BRUXELLES - Rialza la testa la nube del vulcano islandese dal nome impronunciabile, ma ormai ben conosciuto in tutta Europa: dopo avere vagato ieri lungo i Pirenei e avere proteso la sua ombra fino al Portogallo, a Barcellona, Madrid e Marsiglia, costringendo a terra 5 mila voli, in nottata la nube è arrivata sopra l'Italia. La conseguenza è stata la decisione dell'Enac di chiudere lo spazio aereo del Nord Italia sino alle 14.
"L'ultimo bollettino di Eurocontrol sulla nube vulcanica, emesso intorno alla mezzanotte - afferma il ministro dei Trasporti, Altero Matteoli - ha imposto la chiusura degli scali aeroportuali del nord Italia ad esclusione di Venezia, Treviso e Rimini. Si conta di poterli riaprire al traffico nella tarda mattinata".
A spingere la nube di cenere verso la penisola - spiega il Centro di controllo europeo delle polveri vulcaniche (Vaac) - è stato il gioco delle correnti aeree in quota. Favorite da un'area anticiclonica sull'alto Atlantico e da un'area depressionaria a ridosso della penisola iberica, le correnti saranno dirette da nord verso sud, dall'Islanda alla Spagna, e poi da ovest sud-ovest verso est nord-est, cioè dalla Spagna in direzione dell'Italia. La situazione non sembra destinata a cambiare nei prossimi giorni. Sono quindi attesi nuovi disagi per i passeggeri aerei, dopo quelli registrati anche oggi per via della cancellazione di 5.000 voli e dei ritardi causati dalla restrizione della 'fly-zone', in particolate ai voli transatlantici riprogrammati per evitare la nube. Eurocontrol, l'ente europeo per la sicurezza dell'aviazione civile, ha registrato oggi 25 mila voli in Europa, mentre ieri quelli effettuati sono stati 30.342. In Spagna, sulla costa atlantica e del nord, sono stati una ventina gli aeroporti chiusi per decisione dell'autorità aerea spagnola Aena. Stasera alle 22 ha però ripreso a funzionare l'aeroporto El Prat di Barcellona, importante 'hub' che era stato chiuso alle 15:30.
Al momento il pericolo di gravi disagi sembrerebbe così scongiurato per i partecipanti al Gran Premio di Formula 1 in programma domani nella città catalana. Sono già stati riaperti anche scali spagnoli come Saragozza a Valaldolid mentre altri come quello di Vigo dovrebbero riprendere l'attività alle 02:00 di domenica. Alle 08:00 di domani riapriranno altri scali ancora tra cui quello di La Coruna-Santiago di Compostela. Sono circa 900 i voli annullati oggi in Spagna e per almeno un centinaio lo stesso è accaduto in Portogallo . Dalle 19 italiane di oggi, inoltre, viene segnalata anche una riduzione dei voli transatlantici. La nube ha causato problemi anche nel sud della Francia: l'aeroporto di Marsiglia ha annunciato l'annullamento di una quindicina di voli, facendo inizialmente temere uno stop aereo in concomitanza con il Festival del cinema di Cannes in programma dal 12 al 23 maggio. La Direzione generale per l'aviazione civile (Dgac) in serata ha fatto tuttavia sapere che domani gli scali francesi saranno aperti e che un volo di monitoraggio effettuato oggi dall'Air France "non ha riscontrato nessuna anomalià. L'arrivo della nube in Italia, secondo le stime del Vaac, è atteso nella notte ma per ora "non c'é nessuna previsione di blocco" al traffico aereo, stando al ministro dei Trasporti, Altero Matteoli.
Il rischio che si ripeta il caos aereo di metà aprile, che ha trasformato i cieli europei in una grande 'no fly zone', resta comunque reale. "L'attività eruttiva è tornata ai livelli del 15-16 aprile, quando aveva raggiunto il suo massimo", ha detto Mike Burton, ricercatore della sezione di Pisa dell' Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), tornato oggi sul vulcano islandese. Incurante dei disagi che provoca, Eyjafjallajokull continua ad eruttare, facendo ricadere sull'Islanda polveri e cenere fastidiose. Oggi una sessantina di persone che abitano nella zona ha lasciato volontariamente le case. Per ora, però, non c'é nessun piano di evacuazione da parte delle autorità. [ANSA, 9 maggio ore 1:26]
Il mistero del vulcano Eyjafjallajokull
A CURA DI ELENA LISA
http://www3.lastampa.it/domande-risposte/articolo/lstp/190752/
Stop dei voli e allarme per le polveri nell’aria, quella dell’Eyjafjallajokull è un’eruzione anomala?
