lunedì 31 maggio 2010

Marte in Tunisia?

Il lago desertico di Chott el Jerid nel sud ovest della Tunisia è oggetto di indagine da parte degli scienziati della Research Europlanet Infrastructure (RI), perché considerato uno dei luoghi sulla Terra più simili a Marte.


"Chott el Jerid" è un lago stagionale che è completamente asciutto per la maggior parte dell'anno. La sua superficie assolata, composta da una dura crosta di cloruro di sodio, nasconde fonti di acqua sotterranee e la zona ha un colore rosso vivo a causa del contenuto di ferro. Questo ambiente sembra assomigliare molto ai depositi stratificati di sali di cloruro, scoperti alle alte latitudini marziane dalle missioni più recenti, come la Mars Odyssey utilizzando i dati del Thermal Emission Imaging System, THEMIS), dal Mars Global Surveyor e dal Mars Reconnaissance Orbiter.

Il progetto di Europlanet, che unisce scienziati provenienti da oltre 100 laboratori e istituti in Europa e in tutto il mondo, offre l'accesso a una serie di luoghi della Terra che somigliano agli ambienti trovati su altri pianeti e alle lune nel nostro Sistema Solare, per testare la strumentazione per le missioni future e per capire come i sistemi geologici osservati su Marte e Titano si formano e si evolvono.

Chott el Jerid è un nuovo sito e prima che possa essere reso accessibile alla comunità scientifica planetaria, è necessaria un'analisi dettagliata sulla sua geologia, mineralogia, climatologia e microbiologia.
La squadra che realizzerà questa indagine comprende esperti di geologia, geobiologia, geochimica, sedimentologia e geologia planetaria. Il team è guidato dal dottor Felipe Gómez del Centro de Astrobiología (INTA-CSIC) di Madrid, in collaborazione con Jamel Touir della Sfax University, uno specialista di sedimentologia del Sabkhas (il nome arabo per i depositi di sale nei deserti).

"Stiamo studiando le analogie tra Chott el Jerid e i depositi di minerali sulla superficie di Marte. Dal punto di vista astrobiologico, è estremamente interessante esaminare i cicli biologici in un sito con così bassi livelli di acqua e conpletamente salato. Prevediamo di utilizzare le tecniche geofisiche per la produzione di dettagliate mappe tridimensionali delle acque sotto la superficie e di studiare la geologia e la distribuzione biologica del sito. Questo ci aiuterà a acquisire una conoscenza dettagliata dei processi che controllano la geologia degli habitat e come questi a loro volta controllano la biologia. E' necessario inoltre confrontare e analizzare i campioni di biologia con quelli già in catalogo dei sotto-habitat ", ha detto il Dott. Gómez.

Il team di Europlanet ha visitato Chott el Jerid nel novembre 2009 per mappare i siti fondamentali di riferimento. Durante il viaggio in corso, il team invece scaverà ad una profondità di tre metri per studiare la struttura e la mineralogia sotto la superficie e per raccogliere campioni per le analisi microbiologiche.
Oltre ad aprire l'accesso al Chott el Jerid, Europlanet sta preparando un ulteriore sito di riferimento in una zona del cratere Popigai in Siberia, il quarto cratere meteorico più grande e meglio esposto che è mai stato individuato sulla Terra.
Europlanet sta anche sostenendo gli scienziati sul campo per future campagne in altri siti analoghi a Marte, come Rio Tinto, nel sud della Spagna, Ibn Battuta in Marocco, alle Svalbard, e nella penisola di Kamchatka in Siberia, che può servire come riferimento per le superfici di Titano, Europa e Marte, e come luogo di studio per le condizioni prebiotiche sulla Terra.

"Questa nuova sede di Chott el Jerid sarà una struttura unica per gli scienziati planetari europei. L'accesso a questi siti con un campo, strumenti scientifici e altri servizi offerti da Europlanet, è in via di sviluppo, e permetterà all'Europa di stabilire le basi per l'avventura interplanetaria della scienza e umana per i decenni a venire ", ha detto il dottor Gómez.


A cura di Arthur McPaul

Fonte: http://www.sciencedaily.com/releases/2010/05/100525090331.htm


Marte è stato caldo e ricco di acqua?



Gli scienziati hanno proposto che le pianure dell'emisfero settentrionale di Marte un tempo fossero coperte d'acqua. [Image Credit: NASA]. Su Marte oggi, l'acqua si solidifica. La temperatura media del pianeta rosso è di -55 gradi Celsius (-67 F) e quando la temperatura sale, la temperatura massima registrata è un mite +20 gradi C (68 F).Il ghiaccio tuttavia sublima e si trasforma direttamente in gas, saltando la fase liquida a causa della bassa pressione atmosferica.

[Topografia dell'oceano marziano]

Marte può aver avuto una atmosfera spessa e acqua liquida sulla sua superficie tra i 3,5 e 4 miliardi di anni fa. I satelliti in orbita hanno ripreso le immagini della linea di riva dell'oceano,  dei letti dei fiumi e dei canyon, scavati probabilmente dsll'acqua corrente. Anche la chimica del suolo marziano suggerisce che l'acqua allo stato liquido potrebbe essere stata presente una volta in superficie. Se è così, allora forse la vita avrebbe potuto emergere in periodo della sua storia. Molti scienziati pensano che Marte era abbastanza freddo in passato da permettere alle acque di superficie di esistere congelate allo stato solido. Tuttavia potrebbe essere rimasta anche allo stato liquido se la sua chimica le permetteva di congelare a temperature inferiori. Sulla Terra, ad esempio, il sale presente nell'acqua del mare impedisce il congelamento alla stessa temperatura dell'acqua dolce.

[La topografia di Venere non può essere osservata nella luce visibile dalle sonde orbitanti, a causa della spessa atmosfera che crea un intenso effetto serra. Marte potrebbe aver posseduto una spessa atmosfera serra che teneva caldo il pianeta? Accreditamento di immagine: NASA]

Un'altra possibilità è che Marte era più caldo in passato. A prima vista questa idea non ha senso, il Sole era meno caldo di ora, ed è logico supporre che il pianeta fosse ancora più freddo in passato e poi si sarebbe gradualmente riscaldato con l'aumento di intensità dell'attività solare. Ma la luce solare non è l'unica fonte di  riscaldamento di un pianeta. Basta guardare Venere, la cui spessa atmosfera contiene un forte effetto serra con una temperatura media di superficie di 464 gradi Celsius (867 F).

Anche Marte potrebbe aver avuto un effetto serra che abbia scaldato abbastanza l'atmosfera per mantenere l'acqua corrente sulla sua superficie?

Jim Kasting della Penn State e Brian Toon della University of Colorado hanno discusso la possibilità di un ambiente caldo e umido su Marte alla recente "NASA Astrobiology Science Conference" a League City in Texas.

Kasting ha spiegato che i modelli climatici non hanno trovato una soluzione per il riscaldamento iniziale di  Marte, perché l'effetto serra è "auto-limitante." L'aggiunta di diversi tipi di gas ai modelli atmosferici possono contribuire ad aumentare la temperatura, ma questi stessi gas creano nuvole che riflettono la luce solare verso lo spazio, causando il raffreddamento del pianeta. I due effetti vanno in concorrenza tra loro fino a un certo punto, ma poi alla fine si finisce con l'avere un pianeta più freddo perché il gas sviluppa una intensa copertura nuvolosa. I modelli climatici hanno esaminato i gas serra come il metano, l'anidride carbonica, il biossido di zolfo e il vapore acqueo, ma finora non hanno trovato una buona ragione per teorizzare un passato caldo per l'antico Marte.

"Abbiamo passato 30 anni a studiare l'effetto serra e nessuno ha risolto il problema in modo credibile finora", ha osservato Toon.

Perché dunque il clima serra funziona così bene nel riscaldare Venere, ma non su Marte? Le dense nubi di Venere riflettono molto la luce del sole nel vuoto, ed è per questo non siamo in grado di vedere la superficie di Venere nello spettro della luce visibile. Una risposta è che Venere essendo molto più vicino al Sole, riceve un maggior irradiamento  solare rispetto a Marte. Secondo Toon, un altro motivo è che Marte è più piccolo.  La gravità inferiore di un mondo meno massiccio riduce il tasso con cui l'aria si raffredda con l'altitudine. Sulla Terra questo tasso è di circa 10 gradi Kelvin per chilometro, ma su Marte il tasso è circa la metà. "Questo rende più difficile ottenere un effetto serra, ed è più difficile da scaldare, perché è così piccolo".

[Rappresentazione artistica che mostra la scomparsa del campo magnetico di Marte, che può aver provocato la perdita di gran parte della sua atmosfera. (Credit: NASA)]

Toon ritiene che i canyon e i letti dei fiumi che vediamo su Marte si sono formati a causa degli impatti di asteroidi e comete periodiche. In questo scenario, l'impatto avrebbe riempito l'atmosfera di roccia e  vaporizzato il ghiaccio causando diversi anni di piogge e inondazioni con la conseguente erosione che oggi vediamo su Marte.

"Sappiamo che gli impatto sono avvenuti perchè  possiamo vedere i crateri che hanno causato", ha affermato Toon. "E' praticamente impossibile evitare che vi sia una grande quantità di acqua proveniente da comete e asteroidi".

Kasting, tuttavia, non è d'accordo che gli impatti abbiano creato le caratteristiche topografiche osservate su Marte. A tal proposito Indica la Nanedi Valles, che è "essenzialmente un Grand Canyon, su una scala leggermente più piccola". Kasting stima che ci sarebbero voluti circa 5 milioni di metri di acqua per formare il Grand Canyon sulla Terra più di 17 milioni di anni. La stessa quantità di pioggia sarebbe stata necessario per formare una caratteristica simile come la Nanedi Valles su Marte, 1-10 volte in più dell'acqua che un impatto potrebbe generare.

