Ponte di Magellano. L'indagine ha come obiettivi l'emissione al lontano infrarosso e la sub-millimetrica dei grani di polvere, che è un tracciante efficace della più fredda polvere nel mezzo interstellare, gli oggetti stellari più profondamente radicati al a polvere espulsa durante la vita delle stelle massicce.

PATRIMONIO colmerà il divario tra gli studi di Herschel della Via Lattea e quelli delle galassie vicine, e fornirà un modello per alto redshift delle galassie.
Herschel è un osservatorio spaziale dell'ESA con strumenti scientifici forniti dalla guida europea consorzi Principal Investigator e con la partecipazione importante della NASA. Lo studio presentato in questo articolo si basa su osservazioni effettuate con i PACS e SPIRE, strumenti a bordo di Herschel.

Lo strumento PACS contiene un fotometro di imaging (fotocamera) e uno spettrometro di immagini. La telecamera funziona in tre fasce centrate rispettivamente su 70, 100 e 160 micron.
PACS è stato sviluppato da un consorzio di istituti guidati da MPE (Germania) e tra UVIE (Austria), KU Leuven, CSL, IMEC (Belgio), CEA, LAM (Francia); MPIA (Germania); INAF-IFSI/OAA / OAP / OAT, LENS, SISSA (Italia); IAC (Spagna). Questo sviluppo è stato supportato dalle agenzie di finanziamento BMVIT (Austria), ESA-PRODEX (Belgio), CEA / CNES (Francia), DLR (Germania), ASI / INAF (Italia), e CICYT / MCYT (Spagna).

Lo strumento SPIRE contiene un fotometro di imaging (fotocamera) e uno spettrometro di immagini. La telecamera funziona in tre bande di lunghezza d'onda centrata su 250, 350 e 500 micron, e puó fare le immagini del cielo contemporaneamente in tre colori nel sub-millimetrico.

SPIRE è stato sviluppato da un consorzio di istituti guidati da Cardiff University. (UK) e tra Univ. Lethbridge (Canada); NAOC (Cina), CEA, LAM (Francia); IFSI, Univ.. Padova (Italia); IAC (Spagna), dell'Osservatorio di Stoccolma (Svezia), Imperial College di Londra, RAL, UCL-MSSL, UKATC, Univ.. Sussex (Regno Unito), Caltech, JPL, NHSC, Univ.. Colorado (USA). Questo sviluppo è stato sostenuto da agenzie nazionali di finanziamento: CSA (Canada); NAOC (Cina), CEA, CNES, CNRS (Francia); ASI (Italia); MCINN (Spagna); SNSB (Svezia); STFC (UK), e NASA (USA).

Credito dell'Immagine in alto: La regione attorno alla Supernova 1987A come vista dai telescopi spaziali Herschel e Hubble. (Credit: ESA/Herschel/PACS/SPIRE/NASA-JPL/Caltech/UCL/STScI and the Hubble Heritage Team (AURA/STScI/NASA/ESA))



Traduzione a cura di Arthur McPaul

Fonte:
http://www.sciencedaily.com/releases/2011/07/110707141203.htm

lunedì 11 luglio 2011

Giove Visto Da Cassini Nel 2000






Questa foto di Giove è stata costruita da immagini scattate dalla fotocamera ad angolo stretto a bordo della navicella spaziale Cassini della NASA il 29 dicembre 2000, durante il suo massimo avvicinamento al pianeta gigante ad una distanza di circa 10 milioni di chilometri (6.2 milioni di miglia). La sonda era diretta verso il sistema di Saturno.

E' il ritratto globale più dettagliato a colori di Giove mai prodotto, con dettagli di circa 60 km (37 miglia) di diametro. Il mosaico è composto da 27 immagini: nove immagini sono state necessarie per coprire l'intero pianeta e ciascuno di questi luoghi è stato ripreso in rosso, verde e blu per fornire i colori reali. Sebbene la fotocamera di Cassini puó vedere più i colori rispetto agli esseri umani, Giove in questa nuova visione ha un aspetto molto vicino al modo in cui lo vedrebbe l'occhio umano.

Molto visibili sul pianeta sono le nuvole. Le bande parallele rosso-marrone e bianche, gli ovali bianchi e la grande Grande Macchia Rossa persistono per molti anni, nonostante le intense turbolenze visibili nell'atmosfera.

