Oggi ne parlano un pò tutti, dopo le forti scosse di terremoto che negli ultimi giorni stanno colpendo la pianura Padana. Il fenomeno della liquefazione del suolo e dei “vulcanetti” sta mobilitando l’interesse di esperti e studiosi, che da molte zone del mondo sono arrivati in pianura Padana per analizzare la situazione e capire cosa sta succedendo.
Della liquefazione del suolo abbiamo già parlato moltissimo su MeteoWeb nei giorni scorsi, spiegandone le dinamiche. Dopo la forte scossa di ieri mattina alle 09:00, altri fenomeni di liquefazione sono stati segnalati in alcune zone di Emilia Romagna e basso Veneto. Ma il fenomeno nuovo di cui parliamo in quest’articolo è quello dei “vulcanetti” di sabbia e fango che sono comparsi in molte zone di campagna tra modenese e ferrarese: hanno dimensioni modeste di qualche metro di diametro e sono disposti uno di seguito all’altro per 50-100 metri, lungo una frattura sismica. Sono direttamente collegati al fenomeno della liquefazione, in quanto si verificano proprio come risultato della liquefazione delle sabbie che insieme alle argille e ai limi vanno a costituire la parte superficiale della pianura padana, come ha spiegato oggi in un’intervista al Corriere della Sera Daniela Pantosti, dirigente di ricerca all’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv).
“Le onde sismiche hanno infatti provocato una sovrappressione dell’acqua contenuta negli strati. Poiché l’acqua è incomprimibile, ha causato ad alcune centinaia di metri di profondità la liquefazione dei granelli dando origine a un fango che è fuoriuscito in superficie non appena ne ha avuto la possibilità, vale a dire in corrispondenza delle fratture del terreno“, ha aggiunto Daniela Pantosti. Nel nostro Paese non è la prima volta che un simile fenomeno si manifesta. I vulcanetti di sabbia si erano per esempio formati proprio a Ferrara durante il terremoto del 1571, in due o tre siti nel sisma dell’Aquila del 2009, nel Gargano nel 1627, nella valle del Simeto in Sicilia nel 1693, in Calabria nel 1783 e in Giappone sia nel 1995 che nel terremoto dell’anno scorso: in tutti questi casi si sono verificate accelerazioni notevoli (dovute all’energia delle scosse) negli strati profondi di zone di pianura che hanno liquefatto il sottosuolo, dato luogo a fuoriuscite di sabbia e fatto mancare l’appoggio alle case e alle varie strutture edilizie che, seppure illese, si sono inclinate su un fianco.
La formazione dei vulcanetti di sabbia è un effetto secondario dovuto al passaggio dell’onda sismica che si è sviluppata per la rottura della faglia a seguito del braccio di ferro tra le propaggini più esterne dell’Appennino settentrionale e la pianura padana. Come hanno sottolineato le prime elaborazioni delle immagini ottenute dai satelliti radar di Cosmo-SkyMed dell’Agenzia spaziale italiana (Asi) eseguite dai ricercatori del Cnr–Irea e dall’Ingv, questo gioco di forze ha provocato una deformazione permanente della crosta: spinte da una compressione in direzione nord-sud le propaggini settentrionali dell’Appennino si sono accavallate a quelle della bassa pianura dando origine a un sollevamento della crosta terrestre di circa 10 centimetri, non visibile all’occhio umano.
Sono stime preliminari, ancora parziali, che danno ragione al fatto che un oggetto tridimensionale di circa 15 chilometri di lunghezza e di 1-8 km di profondità si è rotto e che stimolano una domanda: le zone tra la pianura e l’Appennino andranno quindi ristudiate? “Noi le studiamo sempre, anche perché da tempo sono state segnalate come aree a pericolosità sismica, anche se a probabilità minore di altre nella Carta della pericolosità sismica pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale nel 2004“, precisa Pantosti. Tutti dovrebbero conoscere e leggere questo documento che ridimensionerebbe molte affermazioni, prima tra tutti quella che in pianura il terremoto non sopraggiunge mai. E invece non è così, perché i depositi alluvionali trasportati dai fiumi non assorbono le onde sismiche, come dimostrano i vulcanetti di sabbia. Un fenomeno che sull’Appennino Emiliano non è certo una novità. Grazie a una segnalazione (anche fotografica!) di un nostro lettore, infatti, più di sei mesi fa pubblicavamo su MeteoWeb un articolo in cui parlavamo proprio dei “vulcanetti” emiliani, a partire da quello di Regnano, dove il Comune di Viano ha apprestato dei percorsi sopraelevati in legno e sta progettando una struttura turistica che sfrutti il giacimento per scopi termali e di beauty farm.
