Mano a mano che la missione dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) Planck procede nella sua esplorazione verso gli albori dell’Universo, analizzando i dati in arrivo gli scienziati continuano a imbattersi in aspetti sconosciuti della nostra Galassia.
Due le principali caratteristiche inedite emerse di recente, protagoniste di un convegno internazionale che si tiene questa settimana a Bologna: enormi nubi di gas freddo mai segnalate prima, individuate da Planck grazie all’emissione del monossido di carbonio, e una sorta di foschia a microonde – o haze, come l’hanno battezzata gli astrofisici – la cui origine è tutt’ora senza spiegazione.
La prima mappa a tutto cielo del monossido di carbonio
Prevalentemente composte da molecole d’idrogeno, le nubi fredde costituiscono i bacini di gas dai quali si formano le stelle. Le molecole d’idrogeno, però, non emettono facilmente radiazione elettromagnetica e questo le rende assai difficili da rilevare. Ma anche il monossido di carbonio (CO), che nelle nostre città è uno fra gli inquinanti atmosferici più diffusi, è un costituente delle nuvole fredde che popolano la Via Lattea e altre galassie. Seppur molto più rare di quelle d’idrogeno, le molecole di CO emettono radiazione elettromagnetica proprio nelle frequenze alle quali è sensibile Planck.
Ed è proprio rilevandone le impronte che gli scienziati di Planck sono riusciti non solo a individuare nuove nubi molecolari dove non ci si attendeva d’incontrarne, ma addirittura a tracciare la prima mappa a tutto cielo delle emissioni di monossido di carbonio. Mappa che si rivelerà uno strumento preziosissimo, per esempio, per i radiotelescopi terrestri, anch’essi sensibili elle emissioni del CO ma costretti a esplorare solo porzioni limitate di cielo, a causa dell’enorme quantità di tempo che richiederebbe una survey completa.
Nebbia fitta nel centro galattico
Se la mappa a tutto cielo del monossido di carbonio è una prima assoluta, la grande sorpresa che le ultime analisi dei dati di Planck stanno regalando agli scienziati è una misteriosa foschia di microonde che sfida ogni spiegazione. Battezzata haze, o foschia, è stata rilevata da Planck nella regione che circonda il centro galattico, e si presenta come un tipo di emissione ben noto agli astrofisici: l’emissione di sincrotrone, generata allorché gli elettroni, accelerati dalle esplosioni di supernovae, si trovano ad attraversare i campi magnetici.
L’emissione di sincrotrone associata a questa nuova, enigmatica foschia galattica presenta però caratteristiche che la rendono diversa da quella che si osserva altrove nella Via Lattea. In particolare, lo haze ha uno spettro più “duro”: vale a dire che, spostandosi verso energie maggiori, dunque verso frequenze più alte, l’intensità della sua emissione non diminuisce in modo repentino come invece avviene per l’emissione di sincrotrone “standard”. Un comportamento insolito per il quale gli scienziati stanno valutando le ipotesi più disparate, dalla maggiore frequenza di esplosione di supernovae al vento galattico, fino all’annichilazione di particelle di materia oscura. A oggi nessuna di queste ha però ricevuto una conferma, e il mistero perdura.
Gli ultimi veli prima della mappa cosmologica
Obiettivo primario di Planck è quello di osservare il fondo cosmico a microonde (CMB), risalente ad appena 380mila anni dopo il Big Bang, e decodificare le informazioni in esso contenute sulle componenti fondamentali dell'Universo e l'origine della struttura cosmica. Per vedere nei dettagli il fondo cosmico, però, occorre anzitutto rimuovere le contaminazioni introdotte dalla moltitudine di sorgenti di foregrounds (così chiamato perché si trovano davanti al fondo) sovrapposte. Fra di esse, l‘emissione del monossido di carbonio e la foschia galattica presentate in questi giorni a Bologna. «Un compito lungo e delicato, quello della rimozione, in grado però di fornirci un insieme di dati di prima qualità, tali da offrirci uno sguardo inedito sui temi caldi dell’astronomia galattica ed extragalattica», spiega Jan Tauber, dell’ESA, project scientist di Planck.
