sabato 10 dicembre 2016

DAWN SVELA IL MISTERO DEL PUNTO LUMINOSO SU CERERE


Da quando la sonda DAWN ha iniziato ad inviare le foto del pianeta nato Cerere, in molti sono rimasti affascinati dal punto brillante apparso al centro del cratere Occator. Molte sono state le speculazioni in merito. Il 16 Ottobre del 2016 la sonda ha finalmente inviato a terra una nuova spettacolare immagine del cratere ad una distanza  di circa 1.480 chilometri.

Il cratere Occator, con la sua brillante regione centrale e le aree secondarie meno riflettenti secondari, misura un diametro di circa 92 chilometri e 4 chilometri di profondità, con evidenti segni di recente attività geologica. Secondo le ultime analisi, il materiale luminoso sarebbe composto dai sali emersi dall'interno che hanno subito un processo di sublimazione in seguito all'impatto.

La sonda ha raccolto decine di migliaia di immagini e altre informazioni  da quando è arrivata in orbita il 6 marzo 2015. Dopo aver trascorso più di otto mesi a studiare Cerere ad un'altitudine di circa 385 chilometri ha raggiunto  un più alto punto di osservazione nel mese di Agosto ed il 4 Novembre, ha iniziato la sesta orbita a circa 7.200 chilometri dalla sua superficie.

Uno degli obiettivi della sesta orbita sarà quello di perfezionare le misurazioni raccolte in precedenza. Lo spettrometro di neutroni a bordo del veicolo spaziale, che ha studiato la composizione della superficie, caratterizzerà la radiazione dai raggi cosmici estranei permettendo agli scienziati di sottrarre il rumore di Cerere, fornendo  informazioni più precise.

La sonda, in ottimo stato di salute,  continua ad operare nella sua fase  estesa, che ha avuto inizio nel mese di luglio. Durante la missione primaria, DOWN ha orbitato e realizzato tutti i suoi obiettivi iniziali visitando il proto pianeta Vesta  dal luglio 2011 al settembre 2012.

venerdì 9 dicembre 2016

NUOVE PROVE A SOSTEGNO DI PLANET NINE


Guidati da Renu Malhotra, professore del Regents' Professor of Planetary Sciences al UA's Lunar and Planetary Lab, il team ha scoperto che quattro oggetti della Kuiper Belt con periodi orbitali più lunghi, ruotano intorno al Sole in armonia con il modello che ipotizza la la presenza di un ipotetico "Planet Nine" circa dieci volte la massa della Terra ai confini del nostro Sistema Solare. 
Malhotra ha presentato i risultati nel corso della riunione congiunta della 48a Divisione per le Scienze Planetarie della American Astronomical Society e all'XI Congresso Europeo di Scienze Planetarie a Pasadena, in California.

Secondo i calcoli dei ricercatori, una  ipotetico nono pianeta compirebbe un'orbita intorno al Sole circa ogni 17.000 anni e nel suo punto più lontano sarebbe a più di 660 UA. Gli scienziati hanno ipotizzato che alcuni oggetti della Cintura di Kuiper possano essere significativamente perturbati dai pianeti giganti, di fatto alcuni hanno delle orbite molto eccentriche fino a centinaia di unità astronomiche di distanza dal Sole.

"Abbiamo analizzato i dati di questi oggetti più lontani della Cintura di Kuiper", ha detto Malhotra "e abbiamo notato che fossero in una sorta di risonanza con un pianeta invisibile".

Nel loro articolo, "Corralling a Distant Planet with Extreme Resonant Kuiper Belt Objects", Malhotra e i suoi co-autori, Kathryn Volk e Xianyu Wang, hanno scoperto che il rapporto del periodo orbitale di questi oggetti è vicino al rapporto di piccoli numeri interi, indicazione del fatto che possano essere stati influenzati dalla presenza di un pianeta gigante.

I loro risultati rafforzano i lavori precedenti da altri scienziati che hanno dimostrato che sei di quei corpi viaggiano su orbite molto eccentriche i cui lunghi assi puntano tutti nella stessa direzione. Questo raggruppamento di parametri ha suggerito la presenza di un grande corpo planetario esistente tra le loro orbite.

Un altro studio pubblicato all'inizio di quest'anno ha mostrato i risultati di simulazioni numeriche che forniscono una gamma di possibilità per la massa e per l'orbita di un ipotetico nono pianeta, che potrebbe spiegare il raggruppamento osservato delle orbite dei KBO.
Essi hanno calcolato anche i due probabili piani orbitali del pianeta: uno moderatamente vicino al piano medio del Sistema Solare inclinato di circa 18 gradi e un altro molto più ripido inclinato di circa 48 gradi.

