La Terra deve dire grazie a Giove? Non è un richiamo teologico, tantomeno al paganesimo. Può apparire paradossale, ma non sembra così lontano dalla realtà. Il nostro pianeta forse deve la sua esistenza al pianeta gigante del nostro sistema solare.
È quanto appare emergere da uno studio condotto da ricercatori dell’IAPS dell’INAF che sarà pubblicato su APJ (Astrophysical Journal). Secondo Diego Turrini, che ha condotto a termine lo studio avviato con Angioletta Coradini recentemente scomparsa, insieme a Gianfranco Magni, l’idea che la formazione di Giove abbia avuto importanti ripercussioni sulla formazione del nostro sistema solare, trova ulteriore conferma dai dati analizzati simulando la formazione di Giove e la sua successiva migrazione, così da studiarne gli effetti sull’evoluzione della fascia degli asteroidi. I risultati delle simulazioni, inizialmente focalizzate su Vesta e Cerere e successivamente estese alla fascia interna degli asteroidi, hanno mostrato come la nascita del pianeta gigante avrebbe dato inizio alla prima breve ma violenta fase di bombardamento della storia del Sistema Solare, che il team ha battezzato Jovian Early Bombardment o, in breve, JEB.
Insomma la formazione del gigante gassoso avrebbe fatto da contrappeso al Sole, redistribuendo la materia e gli elementi volatili, sia all’esterno che all’interno del sistema solare, modificando le orbite dei pianeti che si stavano formando, da circolari ad ellittiche, e impedendo l’aggregazione della fascia degli asteroidi. “La nebulosa solare, il disco di gas e polveri da cui il Sistema Solare ha avuto origine – dice Diego Turrini – è una delle fasi più importanti e meno comprese della vita del Sistema Solare. Sulla base dell’osservazione dei dischi attorno a stelle giovani, sappiamo che la vita della nebulosa solare deve essere stata dell’ordine di 10 milioni di anni: breve, quindi, rispetto ai 4.5 miliardi di anni di vita del nostro sistema. Eppure, in questo breve lasso di tempo i planetesimi, i primi corpi planetari a essersi formati e simili agli attuali asteroidi, si stavano formando attraverso tutto il Sistema Solare mentre le regioni più esterne vedevano la comparsa dei pianeti giganti.
L’idea che la formazione di Giove – continua Turrini – abbia avuto importanti ripercussioni sull’evoluzione del Sistema Solare risale agli albori dell’era spaziale, quando alla fine degli anni ‘60 lo scienziato sovietico Viktor Safronov propose che la comparsa del pianeta gigante avrebbe causato la dispersione dei planetesimi formatisi vicino alla sua orbita. Come allieva di Safronov, Angioletta Coradini condivideva l’idea e aveva dato l’avvio a questo progetto per cercarne le tracce su Vesta, obiettivo della missione Dawn e uno dei corpi più antichi del Sistema Solare.
I risultati ottenuti hanno però superato le aspettative di allieva e maestro: la formazione di Giove, infatti, causa la comparsa delle risonanze orbitali all’origine delle Kirkwood Gaps nella fascia degli asteroidi e il flusso di materiale dovuto allo svuotamento delle risonanze rende il JEB estremamente più violento di quanto prima ipotizzato”.
Certo c’è ancora molto da studiare per comprendere cosa accadde in quei primi dieci milioni di anni, ma nel nostro sistema solare vi sono strumenti realizzati dall’INAF con ASI a bordo di sonde come Dawn e Juno che potrà aiutarci a capire come l’intensità e gli effetti distruttivi del JEB siano collegabili alle caratteristiche della popolazione iniziale di planetesimi e alla migrazione di Giove.
A Cura Di Francesco Rea
Fonte:
http://www.media.inaf.it/2012/02/24/per-giove-la-terra-esiste/
È quanto appare emergere da uno studio condotto da ricercatori dell’IAPS dell’INAF che sarà pubblicato su APJ (Astrophysical Journal). Secondo Diego Turrini, che ha condotto a termine lo studio avviato con Angioletta Coradini recentemente scomparsa, insieme a Gianfranco Magni, l’idea che la formazione di Giove abbia avuto importanti ripercussioni sulla formazione del nostro sistema solare, trova ulteriore conferma dai dati analizzati simulando la formazione di Giove e la sua successiva migrazione, così da studiarne gli effetti sull’evoluzione della fascia degli asteroidi. I risultati delle simulazioni, inizialmente focalizzate su Vesta e Cerere e successivamente estese alla fascia interna degli asteroidi, hanno mostrato come la nascita del pianeta gigante avrebbe dato inizio alla prima breve ma violenta fase di bombardamento della storia del Sistema Solare, che il team ha battezzato Jovian Early Bombardment o, in breve, JEB.
Insomma la formazione del gigante gassoso avrebbe fatto da contrappeso al Sole, redistribuendo la materia e gli elementi volatili, sia all’esterno che all’interno del sistema solare, modificando le orbite dei pianeti che si stavano formando, da circolari ad ellittiche, e impedendo l’aggregazione della fascia degli asteroidi. “La nebulosa solare, il disco di gas e polveri da cui il Sistema Solare ha avuto origine – dice Diego Turrini – è una delle fasi più importanti e meno comprese della vita del Sistema Solare. Sulla base dell’osservazione dei dischi attorno a stelle giovani, sappiamo che la vita della nebulosa solare deve essere stata dell’ordine di 10 milioni di anni: breve, quindi, rispetto ai 4.5 miliardi di anni di vita del nostro sistema. Eppure, in questo breve lasso di tempo i planetesimi, i primi corpi planetari a essersi formati e simili agli attuali asteroidi, si stavano formando attraverso tutto il Sistema Solare mentre le regioni più esterne vedevano la comparsa dei pianeti giganti.
L’idea che la formazione di Giove – continua Turrini – abbia avuto importanti ripercussioni sull’evoluzione del Sistema Solare risale agli albori dell’era spaziale, quando alla fine degli anni ‘60 lo scienziato sovietico Viktor Safronov propose che la comparsa del pianeta gigante avrebbe causato la dispersione dei planetesimi formatisi vicino alla sua orbita. Come allieva di Safronov, Angioletta Coradini condivideva l’idea e aveva dato l’avvio a questo progetto per cercarne le tracce su Vesta, obiettivo della missione Dawn e uno dei corpi più antichi del Sistema Solare.
I risultati ottenuti hanno però superato le aspettative di allieva e maestro: la formazione di Giove, infatti, causa la comparsa delle risonanze orbitali all’origine delle Kirkwood Gaps nella fascia degli asteroidi e il flusso di materiale dovuto allo svuotamento delle risonanze rende il JEB estremamente più violento di quanto prima ipotizzato”.
Certo c’è ancora molto da studiare per comprendere cosa accadde in quei primi dieci milioni di anni, ma nel nostro sistema solare vi sono strumenti realizzati dall’INAF con ASI a bordo di sonde come Dawn e Juno che potrà aiutarci a capire come l’intensità e gli effetti distruttivi del JEB siano collegabili alle caratteristiche della popolazione iniziale di planetesimi e alla migrazione di Giove.
A Cura Di Francesco Rea
Fonte:
http://www.media.inaf.it/2012/02/24/per-giove-la-terra-esiste/
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