«I dati che il satellite Planck ha raccolto nei quasi tre anni di vita operativa stando dando informazioni estremamente importanti, che aiuteranno gli scienziati a comprendere meglio le problematiche che riguardano la nascita dell’Universo», dice Barbara Negri, responsabile ASI per l’Esplorazione e Osservazione dell’Universo.
«Il lavoro di analisi di più di 450 scienziati di Planck continua senza sosta, per arrivare puntuali al rilascio, all’inizio del 2013, dei primi risultati cosmologici: quelli da cui ci attendiamo grandi sorprese», afferma Reno Mandolesi, responsabile dello strumento a bassa frequenza (LFI) del satellite. «Nel frattempo Planck», continua Mandolesi, «rimasto orfano dello strumento ad altra frequenza (HFI) per l’esaurimento dell’elio liquido necessario a raffreddare a 0.1 gradi Kelvin – la più bassa temperatura mai raggiunta nello spazio – i suoi bolometri, continua ad accumulare dati nella sua esplorazione del cielo con il solo strumento LFI, ancora perfettamente funzionante ed efficiente. Sono molto orgoglioso di guidare un team internazionale, con grande partecipazione italiana, di valore straordinario. Con Planck, la più complessa missione mai realizzata da ESA, l’Italia con ASI, INAF e le università coinvolte dimostra ancora una volta di essere una delle nazioni spaziali di eccellenza a livello internazionale».
Foto di apertura
La "foschia galattica" (haze) vista da Planck e le "bolle galattiche" (bubbles) viste da Fermi
In alto, insieme ad altre sorgenti, la distribuzione spaziale sull'intero cielo del "galactic haze" visto a 30 e 44 GHz dai rivelatori di Planck/LFI, lo strumento "italiano" di Planck. Si tratta di un'emissione di sincrotrone diffusa che si pensa possa essere dovuta a una maggiore frequenza di esplosione di supernovae, oppure al vento galattico, o ancora all'annichilazione di particelle di materia oscura. A oggi nessuna di queste ipotesi ha però ricevuto una conferma.
In basso, una sovrapposizione fra la distribuzione del "galactic haze" visto da Planck nel cielo a microonde (a 30 e 44 GHz, qui in rosso e giallo) e il cielo a raggi gamma (tra 10 e 100 GeV, qui rappresentato in blu) rilevato dal telescopio spaziale Fermi della NASA. I dati di Fermi rivelano due grandi strutture a forma di bolla che si estendono dal centro galattico. Le due regioni, osservate da Planck e da Fermi ai due estremi opposti dello spettro elettromagnetico, risultano spazialmente molto ben correlate, e potrebbero dunque effettivamente essere una manifestazione - attraverso differenti processi di emissione - della medesima popolazione di elettroni.
In entrambe le immagini, la banda orizzontale nera centrale nasconde il piano galattico, mascherato durante l'analisi dei dati di Planck per escludere regioni ad alta contaminazione di foregrounds dovuta all'intensa emissione della Galassia.
Crediti immagine in alto: ESA/Planck Collaboration. Crediti immagine in basso: ESA/Planck Collaboration (microwave) e NASA/DOE/Fermi LAT/D. Finkbeiner et al. (gamma rays).
Due le principali caratteristiche inedite emerse di recente, protagoniste di un convegno internazionale che si tiene questa settimana a Bologna: enormi nubi di gas freddo mai segnalate prima, individuate da Planck grazie all’emissione del monossido di carbonio, e una sorta di foschia a microonde – o haze, come l’hanno battezzata gli astrofisici – la cui origine è tutt’ora senza spiegazione.
