giovedì 31 marzo 2011

Esperto militare: "il mondo non sopravviverebbe ad un attacco alieno"

Una nave spaziale gigante da un altro mondo arriva nel corso della giornata e si posiziona sopra la Casa Bianca a Washington, mentre altre astronavi fanno la stessa cosa in altre grandi città del mondo.
Poi, senza preavviso, si scatena l'inferno e le astronavi incominciano ad utilizzare armi devastanti e potenza nel distruggere tutto ciò che li circonda - persone, edifici, resistenza militare.
Questo continua per circa due ore di godimento, mangiando pop-corn, fino a quando ai terrestri sullo schermo, in qualche modo, avviene per miracolo di fermare questi invasori sgraditi dal devastare il nostro amato pianeta.

Da "La Guerra dei Mondi", "Independence Day", "Mars Attacks", "Transformers", "L'Invasione degli Ultracorpi", "Ultimatum alla Terra" e l'attuale film favorito al back-office "Battle: Los Angeles", l'invasione aliena è entrata a far parte definitivamente della nostra vita, e forse delle nostre paure.
Ma, nel mondo reale, se venissero predatori extraterrestri a portarci via, per qualsiasi loro ragione, non si potrebbe evitare che ciò accada? Possiamo realmente sopravvivere ad un attacco?







"La linea di fondo per uno scontro ostile tra alieni e umani non è un bel quadro, e non c'è lieto fine per noi", secondo John Alexander, un colonnello in pensione dell'Esercito americano, che ha trascorso 25 anni alla ricerca, ai massimi livelli, di prove sul "cover-up" sugli UFO da parte del governo statunitense, ma senza esito.
Da un punto di vista militare, Alexander, autore del libro "UFOs: Myths, Conspiracies and Realities (Thomas Dunne Books)", afferma che la cinematografia raffigurante invasioni aliene sulla Terra è praticamente solo un mezzo per far esplodere il problema.
"Fondamentalmente, se gli alieni volevano conquistare il mondo, perchè combatterci? Tutti i films di Hollywood si basano sul paradigma che se hai intenzione di combattere qualcuno, sei costretto ad utilizzare violenza fisica, che comporta dei rischi", ha detto Alexander.
"La premessa è un'altra: l'uomo è cosi speciale che qualcosa lo sta proteggendo oppure ha qualcosa che questi alieni vogliono, che è la ragione per cui vengono sulla Terra".

E, allora, cosa potrebbero avere la Terra o i Terrestri che porta creature non terrestri ad avere interesse?
"E' una reazione tipicamente umana su tutto ciò che ci sta per attaccare. Così in una trama in cui gli alieni vengono e atterrano, prendiamo il fucile e cominciamo a sparare verso di loro, che probabilmente non è la cosa più appropriata da fare", afferma Alexander.
"Sappiamo come noi e gli animali rispondiamo nel caso venissimo minacciati - non cerchiamo di negoziare, attacchiamo e ci difendiamo. Ma ciò dovrebbe essere gestito in modo più cognitivo".
Da un punto di vista strategico, Alexander suggerisce che gli alieni invasori non ricorrerebbero semplicemente "alla lotta direttamente contro le nostre forze militari", quando ci sono tanti semplici modi per compiere questa missione.
"Se hanno scelto di usare la forza fisica, avrebbero semplicemente distrutto le nostre infrastrutture, impianti energetici, comunicazioni, trasporti e sistemi economici. Mentre un brusco, terribile approccio potrebbe essere realizzato senza alcun pericolo per gli alieni, o il diretto confronto con qualsiasi sistema militare".
Questo, secondo Alexander, è un modo sobrio, logico e strategico scenario in cui extraterrestri ostili vogliono conquistare il mondo, con un minimo di distruzione possibile. Ma ci sarebbe un modo ancora più semplice.



"Se lo spopolamento umano dalla Terra è uno degli obiettivi, il modo più semplice per raggiungere lo scopo sarebbe quello di introdurre uno o più organismi biologici che uccidano gli esseri umani".
"Non vi è motivo, per loro, esercitare degli sforzi in termini di tempo per eliminare le forze armate della Terra. La guerra biologica sarebbe il mezzo più efficace, è a basso consumo energetico ed è un mezzo sicuro, per loro, di conquistare la Terra. Per gli alieni sarebbe una opzione senza rischio".
Ma quale potrebbe essere l'altra ragione d'interesse che avremmo per questi esseri spaziali?
Secondo Alexander, gli alieni avrebbero bisogno del nostro DNA.
Vivide testimonianze di incontri UFO nel Vecchio e Nuovo Testamento, dove creature scese dal cielo si sono mescolate con gli esseri umani, sono simili alle storie dei nostri giorni in cui le persone riferiscono di essere stare rapite in un UFO dagli extraterrestri, e che, presumibilmente, avrebbero condotto un qualche tipo di esperimento su di loro.

John Alexander dichiara che ciò viene fatto, dagli alieni, per motivi prettamente genetici.
"Il DNA umano potrebbe essere necessario per ringiovanire le proprie linee genetiche. Tuttavia, se gli alieni hanno capito il sequenziamento del DNA, avrebbero certamente compreso il processo di clonazione. Avrebbero solo bisogno di alcuni campioni di DNA umano, al fine di creare una popolazione una generazione che soddisfi i propri requisiti di rigenerazione. Sarebbe molto più facile far crescere la propria popolazione, che non avrebbe nessuna propensione alla violenze nei loro confronti, anzichè soggiogare gli esseri umani, intrinsecamente impietosi e fastidiosi".
Tutte queste ragioni sembrano confermare la convinzione, da parte di alcuni scienziati, che in realtà non dovremmo cercare di contattare le altre civiltà presenti nella Via Lattea.


L'anno scorso, il rinomato astrofisico britannico Stephen Hawking ha avvertito tutti sui pericoli potenziali nell'interagire con una specie aliena.


"Se mai gli alieni ci visitassero, penso che il risultato sarebbe molto simile a quello in cui Cristoforo Colombo approdò la prima volta in America. In quella occasione non andò molto bene per i Nativi americani", riferisce Hawking.
E ancora, altri scienziati che vanno alla ricerca, attivamente, di segnali extraterrestri provenienti dallo spazio profondo, dovrebbero adottare un approccio diverso.
"Hawking è preoccupato sulla possibilità di venire scoperti, perchè se dovessero venire qui potrebbe essere non tanto buono per noi", ha detto Seth Shostak, astronomo presso l'istituto SETI a Mountain View, California. "Comunque è difficile per me credere che realmente abbiano intenzioni ostili su di noi".

Alexander riconosce la paura di Hawking inerente un contatto ET
"Secondo la sua ipotesi, ci possono essere bande di predoni di ET, che perlustrano l'Universo alla ricerca di materie prime per la loro sopravvivenza. Di conseguenza, gli abitanti di un pianeta in possesso di tali sostanze sarebbero solo dei disagiati, soggetti a rimozione".
Si tratta di una visione meno utopostica di invasione aliena, rispetto a quella presentata da Alexander. E, indipendentemente da ciò che cerchiamo di fare per salvare noi stessi - sia nel cinema che nella vita reale - ogni tipo di intenzione ostile verso di noi da parte di alieni, fa pensare che sta girando davvero male per noi.
Potrei avere il burro sul mio pop-corn, per favore?

Considerazioni Centro Ufologico Ionico: la notizia riportata sopra, apparsa sul quotidiano oline di AOLNews, è l'ennesima dimostrazione della visione primitiva che l'uomo ha sin dagli albori della sua apparizione sulla Terra: paura, odio, guerre. Ma questo concetto viene allargato anche ad ipotetiche civiltà extraterrestri in visita sulla Terra. In un modo o nell'altro devono sottomettere il prossimo o il diverso. Se, ammettiamo, che alcuni UFO che vengono qui siano di proprietà di qualcuno (o qualcosa) che non è di questo pianeta, dobbiamo ammettere che non hanno (apertamente) distrutto il genere umano. Quindi, se fossero stati direttamente ostili ci avrebbero distrutto "dalla sera alla mattina" sin dalla loro prima apparizione. Ma, con ogni probabilità, non sono nemmeno benevoli, altrimenti avrebbero evitato guerre, carestie, genocidi e avrebbero aiutato l'uomo a sconfiggere tutte le malattie del pianeta. Si può pensare che siano dei "controllori" delle masse, una sorta di I.A. (Intelligenza Artificiale) sofisticate, che producono "ologrammi" per plasmare e far vacillare le certezze della popolazione, in determinati periodi storici. L'UFO sarebbe la I.A., connesso (a volte) con degli androidi presenti all'interno dello scafo. Ma, probabilmente, questa è più irreale della, seppur improbabile, ipotesi di John Alexander.


Fonte

martedì 29 marzo 2011

Messenger fotografa Mercurio

La sonda Messenger, la prima in orbita intorno al primo pianeta del nostro sistema solare, ha trasmesso le prime immagini di Mercurio. Una prima assoluta a 35 anni dalla sonda Mariner 10.

È una prima assoluta l’immagine del pianeta Mercurio che la NASA ha reso pubblica proveniente dalla sonda Messenger. La sonda americana è infatti la prima sonda ad essere stata immessa nell’orbita del pianeta più vicino al sole del nostro sistema solare. In un impegno di studio che la vedrà impegnata per vari anni. E nel 2014 a farle compagnia la sonda dell’Agenzia Spaziale Europea, Bepi Colompo, che vede una forte partecipazione italiana.
Nell’immagine il cratere a raggi dominante è chiamato Debussy mentre più buio ad ovest di Debussy il cratere a raggi denominato Matapei. La parte inferiore di questa immagine è posta vicino al polo sud di Mercurio.

