sabato 31 dicembre 2011

Equazione Di Drake: Ne Parlano Gli Scienziati Italiani




Di alieni s’è parlato tanto, in questo 2011. Mondi alieni, come i 158 pianeti extrasolari confermati nel corso dell’anno, alcuni dei quali potenzialmente abitabili. Vite aliene, a partire dai discussi batteri all’arsenico che suscitarono numerose controversie sul finire del 2010, fino all’incessante susseguirsi d’ipotesi circa la presenza d’acqua liquida su Marte, o di ritrovamenti di molecole organiche complesse qua e là nel Sistema Solare. E, naturalmente, civiltà aliene: dal cinema (una volta tanto, anche quello italiano) alle interrogazioni alla Casa Bianca, il sogno di scoprire di non esser soli nell’Universo non vogliamo abbandonarlo. Come testimonia la ripresa del programma SETI, messo momentaneamente in forse nella primavera scorsa per motivi economici, e rifinanziato dopo pochi mesi grazie ai numerosi contributi subito giunti in risposta all’appello per mantenerlo attivo, fra i quali quello di Jodie Foster, indimenticabile protagonista di Contact.

E se n’è parlato anche fra scienziati, soprattutto l’estate scorsa, quando l’uscita d’un articolo smorza-entusiasmi degli astrofisici David Spiegel ed Edwin Turner e, in Italia, del libro altrettanto scettico del fisico Elio Sindoni hanno riattizzato il dibattito. Ma quanto è probabile che una forma di vita aliena, possibilmente abbastanza intelligente da poterci prima o poi scambiare quattro chiacchiere, esista là fuori nella nostra galassia? È da almeno mezzo secolo che ce lo domandiamo: da quando l’astronomo Frank Drake, già all’epoca impegnato, presso il National Radio Astronomy Observatory di Green Bank, a dar la caccia a segnali radio da civiltà extraterrestri, formulò la sua famosa equazione. Il numero N di civiltà aliene, diceva Drake, si può ottenere dal prodotto di sette fattori:

N = R* · fp · ne · fl · fi · fc · L

Dunque, tutto risolto? Mica tanto. Il problema è assegnare un numero sensato a ognuno di quei sette fattori: allo stato attuale delle conoscenze, una mission impossibile. Un po’ per scherzo un po’ per curiosità, abbiamo però deciso di provarci comunque. Così, nei mesi scorsi ci siamo rivolti a sette esperti provenienti da vari ambiti, non solo dell’astrofisica, chiedendo a ciascuno di farsi carico di uno dei fattori. Chi sbilanciandosi di più, chi di meno, sono stati tutti generosamente al gioco. Ecco dunque, fattore per fattore, le loro risposte a Media INAF.

Claudio Codella
Fattore R*: Qual è il tasso medio annuo con cui si formano nuove stelle nella Via Lattea? Lo abbiamo chiesto a Claudio Codella, ricercatore all’INAF Osservatorio Astrofisico di Arcetri

Le stelle come il Sole si formano in nubi di gas e polveri ad alta densità. L’alta densità delle nubi rende impossibile l’osservazione a lunghezze d’onda ottiche di un sistema protostellare. Le polveri assorbono i fotoni provenienti dalla protostella e riemettono l’energia a lunghezze d’onda infrarosse, che quindi è la finestra spettrale a cui, una volta avuto tecnologicamente accesso, ci si è rivolti per uno studio accurato del processo di formazione stellare. Contemporaneamente al processo di accrescimento, la protostella crea un vento che viene incanalato dove trova minor resistenza, e cioè presso i due poli. Si creano quindi jets ad altissima velocità che perturbano il materiale circostante, creando regioni ad altissima densità e temperatura, dove si attivano processi fisico-chimici (per esempio l’effetto maser) che permettono la localizzazione della protostella. Per le stelle più massicce del Sole il discorso è molto più complesso, ma si puo’ assumere uno scenario simile a quanto descritto.

È quindi molto complicato assegnare un numero a R*. Si stima che ogni anno una quantità di gas pari a circa 1-5 masse solari sia convertita in stelle. Se assumiamo che la massa delle nuove stelle sia una massa solare, allora si hanno 1-5 stelle all’anno. Se le stelle formatesi hanno masse minore o maggiore di quella del Sole, conseguentemente R* è più grande o più piccolo. Concludendo, possiamo stimare R* come un numero tra 1 e 10.