La prima mappa a tutto cielo del monossido di carbonio
Prevalentemente composte da molecole d’idrogeno, le nubi fredde costituiscono i bacini di gas dai quali si formano le stelle. Le molecole d’idrogeno, però, non emettono facilmente radiazione elettromagnetica e questo le rende assai difficili da rilevare. Ma anche il monossido di carbonio (CO), che nelle nostre città è uno fra gli inquinanti atmosferici più diffusi, è un costituente delle nuvole fredde che popolano la Via Lattea e altre galassie. Seppur molto più rare di quelle d’idrogeno, le molecole di CO emettono radiazione elettromagnetica proprio nelle frequenze alle quali è sensibile Planck.
Ed è proprio rilevandone le impronte che gli scienziati di Planck sono riusciti non solo a individuare nuove nubi molecolari dove non ci si attendeva d’incontrarne, ma addirittura a tracciare la prima mappa a tutto cielo delle emissioni di monossido di carbonio. Mappa che si rivelerà uno strumento preziosissimo, per esempio, per i radiotelescopi terrestri, anch’essi sensibili elle emissioni del CO ma costretti a esplorare solo porzioni limitate di cielo, a causa dell’enorme quantità di tempo che richiederebbe una survey completa.
Nebbia fitta nel centro galattico
Se la mappa a tutto cielo del monossido di carbonio è una prima assoluta, la grande sorpresa che le ultime analisi dei dati di Planck stanno regalando agli scienziati è una misteriosa foschia di microonde che sfida ogni spiegazione. Battezzata haze, o foschia, è stata rilevata da Planck nella regione che circonda il centro galattico, e si presenta come un tipo di emissione ben noto agli astrofisici: l’emissione di sincrotrone, generata allorché gli elettroni, accelerati dalle esplosioni di supernovae, si trovano ad attraversare i campi magnetici.
L’emissione di sincrotrone associata a questa nuova, enigmatica foschia galattica presenta però caratteristiche che la rendono diversa da quella che si osserva altrove nella Via Lattea. In particolare, lo haze ha uno spettro più “duro”: vale a dire che, spostandosi verso energie maggiori, dunque verso frequenze più alte, l’intensità della sua emissione non diminuisce in modo repentino come invece avviene per l’emissione di sincrotrone “standard”. Un comportamento insolito per il quale gli scienziati stanno valutando le ipotesi più disparate, dalla maggiore frequenza di esplosione di supernovae al vento galattico, fino all’annichilazione di particelle di materia oscura. A oggi nessuna di queste ha però ricevuto una conferma, e il mistero perdura.
Gli ultimi veli prima della mappa cosmologica
Obiettivo primario di Planck è quello di osservare il fondo cosmico a microonde (CMB), risalente ad appena 380mila anni dopo il Big Bang, e decodificare le informazioni in esso contenute sulle componenti fondamentali dell'Universo e l'origine della struttura cosmica. Per vedere nei dettagli il fondo cosmico, però, occorre anzitutto rimuovere le contaminazioni introdotte dalla moltitudine di sorgenti di foregrounds (così chiamato perché si trovano davanti al fondo) sovrapposte. Fra di esse, l‘emissione del monossido di carbonio e la foschia galattica presentate in questi giorni a Bologna. «Un compito lungo e delicato, quello della rimozione, in grado però di fornirci un insieme di dati di prima qualità, tali da offrirci uno sguardo inedito sui temi caldi dell’astronomia galattica ed extragalattica», spiega Jan Tauber, dell’ESA, project scientist di Planck.
«I dati che il satellite Planck ha raccolto nei quasi tre anni di vita operativa stando dando informazioni estremamente importanti, che aiuteranno gli scienziati a comprendere meglio le problematiche che riguardano la nascita dell’Universo», dice Barbara Negri, responsabile ASI per l’Esplorazione e Osservazione dell’Universo.
