Dopo sei anni di viaggio, la sonda Messenger è la prima a entrare nell'orbita di Mercurio. In questi giorni il pianeta raggiunge la miglior posizione per farsi ammirare nel cielo. Prende il via così l'esplorazione di un mondo sconosciuto. Che proseguirà con la missione BepiColombo dell'ESA. Ce ne parlano Flamini (ASI) e Cremonesi (INAF-OA di Padova).
L’occhio di bue finalmente illumina il primo pianeta, a lungo rimasto nell’ombra. Ora tocca a Mercurio. Il 17 marzo la sonda MESSENGER della NASA entra nell’orbita, dopo aver solcato per sei anni tutto il Sistema solare interno. Comincia l’era dell’esplorazione di Mercurio, visitato solo di sfuggita in passato, più di 35 anni fa, dalla sonda Mariner 10. Il momento d’oro del “messaggero degli dei”, nella mitologia romana, comincia sotto i migliori auspici. Proprio in questi giorni, infatti, il piccolo pianeta generalmente troppo vicino al Sole per essere visibile, raggiunge la sua miglior posizione nel cielo e può essere ammirato dopo il tramonto, sopra l’orizzonte, in direzione ovest. Il 22 marzo è il miglior giorno del 2011 per vederlo brillare.
Intanto, i sette strumenti a bordo di MESSENGER si preparano a raccogliere nuovi e inediti dati, non appena la sonda si sarà posizionata lungo l’orbita allungata (compiendo un giro ogni 12 ore e raggiungendo, nel punto più vicino, la distanza minima di 200 chilometri e nel punto più lontano, la distanza massima di 15 mila chilometri). Ma questo è solo l’inizio. Nel 2014, arriverà BepiColombo: missione tra le più ambiziose dell’ESA, in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Giapponese (JAXA), che vede l’Italia fortemente coinvolta. “BepiColombo sarà una missione ben più complessa di MESSENGER, con due satelliti separati: uno dedicato all’ambiente che circonda Mercurio (radiazione solare, campo magnetico, vento di particelle), e l’altro interamente rivolto al pianeta stesso (superficie, topologia, struttura interna)”, anticipa Enrico Flamini, coordinatore scientifico dell’Agenzia Spaziale Italiana e PI dello strumento SIMBIO-SYS, uno dei quattro esperimenti di BepiColombo che coinvolgono la comunità scientifica italiana (insieme all’accelerometro ad alta sensibilità ISA, l’esperimento di radioscienza MORE, e strumento SERENA per lo studio dell’ambiente particellare). “La reciproca collaborazione tra i gruppi scientifici di lavoro su MESSENGER e BepiColombo produrrà una cascata di dati. Con finalmente darà una visione esaustiva del pianeta”.
L’entrata in orbita di MESSENGER segna il fischio d’inizio. “Nessuna sonda ha mai osservato stabilmente Mercurio. Da ora in poi sarà possibile acquisire immagini dell’intera superficie, come non l’abbiamo mai vista, e fare misurazioni precise”, afferma Gabriele Cremonese, astronomo dell’INAF-OA di Brera, che insieme al suo gruppo di ricerca collabora già con la NASA all’elaborazione dei dati di MESSENGER.
Come mai questo rinnovato interesse per Mercurio? “È il pianeta più vicino al Sole, è importante conoscere la sua struttura interna per comprendere meglio le fasi iniziali dell’evoluzione del Sistema Solare”, risponde Cremonese. “Inoltre, conoscere meglio i nostri pianeti ci aiuta a interpretare le scoperte sui pianeti extrasolari. Mercurio, in particolare, è emblematico: un pianeta molto vicino alla sua stella, caldissimo, roccioso, denso, estramente interessante come modello di confronto con esopianeti simili”.
Di stranezze, Mercurio, ne ha parecchie e gli scienziati hanno deciso di vederci chiaro. Pur essendo il mondo più vicino al Sole, con temperature superficiali che arrivano a 500 °C, potrebbe avere il ghiaccio ai poli. Inoltre, ha un gigantesco nucleo di metallo che occupa quasi interamente la struttura interna. Un antipasto delle sorprese scoperte che ci aspettano ci è stato già servito nei mesi scorsi, quando su Science ricercatori NASA, in collaborazione con Cremonese e colleghi, hanno annunciato la scoperta di attività vulcanica recente su Mercurio, osservata nel corso dei fly-by di avvicinamento della sonda. Prossimi aggiornamenti attesi per l’11 maggio, nel corso del team meeting della NASA.
di Daniela Cipolloni (INAF)
Sei anni di viaggio? Come mai così tanti? Ce voluto meno ad arrivarre su Saturno! Alla Cassini, infatti, ci vollero "solo" sette anni... Forse, la causa ha a che vedere con le influenze gravitazionali dovute al Sole e agli altri pianeti interni: Venere e la Terra, forse anche di Marte. O magari si è attesa una configurazione planetaria ottimale, certo che sei anni per raggiungere il minuscolo Mercurio sono effettivamente troppi... o forse mi sbaglio.
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