Dopo oltre sei anni di viaggio la sonda Messenger ha iniziato a svolgere il proprio lavoro, anche se tutta la prima fase sarà utilizzata per mettere a punto e verificare l’efficienza dei sette strumenti che vi sono a bordo.
Era dai tempi della sonda Mariner 10, ben 35 anni or sono, che Mercurio, anche se di sfuggita, non era “visitato” da una sonda spaziale. Nei prossimi tre giorni oltre 1000 immagini saranno trasmesse dalla sonda a Terra per fornire alla comunità internazionale degli scienziati dati utili ad una maggiore conoscenza di questo pianeta. La NASA ha dato appuntamento a stasera, alle 20 ora italiana, alla stampa internazionale per una conferenza ad illustrare questa prima fase di operatività della sonda Messenger.

Come ebbe a dirci Gabriele Cremonese dell’INAF – OA di Brera, Mercurio “È il pianeta più vicino al Sole, ed è importante conoscere la sua struttura interna per comprendere meglio le fasi iniziali dell’evoluzione del Sistema Solare”.


Nel cielo è esplosa una supernova

SN2008am è una supernova distante quasi 4 miliardi di anni luce. Al massimo della sua luminosità, emette in un secondo una quantità di energia in grado di soddisfare il fabbisogno energetico degli Stati Uniti per miliardi di anni. La descrizione su Astrophysical Journal. 

Un’altra stella si aggiunge al catalogo sempre più nutrito di “supernovae superbrillanti”. Si trova a 3.7 miliardi di anni luce di distanza ed è stata individuata dagli astronomi dell’ Università del Texas incrociando dati e osservazioni di telescopi a terra e nello spazio, tra i quali il telescopio Keck nella Hawaii e il satellite Swift.

La supernova, denominata SN2008am, al momento rappresenta una delle esplosioni stellari più luminose tra tutte quelle finora conosciute. Proprio per questo è stata subito inserita all’interno della recente classe di oggetti delle “supernovae superbrillanti” (SLSNe). Sono stelle che al termine dela loro evoluzione esplodono come le comuni supernovae ma raggiungono luminosità che superano i 100 miliardi di volte quella del Sole. A rendere l’esplosione così brillante è l’interazione tra l’onda d’urto generata dell’esplosione e il materiale gassoso circostante espulso in precedenza, un fenomeno detto “interazione circumstellare”.

Come illustrato nella ricerca pubblicata sull’ Astrophysical Journal, nel caso di SN2008am la presenza del materiale circostante si spiega ipotizzando che fosse una “luminosa blu variabile”, ovvero una stella che periodicamente espelle il gas più esterno. Quando è poi avvenuta l’esplosione, l’effetto di interazione circumstellare ha aumentato la luminosità della supernova sino a valori impressionanti: secondo le stime, al massimo della sua brillantezza l’energia emessa in un secondo sarebbe in grado di soddisfare il bisogno energetico degli Stati Uniti per miliardi di anni.



Batuffoli di roccia

I risultati di un nuovo studio su Nature Geoscience rafforzano la teoria secondo la quale le prime rocce che costituivano il disco protoplanetario, inizialmente, non erano che accumuli di polvere, simili a quelle che si formano sotto i letti.

In orbita intorno al Sole c’è molta roccia: costituisce l’ingrediente principale dei pianeti più piccoli (Terra compresa), dei satelliti, degli asteroidi ed è presente, assieme al ghiaccio, nelle comete. È difficile immaginare che le prime rocce, formatesi agli albori del Sistema solare, potessero avere un aspetto e una consistenza molto diverse da quelle che conosciamo oggi. Eppure quando il Sole stesso era nelle prime fasi della propria evoluzione, non ancora circondato da pianeti ma da un disco protoplanetario, quelle che nel tempo sarebbero diventate dure rocce non erano altro che batuffoli simili agli accumuli di polvere che si formano sotto il letto. A sostegno di questa tesi, oltre a numerosi modelli elaborati al computer ed esperimenti di laboratorio, è arrivato in questi giorni il risultato di un nuovo studio pubblicato su Nature Geoscience (DOI: 10.1038/ngeo1120), che fornisce la prima prova geologica della soffice origine delle prime rocce.

Effettuando analisi estremamente dettagliate su un frammento di asteroide, si è visto che è formato di piccole strutture granulari delle dimensioni di un millimetro, dette condrule. Queste, a loro volta, risultano composte da un insieme di grani di polvere ancora più piccoli che, originariamente, si sarebbero scontrati rimanendo poi attaccati l’un l’altro. “La nostra ricerca” chiarisce Phil Bland, che ha condotto lo studio “mostra che le particelle primordiali si sono compattate e quindi indurite nel corso del tempo, andando a formare le prime piccole rocce”. Questo processo era governato dalla turbolenza che caratterizzava l’insieme di gas e polveri in rotazione attorno al Sole e il cui effetto sui primi agglomerati di particelle può essere paragonato a quello della turbolenza dell’acqua sui sassolini di un fiume.

Il gruppo di Bland ha anche definito un nuovo metodo per quantificare il livello di compressione cui è stata sottoposta una roccia, potendo così risalire alla sua fragile struttura originaria. Questo metodo permette, per la prima volta, di “ricostruire quantitativamente e con grande dettaglio l’accrescimento e la storia, dal punto di vista degli impatti subiti, dei materiali più antichi del Sistema solare” spiega Bland.
Il risultato ottenuto è un passo avanti nel tentativo di ricostruire un capitolo importante della storia del Sistema solare e arrivare a capire quindi come si sono formati i pianeti rocciosi, fra i quali il nostro.


Test del Dna per extraterrestri

Un gruppo di ricercatori del MIT e Harvard University sta sviluppando uno strumento per cercare tracce di materiale genetico sul Pianeta Rosso. Potrebbe dimostrare che il progenitore comune di tutte le specie viventi è nato su un altro pianeta. In tal caso, saremmo tutti un po' marziani (e figli d'emigrati).

Li abbiamo immaginati verdi con le antenne, nei film di fantascienza. Ma si sa che a volte la realtà supera la fantasia. Presto potremo scoprire che in verità i marziani siamo noi. Da quando Darwin, più di 150 anni or sono, formulò la teoria dell’evoluzione delle specie, tutti sanno sin dalla scuola elementare che tutte le forme di vita sulla Terra discendono da un comune progenitore, comparso più o meno 3,5 miliardi di anni fa in circostante ancora da chiarire. Quello che oggi un numero crescente di scienziati sospetta è che questa sia solo la seconda parte della storia. Una storia iniziata molto prima e molto più lontano. Il microrganismo “numero zero” poteva non essere autoctono, bensì immigrato. Nato su un altro pianeta, Marte, e trasportato quaggiù a bordo di un meteorite. Se le cose stanno davvero così, ce lo dirà uno strumento sviluppato da ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT) e Università di Harvard.

E come dimostrare il legame di parentala, se non attraverso il fatidico test del DNA? Anche sul Pianeta Rosso, frammenti di materiale genetico (DNA o RNA) potrebbero essere cruciali per risalire alla verità, come nelle migliori indagini poliziesche. È quello che intendono cercare Christopher Carr e Clarissa Lui del Dipartimento di Scienze della Terra, Atmosferiche e Planetarie del MIT, insieme al biologo molecolare Gary Ruvkun, del Massachusetts General Hospital e Harvard University, attraverso il Search for Extra-Terrestrial Genomes (SETG). Lo strumento è stato presentato nel corso della IEEE Aerospace Conference in Montana.

L’idea che i marziani siamo noi può sembrare balzana, ma gli indizi a sostegno non mancano. Primo, nelle prime fasi del Sistema Solare, il clima sui due pianeti rocciosi attigui, Marte e Terra, erano molto più simili di quanto non siano adesso, quindi la vita che si è sviluppata sull’uno potrebbe aver avuto chance anche sull’altro. Secondo, è un fatto che circa un miliardo di tonnellate di rocce abbiano viaggiato da Marte verso la Terra, raschiate via dall’impatto di asteroidi. E per questioni di dinamiche orbitali, è 100 volte più semplice per le rocce viaggiare da Marte a Terra che viceversa. Terzo, i microrganismi riescono a sopravvivere nello spazio interplanetario e resistere allo shock di violenti impatti. Pertanto, se la vita si fosse sviluppata là, i microrganismi marziani potrebbero aver contaminato la Terra e tutte le specie potrebbero essere discendenti di un extraterrestre.

I ricercatori del MIT si sono messi in testa di scoprirlo. Intendono raccogliere campioni di suolo marziano, isolare qualsiasi traccia microrganismi o resti fossili vi sia, separare il materiale genetico e analizzarlo con le stesse tecniche che si usano nelle indagini forensi sulla Terra. Obiettivo: cercare similitudini con le sequenze del DNA terrestre (il DNA può preservarsi fino a un milione di anni e, sebbene ogni specie abbia il suo specifico codice, alcune porzioni sono praticamente universali). L’impresa è ardua, senza dubbio. Poggia, però, su basi solide. Sonde e rover spediti su Marte hanno mostrato che, un tempo, c’era acqua allo stato liquido, e forse ce n’è ancora nel sottosuolo, condizione imprescindibile per la vita.