«Il lavoro di analisi di più di 450 scienziati di Planck continua senza sosta, per arrivare puntuali al rilascio, all’inizio del 2013, dei primi risultati cosmologici: quelli da cui ci attendiamo grandi sorprese», afferma Reno Mandolesi, responsabile dello strumento a bassa frequenza (LFI) del satellite. «Nel frattempo Planck», continua Mandolesi, «rimasto orfano dello strumento ad altra frequenza (HFI) per l’esaurimento dell’elio liquido necessario a raffreddare a 0.1 gradi Kelvin – la più bassa temperatura mai raggiunta nello spazio – i suoi bolometri, continua ad accumulare dati nella sua esplorazione del cielo con il solo strumento LFI, ancora perfettamente funzionante ed efficiente. Sono molto orgoglioso di guidare un team internazionale, con grande partecipazione italiana, di valore straordinario. Con Planck, la più complessa missione mai realizzata da ESA, l’Italia con ASI, INAF e le università coinvolte dimostra ancora una volta di essere una delle nazioni spaziali di eccellenza a livello internazionale».
Foto di apertura
La "foschia galattica" (haze) vista da Planck e le "bolle galattiche" (bubbles) viste da Fermi
In alto, insieme ad altre sorgenti, la distribuzione spaziale sull'intero cielo del "galactic haze" visto a 30 e 44 GHz dai rivelatori di Planck/LFI, lo strumento "italiano" di Planck. Si tratta di un'emissione di sincrotrone diffusa che si pensa possa essere dovuta a una maggiore frequenza di esplosione di supernovae, oppure al vento galattico, o ancora all'annichilazione di particelle di materia oscura. A oggi nessuna di queste ipotesi ha però ricevuto una conferma.
In basso, una sovrapposizione fra la distribuzione del "galactic haze" visto da Planck nel cielo a microonde (a 30 e 44 GHz, qui in rosso e giallo) e il cielo a raggi gamma (tra 10 e 100 GeV, qui rappresentato in blu) rilevato dal telescopio spaziale Fermi della NASA. I dati di Fermi rivelano due grandi strutture a forma di bolla che si estendono dal centro galattico. Le due regioni, osservate da Planck e da Fermi ai due estremi opposti dello spettro elettromagnetico, risultano spazialmente molto ben correlate, e potrebbero dunque effettivamente essere una manifestazione - attraverso differenti processi di emissione - della medesima popolazione di elettroni.
In entrambe le immagini, la banda orizzontale nera centrale nasconde il piano galattico, mascherato durante l'analisi dei dati di Planck per escludere regioni ad alta contaminazione di foregrounds dovuta all'intensa emissione della Galassia.
Crediti immagine in alto: ESA/Planck Collaboration. Crediti immagine in basso: ESA/Planck Collaboration (microwave) e NASA/DOE/Fermi LAT/D. Finkbeiner et al. (gamma rays).
Fisica fondamentale al centro della nostra Galassia:
Planck LFI come "telescopio per la materia oscura"?
Uno studio basato sulle frequenze osservate da Planck LFI è rivelatore di un segnale di "eccesso" proveniente dal centro della nostra Galassia, che potrebbe essere rivelatore di processi di fisica fondamentale ancora sconosciuti, e in particolare dell'annichilazione di particelle di materia oscura.
Tramite una parametrizzazione e successiva sottrazione delle componenti note del segnale proveniente da quella regione, è stato possibile verificare l'esistenza di un residuo di luminosità evidente in particolare alla frequenza di 30 GHz, che non è spiegato dalla composizione Galattica nota, ma come detto essere un tracciatore di materia oscura.
Questo risultato, oggetto di uno dei più importanti intermediate papers, potrebbe essere una guida per futuri lavori teorici e sperimentali che abbiano la comprensione della materia oscura come principale bersaglio.
Crediti: ESA/Planck Collaboration
Planck LFI come "telescopio per la materia oscura"?
Uno studio basato sulle frequenze osservate da Planck LFI è rivelatore di un segnale di "eccesso" proveniente dal centro della nostra Galassia, che potrebbe essere rivelatore di processi di fisica fondamentale ancora sconosciuti, e in particolare dell'annichilazione di particelle di materia oscura.
Tramite una parametrizzazione e successiva sottrazione delle componenti note del segnale proveniente da quella regione, è stato possibile verificare l'esistenza di un residuo di luminosità evidente in particolare alla frequenza di 30 GHz, che non è spiegato dalla composizione Galattica nota, ma come detto essere un tracciatore di materia oscura.