[La Nanedi Valles è una valle di 800 km su Marte. Le origini della valle rimangono poco chiare, gli scienziati hanno discusso se fosse stata erosa dal deflusso delle acque sotterranee, dal flusso di liquido sotto una copertura di ghiaccio o dal collasso della superficie in associazione con il flusso del liquido. Credit: ESA / DLR / FU Berlin (G. Neukum)]

Kasting inoltre ha osservato che le funzioni della Warrego Valles sembrano essere simili ai laghi Oxbow sulla Terra, che sono stati  fatti lentamente nel tempo da serpeggianti fiumi.  Se le formazioni su Marte sono state fatte da un processo simile, l'acqua doveva scorrere costantemente, piuttosto che in modo rapido e catastrofico come sarebbe stato il caso di allagamento connesso ad un impatto.

Toon ha contrastato questa ipotesi citando le caratteristiche della Salton Sea in California che è stata scavata da un fiume in circa nove mesi, per una profondità simile a molti dei canali su Marte. "Si può certamente incidere il terreno in nove mesi", ha detto.


Gli scienziati non sono d'accordo su questo punto in mancano i dati su Marte per ottenere tali informazioni, e avremmo bisogno di analizzare dei campioni di roccia in laboratorio. "Tutti nostri dati provengono dai conteggi nel cratere, e non è una scienza esatta, specialmente quando si sta cercando di risolvere i problemi relativi al tempo impiegato per formare le valli", ha detto Kasting. "L'unica cosa che sappiamo è quanto tempo ci vuole per formare i crateri da impatto, perché sono creati istantaneamente".

La qualità del suolo potrebbe fornire alcuni indizi necessari per capire quando si siano formate le caratteristiche geologiche su Marte. Se il suolo è meno rigido, come la sabbia limosa, piuttosto che rocciosa, sarebbe stata erosa  molto più rapidamente. Kasting ha detto la superficie di Marte è principalmente di basalto, una crosta dura che sarebbe relativamente resistente all'erosione. "La superficie di Marte può essere un pò più di erodibile delle rocce sulla Terra, ma non di un fattore dieci alla quarta," ha detto.

[La Warrego Valles è una ramificazione di valli situate nell'emisfero sud marziano. Le valli sono vecchie  e molti sono state modificate da processi che hanno oscurano le originali caratteristiche geologiche relative alla loro origine. Image Credit: NASA / JPL / Malin Space Science Systems.]

Toon è d'accordo. "Se si verificano tutti questi impatti di grandi dimensioni, si può creare circa un chilometro di regolite", ha detto. "Questo è vagamente il materiale consolidato che ricopre il pianeta fino a circa un chilometro in profondità, e per questo è molto probabile che i fiumi si siano formati a causa di impatti".
La composizione chimica del suolo è un altro mezzo per cercare di capire Marte. Sulla Terra, l'anidride carbonica nell'atmosfera, reagisce con l'acqua e le rocce del silicato e viene convertita in carbonato di calcio (calcare). L'atmosfera marziana oggi è composta principalmente da anidride carbonica e gli scienziati si sono chiesti a lungo perché non abbiamo mai trovato prove di carbonati nel terreno. La missione Phoenix della NASA ha finalmente trovato i carbonati su Marte, ma in quantità molto basse.

Sulla Terra i carbonati tendono a formarsi nelle basse acque calde comq quelle del mare nei pressi delle Bahamas, piuttosto che in zone più fredde come il Mare del Nord. La bassa abbondanza di carbonati su Marte può indicare che il pianeta è sempre stato freddo. Tuttavia, i carbonati trovati da Phoenix, non si pensa che si siano formati in acqua stagnante ma piuttosto attraverso l'interazione chimica dell'anidride carbonica e del vapore acqueo come le minuscole particelle di basalto soffiate dal vento. La scarsità di carbonati può dirci qualcosa sulla composizione dell'atmosfera primordiale. Se, per esempio, il biossido di zolfo non fosse mai stato parte dell'atmosfera marziana, il carbonato avrebbe avuto difficoltà a formarsi.  "La pioggia dei solfati impedirebbe la formazione dei carbonati in superficie, ma se si ha il biossido di carbonio a 3 bar atmosferici,  l'acqua piovana sarebbe a pH 3.7 e si dissolverebbe ogni carbonato".

Alla fine, Kasting e Toon erano in perfetto accordo su un punto: l'ambiente delle antiche di Marte rimane un mistero. Ogni nuovo bit di informazione è un altro pezzo del puzzle e alla fine li metteremo insieme per costruire un quadro chiaro dei primi tempi di vita del Pianeta Rosso.

domenica 30 maggio 2010

Nubi di gas di idrogeno nella Via Lattea

La sorprendente scoperta che le nubi di idrogeno si trovano in abbondanza nella Via Lattea ha dato un indizio chiave agli astronomi circa la loro l'origine e sull'importante ruolo che svolgono nell'evoluzione della galassia.

"Abbiamo concluso che queste nubi sono costituite da gas che è stato spazzato via dal piano della Galassia da esplosioni di supernove e dagli intensi venti delle giovani stelle nelle aree di intensa formazione stellare", ha dichiarato H. Ford Alyson della University of Michigan, la cui tesi di ricerca sul Ph.D della Swinburne University ha costituito la base per questo risultato. Il team, composto da Ford e dai collaboratori Felix J. Lockman, del National Radio Astronomy Observatory (NRAO) e Naomi McLure-Griffiths del CSIRO Astronomy and Space Science, hanno presentato i loro risultati al meeting dell'American Astronomical Society a Miami, in Florida.

Gli astronomi hanno studiato le nubi di gas in due distinte regioni della Galassia. Le nubi sono poste tra 400 e 15.000 anni-luce al di fuori del piano galattico. Il disco contiene la maggior parte delle stelle della Galassia, ed è circondato da un "alone" di gas più lontano nelle nebulose che gli astronomi hanno studiato.
"Queste nubi sono state riprese dal National Science Foundation Robert C. Byrd Green Bank Telescope, e appaiono abbastanza sconcertanti. Sono in una zona di transizione tra il disco e l'alone ma la loro origine è incerta",ha spiegato Lockman. Il team di ricerca ha usato i dati dal all-sky Galactic Survey, realizzato con il radiotelescopio di Parkes CSIRO in Australia.

Quando gli astronomi hanno confrontato le osservazioni delle due regioni, hanno visto che una regione conteneva tre volte il volume di nubi di idrogeno rispetto a molte altre simili.  Inoltre, le nubi di quella regione sono, in media, due volte più lontane al di sopra del piano della Galassia.
La differenza, secondo loro, avviene perchè la regione con più nubi si trova vicino alla punta della Galassia Centrale "bar", dove il bar si fonde con un braccio di spirale più importante. Questa è una zona di intensa formazione stellare, contenente molte stelle giovani il cui forte vento può spingere gas dalla regione. Le stelle più massicce esplodono come supernovae, con forti brillamenti di materiale verso l'esterno.

"Le proprietà di queste nubi mostrano chiaramente che la loro origine fa parte del disco della Via Lattea, e sono una componente importante della nostra Galassia. La loro comprensione è importante per capire quanto materiale si muove tra il disco della Galassia e la sua aureola, un processo critico per l'evoluzione delle galassie ", ha detto Lockman.

Le nubi di gas di idrogeno neutre hanno una massa media pari a quella di circa 700 Soli. Le loro dimensioni variano notevolmente, ma la maggior parte sono di circa 200 anni luce. Gli astronomi hanno studiato circa 650 nubi del genere nelle due regioni separate della Galassia.
Il Parkes Radio Telescope è parte del Telescopio Australia, che è finanziato dal Commonwealth d'Australia per il funzionamento di un Fondo nazionale gestito dal CSIRO. La National Radio Astronomy Observatory è un servizio della National Science Foundation, gestita in base ad accordi di cooperazione con università consorziate, Inc.

A cura di Arthur McPaul

Fonte: http://www.sciencedaily.com/releases/2010/05/100526111230.htm

Voyager 2 - ripristinata memoria, ma la causa resta ignota

Gli ingegneri della NASA hanno pienamente resuscitato la lontana sonda Voyager 2 che sta viaggiando ai margini del Sistema Solare, dopo l'errato invio dei dati che aveva fatto temere per il proseguio della sua missione.


Un errore nelle sua memoria ha mandato in tilt la codifica di trasmissione dei dati, obbligando gli ingegnieri ad effettuare un reset generale del sistema.
Il malfunzionamento era iniziato il 22 aprile, mentre Voyager 2 era in volo a 8,6 miliardi miglia (13,8 miliardi chilometri) dalla Terra, nella eliosfera, la bolla magnetica che circonda il nostro Sistema Solare. Gli scienziati della missione non riuscivano più a decifrare i dati che la sonda regolarmente invia a terra sullo stato della sua salute. La causa effettiva del problema al computer di bordo è ancora sconosciuto.

Errati bit di memoria e altri problemi di elettronica hanno colpito i veicoli spaziali e gli stessi Voyager 2 e il suo gemello Voyager 1, in passato. Ma si erano verificati quando i veicoli spaziali erano molto più vicini alla Terra, a circa 1 o 2 unità astronomiche (UA).
A quelle distanze era infatti possibile essere colpiti dalla carica elettrica del vento solare, che poteva quindi eccezionalmente causare degli errori nel traferimento dei dati.
Ma nel caso appena verificatosi, è difficile che ciò accada ed è arduo dire cosa abbia causato il malfunzionamento.

Le due sonde Voyager sono attualmente i più lontani oggetti costruiti dall'uomo nello spazio. Voyager 1 è a circa 10,5 miliardi di miglia (16,9 miliardi chilometri) di distanza dalla Terra e in perfetta salute. I loro segnali impiegano quasi 13 ore per giungere il NASA Deep Space Network che li riceve a terra e altrettante per ritornare indietro.