Le caratteristiche più energetiche sono le piccole nubi luminose a sinistra della Grande Macchia Rossa e in luoghi simili nella metà settentrionale del pianeta. Queste nubi crescono e scompaiono in pochi giorni e generano fulmini.
Le striature si formano mentre le nubi sono tranciate da intensi corsi d'acqua a getto che corrono parallele alle bande colorate.

La banda scura in primo piano nella metà settentrionale del pianeta ha venti di 480 chilometri (300 miglia) all'ora. Il diametro di Giove è undici volte quello della Terra, per cui le più piccole tempeste di questo mosaico sono di dimensioni paragonabili ai più grandi uragani sulla Terra.

A differenza della Terra, dove solo l'acqua si condensa a formare nubi, su Giove ci sono nuvole di ammoniaca, idrogeno solforato e l'acqua. Le correnti ascensionali discenzionali portano diverse miscele di queste sostanze dal basso, portando a nuvole di diverse altezze.
I colori marroni e arancioni possono essere dovuti a elementi chimici ripescati dai livelli più profondi dell'atmosfera e che possono essere sottoprodotti da reazioni chimiche guidate dalla luce ultravioletta proveniente dal Sole.
Le aree bluastre, come le caratteristiche di piccole dimensioni, a nord e a sud dell'equatore, sono aree di copertura nuvolosa ridotte, più in profondità.

Per ulteriori informazioni, vedere la casa di Cassini Progetto pagina, http://www.nasa.gov/cassini e il team di Cassini home page, http://ciclops.org . Il team di imaging ha sede presso la Space Science Institute di Boulder, Colorado

La missione Cassini-Huygens è un progetto di cooperazione della NASA, l'Agenzia spaziale europea e l'Agenzia Spaziale Italiana. Il Jet Propulsion Laboratory, una divisione del California Institute of Technology di Pasadena, gestisce la missione Cassini della NASA per Office of Space Science, Washington, DC

Credito dell'Immagine: NASA / JPL / Space Science Institute


Traduzione a cura di Arthur McPaul

Fonte:
http://www.nasa.gov/mission_pages/cassini/multimedia/pia04866.html

domenica 10 luglio 2011

Titano: Tortola Facula



Queste immagini ottenute dalla sonda Cassini della NASA mostrano la regione denominata Tortola Facula, presente sulla luna di Saturno, Titano.
L'immagine a sinistra è stata ottenuta dai dati della mappatura visiva dello spettrometro a infrarossi il 26 ottobre 2004, con una risoluzione di 2 km (1 miglio) per pixel.

Questo mosaico si concentra su una superficie di circa 9 gradi di latitudine nord e 145 gradi di longitudine ovest. Nel 2005, gli scienziati hanno interpretato la Tortola Facula come un vulcano di ghiaccio. 
L'immagine a destra mostra la stessa caratteristica, come si vede dal radar di Cassini il 12 maggio 2008, ad una risoluzione molto più alta di 300 metri per pixel. Gli scienziati ora pensano che questa caratteristica è un ostacolo anonimo circondato da evidenti erosioni del vento delle dune di sabbia, simili a quelli che si trovano comunemente in questa regione di Titano. 

Nelle immagini radar, gli oggetti appaiono luminosi quando sono inclinate verso la sonda e hanno superfici ruvide. 

Per ulteriori informazioni sulla missione Cassini-Huygens visita missione http://www.nasa.gov/cassini e http://saturn.jpl.nasa.gov 


Credito immagine: NASA / JPL-Caltech / University of Arizona

Traduzione a cura di Arthur McPaulFonte: http://www.nasa.gov/mission_pages/cassini/multimedia/pia13895.html

Nuvole Equatoriali Su Titano




La sonda spaziale Cassini della NASA ci mostra il cambiamento delle stagioni sulla luna di Saturno, Titano, dopo aver inviato a terra le immagini che ritraggono le nubi vicino all'equatore.

Le nubi di metano nella troposfera, la parte più bassa dell'atmosfera, appaiono bianche e sono vicino all'equatore di Titano. Le zone più scure sono alcune caratteristiche della superficie che hanno un basso albedo, cioè che non riflettono molta luce. 
Le osservazioni fatte da Cassini mostrano nuvole come queste, che forniscono prove di un cambiamento stagionale a basse latitudini dopo l'equinozio dell'agosto 2009 di Saturno. (Durante equinozio, il Sole si trova direttamente sopra l'equatore). 

