martedì 29 marzo 2011

Batuffoli di roccia

I risultati di un nuovo studio su Nature Geoscience rafforzano la teoria secondo la quale le prime rocce che costituivano il disco protoplanetario, inizialmente, non erano che accumuli di polvere, simili a quelle che si formano sotto i letti.

In orbita intorno al Sole c’è molta roccia: costituisce l’ingrediente principale dei pianeti più piccoli (Terra compresa), dei satelliti, degli asteroidi ed è presente, assieme al ghiaccio, nelle comete. È difficile immaginare che le prime rocce, formatesi agli albori del Sistema solare, potessero avere un aspetto e una consistenza molto diverse da quelle che conosciamo oggi. Eppure quando il Sole stesso era nelle prime fasi della propria evoluzione, non ancora circondato da pianeti ma da un disco protoplanetario, quelle che nel tempo sarebbero diventate dure rocce non erano altro che batuffoli simili agli accumuli di polvere che si formano sotto il letto. A sostegno di questa tesi, oltre a numerosi modelli elaborati al computer ed esperimenti di laboratorio, è arrivato in questi giorni il risultato di un nuovo studio pubblicato su Nature Geoscience (DOI: 10.1038/ngeo1120), che fornisce la prima prova geologica della soffice origine delle prime rocce.

Effettuando analisi estremamente dettagliate su un frammento di asteroide, si è visto che è formato di piccole strutture granulari delle dimensioni di un millimetro, dette condrule. Queste, a loro volta, risultano composte da un insieme di grani di polvere ancora più piccoli che, originariamente, si sarebbero scontrati rimanendo poi attaccati l’un l’altro. “La nostra ricerca” chiarisce Phil Bland, che ha condotto lo studio “mostra che le particelle primordiali si sono compattate e quindi indurite nel corso del tempo, andando a formare le prime piccole rocce”. Questo processo era governato dalla turbolenza che caratterizzava l’insieme di gas e polveri in rotazione attorno al Sole e il cui effetto sui primi agglomerati di particelle può essere paragonato a quello della turbolenza dell’acqua sui sassolini di un fiume.

Il gruppo di Bland ha anche definito un nuovo metodo per quantificare il livello di compressione cui è stata sottoposta una roccia, potendo così risalire alla sua fragile struttura originaria. Questo metodo permette, per la prima volta, di “ricostruire quantitativamente e con grande dettaglio l’accrescimento e la storia, dal punto di vista degli impatti subiti, dei materiali più antichi del Sistema solare” spiega Bland.
Il risultato ottenuto è un passo avanti nel tentativo di ricostruire un capitolo importante della storia del Sistema solare e arrivare a capire quindi come si sono formati i pianeti rocciosi, fra i quali il nostro.


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