Dopo aver rilevato il problema su Voyager 2, gli ingegneri hanno ordinato a il 6 maggio a Voyager 2 di inviare solo i dati tecnici a Terra fino a che non sarebbe stato risolto il baco. Il 12 maggio, gli ingegneri si sono resi conto che una posizione di memoria era stato cambiato da 0 a 1.
Il 19 maggio, sono stati resettati i cluster di memoria e la sonda ha ripreso l'invio di dati scientifici a Terra il 22 maggio. La NASA ha quindi annunciato che la profonda operazione infirmatica ai confini del Sistema Solare ha avuto successo.

La NASA aveva lanciato Voyager 2 nel 1977, per lo studio di Saturno, anche se poi la sonda ha raggiunto anche Giove, Urano e Nettuno, grazie ad un allineamento planetario che si verifica solo una volta ogni 176 anni.
Ora, sia Voyager 2 che Voyager 1 sono all'estremo confine del Sistema Solare. Gli scienziati sperano che i dati che stanno inviando ci aiuteranno a rispondere alle domande che circondano la bolla magnetica attorno al sistema solare.

Nessuna fonte è attualmente nota del campo magnetico o elettrico esistente nella membrana che separa l'eliosfera dallo spazio interstellare, ha affermato Massey. Voyager 2 ha occupato questa regione dal 2007, ha affermato Massey, e non ha registrato alcun problema.

Quando nei giorni passati era stato diramato il comunicato stampa dell'invio dei dati errati e/o indecifrabili, molti blog complottisti avevano sostenuto l'astrusa tesi che, gli alieni avessero intercettato la sonda e l'assero modificata per comunicare con noi. Come spesso accade, la fantasia supera ogni limite, molto più dell'immensa distanza dove sono giunte le due sonde Voyager.

Nessun mistero, niente alieni, solo un errore. Tuttavia, come hanno sostenuto gli stessi ingegnieri della NASA, la causa dell'errore resta sconosciuta. Un errore del genere è in genere causato da una interferenza magnetica da parte del vento solare, ma a 100 U.A. dal Sole ciò non dovrebbe accadere. Allora la nostra domanda è: quale interferenza può aver causato questo baco di memoria? Un algoritmo che ha un errato ciclo di calcolo su scala trentennale magari, oppure qualche altra fonte magnetica, come quella di una nana bruna per esempio, cui Voyager si sta velocemente avvicinando?


A cura di Arthur McPaul

Fonte: http://www.space.com/missionlaunches/voyager-2-recovers-computer-glitch-100527.html





venerdì 28 maggio 2010

Identificate le regioni di formazione stellare nella Via Lattea


Gli astronomi che studiano la Via Lattea hanno scoperto un gran numero di regioni che erano in precedenza sconosciute in cui si formano le stelle massiccie. La loro scoperta fornirà nuovi importanti indizi sulla struttura e sulla composizione chimica della Galassia.


"Siamo chiaramente in grado di mettere in relazione i luoghi di questi siti dove si formano le stelle con la struttura della Galassia. Ulteriori studi ci permetteranno di comprendere meglio il processo di formazione stellare e confrontare la composizione chimica di siti a distanze molto differenti dal centro galattico", ha detto Thomas Bania, della Boston University. Bania ha lavorato con Loren Anderson del Laboratorio Astrofisico di Marsiglia in Francia, Dana Balser del National Radio Astronomy Observatory (NRAO) e Robert Rood della University of Virginia. Gli scienziati hanno presentato i loro risultati al meeting dell'American Astronomical Society a Miami, in Florida.

Le regioni di formazione stellare, chiamate regioni H II, sono luoghi dove vengono ionizzati gli atomi di idrogeno, dall'intensa radiazione delle stelle giovani. Per trovare queste regioni non osservabili nella luce visibile, i ricercatori hanno utilizzato i telescopi a raggi infrarossi e onde radio come lo Spitzer Space Telescope e il Very Large Array. Gli oggetti luminosi che appaiono in entrambe le immagini dello Spitzer e del VLA sono buoni candidati per le regioni H II.
Gli astronomi hanno poi utilizzato il Green Bank Telescope (GBT), nel West Virginia, un telescopio radio estremamente sensibile. Con esso sono stati in grado di rilevare frequenze radio specifiche emesse dagli elettroni quando si ricombinano con i protoni per formare l'idrogeno. Questa prova di ricombinazione ha confermato che le regioni contengono idrogeno ionizzato e quindi sono regioni H II.

Un'ulteriore analisi ha permesso agli astronomi di determinare le posizioni delle regioni H II. Hanno trovato concentrazioni alla fine della barra centrale della Galassia e nei suoi bracci di spirale. La loro analisi ha inoltre evidenziato che il 25% delle regioni sono più lontane dal centro della Galassia al nostro Sole.
"Trovare le oltre orbite solari è importante, perché il loro studio fornisce importanti informazioni sulla evoluzione chimica della Galassia. Ci sono prove che l'abbondanza di elementi pesanti cambi all'aumentare della distanza dal centro galattico. Ora abbiamo molti oggetti in più per studiare e migliorare la nostra comprensione di questo effetto", ha detto Bania.
Il National Radio Astronomy Observatory è un servizio della National Science Foundation.


A cura di Arthur McPaul

Fonte: http://www.sciencedaily.com/releases/2010/05/100526111232.htm



Un buco nero può avere l'aurora?


Man mano che i nostri telescopi diventano sempre più potenti, siamo anche capaci di vedere più oggetti cosmici molto esotici. Eventualmente potremmo essere in grado di ottenere immagini del buco nero supermassiccio al centro della nostra galassia, ma cosa vedremmo esattamente ? Secondo due ricercatori giapponesi, saremmo in grado di osservare “l’aurora” del buco nero. Ma non sarà un aurora cosi come la conosciamo noi.

Quando i venti solari colpiscono l’atmosfera terrestre, il plasma solare (fatto principalmente da protoni ad alta energia) colpisce le molecole di aria. Questo fenomeno rilascia una quantità di luce. Quando ce ne sono abbastanza di queste collisioni nell’alta atmosfera, allora nel cielo si osserva il fenomeno dell’aurora.  Tuttavia un buco nero non ha un atmosfera come la nostra, quindi come fa un aurora ad essere generata?

Masaaki Takahashi, della Aicihi University of Education in Kariya, insieme a Rohta Takahashi dell’Istituto di Ricerca Fisica e Chimica, a Wako, hanno iniziato a creare modelli di un buco nero che ruotano velocemente.
Dato che i buchi neri hanno un'attrazione gravitazionale massiccia, attirano qualsiasi polvere vicina, gas o persino stelle. Se il buco nero ha un movimento di rotazione, dovrebbe formare un disco di plasma caldo radiante intorno al suo equatore. Questo viene chiamato “disco di accrescimento”.
Essendo il disco composto di particelle cariche, è possibile che venga generato un campo magnetico, molto simile a quello del dinamo interno della Terra che genera la nostra magnetosfera.

[Concept artistico di un disco di accrescimento intorno ad un buco nero]

Nel loro articolo pubblicato il mese scorso nella rivista The Astrophysical Journal Letters, Takahashi e Takahashi mostrano il loro modello che predice l’esistenza di una magnetosfera intorno ad un buco nero, dove le linee del campo magnetico partono dal disco di accrescimento e vengono trascinate nei poli del orizzonte degli eventi del buco nero.
Adesso abbiamo quindi un buco nero con la sua propria magnetosfera e come nel caso di quella della Terra, il plasma dallo spazio verrà incanalato lungo le linee del campo magnetico, come l’acqua nel caso di una manichetta antincendio.

Ovviamente non si tratta di una manichetta antincendio comune.
Il flusso di plasma sarà cosi veloce quando verrà incanalata nell'orizzonte degli eventi che romperà la “barriera del suono” del plasma, andando oltre quella che viene conosciuta come la “velocità di Alfven”.
Ed è in questo momento che il buco nero ha un aurora. In un modo simile ad un aereo che infrange la barriera del suono nella nostra atmosfera(producendo un boom sonico), il plasma supersonico creerà uno shock. I ricercatori giapponesi hanno scoperto che questo shock formerà un alone che coronerà i poli del buco nero, poco sopra l’orizzonte degli eventi. Man mano che il plasma colpisce questo shock, rilascia energia, riscaldandosi rapidamente e generando luce. 

Ma questo evento è puramente teorico, non potremmo mai osservare davvero queste aurore…o no?
Usando diversi osservatori in rete intorno al pianeta, con una tecnica conosciuta come “Very Long Baseline Interferometry” (VLBI), potrebbe essere possibile riuscire a ottenere immagini dirette del buco nero supermassiccio al centro della Via Lattea.
Se questo fosse possibile, allora “l’ombra” dell’orizzonte degli eventi di un buco nero (un cerchio scuro) potrebbe essere visibile.
Durante uno studio del 2009, portato avanti da Vincent Fish e Sheperd Doeleman all'Osservatorio Haystack del MIT, una campagna VLBI è stata simulata ed i risultati sono stati incredibili (qui sotto c’è l’ombra del buco nero come risultata nei modelli).

[A sinistra modello dell'ombra del buco nero, mentre le due accanto sono simulazioni di come sarebbe se osservasimo il nero supermassiccio al centro della nostra galassia, usando 7 telescopi e 13 vettori di telescopi (credit: Fish & Doeleman)]


Se fossimo in grado di mettere in rete abbastanza radio telescopi intorno al globo in una grande campagna VLBI, le emissioni dall’aurora del buco nero potrebbero anch’esse essere viste. Tuttavia, i ricercatori non sono sicuri riguardo al tipo di radiazioni prodotte dal plasma in interazione con l’onda di shock; dipenderebbe dalle condizioni magnetiche vicino all'orizzonte degli eventi del buco nero. Se le condizioni fossero abbastanza estreme, questo modello potrebbe essere usato per spiegare in generale i buchi neri voraci all’interno dei nuclei galattici attivi.