Nel 2004, durante la tarda estate, a sud di Titano, i vasti sistemi nuvolosi erano comuni nella regione del polo sud di Titano. Dal 2005, i sistemi sud polari sono stati osservati raramente e un anno dopo l'equinozio, si sono estesi nella fascia equatoriale. 
Questa immagine è stata scattata il 18 ottobre 2010, poco più di un anno dopo l'equinozio di Saturno, che accade una volta ogni 15 anni terrestri. 

I modelli nuvolosi sono stati osservati a sud dalla fine dell'estate ai primi dell'autunno, suggeriscono che la circolazione globale dell'atmosfera di Titano è influenzata sia dall'atmosfera che dalla superficie. 
La temperatura della superficie risponde più rapidamente alle variazioni di illuminazione rispetto alla spessa atmosfera. Le nuvole qui osservate possono essere l'equivalente su Titano di ciò che crea il clima tropicale sulla Terra, anche se la reazione ritardata al cambiamento delle stagioni e lo spostamento apparentemente improvviso ricorda maggiormente il comportamento tropicale sugli oceani della Terra. 


Questo punto di vista guarda verso il lato rivolto a Saturno, e il Nord è posto in alto. L'immagine appare un pó sgranata perché è stata riprogrammata per una scala di 6 chilometri (4 miglia) per pixel. La scala nell'immagine originale era di 15 chilometri (9 miglia) per pixel.
Questo punto di vista è costituito da una media di tre immagini scattate con un filtro sensibile al vicino infrarosso centrato a 938 nanometri, che permette il rilevamento della superficie di Titano e della bassa atmosfera, oltre a un'immagine scattata con un sensibile filtro per la luce visibile centrato a 619 nanometri .
Le immagini sono state scattate con la sonda Cassini dalla fotocamera ad angolo stretto a una distanza di circa 2,5 milioni km (1,6 milioni di miglia) da Titano e il Sole posto a 56 gradi.


Per ulteriori informazioni sulla missione Cassini-Huygens visita missione http://www.nasa.gov/cassini e http://saturn.jpl.nasa.gov . Il team di Cassini homepage si trova su http://ciclops.org .


Crediti dell'immagine: NASA / JPL / SSI

Traduzione a cura di Arthur McPaul

Indizi Sulla Nebulosa Protoplanetaria Solare


L'azoto solare è molto diverso da quello presente sulle meteoriti o sulla Terra. Un team franco-americano guidato dal Centre de Recherches et Pétrographiques Géochimiques (CRPG-CNRS) di Nancy è giunto a questa conclusione dopo aver analizzato i campioni di vento solare raccolti dalla missione spaziale Genesis lanciata dalla NASA nel 2001.

Il team è riuscito a determinare la composizione isotopica del Sole, il suo "DNA", che riflette la composizione della nube di gas e polveri che ha dato origine al Sistema Solare.
Questo lavoro, che ha beneficiato in particolare del sostegno del CNRS, CNES e la Lorena, potrebbe contribuire a chiarire i fenomeni all'origine del Sistema Solare. I risultati sono stati pubblicati il ​​24 giugno 2011 sulla rivista Science.

Da dove viene la materia nel nostro Sistema Solare? Come si è formata?
Per rispondere a queste domande, gli scienziati hanno concentrato i loro studi sul Sole. Infatti oltre il 99% della materia attualmente presente nel Sistema Solare è concentrata all'interno del Sole. Ancora più importante, il Sole ha conservato la composizione iniziale della nebulosa protosolare, la nube di gas e polveri che ha dato origine al Sistema Solare. Questo non è il caso della maggior parte degli altri corpi del Sistema Solare, come la Terra, Marte o le meteoriti, che, a causa dell'alta temperatura hanno perso i loro elementi primitivi volatili. Di conseguenza, la loro composizione attuale non rispecchia la composizione della nebulosa protosolare.

La composizione chimica del Sole è nota dall'analisi della luce che essa emette. Tuttavia, è impossibile determinare a distanza la sua abbondanza isotopica. Infatti, ci possono essere diversi isotopi (14N e 15N per azoto, 16O, 17O e 18O per ossigeno, ecc) per un singolo elemento: mentre hanno lo stesso numero di elettroni e protoni, si differenziano in base al numero di neutroni. Determinare le composizioni isotopiche di azoto e l'ossigeno del Sole è stato uno dei principali obiettivi della missione Genesis. Il motivo? I rapporti isotopici di questi elementi (15N/14N per l'azoto (1), 17O/16O e 18O/16O per l'ossigeno (2)) sono molto dissimili tra i diversi oggetti del Sistema Solare, cioè la Terra, la Luna, Marte, le meteoriti, le comete e i pianeti giganti. Per spiegare queste variazioni, era essenziale determinare la composizione isotopica della nebulosa protosolare, in altre parole, la composizione del Sole.