Silvano Desidera
Fattore fp: Quante di queste stelle hanno uno o più pianeti? Lo abbiamo chiesto a Silvano Desidera, ricercatore all’INAF Osservatorio Astronomico di Padova

La scoperta di oltre 500 pianeti extrasolari a partire dal 1992 ci consente di quantificare la frazione di stelle con pianeti che orbitano attorno ad esse. Inizialmente è stato possibile rivelare soprattutto pianeti giganti, come Giove. La frequenza di pianeti giganti entro 3 unità astronomiche attorno alle stelle di tipo solare risulta essere dell’ordine del 10%. Inoltre, la frequenza risulta funzione della composizione chimica e della massa della stella centrale e dell’eventuale presenza di compagni stellari.

Recenti sviluppi della strumentazione sia da terra che dallo spazio (come lo spettrografo HARPS all’ESO e i satelliti CoRot e Kepler) ci consentono la rivelazione di pianeti poco più grandi della Terra, molto probabilmente di natura rocciosa. Le prime stime suggeriscono una frequenza di questo tipo pianeti, con periodi orbitali inferiori a 50-100 giorni, dell’ordine del 15-30%. I modelli di formazione planetari più in voga prevedono la presenza di un gran numero di pianeti di dimensioni simili alla Terra e più piccoli, finora sfuggiti alla nostra rivelazione.

Considerando l’effettiva distribuzione delle proprietà stellari nella Galassia (le stelle di piccola massa sono le più numerose e i sistemi stellari multipli sono molto frequenti) e la scarsità di dati osservativi per i pianeti a grande separazione dalla stella, si può azzardare una frazione di stelle con pianeti tra il 20% e l’80%, con un valore più probabile intorno al 50%.


Giusi Micela
Fattore ne: Per ogni stella che abbia un sistema planetario, qual è il numero medio di pianeti (o satelliti) che presentano condizioni potenzialmente compatibili con la vita? Lo abbiamo chiesto a Giusi Micela, ricercatrice e neo-direttore dell’INAF Osservatorio astronomico di Palermo

Il numero medio dei pianeti abitabili attorno a stelle con pianeti è piuttosto difficile da determinare, principalmente perché la definizione di pianeta abitabile non è ancora abbastanza precisa. Nel nostro sistema solare, per esempio, è possibile che Marte sia stato “abitabile”. Anche Europa, uno dei satelliti di Giove, nonostante si trovi molto lontano dalla fascia di abitabilità del Sole, è considerato un possibile sito per la formazione di forme di vita. Qual è quindi il numero di pianeti abitabili nel nostro sistema solare? Oltre alla Terra dobbiamo contare anche Marte e Europa, o altro? Se non sappiamo rispondere a questa domanda sul nostro sistema, come possiamo stimare con accuratezza il numero medio attorno alle altre stelle che possono avere sistemi planetari molto differenti dal nostro?

Le stime attuali sono comprese da qualche frazione ad alcune unità. Per semplificare diciamo fra 0,5 e 5 pianeti abitabili per ogni stella con un sistema planetario, ma questo intervallo, ancora così ampio, dipende da molte grandezze poco conosciute. Un notevole passo avanti nella determinazione di questo parametro si otterrà con la rivelazione e la determinazione delle proprietà dei pianeti fino alla zona abitabile attorno a un grande campione di stelle, tale da poter essere considerato statisticamente significativo dell’intera popolazione stellare.


Amedeo Balbi
Fattore fl: Fra i pianeti potenzialmente in grado di ospitare forme di vita, in quanti la vita effettivamente si sviluppa? Lo abbiamo chiesto ad Amedeo Balbi, divulgatore, scrittore, blogger e ricercatore all’Università di Roma Tor Vergata

Purtroppo finora conosciamo un solo pianeta dove esiste la vita: il nostro. E quindi non abbiamo un campione statistico che ci permetta di trarre conclusioni generali sulla probabilità che la vita abbia origine. Inoltre, il tentativo di stimare questa probabilità è viziato dal fatto che noi dobbiamo necessariamente trovarci in un pianeta abitato, indipendentemente dal fatto che l’emergere della vita sia probabile o meno. Insomma, è un po’ come chiedersi se sia facile o no vincere la lotteria sapendo soltanto che il nostro biglietto è stato estratto.

