A 600 km sotto la superficie terrestre, là al confine fra il mantello superiore e quello inferiore, sembra esserci una quantità d’acqua pari a tre volte quella contenuta in tutti gli oceani. Sarebbe racchiusa nella ringwoodite, un minerale blu scoperto in un meteorite. Lo studio su Science.
Quando leggiamo di oceani d’acqua sotterranei nel Sistema Solare, dopo la scoperta di quelli d’Europa e di Encelado il pensiero corre subito alle lune di remoti giganti gassosi. E invece, questa volta, la riserva d’acqua potrebbe trovarsi sorprendentemente vicino a noi: proprio qui sulla Terra, a circa 600 km di profondità nel sottosuolo degli Stati Uniti. Praticamente sotto ai nostri piedi. E che riserva: secondo le stime dei ricercatori, l’equivalente di tre volte la quantità d’acqua presente in tutti gli oceani del nostro pianeta, litro più litro meno.
A dire il vero, il litro non è l’unità di misura più adeguata per quantificare la nuova scoperta, pubblicata oggi su Science da un team di scienziati della Northwestern University e della University of New Mexico. E non tanto perché di litri ce ne vorrebbero troppi, quanto per l’anomalo stato di quest’acqua sotterranea: non è vapore, non è ghiaccio e non è nemmeno liquida.
Dunque che aspetto e consistenza dovrebbe avere? Per comprenderlo, conviene partire dal passato recente, e per l’esattezza dal 1879, quando un asteroide precipita sul Queensland occidentale, in Australia. I frammenti che ne risultano, noti come meteoriti di Tenham (dal nome della località colpita), mostrano deformazioni che lasciano intuire l’azione di pressioni straordinarie. Una caratteristica che li rende da subito preziosi per i geologi, ai cui occhi quei frammenti appaiono, più che messaggeri dallo spazio, una testimonianza indiretta di quanto potrebbe celarsi nelle viscere impenetrabili del nostro pianeta.
Ed è proprio analizzando i resti del meteorite di Tenham che circa un secolo più tardi, nel 1969, viene identificato un minerale fino ad allora sconosciuto: la ringwoodite. D’un blu intenso come zaffiri, i cristalli di ringwoodite potrebbero essere presenti in grandi quantità nel mantello terrestre, ipotizzano da subito gli scienziati. Un sospetto destinato a rimanere tale fino all'aprile scorso, quando un articolo su Nature annuncia il rinvenimento, in Brasile, d’un altro piccolo frammento di ringwoodite. Ma questa volta non arriva dallo spazio: si tratta finalmente di un messaggero proveniente dal cuore del nostro pianeta, giunto in superficie grazie a un’eruzione vulcanica. Il primo, e fino a oggi l’unico, frammento di ringwoodite d’origine terrestre.
Già da quelle prime analisi s’ipotizza la presenza di acqua a grandi profondità. Intrappolate nei cristalli di ringwoodite, infatti, gli scienziati osservano tracce di radicale ossidrile, conseguenza della scissione subita dalle molecole d’acqua a causa della pressione enorme e di temperature attorno ai mille gradi presenti nella “zona di transizione”, la regione di confine fra il mantello superiore e il mantello inferiore, a circa 600 km di profondità.
Incrociando questi dati con, da una parte, quelli ottenuti in laboratorio simulando condizioni ambientali analoghe, e dall’altra analizzando le onde sismiche provenienti dall'interno della Terra, il team guidato dal geofisico Steve Jacobsen e dal sismologo Brandon Schmandt è giunto così a confermare che, nella forma descritta prima, l’acqua può essere presente anche là sotto. E a stimarne la quantità: per l’appunto, circa il triplo di quella di tutti gli oceani in superficie.
INAF
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