A Cura Di Peppe Caridi
Fonti:
http://www.meteoweb.eu/2012/05/terremoto-i-vulcanetti-sand-blows-dellemilia-romagna-su-meteoweb-ne-parlavamo-gia-sei-mesi-fa/136718/#chiudi_adv
Della liquefazione del suolo abbiamo già parlato moltissimo su MeteoWeb nei giorni scorsi, spiegandone le dinamiche. Dopo la forte scossa di ieri mattina alle 09:00, altri fenomeni di liquefazione sono stati segnalati in alcune zone di Emilia Romagna e basso Veneto. Ma il fenomeno nuovo di cui parliamo in quest’articolo è quello dei “vulcanetti” di sabbia e fango che sono comparsi in molte zone di campagna tra modenese e ferrarese: hanno dimensioni modeste di qualche metro di diametro e sono disposti uno di seguito all’altro per 50-100 metri, lungo una frattura sismica. Sono direttamente collegati al fenomeno della liquefazione, in quanto si verificano proprio come risultato della liquefazione delle sabbie che insieme alle argille e ai limi vanno a costituire la parte superficiale della pianura padana, come ha spiegato oggi in un’intervista al Corriere della Sera Daniela Pantosti, dirigente di ricerca all’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv).
“Le onde sismiche hanno infatti provocato una sovrappressione dell’acqua contenuta negli strati. Poiché l’acqua è incomprimibile, ha causato ad alcune centinaia di metri di profondità la liquefazione dei granelli dando origine a un fango che è fuoriuscito in superficie non appena ne ha avuto la possibilità, vale a dire in corrispondenza delle fratture del terreno“, ha aggiunto Daniela Pantosti. Nel nostro Paese non è la prima volta che un simile fenomeno si manifesta. I vulcanetti di sabbia si erano per esempio formati proprio a Ferrara durante il terremoto del 1571, in due o tre siti nel sisma dell’Aquila del 2009, nel Gargano nel 1627, nella valle del Simeto in Sicilia nel 1693, in Calabria nel 1783 e in Giappone sia nel 1995 che nel terremoto dell’anno scorso: in tutti questi casi si sono verificate accelerazioni notevoli (dovute all’energia delle scosse) negli strati profondi di zone di pianura che hanno liquefatto il sottosuolo, dato luogo a fuoriuscite di sabbia e fatto mancare l’appoggio alle case e alle varie strutture edilizie che, seppure illese, si sono inclinate su un fianco.
La formazione dei vulcanetti di sabbia è un effetto secondario dovuto al passaggio dell’onda sismica che si è sviluppata per la rottura della faglia a seguito del braccio di ferro tra le propaggini più esterne dell’Appennino settentrionale e la pianura padana. Come hanno sottolineato le prime elaborazioni delle immagini ottenute dai satelliti radar di Cosmo-SkyMed dell’Agenzia spaziale italiana (Asi) eseguite dai ricercatori del Cnr–Irea e dall’Ingv, questo gioco di forze ha provocato una deformazione permanente della crosta: spinte da una compressione in direzione nord-sud le propaggini settentrionali dell’Appennino si sono accavallate a quelle della bassa pianura dando origine a un sollevamento della crosta terrestre di circa 10 centimetri, non visibile all’occhio umano.
Sono stime preliminari, ancora parziali, che danno ragione al fatto che un oggetto tridimensionale di circa 15 chilometri di lunghezza e di 1-8 km di profondità si è rotto e che stimolano una domanda: le zone tra la pianura e l’Appennino andranno quindi ristudiate? “Noi le studiamo sempre, anche perché da tempo sono state segnalate come aree a pericolosità sismica, anche se a probabilità minore di altre nella Carta della pericolosità sismica pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale nel 2004“, precisa Pantosti. Tutti dovrebbero conoscere e leggere questo documento che ridimensionerebbe molte affermazioni, prima tra tutti quella che in pianura il terremoto non sopraggiunge mai. E invece non è così, perché i depositi alluvionali trasportati dai fiumi non assorbono le onde sismiche, come dimostrano i vulcanetti di sabbia. Un fenomeno che sull’Appennino Emiliano non è certo una novità. Grazie a una segnalazione (anche fotografica!) di un nostro lettore, infatti, più di sei mesi fa pubblicavamo su MeteoWeb un articolo in cui parlavamo proprio dei “vulcanetti” emiliani, a partire da quello di Regnano, dove il Comune di Viano ha apprestato dei percorsi sopraelevati in legno e sta progettando una struttura turistica che sfrutti il giacimento per scopi termali e di beauty farm.
A Cura Di Peppe Caridi
Fonti:
http://www.meteoweb.eu/2012/05/terremoto-i-vulcanetti-sand-blows-dellemilia-romagna-su-meteoweb-ne-parlavamo-gia-sei-mesi-fa/136718/#chiudi_adv
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