Comunque, dallo studio dei fossili abbiamo capito che, sulla Terra, la vita è apparsa molto rapidamente. Perciò potremmo essere tentati di ritenere che il processo che ha portato alla formazione dei primi organismi viventi sia molto probabile, date le giuste condizioni. C’è chi ha addirittura ipotizzato che la probabilità sia il 100%. Altri, però, hanno dimostrato che la stessa osservazione è compatibile anche con una probabilità molto più bassa. Volendo azzardare una stima non particolarmente ottimistica o pessimistica, potremmo ipotizzare che su circa un pianeta ogni dieci, tra quelli potenzialmente abitabili, la vita possa effettivamente svilupparsi.


Stelio Montebugnoli
Fattore fi: In quanti dei pianeti con la vita potrebbero essersi evolute forme intelligenti? Lo abbiamo chiesto a Stelio Montebugnoli, dirigente dell’INAF IRA di Bologna presso la stazione radioastronomica di Medicina e da anni attivo nel programma SETI

La vita può anche svilupparsi, con molte varianti, su diversi pianeti della galassia. Però l’evoluzione in una forma intelligente è certamente più rara e complicata. L’unico caso che noi conosciamo è il nostro, dove la vita “intelligente” compare a 4.5 miliardi di anni dalla formazione della Terra: tempo comparabile con la vita della sole.

L’evoluzione in vita intelligente, per noi, ha portato via la quasi totalità del tempo di esistenza del pianeta, per cui questa evoluzione potrebbe essere molto rara. Il valore di questo fattore deve essere ragionevolmente molto piccolo.


Giorgio Vallortigara
Fattore fc: Quante, fra le eventuali civiltà intelligenti presenti in altri pianeti, potrebbero essere in grado di sviluppare tecnologie tali da poter tentare di comunicare, di lasciare un segno della loro presenza, nel cosmo? Lo abbiamo chiesto a Giorgio Vallortigara, divulgatore, scrittore, esperto in psicologia comparata e professore di neuroscienze al Centro Mente Cervello dell’Università di Trento.

Debbo rispondere prima sul fattore fi (la frazione dei pianeti su cui si sono evoluti esseri intelligenti), per motivare la mia risposta sul fattore fc (la frazione di civiltà extraterrestri in grado di comunicare). Mi spiego. Considerate le difficoltà che abbiamo incontrato a riconoscere l’intelligenza in creature molto diverse da noi qui sulla Terra (per esempio, gli insetti), non sarei così ottimista sulla possibilità di riconoscerla in creature aliene.

Circa il fatto, poi, che queste creature aliene siano in grado di comunicare, cosa che non saprei stimare, non scommetterei comunque sul fatto che noi saremmo così pronti a decifrarne l’eventuale linguaggio: da poco abbiamo appreso a comprendere il sistema comunicativo delle api, e poco comprendiamo di molti altri sistemi comunicativi animali… Che queste eventuali intelligenze extra-terrestri possano non essere afflitte dalle nostre stesse limitazioni è cosa che non possiamo discutere, trattandosi appunto delle nostre limitazioni.


Roberto Vacca
Fattore L: Quale potrebbe essere la durata media di una civiltà extraterrestre potenzialmente in grado di comunicare con altre civiltà presenti nel cosmo? Lo abbiamo chiesto a Roberto Vacca, scrittore, divulgatore, ingegnere esperto di sistemi complessi e futurologo.

Abbiamo esperienza di una sola civiltà che potrebbe comunicare con altre presenti nel cosmo. Dunque è insensato fare illazioni sulla durata media delle civiltà capaci di comunicare – forse non ce ne sono altre. L’equazione di Drake comprende 3 fattori variabili fra 0 e 100% : il che vuol dire che non possiamo fare nessun calcolo di probabilità.

A intuito dico che è ragionevole pensare all’esistenza di altre forme di vita intelligente, ma sono troppo lontane. Enrico Fermi disse: “Ci saranno, ma se potessero arrivare fino a noi lo avrebbero già fatto.” Nei mari abbiamo i delfini: intelligenti, comunicatori e con un cervello cinque volte più grosso del nostro, ma non comunichiamo quasi affatto.


Fonte:
http://www.media.inaf.it/2011/12/30/l’equazione-di-et/


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