Secondo un recente studio mondi tre volte più grandi del nostro potrebbero avere condizioni ben più propizie per ospitare la vita. E questa è solo l'ultima di una serie di proposte che spingono a cercare la vita extraterrestre al di fuori della zona abitabile.
Come detto, quella di Heller e Armstrong non è l’unica spinta per un cambiamento di paradigma nella ricerca di pianeti abitabili. Nel maggio scorso, un articolo pubblicato su Science a firma del fisico teorico Sara Seager del Massachusetts Institute of Technology, proponeva qualcosa di simile. L’acqua e la vita, scriveva Seager, posso trovarsi anche su Super-Terre che orbitano la loro stella fuori dalla zona abitabile, a distanze dieci volte superiori di quella Terra-Sole, a patto che le atmosfere di questi mondi contengano idrogeno gassoso a sufficienza, e quindi un effetto serra potente, capace di mantenere il calore all'interno dell’atmosfera e creare un clima mite nonostante le poche radiazioni ricevute in superficie. Allo stesso modo anche pianeti aridi e più vicini alle proprie stelle madri potrebbero avere bisogno di una quantità minore di acqua per creare la vita, vista l’alta umidità atmosferica. E la vita potrebbe esserci addirittura sui pianeti vagabondi che viaggiano per l’universo liberi da vincoli orbitali, scrive Seager, in caso abbiano avuto la fortuna di sviluppare calore da processi radioattivi o del nucleo e di avere i giusti gas nell'atmosfera.
Articoli di questo tipo raramente trovano consenso unanime all'interno della comunità scientifica. Questo perché a oggi il problema principale rimane la nostra effettiva incapacità tecnologica di determinare tutte le caratteristiche di un pianeta. Al di là di massa, raggio e quantità di luce ricevuta, infatti, non abbiamo ancora i mezzi per analizzare in maniera esaustiva le atmosfere, le superfici e le composizioni geologiche dei pianeti extrasolari. Per questo molti ritengono prematuro, se non completamente superfluo, mettere in discussione il concetto di “zona abitabile” e abitabilità dei pianeti così come l’abbiamo formulata finora: finché non svilupperemo le tecnologie adatte, quello della zona abitabile sembra il migliore degli strumenti possibili.
Certo, bisognerebbe quantomeno mettersi d’accordo sull'effettiva grandezza di queste fasce. La definizione standard della zona abitabile attorno a una stella simile al Sole ha subito nel corso degli anni diverse ridefinizioni a seconda del modello fisico utilizzato per le stime. L’ultima proposta di revisione di questi parametri è del dicembre scorso ed è stata avanzata dall'astrofisico Jérémy Leconte, del Pierre Simon Laplace Institute di Parigi, in un articolo pubblicato su Nature. Secondo i modelli utilizzati da Leconte e colleghi le dimensioni della zona abitabile sono per esempio molto più piccole delle stime utilizzate dalla missione Kepler, che aveva fornito una cifra probabilistica forse troppo ottimistica di 22 miliardi di pianeti simili alla Terra e potenzialmente abitabili, nella Via Lattea.
Fonte:
http://www.media.inaf.it/2014/02/05/dove-dobbiamo-cercare-la-vita-extra-terrestre/
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