Mentre i risultati forniscono ulteriore supporto per l'idea di un potenziale "Planet Nine" aprendo altri possibili scenari, gli autori sottolineano che il loro studio non dovrebbe essere considerato la prova definitiva per la sua esistenza, perché i KBO essendo molto lontano e deboli, non sono stati osservati adeguatamente e le stime della vicinanza ai rapporti numerici interi di periodi orbitali sono dotati di incertezze che potranno essere ristretti solo attraverso più osservazioni.

Gli autori fanno notare, inoltre, che i lunghi tempi orbitali in questa regione del Sistema 
solare esterno possono permettere l'esistenza di orbite formalmente instabili anche per tempi molto lunghi senza l'aiuto di risonanza orbitale. Soltanto future e più approfondite osservazioni potranno confutare o meno questa affascinante possibilità.

Traduzione e adattamento a cura di Vito Di Paola



giovedì 8 dicembre 2016

TYCHE SI ATTENDE LA CONFERMA UFFICIALE



Se la sua esistenza venisse finalmente confermata, Tyche potrebbe non vedersi riconosciuto lo status di pianeta del Sistema Solare. Il motivo è che gli astronomi ipotizzano che Tyche potrebbe essere un pianeta nato in un altro sistema stellare e successivamente catturato dal nostro.


Se siete cresciuti pensando che i pianeti del nostro Sistema Solare fossero nove e siete rimasti particolarmente scioccati quando Plutone ha perso il suo status di ‘pianeta’ nel 2008, preparatevi perchè potrebbe esserci presto una nuova sorpresa: i pianeti potrebbero tornare ad essere nove e Giove potrebbe non essere il più grande.
Gli scienziati, infatti, potrebbero presto essere in grado di dimostrare l’esistenza di un pianeta gigante gassoso quattro volte più grande di Giove e in orbita sul bordo esterno del nostro Sistema Solare.


Tyche sarebbe 15 mila volte più lontano dal Sole rispetto alla Terra e 375 volte più lontano di Plutone, ragion per cui non è mai stato identificato finora. L’esistenza di Tyche è stata ipotizzata in un articolo pubblicato sulla rivista Icarus nel novembre del 2010 da John Matese e Daniel Whitmire, due astrofici dell’Università della Louisiana in cerca di una spiegazione al cambiamento di rotta delle comete che entrano nel Sistema Solare.


Ora, secondo gli scienziati, la prova empirica dell’esistenza del gigante gassoso è già stata raccolta dal telescopio spaziale WISE della NASA ed è solo in attesa di essere analizzata. Una volta che Tyche verrà localizzato, altri telescopi potrebbero essere puntati per confermarne l’esistenza.
Withmire e Matese hanno basato la loro ipotesi sul fatto che molte comete a lungo periodo (che quindi dovrebbero provenire dalla nube di Oort) mostrano orbite anomale, come ad esempio una ellitticità che mal si accorda con la loro origine. Probabilmente qualcosa deve disturbare la loro traiettoria.


Nell'ipotesi che questo “qualcosa” sia un pianeta situato a quella distanza, la sua massa dovrebbe essere pari a circa quattro volte quella di Giove. I due scienziati non vedono l’ora che WISE dia un risultato definitivo.


WISE ha terminato di osservare “a tappeto” il cielo nell'infrarosso, catturando più di 2.7 milioni di immagini: dalle remote galassie agli asteroidi vicini alla Terra. Tutto ciò che era visibile nell'infrarosso (corpi freddi soprattutto) è stato immortalato.


Completata una scansione della fascia asteroidale e due dell’Universo profondo, in due bande infrarosse, WISE è stato “ibernato” ed è iniziata l’analisi accurata dei suoi dati che in un primo momento si pensava di concludere entro marzo del 2012, ma la mole di dati ha richiesto un anno di lavoro supplementare.


Secondo la NASA, una volta che i dati di WISE saranno completamente analizzati, l’ipotesi di Withmire e Matese sarà confermata o confutata definitivamente.