Ci vorranno altri due anni per completare il prototipo del dispositivo SETG. Per il momento, non è ancora stato “prenotato” da una delle prossime missioni in partenza per Marte. Se in futuro spiccherà il volo a bordo di una sonda, abbinato a un rover scavatore, sarà il primo caso di CSI nello spazio.


Un meraviglioso arco stellare

Alcune stelle si muovono attraverso lo spazio più velocemente di altre. Il  NASA Wide Field Infrared Survey Explorer (WISE), ha catturato questa immagine della stella Camelopardalis Alpha, o Alpha Cam, che sfreccia attraverso il cielo come un motociclista tra il traffico all'ora di punta.

La stella supergigante Alpha Cam è la stella più luminosa nel mezzo di questa immagine, circondata da una nube a forma di arco costituita da polveri e gas, che è di colore rosso se vista nei raggi infrarossi. Tali stelle in rapido movimento sono chiamate stelle in fuga. La distanza e la velocità di Alpha Cam è alquanto incerta. E' probabilmente situata da qualche parte tra i 1.600 e i 6.900 anni luce di distanza e si evolve ad un ritmo impressionante tra 680 e 4.200 chilometri al secondo (tra 1,5 e 9,4 milioni mph).

Gli esempi noti in precedenza possono essere visti in Zeta Ophiuchi, AE Aurigae e Menkhib. Ma Alpha Cam ha una marcia diversa. Se Alpha Cam fosse una macchina in corsa attraverso gli Stati Uniti ad una velocità 4.200 chilometri al secondo, ci sarebbe voluto meno di un secondo per andare da San Francisco a New York City!

Gli astronomi credono che le stelle in fuga sono messe in moto dopo  l'esplosione di una supernova di una stella compagna o tramite interazioni gravitazionali con altre stelle presenti in un cluster (ammasso di stelle). Alpha Cam è una stella supergigante, che emana un vento molto forte. La velocità del vento aumenta man mano che essa si muove nello spazio. Quando il vento sbatte in rapido movimento nel materiale, muovendosi più lentamente nel mezzo interstellare, da vita ad un arco d'urto  simile ad un'onda che si infrange davanti alla prua di una nave in acqua.

Il vento stellare comprime il gas e le polveri interstellari,  causandone il riscaldamento e l'emissione di luce ad infrarossi. L'arco di Alpha Cam non può essere visto nella luce visibile, ma i rilevatori ad infrarossi di WISE ci hanno mostrato il grazioso arco rosso.

Traduzione a cura di Arthur McPaul (Collaboratore Centro Ufologico Ionico)

Fonte 

lunedì 28 marzo 2011

Mars500: la missione virtuale è a meta strada.

La missione simulata Mars500 verso il Pianeta Rosso, condotta dai ricercatori della University Medical Center di Mainz in Germania, è giunta a metà della sua durata.

Dopo 250 giorni di volo virtuale, i membri dell'equipaggio sono atterrati sul Pianeta Rosso virtuale e hanno lasciato il contenitore di isolamento a Mosca presso l'Istituto per i Problemi Biomedici (IBMP), avvolti nelle loro tute spaziali.

I ricercatori del Medical Center di Johannes Gutenberg University a Mainz sono stati coinvolti nella missione Mars500, nel tentativo di rispondere alla domanda di come le emergenze mediche, potrebbero essere gestite senza assistenza esterna. Il gruppo di ricercatori guidato dal professor Wolf Mann, MD, Direttore del Dipartimento di Otorinolaringoiatria, Chirurgia cervico-facciale - Chirurgia plastica, e il professor Christian Werner, MD, Direttore del Dipartimento di Anestesiologia, hanno tratto molti risultati positivi In occasione di questo sbarco virtuale su Marte. I ricercatori suppongono che le emergenze mediche, in un futuro viaggio verso Marte potrebbero essere frequenti e sarebbe idoneo istruire i membri dell'equipaggio.

L'Agenzia Spaziale Europea (ESA) e l'Istituto Russo per i Problemi Biomedici (IBMP) hanno organizzato la missione Mars500 per chiarire anche se la salute fisica e psicologica dell'uomo possa essere garantita nonostante le condizioni estreme causate da un lungo viaggio su Marte. A tal fine, i membri dell'equipaggio hanno realizzato una serie di esperimenti. Un aspetto importante è la gestione delle emergenze mediche, che devono avvenire senza aiuti esterni. Soluzioni al riguardo sono state sviluppate dagli esperti della University Medical Center di Johannes Gutenberg University a Mainz, Germania ed sono state applicate con successo. Il sostegno finanziario per il progetto è ammontato a € 257.000 ed è stato fornito dal Centro aerospaziale tedesco (DLR).
250 giorni circa  per il viaggio di andata, 30 giorni di soggiorno sulla superficie del pianeta Marte, e 240 giorni per il volo di ritorno. Gli esperti ritengono che una missione a lungo termine per Marte procurerà 520 giorni di stress completo all'equipaggio, sia fisico che psicologico.


"Sei persone dovranno essere preparate a convivere in spazi estremamente angusti per quasi 18 mesi. Il cibo sarà razionato e le malattie e le lesioni dovranno essere trattate dagli stessi membri del team. Sarà previsto un piccolo aiuto da Terra soltanto quando si tratta di fornire aiuti di emergenza per i colleghi malati o feriti, ma comunque ci saranno ritardi nelle comunicazioni fino a 20 minuti", spiega il professor Wolf Mann, MD, capo del progetto Mars500 alla Mainz University Medical Center.
"Questo significa che la squadra dovrà imparare ad essere completamente autosufficiente, soprattutto dovranno essere in grado, se necessario di rianimare un collega in caso di bisogno. Gli astronauti per una missione del genere dovranno avere una formazione medica appositamente adattata alle esigenze per missioni a lungo termine", aggiunge il professor Christian Werner, MD, Direttore del Dipartimento di Anestesiologia.

Gli esperti della Mainz University Medical Center hanno quindi sviluppato un concetto di formazione per i progetti di ricerca IBMP dell'ESA che può essere utilizzato per fornire le conoscenze e le competenze necessarie per padroneggiare le situazioni di emergenza medica.

Prima della prova simulata, il team di Mainz ha fornito loro formazione iniziale on-site in un corso di tre giorni a Mosca. "Questa formazione pratica è stata incentrata sulla perfezione delle procedure di trattamento medico appositamente modificate per un utilizzo in condizioni di gravità zero, ad esempio di scompenso cardiaco", spiega il dottor Julian Graf, assistente medico presso la Clinica di Anestesia, che era a Mosca per l'occasione. "L'equipaggio ha assistito al nostro corso di formazione medica di emergenza, con risultati molto buoni. Tutti i partecipanti erano molto motivati".

Il concetto di formazione utilizzato si basa sui risultati di uno studio pilota che ha coinvolto gli studenti di medicina a Magonza, ed i dati raccolti dal professor Mann e dal professor Werner e dalla loro squadra durante uno studio dell'equipaggio di lavoro presso la stazione Concordia al Polo Sud.
Per garantire che i partecipanti conservino le conoscenze impartite e le competenze a lungo termine, il team di formatori si sta concentrando nell'esercizio delle procedure apprese in teoria. Durante i 250 giorni di volo virtuale in uscita, l'equipaggio ha dovuto far fronte a diversi scenari di emergenza. Lo scopo era di riprodurre questi scenari con la bambola di simulazione. La conoscenza teorica dell'equipaggio è stato testata con l'aiuto di questionari a scelta multipla.
"Nel complesso, la fornitura d'urgenza e il trattamento medico della bambola di simulazione è andata bene sulla maggior parte delle occasioni e i membri dell'equipaggio hanno risolto con successo tutti gli scenari di emergenza". Il professor Mann conclude con una nota positiva: "Un risultato positivo è quindi anche molto probabile per un paziente reale".

Il prossimo passo sarà offrire corsi di aggiornamento per alcuni dei membri dell'equipaggio e quindi scoprire come per gli altri la conoscenza viene persa senza aver avuto un corso di aggiornamento.

Marte è posto a circa 50.000.000 di chilometri dalla Terra e gli esperti ritengono che la razza umana sarà effettivamente in grado di viaggiare fin là, solo tra diversi decenni. Nonostante ciò, l'Agenzia Spaziale Europea (ESA) e l'Istituto Russo per i Problemi Biomedici (IBMP) hanno già iniziato a prepare questa nuova sfida con equipaggio umano con la simulazione di un volo su Marte. Questo studio, noto come "Mars500",  indaga circa la  resistenza dei partecipanti in un periodo di 520 giorni. L'equipaggio di "Mars500" si compone di sei partecipanti, due provenienti dall'Europa, tre provenienti dalla Russia, uno cinese (foto di apertura articolo).
Le norme che questi volontari devono rispettare sono più o meno le stesse di quelle che l'IBMP e l'ESA richiederebbero agli astronauti che partecipano ad una vera missione su Marte. Lo studio condotto in isolamento è in un contenitore appositamente progettato per Mars500 situato presso l'Istituto per i Problemi Biomedici di Mosca. Questo è un sistema tubolare con un'area lavoro di 180 metri quadrati. Ci sono anche impianti di stoccaggio a freddo per il cibo e di una unità di quarantena. Ciascuno degli astronauti test è fornito di una cabina di personale con una superficie di tre metri quadrati e un piccolo letto.
Una missione umana su Marte non rappresenta solo una sfida tecnologica di massa, ma anche per gli astronauti coinvolti. L'equipaggio deve saper coesistere amichevolmente per circa 18 mesi nel piccolo spazio a disposizione e lavorare insieme per risolvere eventuali problemi che si presentano. L'IBMP e l'ESA devono anche analizzare questi fattori interpersonali in modo più approfondito nel corso della missione simulata su Marte. L'equipaggio è previsto che debba effettuare una vasta gamma di esperimenti e si troverà di fronte a "problemi inaspettati".
Essi hanno anche da fare i conti con ritardi di cominicazione fino a 40 minuti con il centro di "controllo della missione". La speranza è adesso che si passi presto dal virtuale al reale.
Lo stimolo potrà derivare dalle recenti scoperte di forme di vita estreme?


domenica 27 marzo 2011

Giuliano Tremonti parla del Nuovo Ordine Mondiale


In questo breve video andato in onda il 27 marzo del 2011 a "Mezz'ora di" su RAI3, il ministro italiano dell'economia Giuliano Tremonti ha fatto un resoconto sulla situazione politica internazionale degli ultimi anni e in particolare della "Primavera Araba" in atto. Ma nelle prime battute, egli nomina il "Nuovo Ordine Mondiale" e la Globalizzazione. Il ministro non è nuovo a citazioni del genere. In passato infatti aveva parlato più volte di Illuminati e di speculazioni economiche da parte di un Ordine Mondiale di banchieri per destabilizzare l'economia mondiale.


