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lunedì 22 aprile 2013

Palomar 2


Fa parte di un gruppo di 15 ammassi globulari conosciuti come “Palomar clusters”. Scoperti negli anni Cinquanta analizzando le lastre del Palomar Observatory Sky Survey, progetto del quale faceva parte anche Edwin Hubble, sono difficilissimi da osservare.

Palomar 2 è unico sotto molti punti di vista, al punto da rappresentare l’eccezione che conferma la regola. È infatti l’unico ammasso globulare visibile in questa parte del cielo, la costellazione settentrionale dell‘Auriga. Fa parte di un gruppo di 15 ammassi, i “Palomar clusters”, scoperti molto tardi perché molto deboli: o perché ben nascosti dietro coltri di polvere, o per il basso numero di stelle rimanenti.

Gli ammassi globulari orbitano attorno al centro di una galassia come la Via Lattea allo stesso modo in cui i satelliti orbitano intorno alla Terra. Questo significa che, normalmente, si trovano più vicini al centro galattico rispetto a noi, e così li vediamo sempre lì nella stessa regione del cielo. Palomar 2 è un’eccezione anche a questa regola, in quanto si trova circa cinque volte più lontano dal centro della Via Lattea rispetto ad altri ammassi. Ma non è tutto: si trova infatti nella direzione opposta, più lontano rispetto alla Terra, ed è quindi classificato come ammasso globulare dell’alone esterno.

A rendere Palomar 2 diverso dagli altri ammassi globulari c’è anche la sua oscurità apparente. Oscurità dovuta a un velo di polvere che smorza la luminosità delle stelle che ne fanno parte, facendo così apparire Palomar 2 come una debole raffica di luce stellare. La splendida immagine è stata scattata dallo Hubble Space Telescope di NASA ed ESA, e mostra Palomar 2 con una qualità che sarebbe impensabile per un telescopio terrestre. Fra gli appassionati che dispongono di grandi telescopi, riuscire a osservare tutti e 15 gli ammassi globulari Palomar, così ben nascosti e oscurati come sono, è ormai diventata una classica sfida.

A cura di Antonio Marro


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venerdì 19 aprile 2013

Testa di Cavallo In Alta Definizione


Per celebrare il suo ventitreesimo anno in orbita, il telescopio spaziale Hubble della NASA e dell’ESA ha reso pubblica una nuova, straordinaria, immagine di uno degli oggetti più caratteristici del nostro cielo: la Nebulosa Testa di Cavallo.

Sono già passati 23 anni da quando il telescopio spaziale Hubble ha cominciato a osservare il cielo. Oltre a produrre scienza d’avanguardia, l’osservatorio orbitante ci ha regalato innumerevoli immagini astronomiche, una più bella dell’altra. Fra i soggetti che si sono rivelati più fotogenici ci sono senza dubbio le nebulose, vaste nubi interstellari di gas e polvere.

La nuova fotografia di Hubble, scattata e ora resa pubblica proprio per celebrare i suoi 23 anni, mostra una regione del cielo nella costellazione di Orione. A emergere dalle onde turbolente di polveri e gas, con le sembianze d’un cavalluccio marino gigante, è la Nebulosa Testa di Cavallo, nota anche come Barnard 33. La nebulosa si è formata in seguito al collasso del materiale d’una nube interstellare di materiale, e splende di luce riflessa proveniente da una vicina stella calda.

Le nubi di gas che circondavano la Testa di Cavallo, nel tempo, si sono dissipate, ma il caratteristico pilastro a strapiombo, con i suoi densi blocchi di materiale, sembra proprio fatto per durare. E si è rivelato assai più difficile da erodere. Gli astronomi stimano che la Testa di Cavallo abbia davanti a sé ancora circa cinque milioni di anni, prima di disintegrarsi.

È ormai un oggetto celebre, questa nebulosa, obiettivo fra i più gettonati per le osservazioni. La maggior parte di quest’ultime ritrae la Testa di Cavallo come una nube scura che si staglia su un fondale di gas incandescente. La nuova immagine di Hubble mostra la medesima regione, ripresa però in luce infrarossa: una banda le cui lunghezze d’onda, superiori a quelle della luce visibile, riescono ad attraversare il materiale polveroso che di solito offusca le zone più interne della nebulosa. Quello che ne emerge è una struttura eterea, dall’aspetto fragile, nella quale delicate pieghe di gas s’avviluppano l’una nell’altra. Una prospettiva assai diversa da quella offerta in luce visibile.

La radiazione infrarossa è invisibile ai nostri occhi, così come alle telecamere tradizionali, progettate per rilevare la luce in banda ottica. Per osservare oggetti come questa nebulosa, abbiamo a disposizione telescopi e strumenti sensibili agli infrarossi, come appunto il sensore ad alta risoluzione Wide Field Camera 3 di Hubble, montato nel 2009. Sensibilità ai raggi infrarossi e risoluzione senza rivali sono l’accoppiata vincente di Hubble, una combinazione in grado d’offrirci un’anticipazione suggestiva di quanto saprà fare il suo successore, il James Webb Space Telescope, il cui lancio è in programma per il 2018.

Guarda il video ESA




A cura di Redazione Media INAF

Foto di apertura
Crediti: NASA, ESA, and the Hubble Heritage Team

Fonte:
http://www.media.inaf.it/2013/04/18/un-flipper-planetario-allorigine-di-saturno/

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