Scoperto negli anni venti del XX secolo e battezzato in onore dello scienziato italiano Luigi Ferdinando Marsili, questo vulcano sottomarino è stato studiato di recente nell'ambito di progetti strategici del CNR per mezzo di un sistema multibeam e di reti integrate di monitoraggio per osservazioni oceaniche. È stato trovato che il Marsili costituisce il più grande vulcano d'Europa, essendo esteso per 70 km in lunghezza e 30 km in larghezza. Il monte si eleva per circa 3000 metri dal fondo marino, raggiungendo con la sommità la quota di circa 450 metri al di sotto della superficie del mar Tirreno
"Potrebbe succedere anche domani. Le ultime indagini compiute dicono che l’edificio del vulcano non è robusto e le sue pareti sono fragili. Inoltre abbiamo misurato la camera di magma che si è formata negli ultimi anni ed è di grandi dimensioni. Tutto ci dice che il vulcano è attivo e potrebbe eruttare all'improvviso".
I fenomeni vulcanici sul monte Marsili sono tuttora attivi e sui fianchi si stanno sviluppando numerosi apparati vulcanici satelliti. I magmi del Marsili sono simili per composizione a quelli rilevati nell'arco Eoliano, la cui attività vulcanica è attribuita alla subduzione di antica crosta Tetidea (subduzione Ionica). Si stima che l'età d'inizio dell'attività vulcanica del Marsili sia inferiore a 200 mila anni. Sono state inoltre rilevate tracce di collassi di materiale dai fianchi di alcuni dei vulcani sottomarini i quali potrebbero aver causato maremoti nelle regioni costiere tirreniche dell'Italia Meridionale. Assieme al Magnaghi, al Vavilov e al Palinuro, il Marsili è inserito fra i vulcani sottomarini pericolosi del Mar Tirreno.
Nel febbraio 2010 la nave oceanografica Urania, del Cnr, ha iniziato una campagna di studi sul vulcano sommerso. Sono state rilevate preoccupanti frane che testimoniano una notevole instabilità. Il sismologo Enzo Boschi ha dichiarato: «Il cedimento delle pareti muoverebbe milioni di metri cubi di materiale, che sarebbe capace di generare un’onda di grande potenza che investirebbe le coste della Campania, della Lucania, della Calabria e della Sicilia provocando disastri. Gli indizi raccolti ora sono precisi ma non si possono fare previsioni. Il rischio è reale e di difficile valutazione per la mancanza di una capillare rete di sismometri in grado di avvisare se un’eruzione è imminente, almeno con un certo margine di preavviso come avviene per l'Etna.»
Enzo Boschi presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, pur nella cautela, ha toni preoccupati raccontando i risultati dell’ultima campagna di ricerche compiute sul Marsili, il più grande vulcano d’Europa, sommerso a 150 chilometri dalle coste della Campania. Dal fondale si alza per tremila metri e la vetta del suo cratere è a 450 metri dalla superficie del mare. La sua struttura è imponente essendo lunga 70 chilometri e larga 30. È un mostro nascosto di cui solo gli scandagli hanno rivelato il vero volto. Intorno si sono osservate diverse emissioni idrotermali con una frequenza ultimamente elevata e proprio queste, unite alla debole struttura delle pareti, potrebbero causare crolli più inquietanti della stessa possibile eruzione.
Di recente sono stati registrati due eventi, per fortuna contenuti. «La caduta rapida di una notevole massa di materiale — spiega Boschi — scatenerebbe un potente tsunami che investirebbe le coste della Campania, della Calabria e della Sicilia provocando disastri». Nel cuore del Marsili gli strumenti hanno dato un volto alla camera di magma incandescente che si è formata e che oggi raggiunge le dimensioni di quattro chilometri per due: è come una pentola ribollente con il coperchio ben tappato. Il Marsili è da anni un sorvegliato speciale per alcuni segni lanciati.