La recente rivolta nei paesi arabi si sta diffondendo come un virus da paese in paese e ora sempre attecchire in Siria, che per il Ministo potrebbe creare molti più problemi internazionali rispetto alla Libia. 
La Libia, governata dal dittatore Gheddafi, è insorta contro il regime, ma l'Europa è stata assai restia ad intromettersi ed evitare il bagno di sangue. Lo stesso Gheddafi è uno dei possibili prestanome degli Illuminati e l'intervento militare è avvenuto solo dopo che gli Stati Uniti d'America hanno dato il via libera alle operazioni di "Not Fly Zone", cioè dopo che Obama, per nome e per conto degli Illuminati ha garantino agli altri prestanome che il Nuovo Ordine Mondiale ha ordinato l'intervento. 

Il proverbio dice che, morto un "Papa" se ne fa un altro. E' lecito dunque sospettare che morto un "prestanome" se ne faccia un altro, che possa anche continuare a tenere soggiogata la popolazione araba di Libia e contemporaneamente l'Europa possa avere il suo beneamato petrolio e gas.

Arthur McPaul





sabato 26 marzo 2011

Un ammasso di galassie anomalo

"Abbiamo  misurato la distanza del più lontano cluster di galassie mai  trovato", dice l'autore principale dello studio Raffaello Gobat (CEA, Parigi).   "La cosa sorprendente è che quando si guarda da vicino questo ammasso  di galassie non sembra giovane. Molte delle galassie osservate infatti  non assomigliano a quelle comuni, formatesi ai primordi della nascita dell'Universo." 

Gli Ammassi di galassie sono tra le più grandi strutture dell'Universo tenute assieme dalla forza di gravità.   Gli astronomi in genere ritengono che  questi cluster crescono nel tempo e,  quindi, che i cluster di grande massa sarebbero molto rari nell'Universo primordiale. Anche se molto lontani, i cluster osservati sembrano essere molto più giovani nel processo di formazione rispetto a come dovrebbero essere.
  
Il team internazionale di astronomi ha utilizzato i potenti strumenti VIMOS e   iFORS2 installati sul Very Large Telescope (VLT), per misurare le distanze di alcuni curiosi oggetti rossi molto deboli osservati  in precedenza con il telescopio spaziale Spitzer.
Questo raggruppamento, denominato J1449 CL 0.856 [1], aveva tutte le  caratteristiche per essere un ammasso di galassie molto remoto [2]. I  risultati hanno dimostrato che invece si tratterebbe di un ammasso di  galassie come era l'Universo a circa tre miliardi di anni di vita, cioè  aveva meno di un quarto della sua età attuale [3].
  
Una volta che gli scienziati hanno capito la distanza di questo oggetto molto  raro, hanno osservato attentamente le galassie utilizzando sia l'Hubble Space Telescope che i  telescopi terrestri, tra cui il VLT.

Grazie a ció hanno ottenuto le prove che la maggior parte delle  galassie nel cluster non possiedono stelle in formazione ma stelle che hanno circa un miliardo di anni. Questo rende il cluster un oggetto maturo, simile per massa all'ammasso della Vergine, il più vicino ammasso di galassie ricco alla  Via Lattea.
  
Un'ulteriore prova che si tratta di un cluster maturo è giunta dalle  osservazioni ai raggi X provenienti da J1449 CL 0.856 realizzate dall'osservatorio  spaziale dell'ESA XMM-Newton.  Il cluster, emettendo raggi X, deve provenire da una nube di gas  molto calda e tenue che riempie lo spazio tra le galassie ed è concentrata verso  il centro del cluster.  Questo è un altro segno che siamo di fronte ad di un ammasso di galassie mature, tenuto saldamente unito dalla sua stessa gravità, come per gli ammassi molto giovani  che non hanno avuto il tempo di intrappolare gas caldi.
  
Gobat quindi conclude dicendo: "Questi nuovi risultati sostengono l'idea che i  cluster maturi esistevano quando l'Universo aveva meno di un quarto della  sua età attuale.
Questi raggruppamenti dovrebbero essere molto rari  secondo la teoria attuale e siamo stati molto fortunati a trovarne uno. Ma se con ulteriori osservazioni dovessimo trovarne molti altri, allora questo potrebbe  significare che la nostra comprensione sulla formazione primordiale dell'Universo dovrebbe essere rivista". 

Note: 
[1] Lo strano nome fa riferimento alla posizione dell'oggetto nel cielo. 

[2] Le galassie appaiono in parte di colore rosso nella foto, perché si pensa che sia composto principalmente da stelle rosse molto fredde. Inoltre, l'espansione dell'Universo, ha aumentato ulteriormente la lunghezza d'onda della luce, in modo che sia vista come radiazione infrarossa quando  arriva sulla Terra.
  
[3] Gli astronomi hanno misurato la distanza dal cluster scomponendo la luce nei suoi colori con lo spettrografo. Hanno quindi confrontato questi risultati con lo spettro di un oggetto analogo nel vicino Universo. 
Questo ha permesso loro di misurare il redshift delle galassie, lo spostamento della luce avvenuto quando l'Universo si è espanso.  
Il redshift è risultato essere di 2,07, il che significa che il cluster è nato circa tre miliardi di anni dopo il Big Bang.

FOTO:
Questa  immagine è un composito di esposizioni riprese con il Very  Large Telescope in Cile e con il  telescopio Subaru NAOJ alle Hawaii.  La maggior parte degli oggetti visibili sono galassie molto deboli e distanti.  La macchia di oggetti deboli rossi a destra del centro è il cluster maturo di galassie mai trovato.  (Credit: ESO / Gobat R. et al.)

Traduzione a cura di Arthur McPaul

LINK: 
http://www.sciencedaily.com/releases/2011/03/110309073719.htm

 

giovedì 24 marzo 2011

Encelado, potente centrale elettrica, Ipotesi di vita elementare?

Questo grafico, utilizzando i dati della sonda Cassini della Nasa, mostra come il terreno sud polare della luna di Saturno, Enceladus emette molta più potenza di quanto gli scienziati avevano originariamente previsto. (Credit: NASA / JPL / SwRI / SSI)

Encelado è un satellite di Saturno relativamente piccolo, con un diametro medio di 505 km, cioè un settimo del diametro della Luna. La massa e le dimensioni lo rendono il sesto satellite più grande di Saturno dopo Titano (5150 km), Rea (1530 km), Giapeto (1440 km), Dione (1120 km) e Teti (1050 km), oltre ad essere uno dei più piccoli satelliti di forma sferica.

Encelado, è da tempo oggetto di osservazione da parte del team che gestisce la sonda Cassini. Possiede infatti delle zone di "criovulcanesimo", cioè da alcune crepe crostali vengono emessi dei getti di particelle ghiacciate, presumibilmente composte da acqua e vapore. Celebri sono le immagini dei suoi pennacchi, riprese da Cassini, che mostrano chiaramente i getti fuoriuscire e espandersi nello spazio limitrofo.

Queste zone di criovulcanesimo, sono presenti nelle zone adiacenti al polo sud, dove la potenza termica è risultata essere dai nuovi dati, molto maggiore di quanto precedentemente ritenuto. Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Geophysical Research del  4 marzo. I dati dello spettrometro composito a infrarossi di Cassini della regione polare sud di Encelado, segnata da fessure lineari, indicano che la potenza del calore interno generato è di circa 15,8 gigawatt, circa 2,6 volte la potenza di tutte le sorgenti di acqua calda nella regione di Yellowstone, o paragonabile a 20 centrali elettriche a carbone.

Questo è un ordine di grandezza superiore a quello che gli scienziati avevano previsto, secondo Carly Howett, l'autore principale dello studio, che è anche un ricercatore post-dottorato presso il Southwest Research Institute di Boulder in  membro del team. "Il meccanismo è in grado di produrre la maggiore potenza mai registrata e l'interno rimane un mistero e sfida i modelli attualmente proposti per la produzione di calore a lungo termine", ha detto Howett.

È noto fin dal 2005 che il terreno del polo sud di Encelado è geologicamente attivo e l'attività è incentrata su quattro trincee lineari di 130 chilometri (80 miglia) di lunghezza e circa 2 km (1 miglio) di larghezza, informalmente conosciute come la "Strisce della Tigre". Cassini ha anche scoperto che queste fessure espellono pennacchi di particelle di ghiaccio e vapore acqueo continuamente nello spazio. Queste trincee sono sottoposte a temperature elevate a causa del calore che fuoriesce dall'interno di Encelado.