No. Si tratta di un normalissimo vulcano, ricoperto da un ghiacciaio, l’Eyjafjallajokull da cui ha preso il nome. L’ultima eruzione è dei primi del 1821. Di quella in corso - spiega Enzo Boschi, presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia - sono gli stessi vulcanologi islandesi a non dirsi particolarmente preoccupati.
La presenza di cenere è un fatto straordinario?
In un certo senso sì. Ma è decisamente ordinaria, invece, la composizione delle polveri che quindi non deve destare allarmi.
Perché?
La produzione di cenere avviene solo quando nel vulcano c’è dell’acqua. Il magma nel cratere si solidifica rapidamente e, al momento dell’eruzione, anziché assumere la forma classica e spettacolare di lapilli e colate di lava dà origine a esplosioni di polveri. Resta il fatto che solidificazioni ed esplosioni non avvengono ogni volta in cui l’acqua è presente.
Di che cosa sono fatte le polveri?
Di ciò di cui sono fatte tutte le polveri dei vulcani: particelle di silicati e di metalli, come il ferro. Niente di velenoso e pericoloso per la salute, lo ha stabilito l’Organizzazione mondiale della Sanità. Si tratta comunque di sostanze molto «dure» che possono bloccare i reattori dei motori e ricoprire i vetri degli aerei fino a corroderli.
Quanto contano le correnti d’aria nella sospensione dei voli?
Moltissimo. Addirittura le correnti determinano le situazioni d’emergenza. Nel 2002, dall’attività dell’Etna, si formò una massa di cenere che il vento spinse verso l’Africa, in una zona poco interessata dalle rotte aeree. Perciò l’aviazione civile non andò in tilt e il fenomeno non generò preoccupazione anche se, per precauzione, gli aeroporti siciliani e calabresi vennero chiusi.
Il periodo di allerta quanto può durare?
Anche se l’eruzione può prolungarsi per oltre un anno, la fase esplosiva si esaurisce nell’arco di due - tre giorni.
È possibile prevedere in anticipo gli spostamenti della nube?
No. Le previsioni in queste situazioni sono molto complicate: le variabili dipendono dalla direzione delle correnti d’aria, che potrebbero cambiare rapidamente, dalla loro rapidità e dalla densità della nube di cui ancora non si è studiata la concentrazione.
L‘eruzione de vulcano Eyjafjallajokull era stata prevista?
Sì, il 20 marzo è cominciata la fase effusiva che parte quando emerge la lava. Il 14 aprile i vulcanologi islandesi hanno registrato un cambiamento di stile, e la fase è diventata «esplosiva». Il magma era entrato in contatto con il ghiaccio che ricopre il cratere e sono incominciate le esplosioni.
Il vulcano era monitorato perché pericoloso?
No. L’Eyjafjallajokull non è classificato tra i vulcani da temere. In Islanda su oltre cento vulcani attivi, sono altri, una ventina, a essere controllati con particolare attenzione.
Si possono prevedere le eruzioni di tutti i vulcani?
Sì. E’ possibile perché prima delle eruzioni ci sono piccole scosse sismiche, il cratere si deforma e si verificano variazioni elettromagnetiche.
L’attività di un vulcano può innescare una reazione a catena e risvegliarne altri?
Non è escluso, ma nemmeno probabile. Le eruzioni in genere sono indipendenti. Non è comunque la presenza di più vulcani in azione a determinare la pericolosità dell’evento. Non contano nemmeno le dimensioni.
Qual è l’eruzione più recente di cui si ricordano gli effetti?
Quella del vulcano Pinatubo, nelle Filippine, che nel 1991 provocò l’abbassamento della temperatura di circa mezzo grado. La media si riassestò, ma ci volle un anno. L’eruzione che più ha fatto storia, invece, risale alla fine del diciottesimo secolo.
Che cosa successe?
Viene ricordata come eruzione Laki, avvenne in Islanda e provocò una frattura di circa sessanta chilometri da cui fuoriuscì lava. Le polveri soffocarono l’atmosfera e cambiò il clima di tutto l’emisfero Nord. Nevicò d’estate, Benjamin Franklin ci scrisse un trattato. Gli effetti sul tempo si avvertirono anche negli anni successivi. Provocò carestie. C’è chi pensa che furono proprio le condizioni climatiche che, contribuendo a espandere la povertà, rappresentarono la miccia per lo scoppio della rivoluzione Francese nel 1789.