La sua storia si confonde nel tempo e non si sa quando sia avvenuta l’ultima eruzione: di certo in epoche lontane. Ma proprio i segnali emessi hanno indotto a studiarlo e l’ultima campagna iniziata in febbraio con la nave oceanografica Urania, del Cnr, ha fatto aumentare la preoccupazione. Le frane rilevate indicano una instabilità impossibile da ignorare. «Il cedimento delle pareti — nota Boschi — muoverebbe milioni di metri cubi di materiale, che sarebbe capace di generare un’onda di grande potenza. Gli indizi raccolti ora sono precisi ma non si possono fare previsioni. Il rischio è reale e di difficile valutazione ». La ragione sta nella situazione in cui si trova il vulcano. L’Etna in questi anni è stato tappezzato di strumenti in grado di avvisare se un’eruzione è imminente, almeno con un certo margine di preavviso. Il Marsili non solo è sommerso ma è privo di queste sonde pronte ad ascoltare le sue eventuali cattive intenzioni. Bisognerebbe installare una rete di sismometri attorno all’edificio vulcanico collegati a terra ad un centro di sorveglianza. Ma tutto ciò è al di fuori di ogni bilancio di spesa. Con le risorse a disposizione si collocherà qualche nuovo strumento ma non certo la ragnatela necessaria. «Quello che serve — conclude Boschi—è un sistema continuo di monitoraggio, per garantire attendibilità. Ma è costoso e complicato da realizzare. Di sicuro c’è che in qualunque momento potrebbe accadere l’irreparabile e noi non lo possiamo stabilire». Fonte
Secondo le indagini di cui dispone Enzo Boschi, presidente Ingv, il Marsili, vulcano sottomarino che dista 150 km dalle coste campane, sarebbe già dovuto esplodere a causa della formazione di una nuova camera di magma. Ma due esperti hanno smentito questi studi parlando di bufala.
Sono passate due settimane dall’allarme lanciato da Enzo Boschi presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia sulle pagine del Corriere della Sera. La probabile ed imminente eruzione avrebbe potuto generare, secondo Boschi, un maremoto nel Tirreno causato dal cedimento delle pareti del vulcano. Per fortuna è andata diversamente. E soprattutto, come spiegano Sandro De Vita, ricercatore dell’Osservatorio Vesuviano, e Michael Marani, specializzato in rischi geologici sottomarini, non c’è motivo di temere che l’eruzione avvenga in futuro.
Per il professor Sandro De Vita “dal punto di vista della possibile attività vulcanica pensare ad una esplosione che possa causare problemi è fantascientifico in quanto non è un vulcano che storicamente abbia mai dimostrato attività. Il pericolo più significativo è legato alla probabilità del cedimento dei fianchi del vulcano. Quello è un fenomeno che viene tenuto sotto osservazione. Chi lo tiene sotto controllo - dichiara De Vita - è l’Università di Bologna. Noi ci occupiamo solo dei vulcani ritenuti attivi cioè tutti quelli che hanno manifestato attività nei tempi storici. L’allarmismo era totalmente ingiustificato ma fa parte del lavori di alcuni media”.
Abbiamo quindi intervistato Michael Marani, esperto dell’Università di Bologna, il quale ci ha confermato anch’egli che “le notizie non sono da tener conto perché non supportate da nessun dato. La settimana scorsa abbiamo fatto una riunione a Roma alla protezione civile perché sostenere queste cose relativamente ad un vulcano abbastanza giovane dal punto di vista geologico non esiste. Noi stiamo cercando di monitorarlo con gli strumenti di cui dispone l'Italia. Al giorno d’oggi la tecnologia è avanzata molto rapidamente qui in Italia siamo un po indietro, però la ricerca va avanti con le navi che abbiamo e gli strumenti che misurano la morfologia del fondo.
Con Boschi - conclude Marani - non ci siamo parlati ma quello che sappiamo è che non è il caso di fare alcun tipo di allarmismo. Dal punto di vista naturale ci sono cose più importanti da temere come il Vesuvio e lo Stromboli che mostrano costantemente la loro pericolosità”.
Nessun pericolo quindi. E allora perché dichiarazioni come “la caduta rapida di una notevole massa di materiale – diceva Boschi – scatenerebbe un potente tsunami che investirebbe le coste della Campania, della Calabria e della Sicilia provocando disastri”. Perché lanciava quest’allarme? “Quello che serve – concludeva Boschi – è un sistema continuo di monitoraggio, per garantire attendibilità. Ma è costoso e complicato da realizzare. Di sicuro c’è che in qualunque momento potrebbe accadere l’irreparabile e noi non lo possiamo stabilire”.
L’ultimo esperto che lanciò un allarme del genere, Giampaolo Giuliani, fu indagato per procurato allarme a causa della sua previsione, attraverso il monitoraggio del radon, del terremoto che di li a breve avrebbe devastato l’Abruzzo. Salvo poi venire prosciolto.
a cura di Arthur McPaul
Nessun commento:
Posta un commento