Uno studio del 2007 predisse che il calore interno di Encelado, se generato principalmente dalle forze di marea derivanti dalla risonanza orbitale tra Encelado e un'altra luna, Dione, poteva essere non superiore a 1,1 gigawatt di media su lungo termine. Il riscaldamento da radioattività naturale all'interno di Encelado poteva aggiungere un altro 0,3 gigawatt.

L'ultima analisi, che ha coinvolto anche i membri del team di John Spenser che gestiscono lo spettrometro composito ad infrarossi  sulla sonda Cassini, alla Southwest Research Institute, e John e Pearl Marcia Segura del NASA's Goddard Space Flight Center di Greenbelt, nel Maryland, ha utilizzato le osservazioni fatte nel 2008, che coprono l'intera superficie sud polare. Encelado deve possedere temperature di superficie sorprendentemente alte nella regione,  a causa di tali fenomeni. Una possibile spiegazione del flusso di calore osservato è che il rapporto orbitale di Encelado sia legato ai cambiamenti orbitali di Saturno e Dione, consentendo periodi di più intenso riscaldamento mareale, separati da altri di quiescenza. Questo significa che Cassini potrebbe aver avuto  la fortuna di riprendere Encelado quando era insolitamente attivo.

La nuova e più dettagliata  determinazione del flusso di calore rende ancora più probabile che esista acqua liquida sotto la superficie di Encelado, secondo quanto ha dichiarato Howett. Recentemente, gli scienziati che studiano le particelle di ghiaccio espulse dal pennacchi hanno scoperto che alcune di esse sono ricche di sale e probabilmente sono gocce congelate di un oceano di acqua salata in contatto con il nucleo roccioso ricco di minerali. La presenza di un oceano sotto la superficie, o forse un mare sud polare tra il guscio di ghiaccio esterno della luna e il suo interno roccioso aumenterebbe l'efficienza del riscaldamento mareale, consentendo una maggiore distorsione di marea del guscio di ghiaccio.


Immagine ripresa dalla sonda Cassini che mostra gli spettacolari vulcani di ghiaccio su Encelado.


"La possibilità della presenza di acqua e l'osservazione di elementi organici (ricchi di carbonio) nei pennacchi di Encelado rende il satellite, un sito di forte interesse astrobiologico" ha detto Howett.

Ipotesi di vita su Encelado.
Dove c'è acqua, in qualsiasi luogo del nostro pianeta, c'è vita. Questa condizione potrebbe essere vera anche nel nostro Sistema Solare e probabilmente in tutto l'Universo noto. Encelado, ospita dei fenomeni assai rari di criovulcanesimo, che presumibilmente espellono frammenti di ghiaccio di acqua. Vicino al suolo, dove la temperatura è molto alta, è molto probabile che ci sia acqua allo stato liquido, che poi rapidamente sublima disperdendosi nello spazio. In quel luogo, pieno di crepe e fessure, chiamate "Strisce della Tigre", non è da escludere che i mattoni della vita possano aver trovato terreno fertile per organizzarsi in composti organici e magari in forme elementari di vita.

"La madre di tutte le scoperte  è stato il criovulcanesimo al Polo Sud di Encelado" ha detto Carolyn Porco, direttore delle operazioni di volo e team leader dell'imaging per la sonda Cassini.
Le  analisi dei pennacchi  che includono vapore acqueo e tracce di materiali organici come metano, anidride carbonica e propano, suggeriscono che i geyser in eruzione sono alimentati da una tasca di acqua salata all'interno della luna.

"I risultati" ha osservato Porco, "mostrano un ambiente in cui la vita stessa potrebbe essere in agitazione. Se dovessimo mai scoprire che una seconda genesi si sia verificata nel nostro Sistema Solare, in modo indipendente dalla Terra. allora credo che a quel punto si romperebbe l'incantesimo e si potrebbe tranquillamente dedurre che la vita non è un errore della Terra ma una caratteristica comune nell'Universo che si è verificata un numero impressionante di volte".

La superficie ghiacciata della luna di Saturno Encelado è uno dei posti peggiori nel nostro Sistema Solare alla ricerca di vita extraterrestre. A differenza di Europa o Marte che potrebbero avere acqua allo stato liquido sotto la loro superficie. Con un diametro di poco più di 500 miglia, Encelado non ha la massa necessaria per rimanere abbastanza caldo e garantire l'acqua liquida sotterranea.

Anche se la sua temperatura superficiale si aggira intorno ai 324 gradi sotto zero, nel 2005 la navicella Cassini ha scoperto le famose eruzioni di acqua dalle crepe al polo sud, indicando che c'era una forse un oceano globale di acqua sotto il ghiaccio .

Le analisi del pennacchio da parte degli strumenti a bordo di Cassini, hanno rivelato che l'acqua è salata e gli scienziati stimano che il riscaldamento sud polare è equivalente ad un rilascio continuo di circa 13 miliardi di watt di energia generata dalla radiazione accoppiata con il riscaldamento mareale.

Durante la formazione del Sistema Solare, se Encelado avesse raccolto una maggiore quantità di rocce, che contenevano elementi radioattivi, avrebbe potuto generare temporaneamente maggior calore dal decadimento degli stessi.



Sezione dell'ipotetico oceano sotterraneo di Encelado correlato ai fenomeni di criovulcanesimo.

Encelado per essere abbastanza caldo da permettere di custodire l'acqua allo stato liquido sotto la sua superficie, potrebbe generare calore grazie alla sua orbita che subisce un forzata marea gravitazionale.
Le maree gravitazionali producono le crepe sulla superficie di ghiaccio al polo sud, aprono e chiudono le fessure che poi rilasciano calore.

Per verificare la teoria delle maree di riscaldamento, gli scienziati assieme al team di Cassini hanno sovrapposto una mappa dello stress gravitazionale di marea sulla crosta ghiacciata della luna ad una mappa delle zone calde, create utilizzando lo strumento spettrometro ad  infrarossi composito (CIRS).

"Tuttavia, esse non corrispondono esattamente», ha detto il Dr. Terry Hurford del NASA's Goddard Space Flight Center. "Per esempio, nella fessura chiamata "solco di Damasco", il taglio è a circa 50 chilometri (circa 31 miglia) dalla zona di maggior calore".

Hurford e il suo team credono che questa differenza sia causata dal tasso di rotazione diEncelado, che si muove leggermente mentre ruota. "Le osservazioni di Cassini hanno escluso una maggiore oscillazione di circa 2 gradi rispetto al tasso di rotazione uniforme di Encelado '", dice Hurford.

Il team ha creato una simulazione al computer che ha fornito le mappe dello stress sulla superficie di Encelado e ha trovato un campo in cui le aree di maggiore stress sono meglio allineate con le zone più calde osservate.

"A seconda che l'oscillazione si muova con o contro il movimento di Saturno in cielo, da un'oscillazione che va dai 2 gradi verso il basso fino a 0,75 gradi, si adatta meglio alle zone più calde osservate", ha detto Hurford.

L'oscillazione genera inoltre, circa cinque volte più calore per Encelado rispetto al solo stress di maree interne, e il calore extra probabilmente garantisce lunga vita all'oceano di Encelado", secondo Hurford. Ciò è significativo nella ricerca di vita, perché la vita richiede un ambiente stabile per lo sviluppo.



Bellissima immagine ripresa da Cassini che mostra Encelado completamente immerso nell'anello E di Saturno, alimentato dai pennacchi di materiale ghiacciato che fuoriescono dalle sue crepe sud polari. Tethys (1.071 km o 665 miglia di diametro) è visibile alla sinistra di Encelado. L'immagine è stata scattata in luce visibile dalla telecamera grandangolare di Cassini il 15 settembre 2006, ad una distanza di circa 2,1 milioni km (1,3 milioni di miglia) da Encelado. La scala dell'immagine è di 128 chilometri per pixel.

"Encelado non è completamente sferico e mentre orbita, la forza di gravità di Saturno genera una forza che lo costringe a vacillare", ha detto Hurford. Inoltre, l'orbita di Encelado è ovale, mantenendo lo stress delle maree, a causa della forza gravitazionale del vicino Dione. Dione è più lontano da Saturno rispetto ad Encelado, quindi necessita di più tempo per completare la sua orbita e per ognuna si esse che completa, Encelado compie due orbite, producendo un allineamento regolare che stira l'orbita facendogli assumere una forma ovale.

L'esistenza di un oceano sotterraneo potrebbe quindi essere plausibile e nelle zone in cui è presente il criovulcanesimo, grazie alla presenza di acqua, calore e di elementi essenziali, potrebbe anche essersi verificata l'insorgenza di una forma elementare di vita? Se fosse scoperta vita elementare sulla estrema Encelado, allora sarebbero molte le possibilità di trovarne anche su Europa (luna di Giove) e Titano (luna di Saturno con un ricco ciclo liquido basato sul metano/etano liquido).

martedì 22 marzo 2011

Prime indiscrezioni sul "mostro" nella Via Lattea

Potrebbero essere stelle che precipitano nel buco nero gigante, situato al centro della nostra galassia, a provocare le due enormi bolle di raggi gamma scoperte per la prima volta dal satellite spaziale FERMI pochi mesi fa. Gli scienziati erano rimasti di stucco di fronte a questa struttura, mai osservata prima, che emette radiazione gamma e si estende per 25.000 anni luce sopra e 25.000 anni luce sotto il disco galattico. Le due superbolle – rimaste ignote fin a quando il sensibilissimo rivelatore LAT di FERMI non è riuscito a dipanare la “nebbia” gamma che ne offuscava la vista – occupano più di metà del cielo visibile, dalla costellazione della Vergine a quella della Gru. La loro natura e la loro origine, però, restavano un mistero.

