Il telescopio spaziale Herschel dell'ESA ha osservato vere e proprie "matasse" di filamenti nelle nubi interstellari e, per la prima volta, ne ha misurato le dimensioni. In questi grovigli hanno origine le stelle. Tra gli autori dello studio ricercatori dell'INAF-IFSI di Roma.
Come i nodi che incontra il pettine quando lo si passa tra i capelli lunghi, così si trovano le stelle nascenti in mezzo ai lunghissimi filamenti di gas e polvere che si formano nelle nubi interstellari. È quanto suggeriscono i recenti risultati del telescopio a infrarossi Herschel dell’ESA, capace di scrutare l’Universo freddo, pochi gradi sopra lo zero assoluto. Con il suo specchio da 3,5 metri di diametro, Herschel è il più grande osservatorio mai mandato in orbita e l’unico a coprire quella banda dello spettro elettromagnetico (tra 55 e 672 micron) che consente di vedere oltre la cortina di nebbia delle regioni galattiche ed extragalattiche dove nascono le stelle.
Grazie agli strumenti SPIRE e PACS, al cui funzionamento e controllo provvede il team italiano della collaborazione internazionale ESA, Herschel ha osservato vere e proprie “matasse” di filamenti nelle nubi interstellari e, per la prima volta, ne ha misurato le dimensioni. Queste specie di “rami” cosmici si estendono per decine di anni luce, hanno un diametro pari a 0,3 anni luce (circa 20 mila volte la distanza tra la Terra e il Sole) e spesso, nelle parti più dense, “collassano”, lasciando spazio a nuove stelline. “Attraverso processi turbolenti la materia delle nubi si addensa, i filamenti diventano gravitazionalmente instabili e tendono a frammentarsi in clump, in nuclei più densi, all’interno dei quali si creano le condizioni per la formazione stellare”, spiega Sergio Molinari, astronomo dell’INAF-IFSI di Roma, tra gli autori dello studio italo-francese appena pubblicato su Astronomy & Astrophysics.
In tutto, il satellite Herschel ha permesso di esaminare nel dettaglio circa 90 di questi enormi filamenti, in tre gelide nubi interstellari che vagano per la Via Lattea: IC5746, Aquila e Polaris. La parte più sorprendente dello studio è stata la misura di queste strutture: indipendentemente dalla loro massa, i filamenti hanno più o meno tutti lo stesso spessore. Un fatto che non può essere casuale, e infatti ha un significato ben preciso. Spiega Molinari, con il quale hanno collaborato anche Stefano Pezzuto e Luigi Spinoglio , sempre dell‘Istituto di fisica dello spazio interplanetario IFSI di Roma: “Le grandi nubi interstellari subiscono violenti processi d’urto reciproco, innescati per esempio all’azione delle braccia a spirale della Via Lattea o all’esplosione di supernovae, che iniettano in modo disordinato nelle nubi stesse grandi quantità di energia cinetica.
Ecco, sono proprio queste turbolenze che comprimono gas e polveri, creando le strutture filamentose che osserviamo. Gravitazionalmente instabili, nei punti più densi collassano e danno origine a nuove stelle”.
Le onde d’urto viaggiano nello spazio a velocità supersonica e possono essere generate da processi disparati, come per esempio le esplosioni di supernovaeo l’espansione di regioni di idrogeno ionizzato. In un certo senso, tornando alla metafora dei capelli, è come se il vento “scompigliasse” la chioma (la nube), stendendo e intrecciando i filamenti e creando nodi in mezzo a qusto grande intreccio.
“Non è abbiamo ancora la prova diretta dell’associazione tra questi filamenti e la formazione stellare, ma forti evidenze in qusto senso”, hanno detto Doris Arzoumanian e Philippe André, dei Laboratoire AIM di Paris-Saclay, CEA/IRFU, che hanno guidato la ricerca. Le prossime analisi di Herschel, assicura Molinari, ce lo confermeranno.
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