Durante la missione Genesis, che ha avuto luogo dal dicembre 2001 ad aprile 2004, gli obiettivi sono stati irradiati dal vento solare per 27 mesi. Il team di Bernard Marty al CNRS Centre de Recherches et Pétrographiques Géochimiques (CRPG) è stato poi selezionato dalla NASA per determinare l'abbondanza di isotopi di azoto nei campioni raccolti. Tutte le loro analisi (3) puntano allo stesso risultato: l'azoto solare è diverso dall'azoto presente sulla Terra. Il Sole ha un isotopo con il 60% in meno di 15N della Terra. In altre parole, la Terra e le meteoriti hanno 15N del 60% in più, mentre le comete hanno 15N del 300% in più. In contemporanea, un team americano ha rivelato che l'ossigeno solare è anche carente di isotopi rari (17O e 18O) rispetto al ossigeno sulla Terra. Il loro studio è stato pubblicato sulla rivista Science due settimane fa. Inoltre, il rapporto 15N/14N del Sole è simile a quella di Giove, come analizzato dieci anni fa da una sonda spaziale americana. Questa somiglianza dimostra che i pianeti giganti, tra cui Giove, hanno catturato parte del gas presente nella nebulosa primitiva all'interno delle loro atmosfere.

Tutti i corpi del Sistema Solare (con l'eccezione di pianeti gassosi, come Giove) contengono una quantità "anomala" più alta di azoto e di isotopi rari di ossigeno rispetto al Sole. Tali disparità non sono osservate nel caso di elementi non-volatili. Capire cosa caratterizza l'origine di questi arricchimenti potrebbe fornire una migliore comprensione dei fenomeni che hanno innescato l'emergenza del nostro Sistema Solare. Una ipotesi attualmente posta in essere è che queste variazioni potrebbero derivare da un irraggiamento intenso di gas residuo della nebulosa dal Sole giovane, che all'epoca aveva molta più energia rispetto ad oggi. Reazioni fotochimiche possono aver arricchito i composti derivanti da queste reazioni con isotopi rari

Questi composti sarebbero poi stati incorporati nei meteoriti e nei pianeti terrestri. Un'ipotesi che deve ancora essere verificata ...

Note:
1 - 14N è l'isotopo dell'azoto più abbondante sulla Terra.
2 - 16O è l'isotopo dell'ossigeno più abbondante sulla Terra.
3 - Le prime analisi sono state condotte su campioni che sono stati notevolmente inquinati prima del volo con l'azoto 15N. Essi hanno dato luogo a risultati con una incertezza di + / -20%. La NASA quindi ha fornito dei frammenti molto meno inquinati contenenti più particelle solari. La composizione isotopica dell'azoto è stata quindi determinata utilizzando la nuova sonda ionica installata su CRPG alla fine del 2009 (l'incertezza del + / - 0,7%).


Traduzione a cura di Arthur McPaul



Fonte:

sabato 9 luglio 2011

Planetologia: Titano e Callisto, Due Regioni A Confronto



Queste immagini in alto mettono a confronto le caratteristiche della superficie osservata dalla sonda Cassini della regione Xanadu sulla luna di Saturno, Titano (a sinistra), con le caratteristiche osservate dalla sonda Galileo sui crateri della luna di Giove, Callisto (a destra).

L'immagine radar di Cassini, è stata ottenuta in un incontro ravvicinato con Titano, il 30 APRILE 2006, ed è centrato su 10 gradi di latitudine sud e 85 gradi di longitudine ovest.

L'immagine della telecamera di Galileo, è stata invece ottenuta il 25 giugno 1997, a sei gradi di latitudine sud e 7 gradi di longitudine ovest. Titano potrebbe avere avuto in origine un paesaggio di crateri simile a quello di Callisto che peró poi è stato eroso dalla pioggia e dal deflusso. Ci sono molte caratteristiche circolari di grandi dimensioni nella regione di Xanadu che hanno alcune delle caratteristiche dei crateri da impatto, come i picchi centrali e le scogliere circolare, che fanno ritenere gli scienziati che siano crateri da impatto erosi.