Le indagini sono ancora in corso, ma intanto cominciano ad emergere le prime ipotesi. Una di queste, proposta su Astrophysical Journal Letters da Kwong Sang Cheng della University of Hong Kong e colleghi, chiama in causa le stelle che brulicano  intorno al buco nero centrale. Si calcola che brillino più di 100 mila stelle in un anno luce di distanza dal buco nero. Secondo i ricercatori la gravità del mostro galattico sarebbe in grado di disintegrare una di queste stelle ogni 30 mila anni. La metà della massa della stella verrebbe risucchiata nel buco nero, mentre l’altra metà schizzerebbe via ad alta velocità eccitando il gas nell’alone della Via Lattea, ed emettendo quindi raggi gamma.

L’ipotesi resta da verificare. Secondo alcuni, infatti, è più probabile che a generare le superbolle siano stati eventi più drammatici, per esempio “l’indigestione” da parte del buco nero di un’enorme nube di gas o di un intero cluster di stelle, avvenuto qualche milione di anno fa. Oggi come oggi non si nota alcuna attività del genere nel cuore della Via Lattea, ma è plausibile pensare che nel passato ci sia stata una massiccia caduta di materiale nel buco nero centrale, con emissioni di getti di particelle ad alta energia. Quello che vediamo, quindi, sarebbero le “ceneri” di una colossale del buco nero al centro della Via Lattea. Un’altra ipotesi è che le bolle siano nate durante la formazione di ammassi stellari nel centro della galassia, milioni di anni fa. Solo ulteriori ricerche potranno chiarire il mistero.

domenica 20 marzo 2011

Pioggia su Titano

Osservati grazie agli strumenti a bordo della sonda Cassini rapidi oscuramenti nelle zone equatoriali della superficie di Titano. Per gli scienziati non ci sono dubbi: sono dovuti a piogge di metano. I risultati di questo studio sono pubblicati in un articolo pubblicato oggi su Science. Tra gli autori, J.I. Lunine, associato INAF.
 
Le previsioni meteo per la primavera danno forti piogge. Vista la stagione, non ci sarebbe niente di straordinario, parlando di quello che avviene di solito sul nostro territorio. Ma stavolta si parla di un mondo distante da noi qualcosa come un miliardo e trecento milioni di chilometri. Le precipitazioni in questione sono segnalate infatti su Titano, la luna più grande di Saturno. E non sono composte da acqua, ma da metano liquido. A rilevarle, come un vero e proprio “Meteosat extraterrestre”, è stata la sonda Cassini, una missione NASA con l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e italiana (ASI) che ormai da quasi sette anni orbita intorno a Saturno e alle sue lune studiandone le proprietà. Missione a cui partecipa anche l’INAF con lo spettrometro VIMS.
 
Era già noto che le nuvole che avvolgono Titano sono formate principalmente da metano e fanno parte di un ciclo del tutto simile a quello del clima terrestre in cui questo idrocarburo sostituisce l’acqua. Sulla luna di Saturno, è infatti il metano che riempie gli enormi laghi sulla superficie, che satura le nubi nell’atmosfera e ricade al suolo sotto forma di pioggia.  Anche se la superficie presenta tracce della passata presenza di liquidi che dovevano scorrere nelle zone equatoriali di Titano, gli idrocarburi allo stato liquido, in particolare metano ed etano, erano stati osservati finora solo nei laghi in prossimità dei poli. Mancava insomma l’evidenza delle precipitazioni a testimoniare questi solchi.

Ed eccola arrivare, per la precisione il 27 settembre 2010. In un clima confrontabile a una capricciosa giornata di aprile sulla Terra, gli strumenti di Cassini riprendono una tempesta – dalla struttura a forma di freccia – nelle regioni equatoriali di Titano. Poi, nel mese successivo, osservano una larga struttura di nubi. Nelle immagini, raccolte e analizzate a Terra dal Cassini Imaging Team, una regione di circa 500.000 Km quadrati situata al confine sud dell’arida zona collinare denominata Belet, ed altre regioni più piccole nelle vicinanze, si registra un progressivo e rapido oscuramento di quelle zone.

Per gli scienziati è la prova evidente che questo cambiamento di luminosità è dovuto alla pioggia che ha bagnato la superficie della luna. Per Jonathan I. Lunine, attualmente associato INAF e docente dell’Università di Roma Tor Vergata, coautore dell’articolo pubblicato oggi su Science che descrive la scoperta “oggi è chiaro che le piogge cadono nelle aride zone equatoriali molto più frequentemente di quanto sia stato predetto da alcuni modelli teorici, con scala temporale del secolo o del millennio”.
 

sabato 19 marzo 2011

MESSENGER in arrivo su Mercurio

Dopo sei anni di viaggio, la sonda Messenger è la prima a entrare nell'orbita di Mercurio. In questi giorni il pianeta raggiunge la miglior posizione per farsi ammirare nel cielo. Prende il via così l'esplorazione di un mondo sconosciuto. Che proseguirà con la missione BepiColombo dell'ESA. Ce ne parlano Flamini (ASI) e Cremonesi (INAF-OA di Padova).

L’occhio di bue finalmente illumina il primo pianeta, a lungo rimasto nell’ombra. Ora tocca a Mercurio. Il 17 marzo la sonda MESSENGER della NASA entra nell’orbita, dopo aver solcato per sei anni tutto il Sistema solare interno. Comincia l’era dell’esplorazione di Mercurio, visitato solo di sfuggita in passato, più di 35 anni fa, dalla sonda Mariner 10. Il momento d’oro del “messaggero degli dei”, nella mitologia romana, comincia sotto i migliori auspici. Proprio in questi giorni, infatti, il piccolo pianeta generalmente troppo vicino al Sole per essere visibile, raggiunge la sua miglior posizione nel cielo e può essere ammirato dopo il tramonto, sopra l’orizzonte, in direzione ovest. Il 22 marzo è il miglior giorno del 2011 per vederlo brillare.

Intanto, i sette strumenti a bordo di MESSENGER si preparano a raccogliere nuovi e inediti dati, non appena la sonda si sarà posizionata lungo l’orbita allungata (compiendo un giro ogni 12 ore e raggiungendo, nel punto più vicino, la distanza minima di 200 chilometri e nel punto più lontano, la distanza massima di 15 mila chilometri). Ma questo è solo l’inizio. Nel 2014, arriverà BepiColombo: missione tra le più ambiziose dell’ESA, in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Giapponese (JAXA), che vede l’Italia fortemente coinvolta. “BepiColombo sarà una missione ben più complessa di MESSENGER, con due satelliti separati: uno dedicato all’ambiente che circonda Mercurio (radiazione solare, campo magnetico, vento di particelle), e l’altro interamente rivolto al pianeta stesso (superficie, topologia, struttura interna)”, anticipa Enrico Flamini, coordinatore scientifico dell’Agenzia Spaziale Italiana e PI dello strumento SIMBIO-SYS, uno dei quattro esperimenti di BepiColombo che coinvolgono la comunità scientifica italiana (insieme all’accelerometro ad alta sensibilità ISA, l’esperimento di radioscienza MORE, e strumento SERENA per lo studio dell’ambiente particellare). “La reciproca collaborazione tra i gruppi scientifici di lavoro su MESSENGER e BepiColombo produrrà una cascata di dati. Con finalmente darà una visione esaustiva del pianeta”.

L’entrata in orbita di MESSENGER segna il fischio d’inizio. “Nessuna sonda ha mai osservato stabilmente Mercurio. Da ora in poi sarà possibile acquisire immagini dell’intera superficie, come non l’abbiamo mai vista, e fare misurazioni precise”, afferma Gabriele Cremonese, astronomo dell’INAF-OA di Brera, che insieme al suo gruppo di ricerca collabora già con la NASA all’elaborazione dei dati di MESSENGER.
Come mai questo rinnovato interesse per Mercurio? “È il pianeta più vicino al Sole, è importante conoscere la sua struttura interna per comprendere meglio le fasi iniziali dell’evoluzione del Sistema Solare”, risponde Cremonese. “Inoltre, conoscere meglio i nostri pianeti ci aiuta a interpretare le scoperte sui pianeti extrasolari. Mercurio, in particolare, è emblematico: un pianeta molto vicino alla sua stella, caldissimo, roccioso, denso, estramente interessante come modello di confronto con esopianeti simili”.

Di stranezze, Mercurio, ne ha parecchie e gli scienziati hanno deciso di vederci chiaro. Pur essendo il mondo più vicino al Sole, con temperature superficiali che arrivano a 500 °C, potrebbe avere il ghiaccio ai poli. Inoltre, ha un gigantesco nucleo di metallo che occupa quasi interamente la struttura interna. Un antipasto delle sorprese scoperte che ci aspettano ci è stato già servito nei mesi scorsi, quando su Science ricercatori NASA, in collaborazione con Cremonese e colleghi, hanno annunciato la scoperta di attività vulcanica recente su Mercurio, osservata nel corso dei fly-by di avvicinamento della sonda. Prossimi aggiornamenti attesi per l’11 maggio, nel corso del team meeting della NASA.

di Daniela Cipolloni (INAF)

martedì 15 marzo 2011

Giappone, imminente catastrofe nucleare. Fuga da Tokyo,

Sembra un film di fantascienza quello che sta accadendo in Giappone. Prima il terremoto di magnitudo 9.0, poi lo tsunami, poi le centrali nucleari danneggiate e adesso c'è l'incubo dell'Olocausto nucleare che potrebbe rendere Tokio, una delle città più popolate e famose del pianeta, un luogo inospitale alla vita.  Tutto ciò ha del fantascientifico, eppure è pura realtà. 