[Grafico che rappresenta il fenomeno dell'aurora e dello shock con il plasma nei buchi neri]


C’è un ulteriore aspetto riguardo alla caccia dell'aurora dei buchi neri: la fortissima radiazione generata cosi vicino all’orizzonte degli eventi del buco nero rivelerebbe informazioni molto utili riguardo all'ambiente spazio-temporale estremo in cui si trovano.
L’orizzonte degli eventi è il punto di non ritorno, il confine da dove la luce non può più scappare dall’estrema curvatura dello spazio-tempo causata dall’immensa gravità del buco nero.
Ma come lo shock di plasma, predetto dai ricercatori giapponesi, produce fenomeni simili all’aurora poco sopra l’orizzonte degli eventi, cosi una parte della radiazione sfuggirebbe alle grinfie dell’orizzonte degli eventi, permettendo ai futuri astronomi di usare le osservazioni radio per intravedere questo misterioso fenomeno che circonda i buchi neri.

Un fenomeno che viene in mente è l’effetto "Lense-Thirring", in cui un oggetto massiccio ruotante trascina il vicino spazio-tempo con se. Se potessimo trovare un modo per “vedere” la luce dell’aurora dei buchi neri, forse saremmo in grado di rilevare l’impronta di questo trascinamento.
Anche se probabilmente ci vorrà un bel po prima che un indagine VLBI diventi abbastanza sensibile per rilevare la radiazione dell'aurora intorno a un buco nero (se esistesse), è sicuramente una ricerca molto eccitante, che offrirebbe la possibilità di fare esami scientifici alla distanza di un capello umano dal orizzonte degli eventi del buco nero supermassiccio al centro della Via Lattea.

A cura di Adrian

Fonti:
http://iopscience.iop.org/2041-8205/714/1/L176?fromSearchPage=true
http://arxiv4.library.cornell.edu/PS_cache/arxiv/pdf/1004/1004.0076v1.pdf
http://link2universe.wordpress.com/2010/05/24/un-buco-nero-puo-avere-un-aurora/ 


Approfondimenti:


Discuti l'argomento nel forum. E' stata aperta una sezione dedicata ai buchi neri. Iscriviti, ci perdi al massimo 30 secondi, apri una discussione. La leggeranno migliaia di persone.

http://nemsisprojectresearch.blogspot.com/p/forum.html


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Nuova teoria per spiegare la super rotazione di Venere


Proprio mentre il nuovo satellite giapponese per l’esplorazione di Venere, veniva lanciato nello spazio, arrivava una teoria per cercare di spiegare uno dei fenomeni più misteriosi legati a questo pianeta. La domanda principale è: perché i venti su Venere viaggiano ad una velocità più alta di quella della rotazione del pianeta stesso. Venere ruota una volta ogni 243 giorni, ma ai venti bastano soltanto 4 giorni nell’atmosfera venusiana per fare il giro del pianeta, ad una velocità estrema di 200 metri al secondo(720 km/h). Questo fenomeno si chiama super rotazione. Akatsuki, il primo satellite meteorologico extraterrestre, ha iniziato il suo viaggio verso Venere dopo il lancio con successo dal Tanegashima Space Center in Giappone.

Gli astrofisici hanno a lungo pensato che le differenze in temperatura tra la parte rivolta verso il Sole (27°C) e quella nell’ombra (-173°C) è quello che alimenta questi venti. Ma c’è un problema con questo ragionamento.
Il problema sta nel fatto che l’atmosfera venusiana ha una certa viscosità e cosi,da sola,dovrebbe dissipare energia ad una percentuale del oltre 10^9 W, e quindi rallentare. Quindi qualcos’altro dovrebbe iniettare energia nel sistema a questa percentuale. Ma questo come avviene?

Sequenza di immagini di Venere ripresa dalla sonda Venus Express. L’animazione è stata ricostruita dalle immagini all’infrarosso prodotte dal VIRTIS, a partire da una distanza di 39.100 Km fino a 22.600.


Oggi, Héctor Javier Durand-Manterola insieme ad alcuni suoi colleghi dell’Università Nazionale Autonoma di Messico dicono di aver risolto questo puzzle. I ricercatori spiegano come oltre ai normali venti atmosferici, c’è un altro flusso molto pù alto è molto più veloce. Questi sono venti ionici, nella ionosfera del pianeta tra 150 e 800 km sopra la superficie e furono scoperti dalla sonda Pioneer Venus nei anni ’80.
Conosciuto come flusso “trans-terminator”è formato da venti che viaggiano a velocità supersonica,di diversi km al secondo,probabilmente alimentati dall’interazione del pianeta con i venti solari.
La domanda che Durand-Manterola e compagni si pongono è: cosa succede quando i venti supersonici nell’ionosfera interagiscono con i venti più lenti dell’atmosfera?
La loro risposta è che l’interazione genera turbolenze nell’atmosfera è che la dissipazione di queste turbolenze genera onde sonore che iniettano quantità significative di energia nell’atmosfera.
Quanto? Durant-Manterola è colleghi hanno calcolato che il processo inietta energia ad un ritmo di 10^10 W, più che sufficiente per controbilanciare la perdita di energia per via della viscosità. Infatti,una delle predizioni che fanno è che le onde sonore create da questo processo hanno un intensità di 84 dB. Un bel ruggito che potrebbe essere misurabile un giorno.
Per sostenere la loro teoria, i membri del team hanno eseguito un semplice esperimento con acqua per dimostrare come avviene questo trasferimento di energia, sebbene in condizioni piuttosto diverse.

Sopra: Nell’interazione di due flussi d’acqua(A e B) questi formano una regione di turbolenza (C) in cui si generano onde in superficie (D) che vanno dal flusso più veloce (A) a quello più lento (B). Credito: Irma Yolanda Durand Manterola

Sicuramente la loro idea è molto interessante, ma dovrà essere messa alla prova con nuove osservazioni di Venere, prima di poter cantare vittoria. Il fatto che questo processo potrebbe in teoria essere il responsabile, non significa necessariamente che lo sia.
Per fortuna, la sonda spaziale Akatsuki potrebbe aiutare a rispondere a queste domande. Arriverà a Venere in dicembre e probabilmente da li a poco inizierà a trasmettere dati. Durand-Manterola e il suo team saranno in ascolto alla ricerca di indizi per la loro teoria.

a cura di Adrian

Fonti: http://arxiv.org/ftp/arxiv/papers/1005/1005.3488.pdf
http://link2universe.wordpress.com/2010/05/24/nuova-teoria-per-spiegare-la-super-rotazione-di-venere/

giovedì 27 maggio 2010

Le anomalie della calotta di ghiaccio marziana

Gli scienziati hanno ricostruito la formazione di due caratteristiche geologiche della calotta polare settentrionale di Marte: una voragine più grande del Grand Canyon e una serie di depressioni a spirale, risolvendo due misteri di lunga data e provando il cambiamento climatico sul Pianeta Rosso.


In due documenti sono stati pubblicati sulla rivista Nature del 27 maggio, per mano di Jack Holt e Isaac Smith della University of Texas presso l'Istituto Austin di Geofisica e i loro colleghi, grazie i dati radar raccolti dal NASA Mars Reconnaissance Orbiter.

Sulla Terra, le lastre di ghiaccio di grandi dimensioni si formano principalmente dal flusso di ghiaccio. Ma su Marte, secondo questa ultima ricerca, altre forze che hanno plasmato e continuano a farlo le calotte polari.
La calotta di ghiaccio del nord è una pila di strati di ghiaccio e polvere fino a due miglia (tre chilometri) di profondità su una superficie leggermente più grande del Texas. Grazie alle analisi computerizzate dei dati radar, gli scienziati possono togliere gli strati come una cipolla per rivelare come la calotta di ghiaccio si sia evoluta nel tempo.
Una delle caratteristiche della calotta di ghiaccio del nord è il Chasma Boreale, un canyon lungo come il Grand Canyon americano, ma più profondo e più ampio. Alcuni scienziati hanno suggerito che si fosse formato quando il calore vulcanico nella parte inferiore fuse il ghiaccio innescando un diluvio catastrofico. Altri hanno suggerito la presenza di forti venti polari, chiamati katabatics, che hanno scavato il canyon nella cupola di ghiaccio.

[Ricostruzione in 3d della calotta polare nord grazie alle immagini radar del Mars Global Surveyor (MGS)]

Altre caratteristiche enigmatiche sono le depressioni a spirale dal centro verso l'esterno della calotta di ghiaccio che si dispongono come una gigantesca girandola. Dal momento della loro scoperta, nel 1972, gli scienziati hanno proposto diverse ipotesi per spiegare la loro formazione. Una di queste è che a causa della rotazione del pianeta, il ghiaccio più vicino ai poli si muove più lento del ghiaccio più lontano dai poli, causando la sua modellazione essendo semi liquido. Un'altra ipotesi ha utilizzato un modello matematico che suggerire come causa, il maggior riscaldamento solare in alcune zone e la conduzione di calore laterale causerebbe la formazione di tali strutture.
Si scopre che la spirale e il Chasma Boreale sono stati creati e plasmati soprattutto dal vento. Ma piuttosto che essere formazioni recenti, si sarebbero formati in milioni di anni. L'influenza del vento avrebbe modellato la topografia sottostante del ghiaccio più vecchio. La topografia è la forma tridimensionale di una superficie, comprese le cime, le valli, i pendii e le pianure.

Prima di questa ricerca, si ipotizzava già che la calotta polare settentrionale di Marte fosse composta da molti strati relativamente piatti come una torta a strati. E' stato appurato che alcune informazioni sul clima dovrebbero essere registrate negli strati, in base allo spessore e al contenuto di polvere. Questa ricerca, tuttavia, rivela molti elementi complessi, compresi il cambiamento del livello di spessore e dell'orientamento, o l'improvvisa scomparsa in alcuni punti, caratteristiche che lo rendono una miniera di informazioni climatiche.
"Nessuno si rese conto della presenza di tali strutture complesse negli strati", dice Holt, autore principale del documento concentrandosi sulla Chasma Boteale.. "Dai livelli di accumulo del ghiaccio, dall'erosione e dal trasporto del vento si possono recuperare dati interrssanti sulla storia delle variazioni climatiche in maniera molto più dettagliata del previsto".