Questo risultato, oggetto di uno dei più importanti intermediate papers, potrebbe essere una guida per futuri lavori teorici e sperimentali che abbiano la comprensione della materia oscura come principale bersaglio.
Crediti: ESA/Planck Collaboration
Mappa a tutto cielo del gas molecolare visto da Planck e da survey precedenti.
In alto, la distribuzione del monossido di carbonio (CO), una molecola utilizzata dagli astronomi per tracciare le nubi molecolari presenti in cielo, rilevata da Planck (in blu) e da precedenti osservazioni (Dame et al. 2001, in rosso). Come si può notare, la mappa ottenuta dai dati di Planck - la prima a tutto cielo che sia mai stata compilata - comprende ampie porzioni di cielo inedite, rimaste inesplorate dalle precedenti indagini.
In basso, il dettaglio di tre particolari regioni del cielo nelle quali Planck ha rilevato alte concentrazioni di CO, in corrispondenza delle costellazioni di Cefeo, del Toro e di Pegaso.
Le nubi molecolari - regioni dense e compatte, distribuite in tutta la Via Lattea, nelle quali si ammassano gas e polveri - rappresentano una delle fonti di emissione in primo piano (foregrounds) osservate da Planck. La stragrande maggioranza del gas presente in queste nubi è costituita da idrogeno molecolare (H2), ed è in queste regioni fredde che si formano le stelle. Poiché l'idrogeno molecolare non irradia facilmente, per individuare queste "culle cosmiche" gli astronomi si avvalgono di altre molecole in esse presenti, meno abbondanti ma molto più facili da tracciare. La più importante è la molecola del monossido di carbonio, il cui spettro rotazionale presenta righe d'emissione nelle frequenze alle quali sono sensibili i rivelatori di Planck/HFI.
Crediti immagine in alto: ESA/Planck Collaboration; T. Dame et al., 2001. Crediti immagine in basso: ESA/Planck Collaboration.
Fonti:
http://www.media.inaf.it/wp-content/uploads/2012/02/cs-planck-2012.pdf
http://www.media.inaf.it/press/planck-co-haze/
In alto, la distribuzione del monossido di carbonio (CO), una molecola utilizzata dagli astronomi per tracciare le nubi molecolari presenti in cielo, rilevata da Planck (in blu) e da precedenti osservazioni (Dame et al. 2001, in rosso). Come si può notare, la mappa ottenuta dai dati di Planck - la prima a tutto cielo che sia mai stata compilata - comprende ampie porzioni di cielo inedite, rimaste inesplorate dalle precedenti indagini.
In basso, il dettaglio di tre particolari regioni del cielo nelle quali Planck ha rilevato alte concentrazioni di CO, in corrispondenza delle costellazioni di Cefeo, del Toro e di Pegaso.
Le nubi molecolari - regioni dense e compatte, distribuite in tutta la Via Lattea, nelle quali si ammassano gas e polveri - rappresentano una delle fonti di emissione in primo piano (foregrounds) osservate da Planck. La stragrande maggioranza del gas presente in queste nubi è costituita da idrogeno molecolare (H2), ed è in queste regioni fredde che si formano le stelle. Poiché l'idrogeno molecolare non irradia facilmente, per individuare queste "culle cosmiche" gli astronomi si avvalgono di altre molecole in esse presenti, meno abbondanti ma molto più facili da tracciare. La più importante è la molecola del monossido di carbonio, il cui spettro rotazionale presenta righe d'emissione nelle frequenze alle quali sono sensibili i rivelatori di Planck/HFI.
Crediti immagine in alto: ESA/Planck Collaboration; T. Dame et al., 2001. Crediti immagine in basso: ESA/Planck Collaboration.
Fonti:
http://www.media.inaf.it/wp-content/uploads/2012/02/cs-planck-2012.pdf
http://www.media.inaf.it/press/planck-co-haze/
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