Seguiamo in diretta streaming quello che sta accadendo!

 
Le ultime agenzie di stampa sul disastro:

Una nuova esplosione in uno dei reattori della centrale atomicadi Fukushima ha gettato nel panico il Giappone. Il premier Naoto Kan ha annunciato in tv che l'esplosione ha provocato una fuoriuscita radioattiva ed ha chiesto agli abitanti nel raggiodi 30 chilometri dalla centrale di non uscire da casa. Le autorità hanno però detto che i contenitori del nocciolo sonointegri. Il panico si sta diffondendo in tutto il Paese. A Tokyo le radiazioni sono 10 volte piu' alte del normale. La Borsa haperso il 10.55%. Effetti anche a New York dove il Nasdaq sta perdendo il 2,4%. Alle 14.30 circa ora italiana, una nuova fortescossa di magnitudo 6.2. L'ambasciata italiana chiede di mantenere la calma, ma invita chi può a lasciare il Giappone. Il nuovo bilancio delle vittime parla di 2.475 morti e 3.611 dispersi, ma il numero e' ancora provvisorio. Oltre mille persone che sono rimaste bloccate per tre giorni sull'isola di Oshima, nella prefettura di Miyagi, sono state tratte in salvo ieri dai soccorritori. Nella prefettura di Miyagi, intanto, un uomo ed una donna di 70 anni sono stati estratti vivi dalle macerie, a quattro giorni dal terremoto.


NUOVO INCENDIO A REATTORE 4 FUKUSHIMA - Un nuovo incendio si è sviluppato al reattore n. 4 della centrale nucleare giapponese di Fukushima, a poche ore da un'esplosione che già aveva provocato un primo incendio. Lo ha com,unicato la Tepco, l'ente gestore dell'impianto. La televisione giapponese sta trasmettendo le immagini del nuovo incendio. Un esperto spiega che c'é stata una nuova esplosione e poi si sono viste fiamme uscire dalla struttura. Secondo l'esperto della Tepco, non è possibile entrare all'interno dell'edificio, a causa delle altissime temperature.

OETTINGER,IN GIAPPONE SI PARLA DI APOCALISSE - In Giappone "si parla di apocalisse e credo che la parola sia particolarmente ben scelta". Lo ha detto il commissario europeo per l'energia, Gunther Oettinger, riferendo sugli incidenti nucleari in Giappone davanti alla commissione per l'industria, la ricerca e l'energia del Parlamento europeo a Bruxelles. "Praticamente tutto è fuori controllo - ha aggiunto Oettinger - Non escludo il peggio nelle ore e nei giorni che vengono".

CAPO AIEA,POSSIBILE DANNI NOCCIOLO REATTORE 2 - Il direttore generale dell'Aiea, il giapponese Yukiya Amano, ha detto che il nocciolo 2 della centrale nucleare di Fukushima potrebbe aver subito danni limitati. "C'é la possibilità di danni al noccioli. La stima è che il danno sia inferiore al 5%", ha detto Amano in una conferenza stampa a Vienna.

SCOSSA TERREMOTO DI 6.2 - Una nuova forte scossa di terremoto, valutata in 6.2 gradi, ha scosso oggi il Giappone. Non si sono rischi di tsunami dopo il terremoto di oggi nella regione giapponese del Kanto, secondo l'agenzia Kyodo.
 
PUTIN ORDINA CONTROLLI SETTORE ATOMICO - Il premier russo Vladimir Putin ha incaricato l'agenzia atomica russa di analizzare la situazione "nel settore atomico russo" alla luce dell'incidente nucleare in Giappone e, nel termine di un mese, presentare un resoconto al governo. Lo scrive l'agenzia Ria Novosti. Il premier, aggiunge l'agenzia, ha dato l'incarico nel corso di una riunione svolta a Novo-Ogareva, a sud di Mosca, con il capo della Agenzia Rosatom Serghiei Kirienko.

G8: RISCHIO NUCLEARE 'ESTREMAMENTE ELEVATO' - Il rischio nucleare è "estremamente elevato" in Giappone, che deve far fronte a diversi gravi incidenti in più reattori nucleari. Lo ha dichiarato stamattina in apertura dei lavori del G8 esteri a Parigi il ministro francese Alain Juppé, dopo un colloquio con l'omologo giapponese, Takeaki Matsumoto. "La situazione - ha continuato il capo del Quai d'Orsay parlando ai microfoni di Europe 1 - è estremamente grave. Ieri sera a Parigi abbiamo avuto un incontro con il ministro giapponese (degli Esteri, Takeaki Matsumoto, ndr), che ci ha fornito tutte le informazioni di cui dispone. Il rischio è estremamente elevato".

AUTOBUS ITALIA RECUPERA CONNAZIONALI A SENDAI - L'ambasciata d'Italia a Tokyo ha organizzato la partenza di un autobus - oggi da Niigata - diretto a Sendai (Nord-est) dove si trovano una quindicina di connazionali per trasferire, chi di loro lo desidera, in altre zone più sicure del Paese. Lo si è appreso alla Farnesina. L'appuntamento dato dall'Ambasciata agli italiani presenti a Sendai - si tratta di alcuni nuclei familiari con bambini - è all'Hotel Westin.


TERREMOTO GIAPPONE IN DIRETTA STREAMING - OLOCAUSTO NUCLEARE? - ORE 22





PAURA A TOKYO - "In Giappone si parla ormai di apocalisse. Praticamente tutto è fuori controllo, non escludo il peggio nelle ore e nei giorni che vengono": sono le parole di Gunther Oettinger, commissario europeo per l'energia, a dare il tono alla giornata, mentre continua a crescere l'allarme nucleare attorno alla centrale atomica di Fukushima, e sale la paura che la situazione continui a degenerare, rievocando lo spettro di Chernobyl. Il livello di gravità degli incidenti nuclerari è stato innalzato dall'iniziale 4 a 6, su un massimo di 7.  

Nel reattore numero due si è verificata una nuova esplosione (la terza nel giro di cinque giorni), mentre nel reattore numero quattro è scoppiato un incendio, estinto solo dopo qualche tempo. Intanto la terra continua a tremare: una nuova violentissima scossa, tra le peggiori dello sciame sismico che continua, ha nuovamente scosso l'aerea di Tokyo. E la borsa è crollata 1: la piazza di Tokyo ha chiuso a -10,5 per cento, spaventando anche l'Europa.


Livelli radiazioni superiori alla norma. Le autorità hanno avvertito che il livello delle radiazioni intorno alla centrale è ormai diventato nocivo per la salute, è stata completata l'evacuazione di tutti i residenti nel raggio di 20 chilometri e tutti coloro che vivono tra i 20 e i 30 chilometri sono stati esortati a rimanere al chiuso. Secondo il direttore generale dell'Aiea, il giapponese Yukiya Amano, il nocciolo 2 della centrale di Fukushima potrebbe aver subito danni limitati. "C'è la possibilità di danni al noccioli. La stima è che il danno sia inferiore al 5 per cento", ha detto Amano in una conferenza stampa a Vienna, ma il panico dilaga.

Il premier Kan: Pericolo di ulteriori perdite.
L'ambasciatore italiano a Tokyo, Vincenzo Petrone, ha invitato i connazionali a lasciare il Paese. Il premier nipponico Naoto Kan, ha ammesso che "il pericolo di ulteriori perdite è in aumento", ma ha chiesto alla popolazione di mantenere la calma. Anche a Tokyo è stato evidenziato un livello di radiazioni superiore alla norma: i livelli di radioattività nella prefettura di Chiba, vicino alla capitale, sono oltre 10 volte il livello normale. E di rischi per la salute ha parlato il ministro degli Esteri Matsumoto da G8 di Parigi.

Altissimo rischio per i lavoratori di Fukushima. Di sicuro quelli che in questo momento stanno lavorando all'impianto di Fukushima, per cercare di raffreddare i reattori, sono ad altissimo rischio. Nell'impianto lavoravano circa 800 persone, ma la società proprietaria - la Tepco - ha chiesto solo a una cinquantina di rimanere; e comunque adesso gli operai stanno lavorando a fasi alterne nella sala-controllo dove non riescono a permanere a lungo.

Esperti francesi: Vasca non più sigillata
. Secondo André-Claude Lacoste, responsabile dell'Authority per la Sicurezza nucleare (ASN) francese, la vasca di contenimento del reattore numero due "non è più sigillata". Il rischio più temuto è la parziale o totale fusione del nocciolo, la formazione cioè di una massa radioattiva ad alta temperatura, creata da combustibile nucleare, rivestimenti e matrice d'acciaio che racchiude il nocciolo.

Si aggrava il bilancio: 11mila vittime. L'Oms ha detto che un team di esperti in radioattività è pronto a partire. L'incubo nucleare si aggiunge alla catastrofe creata dal terremoto: ormai anche le autorità parlano di almeno 11mila tra vittime e dispersi.