No. Si tratta di un normalissimo vulcano, ricoperto da un ghiacciaio, l’Eyjafjallajokull da cui ha preso il nome. L’ultima eruzione è dei primi del 1821. Di quella in corso - spiega Enzo Boschi, presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia - sono gli stessi vulcanologi islandesi a non dirsi particolarmente preoccupati.
La presenza di cenere è un fatto straordinario?
In un certo senso sì. Ma è decisamente ordinaria, invece, la composizione delle polveri che quindi non deve destare allarmi.
Perché?
La produzione di cenere avviene solo quando nel vulcano c’è dell’acqua. Il magma nel cratere si solidifica rapidamente e, al momento dell’eruzione, anziché assumere la forma classica e spettacolare di lapilli e colate di lava dà origine a esplosioni di polveri. Resta il fatto che solidificazioni ed esplosioni non avvengono ogni volta in cui l’acqua è presente.
Di che cosa sono fatte le polveri?
Di ciò di cui sono fatte tutte le polveri dei vulcani: particelle di silicati e di metalli, come il ferro. Niente di velenoso e pericoloso per la salute, lo ha stabilito l’Organizzazione mondiale della Sanità. Si tratta comunque di sostanze molto «dure» che possono bloccare i reattori dei motori e ricoprire i vetri degli aerei fino a corroderli.
Quanto contano le correnti d’aria nella sospensione dei voli?
Moltissimo. Addirittura le correnti determinano le situazioni d’emergenza. Nel 2002, dall’attività dell’Etna, si formò una massa di cenere che il vento spinse verso l’Africa, in una zona poco interessata dalle rotte aeree. Perciò l’aviazione civile non andò in tilt e il fenomeno non generò preoccupazione anche se, per precauzione, gli aeroporti siciliani e calabresi vennero chiusi.
Il periodo di allerta quanto può durare?
Anche se l’eruzione può prolungarsi per oltre un anno, la fase esplosiva si esaurisce nell’arco di due - tre giorni.
È possibile prevedere in anticipo gli spostamenti della nube?
No. Le previsioni in queste situazioni sono molto complicate: le variabili dipendono dalla direzione delle correnti d’aria, che potrebbero cambiare rapidamente, dalla loro rapidità e dalla densità della nube di cui ancora non si è studiata la concentrazione.
L‘eruzione de vulcano Eyjafjallajokull era stata prevista?
Sì, il 20 marzo è cominciata la fase effusiva che parte quando emerge la lava. Il 14 aprile i vulcanologi islandesi hanno registrato un cambiamento di stile, e la fase è diventata «esplosiva». Il magma era entrato in contatto con il ghiaccio che ricopre il cratere e sono incominciate le esplosioni.
Il vulcano era monitorato perché pericoloso?
No. L’Eyjafjallajokull non è classificato tra i vulcani da temere. In Islanda su oltre cento vulcani attivi, sono altri, una ventina, a essere controllati con particolare attenzione.
Si possono prevedere le eruzioni di tutti i vulcani?
Sì. E’ possibile perché prima delle eruzioni ci sono piccole scosse sismiche, il cratere si deforma e si verificano variazioni elettromagnetiche.
L’attività di un vulcano può innescare una reazione a catena e risvegliarne altri?
Non è escluso, ma nemmeno probabile. Le eruzioni in genere sono indipendenti. Non è comunque la presenza di più vulcani in azione a determinare la pericolosità dell’evento. Non contano nemmeno le dimensioni.
Qual è l’eruzione più recente di cui si ricordano gli effetti?
Quella del vulcano Pinatubo, nelle Filippine, che nel 1991 provocò l’abbassamento della temperatura di circa mezzo grado. La media si riassestò, ma ci volle un anno. L’eruzione che più ha fatto storia, invece, risale alla fine del diciottesimo secolo.
Che cosa successe?
Viene ricordata come eruzione Laki, avvenne in Islanda e provocò una frattura di circa sessanta chilometri da cui fuoriuscì lava. Le polveri soffocarono l’atmosfera e cambiò il clima di tutto l’emisfero Nord. Nevicò d’estate, Benjamin Franklin ci scrisse un trattato. Gli effetti sul tempo si avvertirono anche negli anni successivi. Provocò carestie. C’è chi pensa che furono proprio le condizioni climatiche che, contribuendo a espandere la povertà, rappresentarono la miccia per lo scoppio della rivoluzione Francese nel 1789.
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