Ma come si fa a ‘perdere’ un pianeta tanto massiccio?
Tyche sarebbe troppo freddo e lontano per poterlo osservare con un telescopio tradizionale. Whitemire e Matese ipotizzano che l’orbita di Tyche disti circa 15 mila UA dal Sole, un pò meno di un quarto di anno luce. Questo fa sì che l’ipotetico pianeta di trovi ancora all'interno della ‘Nube di Oort’, il cui confine è stimato in oltre 50 mila UA. Il periodo orbitale di Tyche sarebbe di 1,8 milioni di anni, con la possibilità che l’orbita abbia un orientamento diverso rispetto al piano orbitale dei nostri pianeti.


Sarebbe un pianeta decisamente massiccio, almeno quattro volte la massa di Giove, tanto da innescare reazioni di fusione al suo interno che garantirebbero una temperatura planetaria di -73° C, clima tropicale considerando che ci troviamo ai confini del Sistema Solare.
“Tyche sarà certamente composto di idrogeno ed elio e probabilmente avrà un ambiente molto simile a quello di Giove, con macchie colorate, striature atmosferiche e nubi”, spiega il professor Whitemire. “Non mi stupirei se avesse anche le lune. Tutti i pianeti esterni le hanno”.


Se la sua esistenza venisse finalmente confermata, Tyche potrebbe non vedersi riconosciuto lo status di ‘pianeta del Sistema Solare. Il motivo è che gli astronomi ipotizzano che possa essere un pianeta nato in un altro sistema stellare e successivamente catturato dal nostro.

Tiche (Τύχη, in greco significa ‘fortuna’) era la dea della fortuna e della prosperità. Il nome è stato scelto per evitare confusione con una ipotesi molto simile elaborata negli anni ’80, secondo la quale esisterebbe Nemesis, un oggetto astronomico (una stella nana rossa o nana bruna) in orbita intorno al Sole ad una distanza tra le 50 mila e le 100 mila UA, poco oltre la Nube di Oort.

L’esistenza di questa stella è stata originalmente postulata come parte di una possibile spiegazione dei cicli di estinzioni di massa nella storia della Terra. Tyche, infatti, era il nome della sorella ‘buona’ di Nemesis (la dea della distribuzione della giustizia).

Nemesis avrebbe un’orbita molto ellittica, perturbando le comete che stazionano nella Nube di Oort ogni 26 milioni di anni, causandone la caduta verso il centro del Sistema Solare. Alcune di queste comete avrebbero colpito la Terra, con risultati catastrofici per la vita.
Recenti analisi scientifiche hanno mitigato l’idea che le grandi estinzioni di massa sulla Terra avvengano ad intervalli regolari. Così, l’ipotesi di Nemesis non è più necessaria. Tuttavia, come spiegano gli scienziati della NASA, è ancora possibile che il Sole possa avere una lontana compagna invisibile con un periodo orbitale di alcuni milioni di anni.

A CACCIA DI PLANET X: ORA E' QUASI UNA CERTEZZA


Ai confini del Sistema solare, avvolto nell'oscurità e troppo lontano per riflettere la luce del Sole, potrebbe nascondersi il Pianeta Nove.

Un pianeta almeno dieci volte più grande della Terra. È questa la scoperta, basata su calcoli matematici pubblicati sull’Astronomical Journal, che Michael Brown e Konstantin Batigyn, entrambi dell’Istituto Californiano di Tecnologia (Caltech), hanno annunciato all'inizio del 2016.
I due ricercatori avevano iniziato le loro ricerche con un obiettivo chiaro: demolire le ipotesi sulla teorizzata esistenza di un nono pianeta del Sistema Solare, avanzata in studi precedenti sulla base dell’osservazione di singolari concentrazioni di piccoli oggetti celesti.
E, invece, i calcoli li hanno portati a ricredersi, al punto da formulare l’ipotesi della presenza del Pianeta Nove. A suggerirne l’esistenza non è stata l’osservazione diretta, ma sono state le loro orbite, che secondo i calcoli appaiono influenzate dalla forza di gravità di un «massiccio pianeta nascosto», situato ben oltre Plutone.

«Benché all'inizio fossimo alquanto scettici circa la possibilità che questo pianeta potesse esistere, continuando a indagare la sua orbita e a valutare cosa significherebbe per il Sistema solare esterno, ci siamo sempre più convinti che sia proprio là fuori», dice Batygin. «Per la prima volta in oltre 150 anni, ci sono prove solide secondo le quali il censimento planetario del Sistema solare è incompleto».