OETTINGER,IN GIAPPONE SI PARLA DI APOCALISSE - In Giappone "si parla di apocalisse e credo che la parola sia particolarmente ben scelta". Lo ha detto il commissario europeo per l'energia, Gunther Oettinger, riferendo sugli incidenti nucleari in Giappone davanti alla commissione per l'industria, la ricerca e l'energia del Parlamento europeo a Bruxelles. "Praticamente tutto è fuori controllo - ha aggiunto Oettinger - Non escludo il peggio nelle ore e nei giorni che vengono".

CAPO AIEA,POSSIBILE DANNI NOCCIOLO REATTORE 2 - Il direttore generale dell'Aiea, il giapponese Yukiya Amano, ha detto che il nocciolo 2 della centrale nucleare di Fukushima potrebbe aver subito danni limitati. "C'é la possibilità di danni al noccioli. La stima è che il danno sia inferiore al 5%", ha detto Amano in una conferenza stampa a Vienna. 

SCOSSA TERREMOTO DI 6.2 - Una nuova forte scossa di terremoto, valutata in 6.2 gradi, ha scosso oggi il Giappone. Non si sono rischi di tsunami dopo il terremoto di oggi nella regione giapponese del Kanto, secondo l'agenzia Kyodo.
PUTIN ORDINA CONTROLLI SETTORE ATOMICO - Il premier russo Vladimir Putin ha incaricato l'agenzia atomica russa di analizzare la situazione "nel settore atomico russo" alla luce dell'incidente nucleare in Giappone e, nel termine di un mese, presentare un resoconto al governo. Lo scrive l'agenzia Ria Novosti. Il premier, aggiunge l'agenzia, ha dato l'incarico nel corso di una riunione svolta a Novo-Ogareva, a sud di Mosca, con il capo della Agenzia Rosatom Serghiei Kirienko.

G8: RISCHIO NUCLEARE 'ESTREMAMENTE ELEVATO' - Il rischio nucleare è "estremamente elevato" in Giappone, che deve far fronte a diversi gravi incidenti in più reattori nucleari. Lo ha dichiarato stamattina in apertura dei lavori del G8 esteri a Parigi il ministro francese Alain Juppé, dopo un colloquio con l'omologo giapponese, Takeaki Matsumoto. "La situazione - ha continuato il capo del Quai d'Orsay parlando ai microfoni di Europe 1 - è estremamente grave. Ieri sera a Parigi abbiamo avuto un incontro con il ministro giapponese (degli Esteri, Takeaki Matsumoto, ndr), che ci ha fornito tutte le informazioni di cui dispone. Il rischio è estremamente elevato".

AUTOBUS ITALIA RECUPERA CONNAZIONALI A SENDAI - L'ambasciata d'Italia a Tokyo ha organizzato la partenza di un autobus - oggi da Niigata - diretto a Sendai (Nord-est) dove si trovano una quindicina di connazionali per trasferire, chi di loro lo desidera, in altre zone più sicure del Paese. Lo si è appreso alla Farnesina. L'appuntamento dato dall'Ambasciata agli italiani presenti a Sendai - si tratta di alcuni nuclei familiari con bambini - è all'Hotel Westin.






lunedì 14 marzo 2011

20mila orbite sopra il cielo

Agile, il satellite italiano dedicato all'astrofisica delle alte energie dell'Universo, ha compiuto oggi la sua ventimillesima orbita. Pronto per la pensione? Neanche per idea. Prosegue egregiamente in quel lavoro che sta affascinando la comunità scientifica internazionale.

E sono 20mila. Proprio come le leghe percorse sotto i mari dal leggendario Nautilus di capitan Nemo. Ventimila orbite descritte dal  satellite AGILE attorno alla Terra: un traguardo tutto italiano, che forse solo la penna di Jules Verne avrebbe saputo immaginare. Da quando è stato lanciato, il 23 aprile di quattro anni fa nella base indiana di Sriharikota, AGILE (Astrorivelatore Gamma ad Immagini LEggero) non ha smesso di affascinare la comunità scientifica con le sue scoperte nello studio dell’Universo nelle alte energie.

Tanto che la “fine missione” originariamente fissata per il 2010 è stata annullata e al momento il satellite è ancora pienamente operativo, in attesa di spegnere la sua quarta candelina il mese prossimo. Oltre mille e quattrocento giorni di vita, i suoi finora, durante i quali ha effettuato radiografie celesti a 550 km di altitudine, scandagliando con perizia il cosmo e l’atmosfera terrestre.

“AGILE sta contribuendo allo studio dei fenomeni più energetici del nostro Universo con applicazioni importanti anche sulla Terra”, ha commentato il Principal Investigator dello strumento, Marco Tavani, dell’INAF-IASF di Roma.  “Tra le scoperte degli ultimi mesi – ha proseguito Tavani – va ricordata quella relativa alla forte emissione gamma transiente dalla Nebulosa del Granchio (finora ritenuta la sorgente stabile per eccellenza dagli astronomi) che sta fornendo informazioni fondamentali sui processi di accelerazione di particelle più estremi, e la rilevazione di emissione gamma fino a 100 Megaelettronvolt da parte di una classe speciale di lampi terrestri. Una scoperta, quest’ultima – ha concluso Tavani – che porta a revisionare completamente i modelli proposti finora per la produzione di raggi gamma nell’atmosfera”.

L’obiettivo di AGILE – un programma ASI realizzato con il contributo di INAF, INFN e CIFS e grazie al lavoro di un pool di industrie nazionali guidato da Gavazzi Space, Thales-Alenia Space Italia, Rheinmetall Italia, Telespazio, Galileo Avionica e Mipot – è  studiare l’universo “violento” nei raggi X e Gamma. Ovvero nella banda di radiazioni in cui si “vedono” i fenomeni più potenti ed energetici che avvengono nel cosmo, come le esplosioni dei lampi gamma e quelli in prossimità dei buchi neri e stelle di neutroni, nella nostra e in galassie lontane, attraverso un sistema composto da due rivelatori capaci di produrre “immagini” con l’uso della tecnologia dei rivelatori al silicio. Il primo registra i raggi gamma (di energia compresa tra i 30 MeV e i 30 GeV),  il secondo, “Super AGILE”, i raggi X-duri (15-45 keV).

La particolarità di AGILE è proprio la combinazione di due rivelatori a immagini, operanti simultaneamente nelle bande di energia gamma e di raggi X-duri, fusi in un unico strumento dalle grandi capacità scientifiche. Nella sua minuta scatola di silicio restano intrappolati lampi di luce spaventosamente potenti, emessi per lo più da Gamma Ray Burst, flash invisibili agli occhi umani sprigionati da un’energia più forte di quella emanata dal sole in tutta la sua vita.

“I dati prodotti dal satellite AGILE e scaricati nei 20.000 passaggi sulla stazione di Malindi hanno riservato non poche sorprese in questi quattro anni di vita operativa”, ha dichiarato Barbara Negri, responsabile dell’unità Esplorazione e Osservazione dell’Universo dell’ASI. “Grazie all’ottima strumentazione a bordo, alla capacità di monitoraggio del cielo gamma e di allerta rapida, nonché all’attività di analisi dati dell’ASI Science Data Center – ha infine sottolineato la Negri – AGILE si è conquistato un posto di rilievo per l’importante contributo dato all’Astrofisica delle alte energie.”

Uno spuntino per il nostro buco nero

I telescopi VLT e APEX dell'ESO hanno registrato un breve "sussulto" altamente energetico del buco nero supermassiccio al centro della Via Lattea. Succede quando gas e materia circostanti vengono risucchiati dal mostro cosmico.

Al centro della nostra galassia, a 26 mila anni luce dalla Terra, c’è un buco nero supermassiccio (quattro milioni di volte la massa del Sole). Non è molto attivo, né tantomeno pericoloso per noi che siamo distanti. Si limita a dare solo qualche sporadico segnale, con emissioni molto intense (come si confà a un buco nero) quando – s’ipotizza – risucchia gas e materia circostante. Sagittarius A* è stato appena colto in flagrante durante uno dei suoi rari “spuntini” dai telescopi del VLT e APEX, in Cile, che da giorni lo tenevano sotto controllo. 

“Osservazioni come queste, a diverse lunghezze d’onda, sono l’unico modo per capire cosa sta succedendo vicino al buco nero”, ha detto Andreas Eckart dell’Università di Colonia, che ha guidato il team di ricercatori. Anche perché si tratta dell’unico buco nero supermassiccio che possiamo studiare relativamente da vicino.

Le osservazioni combinate del gruppo che lavora al VLT, sul Cerro Paranal, e di quello di APEX, nel deserto di Atacama, entrambi dell’ESO, hanno registrato violente emissioni variabili nell’infrarosso, con quattro flares principali, ciascuno seguito da emissioni nel submillimetrico a distanza di circa un’ora e mezza. Questa “differita”, spiegano i ricercatori, è probabilmnete causata dalla rapida espansione delle nubi di gas che emettono i flares, che si allargano a velocità di cinque milioni di chilometri all’ora. 

Una velocità che sembra altissima (anche se è pari solo al 5% della velocità della luce) ma secondo i ricercatori abbondantemente insufficiente per consentire al gas di originare un jet. Piuttosto, il sospetto dei ricercatori è che una bolla di gas in orbita vicino al buco nero sia stata “stiratacchiata” nella rotazione. Nel contempo, si è osservato un picco d’emissione X molto intensa con il telescopio spaziale Chandra della NASA. Questa è l’evidenza più forte che la materia che cade nel buco nero alimenta attività super energetiche al centro della galassia.