Quando nel luglio del 1969 Neil Armstrong posò il suo piede sulla polverosa superficie della Luna, di fatto aprì una nuova era nello studio del sistema solare. Le missioni Apollo, dalla 11 alla 17 esclusa la sfortunata numero 13, permisero per la prima volta di studiare in situ un corpo celeste. Sulla Luna vennero infatti installati sismografi, riflettori laser, fatti esperimenti e carotaggi, riportando sulla Terra quasi 400 kg di rocce. Una delle sorprese scientifiche che sono scaturite da queste missioni è stata la scoperta di intensi campi magnetici concentrati in alcuni punti della crosta lunare. Scoperta sorprendente per il fatto che le rocce lunari risultano povere di ferro metallico, caratteristica che le rende intrinsecamente poco magnetiche.
Ma allora, come fa la Luna a possedere qua e là queste intense tracce di campo magnetico? Prova a darne una spiegazione il lavoro pubblicato nell’ultimo numero della rivista Science guidato da Mark Wieczorek, dell’Institut de Physique du Globe dell’Università Paris Diderot di Parigi, secondo cui la maggior parte delle anomalie magnetiche della Luna provengono dai resti altamente magnetizzati di un asteroide di grandi dimensioni che si è schiantato nelle prime fasi di formazione della Luna. Questi detriti avrebbero poi ‘registrato’ i campi magnetici che possedeva anticamente la Luna, conservandone traccia fino ai giorni nostri.
Le ipotesi avanzate dal team di ricerca partono dal fatto che per avere anomalie magnetiche c’è bisogno di due condizioni: la prima, ovvia, è quella dell’esistenza di un campo magnetico. La seconda, della presenza di minerali in grado di registrarlo. Sulla Terra questi minerali sono presenti sotto forma di ossidi di ferro e di solfuri. Sulla Luna invece i principali ‘messaggeri’ di fenomeni di magnetizzazione sono le leghe metalliche di ferro e nickel. Materiali che però sono estremamente rari nella composizione della crosta e del mantello superiore del nostro satellite, e dunque non possono essere ritenuti i soli responsabili delle anomalie magnetiche registrate. Molto più plausibile è invece lo scenario che vede la presenza di depositi di materiale di origine meteoritica, che presenta concentrazioni di leghe ferro-nichel molto più elevate.
Un’ipotesi che secondo gli scienziati trova la sua conferma nello studio della faccia nascosta del nostro satellite. Lì infatti si trova Aitken, un gigantesco bacino da impatto del diametro di circa 2500 chilometri, sul cui bordo settentrionale è concentrata la maggior parte delle anomalie magnetiche lunari. Anomalie che potrebbero essere prodotte dai resti del gigantesco meteorite il cui impatto ha prodotto la sterminata depressione. Secondo le ricostruzioni al calcolatore realizzate dal team, questo proiettile cosmico doveva avere un diametro di circa 200 chilometri e deve essersi avvicinato da sud. L’enorme nuvola di detriti prodotta dalla disgregazione dell’asteroide sarebbe poi ricaduta principalmente sul bordo settentrionale del bacino, dove appunto si concentrano le anomalie magnetiche osservate.
A Cura Di Marco Galliani
Foto:
La cromosfera solare osservata con lo strumento italiano IBIS installato al Dunn Solar Telescope (DST), nel Nuovo Messico (USA), e operato in collaborazione con il National Solar Observatory (NSO).
Crediti: K. Reardon (Osservatorio Astrofisico di Arcetri, INAF) IBIS, DST, NSO
Fonte:
http://www.media.inaf.it/2012/03/08/magnetismo-da-meteoriti/
Ma allora, come fa la Luna a possedere qua e là queste intense tracce di campo magnetico? Prova a darne una spiegazione il lavoro pubblicato nell’ultimo numero della rivista Science guidato da Mark Wieczorek, dell’Institut de Physique du Globe dell’Università Paris Diderot di Parigi, secondo cui la maggior parte delle anomalie magnetiche della Luna provengono dai resti altamente magnetizzati di un asteroide di grandi dimensioni che si è schiantato nelle prime fasi di formazione della Luna. Questi detriti avrebbero poi ‘registrato’ i campi magnetici che possedeva anticamente la Luna, conservandone traccia fino ai giorni nostri.
Le ipotesi avanzate dal team di ricerca partono dal fatto che per avere anomalie magnetiche c’è bisogno di due condizioni: la prima, ovvia, è quella dell’esistenza di un campo magnetico. La seconda, della presenza di minerali in grado di registrarlo. Sulla Terra questi minerali sono presenti sotto forma di ossidi di ferro e di solfuri. Sulla Luna invece i principali ‘messaggeri’ di fenomeni di magnetizzazione sono le leghe metalliche di ferro e nickel. Materiali che però sono estremamente rari nella composizione della crosta e del mantello superiore del nostro satellite, e dunque non possono essere ritenuti i soli responsabili delle anomalie magnetiche registrate. Molto più plausibile è invece lo scenario che vede la presenza di depositi di materiale di origine meteoritica, che presenta concentrazioni di leghe ferro-nichel molto più elevate.
Un’ipotesi che secondo gli scienziati trova la sua conferma nello studio della faccia nascosta del nostro satellite. Lì infatti si trova Aitken, un gigantesco bacino da impatto del diametro di circa 2500 chilometri, sul cui bordo settentrionale è concentrata la maggior parte delle anomalie magnetiche lunari. Anomalie che potrebbero essere prodotte dai resti del gigantesco meteorite il cui impatto ha prodotto la sterminata depressione. Secondo le ricostruzioni al calcolatore realizzate dal team, questo proiettile cosmico doveva avere un diametro di circa 200 chilometri e deve essersi avvicinato da sud. L’enorme nuvola di detriti prodotta dalla disgregazione dell’asteroide sarebbe poi ricaduta principalmente sul bordo settentrionale del bacino, dove appunto si concentrano le anomalie magnetiche osservate.
A Cura Di Marco Galliani
Foto:
La cromosfera solare osservata con lo strumento italiano IBIS installato al Dunn Solar Telescope (DST), nel Nuovo Messico (USA), e operato in collaborazione con il National Solar Observatory (NSO).
Crediti: K. Reardon (Osservatorio Astrofisico di Arcetri, INAF) IBIS, DST, NSO
Fonte:
http://www.media.inaf.it/2012/03/08/magnetismo-da-meteoriti/
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