Se confermata, la scoperta farebbe riscrivere i libri di astronomia e soprattutto costringerebbe a rivedere i modelli del Sistema Solare. Secondo i calcoli di Brown e Batigyn il pianeta avrebbe un diametro da due a quattro volte superiore a quello della Terra: cosa che lo renderebbe il quinto pianeta per dimensioni dopo Giove, Saturno, Urano e Nettuno. Per fare il giro del Sole, questo pianeta potrebbe impiegare tra i 10.000 e i 20.000 anni.

«Questo sarebbe un vero e proprio nono pianeta. Dall'antichità a oggi sono stati scoperti solo due veri nuovi pianeti», sottolinea Brown, «e questo sarebbe il terzo. Si tratta di un tassello piuttosto importante del nostro Sistema solare che ancora ci sfugge, il che è alquanto eccitante».

Tuttavia, Planet 9 potrebbe non essere nato con la formazione del nostro sistema solare, ma essere stato “adottato” dal Sole in un secondo momento. Più che “adottato”, a dire il vero, gli astronomi parlano proprio di “rubato”: il nostro Sole l’avrebbe scippato a un’altra stella madre, sottraendolo alla famiglia planetaria d’origine mentre ce ne stavamo tutti fianco a fianco nello stesso ammasso stellare.
La teoria si basa sul modello informatico messo a punto da Alexander Mustill, Melvyn Davies e Sean Raymond (Lund University, in Svezia, i primi due e CNRS francese il terzo).

«Planet Nine può benissimo essere stato “spintonato” da altri pianeti, così che quando s’è ritrovato in un’orbita troppo lontana dalla propria stella», spiega Mustill su Media Inaf, «il nostro Sole potrebbe aver colto l’occasione per catturarlo, sottraendolo alla stella d’origine. Quando poi il Sole si congedò dall'ammasso stellare in cui s’era formato, s’è portato Planet 9 con sé, ancorato alla nuova orbita».

Se l’ipotesi venisse mai confermata si tratterebbe d’una scoperta straordinaria: significherebbe che possiamo realisticamente iniziare a pianificare una missione in grado di raggiungere con una sonda, in un arco di tempo ragionevole, un pianeta extrasolare. Un’opportunità semplicemente impensabile con le migliaia di altri mondi scoperti negli ultimi anni.

«È quasi paradossale che, mentre gli astronomi continuano a trovare pianeti extrasolari a centinaia d’anni luce di distanza da noi», dice Mustill, «potremmo averne uno nascosto nel nostro cortile». Insomma, se esiste, ora più che mai dobbiamo trovarlo.

CASSINI INIZIA IL SUO ULTIMO ANNO DI ATTIVITÀ' CON LE IMMAGINI DELL'ESAGONO POLARE




La sonda Cassini della NASA ha inviato a Terra nuove immagini che mostrano l'alta atmosfera dell'emisfero Nord di Saturno, tra la celebre corrente a getto esagonale. 


Cassini ha iniziato la sua nuova fase della missione, chiamata "Ring-Grazing Orbits" ed iniziata il 30 Novembre. Ognuna di queste venti orbite porterà il veicolo spaziale al di sopra dell'emisfero Nord di Saturno per poi sfiorare i bordi esterni dei suoi anelli principali.

Le termo camere di Cassini hanno acquisito queste ultime immagini il 2 e 3 Dicembre, circa due giorni prima che avvenisse il primo approccio all'anello. I passaggi futuri permetteranno alla sonda di riprendere immagini ancora più ravvicinate degli anelli esterni e delle piccole lune che orbitano nelle vicinanze.

"Questo è l'inizio della fine della nostra esplorazione storica di Saturno. Abbiamo vissuto un'avventura coraggiosa e audace in orbita al più bel pianeta del Sistema Solare", ha detto Carolyn Porco, dello Space Science Institute a Boulder in Colorado.

Il prossimo passaggio ai bordi esterni degli anelli è previsto per l'11 Dicembre e proseguiranno fino al 22 aprile quando avverrà l'ultimo passaggio ravvicinato di Titano dando vita al gran finale, con il primo dei 22 tuffi tra Saturno e il suo anello più interno.

Il 15 settembre, in occasione della conclusione prevista della missione sarà effettuato un tuffo nell'atmosfera di Saturno in cui Cassini trasmetterà i dati sulla composizione dell'atmosfera.

Lanciato nel 1997, Cassini sta esplorando il sistema di Saturno dal suo arrivo avvenuto nel 2004, periodo in cui sono state effettuate scoperte sensazionali, come l'oceano all'interno della luna Encelado, o i mari di metano liquido su Titano.