I risultati rivendicano una spiegazione che era caduta in disgrazia troppo presto per la comunità scientifica che studia Marte. Alan Howard, un ricercatore presso l'Università della Virginia, aveva proposto una teoria simile nel 1982, basata esclusivamente sulle immagini della superficie dalla missione Viking.
"Ebbe a disposizione solo immagini con risoluzione relativamente bassa", dice Isaac Smith, studente di dottorato e autore dell'articolo. Per il co-autore Holt:"Molti altri scienziati hanno proposto altre ipotesi per smentire la sua. Ma quando si guarda una sezione trasversale del suo studio, sembra quasi esattamente di vedere quello che vediamo noi oggi nei dati radar".

Perché dunque si sono formate le depressioni a forma di spirale? In primo luogo, i venti catabatici sono causati dall'aria fredda e densa che scende giù dal poli e ruota sulla calotta di ghiaccio. In secondo luogo, vengono deviati dalla forza di Coriolis, che è causato dalla rotazione del pianeta nello spazio. Sulla Terra, questo è ciò che fa girare gli uragani in direzioni opposte negli emisferi opposti. Questa forza spinge i venti e le depressioni a formare spirali.

Queste scoperte sono state rese possibili da un nuovo strumento chiamato Shallow Radar (SHARAD). Strumenti simili sono stati utilizzati a bordo degli aerei in Antartide e Groenlandia, ma prima del suo utilizzo su Marte, alcuni scienziati erano scettici se sarebbero stati in grado di raccogliere dati utili dall'orbita. Holt è un investigatore di SHARAD.
"Queste caratteristiche anomale sono state inspiegabile snobbate per 40 anni perché non eravamo stati in grado di vedere cosa c'era sotto la superficie", ha affermato Roberto Seu, team leader per lo strumento SHARAD. "E' gratificante che con questo nuovo strumento possiamo finalmente capire la natura del fenomeno".

SHARAD è stato fornito alla NASA dall'Agenzia Spaziale Italiana. E' stato progettato e sviluppato ed è gestito da un team congiunto formato dall'Università di Roma "La Sapienza" del Dipartimento INFOCOM, e da Thales Alenia Space Italia.
I co-author del documento "La costruzione di Chasma Boreale su Marte" include Kathryn Fishbaugh (Smithsonian National Air and Space Museum), Shane Byrne (Lunar and Planetary Laboratory, University of Arizona), Sarah Christian (Università del Texas Istituto di Geofisica e Bryn Mawr College), Tanaka Kenneth (Science Center Topografia, US Geological Survey), Indagine Russell Patrick (Planetary Science Institute), Herkenhoff Ken (Science Center Topography, US Geological), Ali Safaeinili (Jet Propulsion Laboratory), Putzig Nathaniel (Southwest Research Institute) e Roger Phillips (Southwest Research Institute).
Il finanziamento è stato fornito dalla NASA e dal White Gayle Fellowship presso l'Istituto di Geofisica.

Adattato da materiali forniti dalla University of Texas di Austin .


A cura di Arthur McPaul

Fonte: http://www.sciencedaily.com/releases/2010/05/100526134150.htm



mercoledì 26 maggio 2010

Violente eruzioni regolari tra due stelle binarie

Un team di astronomi guidato dal dottor Gavin Ramsay dell'Armagh Observatory ha individuato violente eruzioni da una coppia di stelle interagenti che orbitano una attorno all'altra ogni 25 minuti. Stranamente, queste esplosioni avvengono a intervalli regolari e prevedibili, ogni due mesi.

Le nuove osservazioni sono state effettuate utilizzando il Liverpool Telescope situato nelle Isole Canarie e l'osservatorio orbitante Swift. I risultati verranno visualizzati nella rivista degli Avvisi mensili della Royal Astronomical Society.
Le stelle sono entrambe nane bianche ricche di elio, resti compatti di stelle come il nostro Sole alla fine della loro vita, situate nella costellazione del Dragone e chiamate KL Dra. Esse sono separate da una distanza equivalente a poco più della metà di quella tra la Terra e la Luna, cioè abbastanza vicino affinchè la stella più massiccia trascini il suo compagno più leggero.

Il flusso risultante di elio dalla una nana bianca si sposta all'altra ad una velocità di milioni di km all'ora. La maggior parte delle volte il materiale si blocca in un disco attorno a cui ruota il compagno di accrescimento, con solo un filo di atterraggio sulla stella stessa, provocando la calma incandescente nella luce visibile, ai raggi ultravioletti e ai raggi X. Tuttavia, il team ha scoperto che ogni due mesi il materiale del disco viene quindi sbloccato di colpo in una gigantesca eruzione che causa brillamenti decine di volte più luminosi dei precedenti.

Questo è uno dei pochi sistemi binari che seguono una dieta rigorosa di elio. L'idrogeno che originariamente era presente in entrambe le stelle si è da tempo trasformato in elio e in elementi più pesanti. Quasi tutti gli altri sistemi che interagiscono con i sistemi binari finora scoperti utilizzavano il trasferimento dell'idrogeno. Dal momento che l'elio è più pesante e ha proprietà diverse per l'idrogeno, il team si aspetta che l'eruzione di KL Dra sia differente dalle altre binarie con trasferimento di materiale ad idrogeno.

Visto che KL Dra erutta regolarmente e in modo prevedibile l'elio, gli scienziati possono pianificare osservazioni dettagliate e sensibili utilizzando una serie di telescopi adatti. Tali osservazioni avranno notevoli implicazioni per la comprensione del processo generale di accrescimento in molti sistemi stellari, che vanno dalle stelle giovani ai massicci buchi neri si trovano al centro delle galassie.
Il team di astronomi ha quindi ricevuto osservazioni complementari di KL Dra utilizzando l'osservatorio Swift. Ne è emerso che l'eruzione osservata è apparsa molto forte agli ultravioletti (UV). Sorprendentemente, a differenza dei sistemi ad idrogeno non vi è stata alcuna variazione nella luminosità ai raggi X durante l'eruzione.

Tom Barclay, uno studente post-laurea all'Armagh Observatory e all'UCL Mullard Space Science Laboratory ha detto: "Abbiamo in programma di tenere sotto osservazioni di elio dozzina di stelle binarie simili usando il Telescopio Liverpool, per vedere se si comportano nello stesso modo. E 'stata una grande sorpresa vedere un secondo scoppio da KL Dra appena due mesi dopo il primo. Abbiamo poi previsto che la prossima l'esplosione avrebbe avuto inizio il prossimo 7 dicembre dello scorso anno. E' stato molto eccitante indovinare perfettamente la data!".

Prof. Iain Steele, direttore del telescopio di Liverpool ha commentato: "Questo è un altro ottimo esempio della potenza unica del nostro telescopio robotico che si dimostra particolarmente efficace quando si lavora con osservatori spaziali come Swift. In questo caso ci ha aiutato a scoprire completamente un nuovo tipo di oggetto celeste. L'orario flessibile del telescopio Liverpool rende facile per noi coordinare le osservazioni con altre strutture e controllare gli oggetti che variano su scale temporali da secondi a anni. Questo approccio è praticamente impossibile con un osservatorio convenzionale".

Il dottor Simon Rosen dell'Università di Leicester e parte del team che ha fatto la scoperta ha aggiunto: "I raggi X e la maggior parte delle radiazioni UV non penetrano l'atmosfera terrestre e solo gli osservatori spaziali possono osservare le alte energie di emissione di questi oggetti estremi. Con la sua impareggiabile capacità di saper ottenere osservazioni molto frequenti a raggi X e UV, siamo stati in grado di utilizzare lo Swift per sondare il sistema ad alte energie e di confermare il risultato del Liverpool Telescope ". Dr Ramsay è felice del lavoro del team. "Progetti come questo possono richiedere diversi anni per produrre risultati, quindi è stato fantastico ottenere una tale scoperta dopo solo pochi mesi."

A cura di Arthur McPaul

Link: http://www.sciencedaily.com/releases/2010/05/100524085514.htm

Spitzer indaga sulla formazione delle stelle binarie

Nuove prove dalla NASA Spitzer Space Telescope dimostrano che le stelle doppie potrebbero  formarsi da involucri asimmetrici, come quelli mostrati in questa immagine. (Credit: NASA / JPL-Caltech / Univ. Of Michigan)

Le stelle binarie costituiscono la normalità dei sistemi stellari nella Galassia. Come tuttavia avviene la loro formazione resta tutt'ora un mistero. Le possibilità potrebbero essere che nascono da due nubi separate oppure, come gemelli siamesi, da un'unica nube di gas. Gli astronomi ritengono che in generale le binarie distanziate si formano da due nubi separate, mentre le stelle più strette da una unica nube. Ma i meccanismi che regolano questi  processi non sono del tutto chiari.

Le nuove osservazioni dello Spitzer Space Telescope agiscono come ecografie per rivelare il processo di nascita delle stelle gemelle. Il telescopio a infrarossi può vedere con un'altra risoluzione la struttura delle stelle, con le relative polveri che le circondano . Queste nebulose sono come uteri che alimentano la nascita delle stelle, in un processo che porta il materiale sui dischi in rotazione attorno ad esse, per poi "ingrossarle".
Le immagini di Spitzer rivelano questi agglomerati asimmetrici in tutti i 20 casi oggetto di studio. Secondo gli astronomi, tali irregolarità potrebbero innescare la formazione di stelle binarie.

"Osserviamo le asimmetrie nel materiale denso attorno a queste proto-stelle su scale solo poche volte più grandi rispetto alle dimensioni del Sistema Solare. Questo significa che i dischi che li circondano vengono alimentati in modo non uniforme, eventualmente rafforzando la frammentazione del disco stesso e innescando la formazione di una stella binaria", ha detto John Tobin dell'Università del Michigan, e Ann Arbor, autore di un recente documento pubblicato sul Journal.

