Nel 1950, il fisico italiano Enrico Fermi sollevò una celebre questione che oggi porta ancora il suo nome: "Se esistono civiltà intelligenti in altre parti dell'Universo, con tecnologie che superano di gran lunga la nostra, perché non vediamo alcun segno di loro?" Da allora, il cosiddetto "Paradosso di Fermi" ha lasciato perplessi gli astronomi e gli scrittori di fantascienza. Nonostante molti tentativi di ovviare al problema, nessuno fin d'ora è riusciuto a trovare una soluzione coerente.
In questi giorni però, grazie alla carta dei professori Igor Bezsudnov e Andrey Snarskii dell'Università tecnica nazionale dell'Ucraina, è stato proposto un nuovo approcio al problema. Il loro approccio è di assumere che una civiltà extraterrestre si svilupperebbe fino a occupare un certo volume di spazio per poi crollare e svanire. Hanno anche suggerito che le civiltà hanno un tempo caratteristico di vita, inversamente proporzionale alla loro espansione. In determinate circostanze, tuttavia, quando le civiltà sono abbastanza vicine nel tempo e nello spazio, potrebbero venire in contatto l'un l'altra e quando questo succede la fertilizzazione incrociata di idee e culture, consentirebbe ad entrambe di prosperare, aumentando la loro speranza di vita.
Bezsudnov e Snarskii sottolineano che questo processo di diffusione nello spazio potrebbe essere facilmente modellato utilizzando cellule autonome. Hanno creato il proprio universo con un 10.000 x 10.000 cellule autonome che eseguirebbero oltre 320.000 passaggi. I parametri che governano l'evoluzione di questo universo sono semplici: la probabilità di formazione di una civiltà, la durata della vita normale di una tale civiltà e il tempo extra ottenuto quando si incontrano due di esse. Il risultato dà una nuova comprensione del paradosso di Fermi. Bezsudnov e Snarskii dicono che per certi valori di questi parametri, l'universo subisce un cambiamento di fase da quello in cui le civiltà tendono a non rispondere a quello in cui diventano civilizzate e i diversi gruppi si incontrano e si sviluppano.
In questi giorni però, grazie alla carta dei professori Igor Bezsudnov e Andrey Snarskii dell'Università tecnica nazionale dell'Ucraina, è stato proposto un nuovo approcio al problema. Il loro approccio è di assumere che una civiltà extraterrestre si svilupperebbe fino a occupare un certo volume di spazio per poi crollare e svanire. Hanno anche suggerito che le civiltà hanno un tempo caratteristico di vita, inversamente proporzionale alla loro espansione. In determinate circostanze, tuttavia, quando le civiltà sono abbastanza vicine nel tempo e nello spazio, potrebbero venire in contatto l'un l'altra e quando questo succede la fertilizzazione incrociata di idee e culture, consentirebbe ad entrambe di prosperare, aumentando la loro speranza di vita.
Bezsudnov e Snarskii sottolineano che questo processo di diffusione nello spazio potrebbe essere facilmente modellato utilizzando cellule autonome. Hanno creato il proprio universo con un 10.000 x 10.000 cellule autonome che eseguirebbero oltre 320.000 passaggi. I parametri che governano l'evoluzione di questo universo sono semplici: la probabilità di formazione di una civiltà, la durata della vita normale di una tale civiltà e il tempo extra ottenuto quando si incontrano due di esse. Il risultato dà una nuova comprensione del paradosso di Fermi. Bezsudnov e Snarskii dicono che per certi valori di questi parametri, l'universo subisce un cambiamento di fase da quello in cui le civiltà tendono a non rispondere a quello in cui diventano civilizzate e i diversi gruppi si incontrano e si sviluppano.
Bezsudnov e Snarskii presuppongono anche una disparità per soddisfare un universo civilizzato. Questo concetto, è analogo alla famosa equazione di Drake, che cerca di quantificare il numero di altre civiltà nell'universo contattabili al momento. La questione, è legata al tipo di universo in cui viviamo: i suoi parametri sono maturi per l'evoluzione di un'unica civiltà cosmica o siamo condannati ad essere per sempre soli? Bezsudnov e Snarskii dicono infine che c'è un solo modo per scoprirlo: aspettare e vedere.
Traduzione a cura di Arthur McPaul
hmm... secondo me, non cogliamo alcuna traccia di loro perchè non siamo in grado di riconoscerla. Non è detto, infatti, che basino le loro trasmissioni sui nostri stessi principi fisici, può darsi infatti che utilizzino dei sistemi basati su altre proprietà, come, che so, un segnale basato sulla trasmutazione del neutrino che per definizione sarebbe trasparente alla maggior parte degli ostacoli cosmici. Non sapendolo, come potremmo mai immaginarlo? O più semplicemente non ci sono civiltà hyper-tecnologiche nel nostro vicinato spaziale, fermo restando che ne potrebbero esistere benissimo di diverse che non possiedono i nostri concetti di progresso e tecnologia.
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