La missione Cassini-Huygens è un progetto di cooperazione della NASA, ESA (Agenzia Spaziale Europea) e l'Agenzia Spaziale Italiana. Jet Propulsion Laboratory della NASA, una divisione del Caltech di Pasadena, gestisce la missione per Science Mission Directorate della NASA, Washington.

JPL ha progettato, sviluppato e assemblato l'orbiter Cassini.

Maggiori informazioni su Cassini:




Traduzione e adattamento a cura di Vito Di Paola

sabato 27 agosto 2016

SCOPERTA GALASSIA INTERAMENTE COMPOSTA DA ANTI MATERIA





Sfruttando uno dei più potenti telescopi, un team internazionale di astronomi ha scoperto una galassia composta interamente da anti materia

La galassia, soprannominata Dragonfly 44 è posizionata nella costellazione del Coma, scoperta recentemente, è stata indagata dal team dell'astronomo Pieter van Dokkum utilizzando il WM Keck Observatory ed il telescopio Gemini Nord entrambi alle Hawaii, analizzando la velocità del movimento stellare per sei notti.
La galassia "Libellula 44" è stata giudicata pesante 1 miliardo di volte la massa del Sole ma soltanto lo 0,% è costituto da materia ordinaria, mentre il restante 99,9% da materia oscura che potrebbe costituire oltre il 90% di tutto l'Universo.

La scoperta di per se non è la prima, ma fino ad ora erano state scoperte soltanto galassie nane con una massa ben oltre 10,000 volte inferiore a quella di Dragonfly 44.
"Non abbiamo idea di come si sia formata Libellula 44", ha detto Abraham. "I dati rilevati dal telescopio Gemini dimostrano che una frazione relativamente grande delle stelle è associata in grappoli molto compatti cosa che rappresenta probabilmente un indizio importante. Ma al momento stiamo soltanto speculando".

Adesso si apre un nuovo campo di ricerca volto ad invidiare galassie ancora più grandi di materia oscura e relativamente più vicine.

Articolo a cura di Vito Di Paola

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mercoledì 24 agosto 2016

PROXIMA CENTAURI OSPITA UNA POSSIBILE SECONDA TERRA





E' da oltre vent'anni che l'uomo sta ostinatamente cercando un pianeta gemello della Terra e nonostante sia stato individuato qualche esopianeta che potrebbe avere le stesse caratteristiche, sono tutti a distanze siderali per essere osservabili e tantomeno raggiungibili.
Dopo numerose indiscrezioni trapelate dalla stampa, finalmente è arrivata la tanto attesa notizia che la Terra bis esiste davvero e, come nelle più rosee speranze, è posta a soli 4,25 anni luce, in orbita alla più vicina stella del Sole: Proxima Centauri.

Ad indagare è stato il team di astronomi di Guillem Anglada-Escudé con il telescopio da 3,6 metri dell'osservatorio presso di La Silla in Cile ed altri telescopi che ha utilizzato il metodo della velocità radiale che ha individuato Proxima Centauri b, delle stesse dimensioni della Terra nella zona abitabile, quella fascia di spazio in cui è possibile che possa sussistere acqua liquida.

Al momento il nomignolo dato al pianeta è Piccolo Punto Rosso (Pale Red Dot) in omaggio allo scienziato Carl Sagan che definì la Terra come un piccolo puntino azzurro (Pale Blue Dot).

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A cura di Vito Di Paola

lunedì 22 agosto 2016

QUANDO L'OSSIGENO NON INDICA LA VITA





L'astronoma Laura Schaefer dell'Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics e colleghi, hanno speculato su ciò che sarebbe accaduto all'esopianta GJ 1132b se avesse avuto l'atmosfera ricca di acqua.

Esso orbita così vicino alla sua stella, (1,4 milioni miglia) tanto da essere invaso dalla luce ultravioletta (raggi UV) che rompe le molecole d'acqua in idrogeno e ossigeno, che sono stati dispersi nello spazio. Tuttavia, poiché l'idrogeno è più leggero sfugge più facilmente, mentre l'ossigeno rimane più a lungo.

"Sui pianeti più freddi, l'ossigeno potrebbe essere un segno di vita aliena e di abitabilità, ma su un pianeta caldo come GJ 1132b, è un segno dell'esatto contrario: un pianeta che viene cotto e sterilizzato dalla sua stella", ha detto Schaefer.

Dal momento che il vapore acqueo è un gas serra, il pianeta avrebbe un forte effetto serra, amplificando il calore già intenso della stella. Come risultato, la superficie potrebbe rimanere fusa per milioni di anni.