Tutte le stelle, in entrambi i casi comunque si formano dal cossasso di questi agglomerati di gas e polveri. Le macchie continuano a ridursi sotto la forza di gravità, fino a quando viene esercitata una pressione sufficiente a fondere gli atomi per creare un'esplosione di energia.
I teorici hanno eseguito simulazioni al computer in passato, per dimostrare che le saccche di forma irregolare possono provocare la formazione di sistemi binari. Il materiale concentrato in grumi non uniformemente distribuito, semina la formazione di due stelle invece che uno. Ma, finora, non vi sono state evidenze osservative per provare questo scenario.
Tobin e la sua squadra inizialmente non stavano lavorando per verificare questa teoria. Essi stavano studiando gli effetti delle emissioni  in uscita sulle sacche attorno alle stelle giovani quando hanno notato che quasi tutte erano asimmetrico. Questo li ha spinti ad indagare ulteriormente, e 17 su 20 sacche esaminate erano a forma asimmetrica, anziché sferoidale. Le restanti tre sacche non erano così irregolari come le altre, ma nemmeno perfettamente circolari. Molte di esse erano già note per possedere in se embrioni di stelle binarie, forse proprio a causa dall'irregolare forma delle sacche di gas e polveri.

"Siamo stati veramente sorpresi dalla prevalenza di strutture asimmetriche", ha detto Tobin. "Vista la forte presenza di stelle binarie, le asimmetrie potrebbero essere indicative per la loro formazione".
Spitzer è stato in grado di cogliere i dettagli di queste uova stellari perché è altamente sensibile agli infrarossi, ed è in grado di rilevare la debole luce dalla nostra stessa galassia. Le sacche di polveri attorno alla giovane luce sullo sfondo blocca le stelle, creando l'apparenza di un ombra nelle immagini dello Spitzer.
"Tradizionalmente, questi involucri sono stati osservati a lunghezze d'onda infrarosse dove la polvere fredda è incandescente. Tuttavia, tali osservazioni hanno generalmente risoluzione molto inferiori a quelle delle immagini dello Spitzer" ha detto Tobin.
Un ulteriore studio di questi involucri stellari, con l'esame della velocità del materiale in caduta delle stelle che si formano, è già in corso tramite i radiotelescopi, per offrire importanti indizi che aiutino a risolvere il mistero di come nascono le stelle gemelle.
Le osservazioni sono state fatte prima che lo Spitzer esaurisse il suo liquido di raffreddamento nel maggio 2009, iniziando poi la sua missione "caldo.

a cura di Arthur McPaul

Fonte: http://www.sciencedaily.com/releases/2010/05/100521205606.htm

martedì 25 maggio 2010

Nuovi studi sui modelli di "zona abitabile"

Nuovi modelli e simulazioni al computer stanno rivelano le implicazioni orbitali tra i giganti gassosi e pianeti rocciosi, nelle zone abitabili di altri sistemi planetari

Gli astronomi, da tempo sono a caccia di pianeti rocciosi orbitanti attorno a stelle simili al Sole e in particolare nella loro "zona abitabile", dove le condizioni come la temperatura e l'acqua liquida rimangono abbastanza stabili per far sviluppare e sostenere la vita.

I nuovi risultati al computer indicano che alcuni di questi pianeti extrasolari potrebbero rendersi inospitali per la vita a causa delle forze esercitate dai vicini giganti gassosi con orbite eccentriche.

Un pianeta terrestre con un'orbita circolare, generalmente posto verso il bordo interno della propria zona abitabile potrebbe rimanere all'interno di essa, ha detto Rory Barnes, un ricercatore dell'Università di Washington post-dottorato in astronomia. Ma l'aggiunta di un pianeta di tipo gioviano al sistema, tuttavia, con un'orbita molto ellittica, simile alla maggior parte dei pianeti extrasolari scoperti finora, potrebbe causare strane anomalie a tale pianeta roccioso, provocando condizioni sia di abitabilità che di inabitabilità.

L'orbita del pianeta più piccolo sarebbe allungata e quindi diventerebbe nuovamente circolare in non più di 1000 anni e ciò potrebbe accadere più volte.
Ciò solleva la possibilità, per esempio, che la sua temperatura media annua possa cambiare in modo significativo nel corso di ogni millennio.

"Per una parte del tempo, potrebbe esistere acqua liquida in superficie, ma in altra epoca bollirebbe", ha dichiarato Barnes, che presenterà i risultati ad una riunione della American Astronomical Society a Miami.

L'effetto sarebbe simile ad un pianeta come la Terra, posto ai confini esterni della zona abitabile.
"Il problema più grande è che la zona abitabile è molto complicata da definire" ha detto Barnes.
"Il clima della Terra è influenzato soltanto sulla scala di decine di migliaia di anni dalle orbite degli altri pianeti del Sistema Solare, ma è possibile che in molti sistemi esoplanetari la disposizione dei pianeti sia molto più importante per l'abitabilità".

Il problema diventa ancora più complesso per le zone abitabili attorno a stelle di piccola massa, con un terzo della massa del Sole. In tali sistemi, la zona abitabile è molto più vicina alla stella e le forze di marea dalla gravità stellare diventerebbero cruciali nel determinare se il pianeta è abitabile. L'aggiunta al sistema di un pianeta simile a Giove con un'orbita eccentrica potrebbe alterare sensibilmente le condizioni del pianeta più piccolo, come anche la sua stessa orbita.

"Ci potrebbero essere pianeti che mutano le loro caratteristiche geologiche nel corso di periodi temporali molto lunghi", ha detto Barnes. "Si può quindi supporre che i pianeti abbiano intensi fenomeni di vulcanesimo e sismicità, durante questi cicli"

"Le forze di marea modificherebbero il periodo di rotazione del pianeta e l'orbita diverrebbe più allungata cambiando la durata del giorno e [delle stagioni] in modo significativo" ha detto ancora Barnes. "La lunghezza del giorno cambia quasi di giorno in giorno" ha detto. "E' affascinante pensare a come si verifichi l'evoluzione in un mondo del genere".

Il lavoro, finanziato dal Nasa Virtual Planetary Laboratory, è stato condotto con Brian Jackson del NASA Goddard Space Flight Center, Richard Greenberg della University of Arizona, e Sean Raymond del Laboratoire d'Astrophysique de Bordeaux in Francia.

"C'è un folle zoo di pianeti là fuori che probabilmente sono abitabili", ha detto Barnes, "ma le loro proprietà sono molto diverse dalla Terra a causa dei loro vicini eccentrici".

Il Sistema Solare rappresenta un modello ideale per gli scienziati in cerca di vita extraterrestre e in questo caso di pianeti esotici di tipo roccioso. Tuttavia, anche se l'apertura mentale degli astronomi fa piacere, c'e' da precisare, prendendo a modello proprio il nostro pianeta, come una minuscola variazione climatica o geotermica, causata da fenomeni esogeni (eruzioni vulcaniche, maremoti, terremoti) o endogeni (impatti asteroidali o cometari) provochi frequenti e catastrofiche estinzioni di massa.
Come potrebbe dunque avviarsi lo sviluppo della vita in modo coerente su pianeti sottoposti ad una frequente e devastante marea da parte di giganti gassosi?

A questa domanda dovranno rispondere i forse planetologi del prossimo secolo, visto che ci vorranno decenni prima di vedere la superficie di un esopianeta per poterne studiare le variazioni stagionali e cercare la vita su di essi.


A cura di Arthur McPaul

Fonte: http://www.astronomy.com/asy/default.aspx?c=a&id=9889




WISE spia il "cuore" della galassia

Il NASA Wide-field Infrared Survey Explorer, o WISE, ha ripreso la nebulosa Heart and Soul e si sta avvicinando al completamento della sua prima missione di mappatura del cielo.

Il telescopio spaziale, che ha completato circa tre quarti della sua indagine a raggi infrarossi di tutto il cielo, ha già inviato a terra quasi un milione di cornici come quelle che compongono questo splendido mosaico cosmico. "Questa nuova immagine dimostra il potere di WISE nel catturare vaste regioni", ha dichiarato Ned Wright, ricercatore principale della missione, che ha presentato la nuova immagine alla riunione dell'American Astronomical Society a Miami. "Stiamo cercando a nord, sud, est e ovest di mappare l'intero cielo".

La nebulosa del Cuore prende il nome dalla sua somiglianza con un cuore umano, mentre con la vicina nebulosa Soul assomiglia solo alla natura simbolica con due lobi.
Le nebulose, che si trovano a circa 6.000 anni luce di distanza nella costellazione di Cassiopea, sono entrambe fabbriche di stelle massicce, costituite da bolle giganti di polvere soffiate dalle radiazioni e dai venti dalle stelle circostanti. La visione a infrarossi di WISE permette di vedere nelle aree più fresche e polverose di nubi come queste, dove i gas e le polveri hanno appena iniziato a raccogliersi in nuove stelle.

La nuova immagine è stata catturata mentre WISE orbitava sopra i poli della Terra, ed è composta da 1.147 fotogrammi con un tempo di esposizione totale di tre ore e mezzo.

La missione terminerà la sua prima mappatura del cielo nel mese di luglio 2010, per passare poi altri tre mesi a rilevare gran parte del cielo prima che il liquido di raffreddamento necessario per raffreddare i suoi rilevatori a infrarossi si esaurisca. La prima parte del catalogo di WISE uscirà nell'estate del 2011.

Fino ad ora WISE ha catturato circa 960.000 foto che hanno mostrato spettacolari nuove visioni di nebulose e galassie, mentre altre rivelano la luce rossastra di piccoli puntini che sono asteroidi presenti nel nostro Sistema Solare. La missione ha rilevato infatti finora oltre 60.000 asteroidi, molti dei quali si trovano nella Fascia Principale, in orbita tra Marte e Giove. Circa 11.000 di questi oggetti sono di recente scoperta, e circa 50 di essi appartengono a una classe di Near-Earth Objects, che hanno percorsi che li portano a 48 milioni km (30 milioni di miglia) dall'orbita terrestre.