La superficie di Callisto ha anche un paesaggio craterico notevolmente eroso probabilmente dal ghiaccio di terra evaporato in passato.

Per ulteriori informazioni sulla missione Cassini-Huygens visita missione http://www.nasa.gov/cassini e http://saturn.jpl.nasa.gov

Immagine di credito: NASA / JPL-Caltech
Traduzione a cura di Arthur McPaul



Fonte:





venerdì 8 luglio 2011

Saturno Legato Elettricamente Ad Encelado


La navicella spaziale Cassini della NASA/ESA ha individuato una macchia luminosa di luce ultravioletta vicino al Polo Nord di Saturno che segna la presenza di un circuito elettrico che collega il gigante gassoso e il suo satellite Encelado.

Questa macchia è l'impronta della connessione magnetica tra Saturno e Encelado ed indica che gli elettroni e gli ioni accelerano lungo le linee del campo magnetico. Le caselle bianche indicano la posizione di questa impronta, che gli scienziati hanno da tempo previsto, ma mai visto prima.

La macchia si illumina a causa dello stesso fenomeno che rende luminose al Polo Nord e al Polo Sud le aurore di Saturno: gli elettroni energetici si tuffano nell'atmosfera del pianeta. Tuttavia, l'impronta non è collegata agli anelli delle aurore intorno ai poli.

Le due immagini qui presenti sono state ottenute con lo spettrografo ultravioletto di Cassini il 26 agosto 2008, separate da 80 minuti l'una dall'altra. L'impronta si trasferì in base alle variazioni della posizione di Encelado. Nell'immagine, i colori brillanti rappresentano le emissioni di raggi ultravioletti estremi. Le emissioni nelle zone più basse invece (1-2 conteggi ultravioletti estremi per pixel) sono in bianco / blu.
Le zone con emissioni più brillanti (500 a 1.000 conteggi ultravioletti estremi per pixel) sono di colore giallo / bianco.

L'impronta è apparsa a circa 65 gradi di latitudine nord. Misurava circa 1.200 km (750 miglia) di longitudine e meno di 400 chilometri (250 miglia) in latitudine, coprendo una superficie paragonabile a quella della California o della Svezia.

Nell'immagine più brillante l'impronta splendeva con un'intensità di luce ultravioletta di circa 1,6 kilorayleighs, di gran lunga inferiore a quella delle aurore polari. Questo è paragonabile alla più pallida l'aurora visibile a terra senza un telescopio nello spettro della luce visibile.

Il Sole illuminava il Polo Nord di Saturno da sinistra e l'impronta era sul lato diurno del pianeta. Il lato notturno del pianeta era a destra della linea di hash.

Per ulteriori informazioni sulla missione Cassini-Huygens visita missione http://www.nasa.gov/cassini e http://saturn.jpl.nasa.gov .

Credito dell'Immagine: NASA / JPL / University of Colorado / Central Arizona College

Traduzione a cura di Arthur McPaul


Fonte:
http://www.nasa.gov/mission_pages/cassini/multimedia/pia13763.html

il Mistero dell'Asse del Male



Gli astronomi sono perplessi sull'annuncio che le masse dei più grandi oggetti dell'Universo sembrano dipendere dal metodo utilizzato per pesarli.

Il nuovo lavoro è stato presentato in una riunione specialista sulle "Relazioni di scala degli ammassi di galassie" organizzata dall'Astrophysics Research Institute (ARI) a Liverpool John Moores University e sostenuto dalla Royal Astronomical Society.

La formazione e l'evoluzione
degli ammassi di galassie, i più grandi oggetti legati gravitazionalmente nell'Universo che contengono migliaia di galassie come la Via Lattea e il loro peso, è uno studio importante per loro contenuto di materia oscura e per l'evoluzione nel tempo cosmico.

Le misurazioni utilizzate per valutare questi sistemi si svolgono in tre diverse regioni dello spettro elettromagnetico: nei raggi X, nelle lunghezze d'onda ottiche e nel millimetro che danno luogo a risultati molto diversi.
Eduardo Rozo, presso l'Università di Chicago, ha spiegato che due delle misurazioni possono essere fatte per adattarsi abbastanza facilmente, ma che lasciano sempre la stima usando la terza tecnica fuori linea. Soprannominato 'Asse del Male', è come se l'Universo fosse difficile da trattenere uno o due pezzi del puzzle e così deliberatamente ci impedisce di calibrare la nostra bilancia correttamente.