Un mare di magma potrebbe interagire con l'atmosfera, assorbendo parte dell'ossigeno, ma quanto?

Solo circa un decimo, secondo il modello creato da Schaefer e dai suoi colleghi. La maggior parte del restante 90% di ossigeno residuo fluttuerebbe nello spazio.

"Su questo pianeta potrebbe essere la prima volta che si rileva l'ossigeno su un pianeta roccioso al di fuori del Sistema Solare", ha detto il co-autore Robin Wordsworth (Harvard Paulson, Facoltà di Ingegneria e Scienze Applicate).

I telescopi di nuova generazione come il Giant Magellan Telescope e James Webb Space Telescope potranno essere in grado di rilevare e analizzare l'ossigeno presente.

Il modello di oceano-atmosfera di magma potrebbe aiutare gli scienziati a risolvere il mistero di come Venere si sia evoluto nel corso del tempo. Venere probabilmente in origine possedeva grandi quantità di acqua come sulla Terra, che sarebbero stati scomposti in ossigeno ed idrogeno dalla luce solare. Tuttavia il pianeta mostra pochi segni del persistere dell'ossigeno, cosa che continua a confondere gli scienziati.

Schaefer prevede che il loro modello fornirà anche intuizioni per altri esopianeti simili. Ad esempio, il sistema TRAPPIST-1 contiene tre pianeti che potrebbero trovarsi nella zona abitabile. Dal momento che sono più freschi di GJ 1132b, hanno una migliore possibilità di trattenere un'atmosfera e magari la vita.


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Traduzione e adattamento a cura di Vito Di Paola

domenica 21 agosto 2016

ISON: LA COMETA SCOMPARSA







Il giorno del Ringraziamento del 2013, scienziati, astronomi e osservatori dilettanti puntarono i loro strumenti verso il Sole attendendo il passaggio ravvicinato della cometa Ison per riprendere quello che si presagiva essere un grande spettacolo celeste. Invece ISON si spense misteriosamente.

"Riteniamo che ISON si sciolse prima di avvivinarsi al Sole", ha detto Bryans un ricercatore presso l'Osservatorio d'Alta quota del NCAR.

Gli scienziati solari, come Bryans, sono interessati a comete come ISON, perché possono contribuire a velare i misteri della corona e del campo magnetico solare. I passaggi di tali comete non sono così inusuali, ma in genere non sopravvivono a causa delle loro ridotte dimensioni. Qualcuno però come la cometa Lovejoy, riuscì a sopravvivere durante il suo incontro nel dicembre 2011. In genere esse durante questa fase della loro orbita perdono molta massa lasciando una scia abbagliante di emissioni ultraviolette estreme nella loro scia.

La cometa ISON, avvistata un anno prima che raggiungesse il Sole, fu ritenuta abbastanza grande abbastanza per sopravvivere al viaggio, essendo molto luminosa.
In uno studio pubblicato nel 2014, i ricercatori hanno ipotizzato che la cometa ISON non abbia emesso radiazione ultravioletta estrema come la cometa Lovejoy perché passó più lontano dal Sole.
Ma nel nuovo studio, pubblicato sul The Astrophysical Journal, Bryans e Pesnell hanno posto in dubbio tali conclusioni. Utilizzando i dati raccolti dal Solar Dynamics Observatory, hanno effettuato una valutazione sistematica tra le due comete, come ad esempio la densità dell'atmosfera solare, il campo magnetico del Sole, la dimensione delle comete e come tali differenze possano aver interessato le emissioni di radiazione ultravioletta estrema.

È emerso che ISON non fosse tanto più lontano dal Sole rispetto Lovejoy per spiegare il motivo della sua scomparsa nel nulla. Ma piuttosto il raggio di IOSN era almeno quattro volte più piccolo rispetto a Lovejoy nonostante la sua intensa luminosità.
Per spiegarne la causa, gli scienziati hanno ipotizzato che ISON stesse compiendo il suo primo viaggio intorno al Sole, il che significa che fosse ancora ricca di materia altamente volatile rendendola più luminosa rispetto sue dimensioni ridotte.
Inoltre essi hanno supposto che la cometa si sia rotta in numerosi frammenti prima di entrare a contatto con la corona del Sole dissolvendosi del tutto.

Traduzione e adattamento a cura di Vito Di Paola

Foto in alto:
Un'immagine migliorata della cometa ISON ripresa dal Telescopio Spaziale Hubble maggio 2013.
Credit: NASA

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