Uno degli obiettivi della missione WISE è proprio quello di studiare gli asteroidi in tutto il nostro Sistema Solare. "WISE ci aiuterà a capire meglio le dimensioni, le proprietà e le origini degli asteroidi vicini e lontani", ha detto Amy Mainzer, il ricercatore principale di NEOWISE, un programma per lo studio e gli asteroidi collegato a quello di WISE._

WISE studierà anche gli asteroidi Troiani che orbitano nella stessa orbita di Giove in due gruppi principali, uno davanti e l'altro dietro al gigante gassoso. WISE fino ad ora ha rilevato più di 800 di questi oggetti, ed entro la fine della missione, dovrebbe averne osservato circa la metà di tutti i 4.500 conosciuti. I risultati saranno utili nelle controversie scientifiche sulla formazione e sull'evoluzione dei pianeti esterni.
"WISE è la prima indagine in grado di osservare i due gruppi in modo uniforme, e questo fornirà una conoscenza diretta del sistema solare primordiale", ha detto l'astronomo Tommy Grav della Johns Hopkins University, Baltimora, Maryland, che ha presentato le informazioni a astronomia riunione.

WISE, ha anche osservato 72 comete di cui circa una dozzina di esse sono nuove. Ciò ci dirà molto di più sulle loro orbite e sulla loro storia.

Tutti noi restiamo in attesa anche dell'annuncio delle prime nane brune vicino al Sistema Solare che in teoria dovrebbero esistere. A quanto pare la NASA ci farà trepidare fino all'ultimo...

Maggiori informazioni sono on-line su http://www.nasa.gov/wise e http://wise.astro.ucla.edu.


A cura di Arthur McPaul

Fonte: http://www.sciencedaily.com/releases/2010/05/100524161101.htm


lunedì 24 maggio 2010

Milioni di gradi presto avvolgeranno il Sole


Gli scienziati del Centro di Ricerca Spaziale dell'Accademia Polacca delle Scienze, del Los Alamos National Laboratory, del Southwest Research Institute e della Boston University, suggeriscono che il nastro delle emissioni di atomi neutri energetici, scoperto l'anno scorso dal satellite IBEX Small Explorer della Nasa, potrebbe essere spiegato da un effetto geometrico causato da un approccio del Sole al confine tra la nube di gas interstellare locale e un'altra nube di un gas molto calda chiamata Local Bubble. Se questa ipotesi è corretta, il Sole potrebbe entrarci in un centinaio di anni.

[FOTO 1: La mappa del satellite IBEX della NASA, che mostra la regione ad arco nel cielo, composta dagli ENA, cio le "Emissioni energetiche degli atomi neutri"]


La prima mappa del cielo delle emissioni energetiche degli atomi neutri (ENA), era stata ottenuta lo scorso anno dal satellite IBEX, mostrando una sorprendente caratteristica ad arco [vedi foto 1 in alto]. Questa scoperta sorprendente è stata successivamente annunciata dalla NASA come uno dei risultati più importanti in fatto di esplorazione dello spazio nel 2009. Poco dopo la scoperta sono stati proposti sei ipotesi per spiegare la barra multifunzione, tutte concordi sulla sua relazione con i processi in corso all'interno dell'eliosfera o nelle sue vicinanze. In un articolo recentemente pubblicato nell'Astrophysical Journal Letters, un team polacco-statunitense di scienziati guidati dal Prof. Stan Grzedzielski dal Centro di Ricerca Spaziale dell'Accademia Polacca delle Scienze a Varsavia, , offre una spiegazione diversa. "Osserviamo la barra multifunzione", dice Grzedzielski "perché il Sole si sta avvicinando al confine tra la nostra nube di gas interstellare locale e un'altra nube di un gas molto calda e turbolenta".

L'energia degli atomi neutri, registrata dai rilevatori IBEX, è nata al di fuori della caldissima Bolla Locale quando si carica con gli atomi relativamente freschi della Local Cloud. Gli ENA non hanno carica elettrica e quindi possono precipitare liberamente in linea retta dal loro luogo di nascita. Alcuni di essi possono raggiungere l'orbita terrestre e possono essere rilevati da IBEX. "Se la barra multifunzione ENA è stata creata presso i confini dell'eliosfera, il loro luogo di nascita sarebbe relativamente vicino, nel giro di un paio di centinaia di unità astronomiche", spiega il dottor Andrzej Czechowski da SRC PAS, uno dei co-autori della ricerca.

Il team di scienziati polacchi e statunitensi suggeriscono che il nastro ENA nasce dallo scambio di carica elettrica tra gli atomi che "evaporano"alla nube interstellare con una bolla molto calda e completamente ionizzata di gas. La Bolla Locale è probabilmente un residuo di una serie di esplosioni di supernova che si sono verificati pochi milioni di anni fa e quindi non solo è molto calda (milioni di gradi Kelvin), ma anche turbolenta. I protoni nella locale Bubble al confine con la Nuvola locale strappano gli elettroni dagli atomi neutri e fuggono in tutte le direzioni.

"Se la nostra ipotesi è corretta, allora stiamo catturando atomi che provengono da una nube interstellare che è diversa dalla nostra," dice il Dott. Maciej Bzowski, co-investigator della missione e capo del team polacco IBEX. Ma dal momento che l'istituzione di tale atomi ENA si sta verificando in tutto lo strato limite complessivo tra le nuvole, perché vediamo la barra multifunzione? "È un effetto puramente geometrico, che osserviamo perché il Sole è attualmente appena al posto giusto, ad un migliaio di unità astronomiche dal confine della nuvola", spiega Grzedzielski.

Il modello sviluppato dal team polacco-statunitense suggerisce che il confine tra la Nuvola locale e la Bolla Locale potrebbe non essere a pochi anni luce dal Sole, come si credeva in precedenza, ma potrebbe raggiungerci nel giro di un migliaio di unità astronomiche, mille volte più vicino. Questo potrebbe significare che il Sistema Solare potrebbe entrare nella nube di milioni di gradi già nel prossimo secolo. "Niente di insolito, il Sole attraversa spesso aree irregolari di gas interstellare durante il suo viaggio galattico", commenta Grzedzielski. Tali nubi sono di densità molto bassa, molto inferiori al miglior vuoto ottenuto nei laboratori della Terra. Una volta dentro, l'eliosfera si riforma e si può ridurre un pò, mentre il livello delle radiazioni cosmiche introdotte nella magnetosfera potrebbero aumentare, ma niente di preoccupante. "Forse le generazioni future dovranno imparare a proteggere meglio il loro hardware spaziale contro radiazioni più forti", suggerisce Grzedzielski.

IBEX è l'ultima serie di missioni spaziali scientifiche a basso costo della NASA. Tale missione è stata sviluppata dal Southwest Research Institute di San Antonio, TX, che la  conduce con un gruppo di partner internazionali.

A cura di Arthur McPaul

domenica 23 maggio 2010

Alla ricerca delle onde gravitazionali primordiali

L'avanzamento nella prossima frontiera dell'astrofisica e della cosmologia dipende dalla nostra capacità di rilevare la presenza di un particolare tipo di onda nello spazio: l'onda gravitazionale primordiale.


Proprio come le increspature nell'acqua in uno stagno, le onde si spostano allungando il tessuto dello stesso spazio, al loro passaggio. Se rilevate, queste deboli e sfuggenti onde potrebbero fornire una visione senza precedenti dei primi momenti della formazione del nostro Universo.

In un articolo apparso nel numero del 21 maggio su Science, il fisico teorico e cosmologo Lawrence Krauss dell'Arizona State University e i ricercatori dell'Università di Chicago e del Fermi National Laboratory hanno esplorato la maggior parte di queste onde, con l'esame della radiazione cosmica a microonde ( CMB).
Nel corso del secolo passato, l'astronomia è stata rivoluzionata grazie all'uso di nuovi metodi per l'osservazione dell'Universo, ma ancora oggi l'origine dell'energia oscura e della materia oscura non sono note. La risposta a questi e altri misteri potrà giungere dall'analisi nei primissimi momenti dell'espansione del Big Bang.

La domanda su come abbia avuto origine l'Universo, provoca da sempre grande fascino ed è l'obiettivo primario per l'ASU Origini Project, presieduto da Krauss.
"Prima di 380.000 anni, l'Universo era opaco alla radiazione elettromagnetica", spiega Krauss, professore nella Scuola ASU dell'esplorazione della Terra e dello Spazio e del Dipartimento di Fisica nel Collegio delle arti liberali e delle scienze. "Prima di esplorare altre volte, abbiamo bisogno di cercare al di fuori dello spettro elettromagnetico. Le onde gravitazionali interagiscono molto debolmente con la materia e quelle prodotte all'inizio del tempo possono farsi strada senza ostacoli fino a noi, oggi, fornendoci una nuova immagine dell'universo primordiale. "

Nel 1916, Albert Einstein aveva previsto l'esistenza delle onde gravitazionali. Basandosi sulla sua teoria della relatività generale, gli oggetti curvano lo spazio intorno a loro. Quando grandi masse si muovono nello spazio, viene generato un disturbo sotto forma di onde gravitazionali, ma a causa della debolezza della gravità, è necessario disporre di cifre astronomiche di materia per generare onde su una scala che potrebbero effettivamente essere rilevabile.
"Immaginate che nello spazio lontano dalla Terra fluttuino al fianco di due specchi a molte miglia di distanza. Se un'onda gravitazionale si fosse propagata nello spazio, si dovrebbe vedere l'aumento della distanza tra i due oggetti e quindi diminuire ritmicamente mentre l'onda passa, in modo quasi impercettibile" spiega Krauss.
"Quando queste onde si propagano in tutto l'Universo diminuiscono di intensità, ma non scompaiono, né rallentano, perché si muovono attraverso la materia essenzialmente senza impedimenti".