Più di 40 degli astronomi guidati dal Regno Unito, Europa e Stati Uniti hanno partecipato alla riunione per discutere i primi risultati del satellite Planck, che attualmente sta scansionando il cielo a lunghezze d'onda millimetriche, cercando il più piccolo segnale dagli ammassi di galassie e dalla radiazione cosmica di fondo al fine di comprendere la nascita dell'Universo.
Le misure di Planck sono state confrontate con le immagini ottiche dei cluster digitalizzate dallo Sky Survey e dallo Sloan con le nuove osservazioni a raggi X dal satellite XMM-Newton.

Gli astronomi dell'ARI stanno assumendo un ruolo di primo piano in questa ricerca attraverso la partecipazione agli X-ray degli ammassi delle galassie utilizzando i più grandi telescopi ottici terrestri.
Una possibile soluzione al problema all'Asse del Male' è stato discusso durante la riunione, segnalando la possibilità che sia una nuova popolazione di cluster che è otticamente brillante, ma debole ai raggi X.
Il dottor Jim Bartlett (Univ. di Parigi), che è uno degli astronomi che ha presentato i risultati di Planck, ha sostenuto che la prospettiva dell'esistenza di una nuova popolazione di cluster che risponde in modo diverso è stata una 'prospettiva spaventosa' perché capovolgerebbe tutte le vecchie idee sulla fisica gravitazionale degli ammassi di galassie.

Chris Collins, LJMU professore di cosmologia, che ha organizzato l'incontro ha detto: "Ho visto questo incontro come un'opportunità per riunire esperti che studiano i cluster a una sola lunghezza d'onda e non sempre parlano con i loro colleghi che lavorano in altre lunghezze d'onda. I risultati presentati sono inaspettati e tutte e tre le comunità (ottiche, raggi X e millimetro) avranno bisogno di lavorare insieme in futuro per capire cosa sta succedendo".
Foto in alto: The Coma Cluster: Un massiccio ammasso di galassie nell'Universo Locale. (Credit: NASA, ESA, and the Hubble Heritage Team (STScI/AURA). Acknowledgment: D. Carter (Liverpool John Moores University) and the Coma HST ACS Treasury Team)


Traduzione a cura di Arthur McPaul



Fonte:
http://www.sciencedaily.com/releases/2011/06/110630073417.htm





Polvere di Stelle



Se nelle galassie c’è polvere, lo dobbiamo alle supernovae. La conferma arriva da Herschel, il telescopio spaziale dell’ ESA (Agenzia Spaziale Europea), grazie alle sue osservazioni di SN1987A, una supernova esplosa nella Grande Nube di Magellano, piccola galassia satellite della nostra. La luce di quella lontana esplosione stellare, avvenuta a 160.000 anni luce di distanza, era arrivata sino a noi il 23 febbraio del 1987: le osservazioni e le misure compiute non avevano però permesso di stabilire quanta polvere fosse presente nella grande nube che si era formata dal gas espulso dall’esplosione.

Ora Herschel non solo ha confermato la presenza di polvere, ma ne ha anche stimato la quantità globale: messa assieme formerebbe circa 200.000 Terre. “Tutto questo è stato possibile perché rispetto ai precedenti telescopi Herschel ha una capacità superiore di rivelare la polvere e di valutarne la massa globale. Inoltre è avvantaggiato dal fatto di trovarsi nello spazio, dove non risente delle perturbazioni e dei disturbi dovuti all’atmosfera terrestre”, commenta Sergio Molinari dell’ INAF-IFSI di Roma, il cui gruppo ha partecipato alla realizzazione degli strumenti a bordo del telescopio.

La formazione di tutta questa polvere dal materiale espulso da una singola supernova sarebbe avvenuta in tempi molto rapidi, nel giro di poche decine di anni. “Il risultato è particolarmente importante per noi che ci occupiamo di astronomia galattica perché ci spinge a riesaminare i resti di supernovae conosciuti”, prosegue Molinari. “In questo modo possiamo migliorare le stime sulla quantità di polvere prodotta da un singolo evento esplosivo. Sapendo quante supernove esplodono in media, possiamo risalire alla quantità totale di polvere presente, un fattore determinante per valutare il tasso di formazione di nuove stelle in una galassia e quindi anche la sua futura evoluzione”.


A cura di Luca Nobili



Fonte:
http://www.media.inaf.it/2011/07/07/un-fulmine-ogni-dieci-secondi/