"Le onde gravitazionali primordiali e la cosmologia", è stato scritto da Krauss, da Scott Dodelson del Fermi National Laboratory e dell'Università di Chicago e da Stephan Meyer, dell'Università di Chicago. Nel loro articolo su Science, hanno determinato l'esistenza di due fonti principali di onde gravitazionali: l'inflazione subito dopo il Big Bang e le transizioni di fase. Altre fonti possono includere le collisione dei buchi neri o due stelle orbitanti.
Anche se queste increspature dello spazio-tempo sono impercettibili per l'uomo, i rivelatori altamente sensibili come il Laser Interferometer Gravitational Wave Observatory (LIGO), con sede a Livingston, Louisiana, sono stati progettati per cercarle.
La radiazione gravitazionale dell'Universo primordiale può essere rilevata indirettamente attraverso il suo effetto sulla polarizzazione della radiazione CMB (radiazione fossile del Big Bang che permea tutto lo spazio). Tuttavia, l'attuale generazione di rivelatori di onde gravitazionali diretto, LIGO inclusa, non ha la sensibilità sufficiente per sondare i segnali di possibili onde gravitazionali primordiali.
"La più grande sensibilità dell'onda gravitazionale primordiale viene dal dal caratteristico disegno di polarizzazione del CMB", dice Krauss. "Se le onde gravitazionali prodotte da una inflazione o da transizioni di fase esistenti è presente con la radiazione cosmica di fondo, saranno rilevabili come polarizzazione sul CMB."
Anche se impegnativa da rilevare, adesso disponiamo della tecnologia sufficientemente, e vale la pena cercarla", secondo Krauss.
"Con il XXI secolo, siamo pronti ad entrare in un nuova era della cosmologia, che ptrebbe fornire una nuova finestra sull'Universo primordiale e sui processi fisici che hanno governato la sua origine e la sua evoluzione", dice Krauss . "Il Satellite Planck dell'Agenzia spaziale europea è stato progettato per rilevare l'immagine del CMB su tutto il cielo, con una sensibilità senza precedenti e con la risoluzione angolare, che fornirà nuovi dati sulla polarizzazione entro i prossimi 3-4 anni e che ci auguriamo ci dia anche l'osservazione diretta delle onde dell'inizio del tempo ".


A cura di Arthur McPaul

Fonte: http://www.sciencedaily.com/releases/2010/05/100520141216.htm

venerdì 21 maggio 2010

Esobiologia: studio sulla presenza di acqua "abitabile" sulla Terra e sugli esopianeti

L'acqua è indispensabile per la vita come noi la conosciamo. Ma non tutta l'acqua ha i requisiti per ospitarla. Secondo i dati  provenienti da molti ambienti estremi, i ricercatori hanno trovato i limiti di ciò che costituisce le condizioni di abitabilità nell'acqua sul nostro pianeta. Questo potrebbe aiutarci a capire quali tipi di acqua sugli altri pianeti sarebbe idonei ad ospitare la vita.

"Cerchiamo l'acqua calda o forse l'acqua fredda?" si chiede Eriita Jones della Australian National University, principale autore dello studio che appare sull'ultimo numero della rivista Astrobiologia.
Il principio guida nella nostra ricerca in corso per la biologia aliena è "seguire l'acqua". Ma la nuova ricerca suggerisce questo obiettivo deve essere affinato e da solo non è sufficiente.
Sulla Terra, sappiamo che la vita può esistere ad una vasta gamma di temperature e pressioni, eppure vi sono luoghi in cui non è stata trovata. Jones e il suo collega Carlo Lineweaver hanno condotto un'indagine globale per capire fino a che punto è presente la vita nel "territorio d'acqua" sulla Terra.
I loro risultati indicano che solo il 12% del volume di acqua liquida della Terra ospita la vita. Per quanto riguarda il resto di questo volume, la vita non ha mai trovato il modo di adattarsi, pur avendo avuto diversi miliardi di anni di evoluzione per poterlo fare.
Questo può significare che qualche frazione di acqua liquida è strettamente inabitabile, sia qui che su altri mondi lontani.

Diagramma dell'acqua
La regione blu-grigio indica l'intervallo di temperatura e pressione in cui l'acqua è nella sua forma liquida. La regione verde ombreggiata mostra nella misura in cui la vita sulla Terra è popolata spazio parametrico di acqua liquida. Immagine di credito: Jones & Lineweaver / Australian National University  


Per quantificare ciò che costituisce l'acqua abitabile, Jones e Lineweaver, hanno tracciato un diagramma delle condizioni di pressione e temperatura dell'acqua. "Questo è un modo molto naturale di parametrizzare ogni pianeta", dice Jones.

Solo circa il 3,5% del volume della Terra ha la giusta temperatura e  pressione per mantenere l'acqua allo stato liquido. E di questa regione, solo il 12% contiene la vita. Immagine di credito: Jones & Lineweaver / Università Nazionale Australiana


Anche se noi solitamente pensiamo che l'acqua liquida esiste tra zero e 100 gradi Celsius, questo è vero solo per l'acqua pura alla pressione atmosferica al livello del mare (circa 14.7 libbre per pollice quadrato o di 1014 millibar). Se è presente il sale, per esempio, il punto di congelamento scende sotto già sotto gli zero gradi e il punto di ebollizione sale oltre i 100 gradi. Ad alte pressioni, l'acqua rimane liquida sopra i 100 gradi Celsius. In realtà, gli autori stimano che l'acqua liquida può esistere per una profondità massima di 75 km sotto la superficie terrestre, dove la temperatura è superiore a 400 gradi centigradi e la pressione è di 30.000 volte superiore a quella in superficie.

Ma è possibile che esista la vita in questo tipo di acqua? Probabilmente no. La temperatura più alta conosciuta per sostenere la vita è di 121 gradi Celsius. Alcuni biologi ritengono che gli organismi potrebbero sopravvivere a temperature ancora più elevate, ma non ci sono prove in merito.


Le condizioni sulla Terra non consentono all'acqua liquida di esistere sotto una profondità di circa 75 km e quindi, quel che resta è soltanto un sottile guscio esterno. Fuori del volume, tutta la Terra, soltanto il 3,3% dell'acqua possiede le condizioni giuste esistere allo stato liquido, mentre solo lo 0,2% può ospitare la vita [credito: Jones & Lineweaver / Australian National University]
 

Jones e Lineweaver assumono l'attuale limite di 122 gradi centigradi come limite di temperatura per l'acqua abitabile. All'altra estremità del termometro, l'acqua allo stato liquido può essere trovato sulla Terra a -89 gradi in film sottili. Tuttavia, la temperatura dell'acqua più fredda capace di sostenere la vita attiva è di -20 gradi, che è ciò che i ricercatori prendono come loro limite abitabile inferiore.

I ricercatori hanno anche esaminato i limiti di pressione. La vita è stata trovata fino a 5,3 km sotto la superficie, dove la pressione è di 1500 volte superiore a quella in superficie. Se questa è veramente la più alta pressione per l'acqua abitabile, bisognerà accertarlo, perchè nessuno ha ancora scavato oltre in cerca di vita.
Quanto alla bassa pressione, la vita è stata trovata in alto nell'atmosfera dove l'aria è sottile, grazie alla presenza di microrganismi volatili. Gli autori quindi assumono il limite di bassa pressione per la vita quello di  un terzo della pressione atmosferica, che corrisponde alla quota nella parte superiore di mt. Everest.

Limiti della biosfera
Secondo questi limiti appena posti, la vita sul nostro pianeta è limitata a un guscio sottile che si estende da circa 10 km sopra la superficie e va fino a 5 km sotto terra (o fino a una profondità di 10 chilometri nel mare). Questo lascia disabitato l'88% del volume in cui esiste l'acqua sulla Terra.

Questo microrganismo, chiamato "Strain 121," è un Archaea che sopravvive in acqua a 121 gradi Celsius, che è la temperatura più alta conosciuta per una essere vivente. Credit immagine: Derek Lovley, U. Messa., Amherst


"Questo dimostra che la vita e l'acqua non sono equivalenti e può pertanto esistere l'liquida ostile alla vita".
Quasi tutta l'acqua liquida della Terra si trova in regioni abitabili. Il punto è che solo una piccola frazione di questa acqua è cordiale alla vita.
"Tutto ciò sembra sorprendente e sembra suggerire che la strategia di 'seguire l'acqua' ha bisogno di essere rivista" afferma Chris McKay della NASA Ames Research Center.
Ma egli anche che che questo sia un po fuorviante. L'unico fattore veramente limitante in questa analisi è l'osservazione che la vita apparentemente non può sopravvivere oltre i 122 gradi Celsius.

"Nessuno degli altri mondi, eccetto Venere,  hanno temperature di superficie abbastanza calde per rendere questo limite pertinenti", dice McKay. Tuttavia, le temperature più calde si trovano sotto la superficie. Marte, per esempio, può essere troppo freddo per l'acqua liquida sulla sua superficie, ma non vi è ragione di credere che ci sia acqua liquida sotterranea . Jones e Lineweaver stanno attualmente esaminando la crosta, il mantello e il nucleo di Marte utilizzando le stime del flusso di calore per la costruzione di un diagramma marziano dell'acqua, come quello che hanno fatto con la Terra. I risultati mostrano a quale profondità l'acqua è potenzialmente abitabile (come definito dallo studio in corso) su Marte.


Un modello interno di Europa (la luna di Giove), con l'ipotesi che abbia oceano interno globale che sarebbe 10 volte più profondo di qualsiasi oceano sulla Terra, e conterrà il doppio di acqua rispetto agli oceani della Terra e dei fiumi messi insieme. Credit: NASA / JPL


Questa sorta di "analisi abitabile dell'acqua" potrebbe essere utilizzata anche per gli oceani liquidi che si pensa si trovano sotto la crosta ghiacciata della luna di Giove Europa e la luna di Saturno Encelado. Potrebbe inoltre contribuire a caratterizzare un diagramma di fase anche per  gli esopianeti, mostrando dove concentrare la nostra ricerca di vita", ha detto Jones.

A cura di Arthur McPaul

Fonte: http://www.astrobio.net/exclusive/3499/water-water-everywhere-but-not-all-drops-have-life