Per quanto ne sappiamo, un sistema planetario alle sue origini non è altro che un vortice di gas e polveri. Vero è anche che nel corso di pochi milioni di anni questi gas vengono risucchiati al centro del vortice e danno vita una stella, mentre le polveri restanti si addensano in grumi più o meno grandi, come mattoncini buoni per la formazione dei pianeti.
Il tutto avviene piuttosto rapidamente. Gli astronomi osservano da tempo i fenomeni di evoluzione dei dischi protoplanetari in tutta la Galassia (anche il nostro Sistema Solare ha vissuto una storia analoga), la ragione per cui i dischi planetari evolvano in maniera così rapida è però rimasto un mistero.
A uscire dalla mera speculazione ecco però i ricercatori del Massachusetts Institute of Technology: dal loro lavoro di ricerca emerge una prima evidenza sperimentale, cioè che il disco protoplanetario da cui ha avuto origine il Sistema Solare è stato plasmato da un potente campo magnetico, quello stesso che ha spinto massicciamente i gas nel Sole in pochi milioni di anni. Lo stesso campo magnetico, poi, potrebbe aver spinto l’uno contro l’altro gli ammassi di polveri andando a formare i ‘semi’ iniziali da cui sono fioriti i pianeti del sistema. L’ipotesi appare sul numero corrente di Science.
I ragazzi del MIT hanno concentrato la loro attenzione sul meteorite Semarkon, una roccia spaziale caduta sul cielo dell’India settentrionale nel lontano 1940 e considerata una delle reliquie cosmiche meglio conservate – e incontaminate – del Sistema Solare. Nel corso degli esperimenti sono stati estratti una serie di campioni dal meteorite. Di ogni frammento è stato accuratamente misurato il campo magnetico per stabilirne le variazioni fin dai tempi della costituzione del disco galattico. Cosa che non è avvenuta: siamo di fronte a un meteorite conservatosi inalterato.
Quanto all’intensità di questo campo magnetico, ecco il dato strabiliante: oscilla fra i 5 e i 54 microtesla. Vale a dire fino a 100.000 volte più potente di quello rilevabile oggi nello spazio interstellare. Un super campo magnetico capace di dare forma all’ammasso di gas e accelerare i processi di formazione stellare. Due teorie ipotizzabili sulla formazione del disco planetario: l’instabilità magnetorotazionale, cioé una forte turbolenza del campo magnetico che ha spinto il gas verso il sole, o che questo si sia concentrato sul sole attraverso un processo più ordinato, come il percorso del campo magnetico a forma di clessidra.
«Dare conto dei tempi rapidi in cui sistema planetario si evolve è sempre stato impossibile», spiega Roger Fu del MIT Department of Earth, Atmospheric and Planetary Sciences. «Ora grazie ai risultati ottenuti possiamo attribuire questa veloce formazione del disco a un campo magnetico tanto potente da giustificare una coercizione dei gas su larga scala».
Una bella fortuna trovare un meteorite perfettamente conservato e che si comporta come un sofisticato archivio di registrazioni magnetiche. «Incontaminato, costituito del corretto cocktail di metalli e con perfette proprietà di registrazione magnetica. Semarkon è un device ad alta fedeltà», chiosa ironicamente Ben Weiss, professore di scienze planetarie al MIT.
Certo un campo magnetico di tali dimensioni, non poteva che lasciare il segno.
Fonte1:
L’articolo su Science: http://www.sciencemag.org/lookup/doi/10.1126/science.1258022
Fonte2:
http://www.media.inaf.it/2014/11/13/il-magnetismo-del-sistema-solare/
Il tutto avviene piuttosto rapidamente. Gli astronomi osservano da tempo i fenomeni di evoluzione dei dischi protoplanetari in tutta la Galassia (anche il nostro Sistema Solare ha vissuto una storia analoga), la ragione per cui i dischi planetari evolvano in maniera così rapida è però rimasto un mistero.
A uscire dalla mera speculazione ecco però i ricercatori del Massachusetts Institute of Technology: dal loro lavoro di ricerca emerge una prima evidenza sperimentale, cioè che il disco protoplanetario da cui ha avuto origine il Sistema Solare è stato plasmato da un potente campo magnetico, quello stesso che ha spinto massicciamente i gas nel Sole in pochi milioni di anni. Lo stesso campo magnetico, poi, potrebbe aver spinto l’uno contro l’altro gli ammassi di polveri andando a formare i ‘semi’ iniziali da cui sono fioriti i pianeti del sistema. L’ipotesi appare sul numero corrente di Science.
I ragazzi del MIT hanno concentrato la loro attenzione sul meteorite Semarkon, una roccia spaziale caduta sul cielo dell’India settentrionale nel lontano 1940 e considerata una delle reliquie cosmiche meglio conservate – e incontaminate – del Sistema Solare. Nel corso degli esperimenti sono stati estratti una serie di campioni dal meteorite. Di ogni frammento è stato accuratamente misurato il campo magnetico per stabilirne le variazioni fin dai tempi della costituzione del disco galattico. Cosa che non è avvenuta: siamo di fronte a un meteorite conservatosi inalterato.
Quanto all’intensità di questo campo magnetico, ecco il dato strabiliante: oscilla fra i 5 e i 54 microtesla. Vale a dire fino a 100.000 volte più potente di quello rilevabile oggi nello spazio interstellare. Un super campo magnetico capace di dare forma all’ammasso di gas e accelerare i processi di formazione stellare. Due teorie ipotizzabili sulla formazione del disco planetario: l’instabilità magnetorotazionale, cioé una forte turbolenza del campo magnetico che ha spinto il gas verso il sole, o che questo si sia concentrato sul sole attraverso un processo più ordinato, come il percorso del campo magnetico a forma di clessidra.
«Dare conto dei tempi rapidi in cui sistema planetario si evolve è sempre stato impossibile», spiega Roger Fu del MIT Department of Earth, Atmospheric and Planetary Sciences. «Ora grazie ai risultati ottenuti possiamo attribuire questa veloce formazione del disco a un campo magnetico tanto potente da giustificare una coercizione dei gas su larga scala».
Una bella fortuna trovare un meteorite perfettamente conservato e che si comporta come un sofisticato archivio di registrazioni magnetiche. «Incontaminato, costituito del corretto cocktail di metalli e con perfette proprietà di registrazione magnetica. Semarkon è un device ad alta fedeltà», chiosa ironicamente Ben Weiss, professore di scienze planetarie al MIT.
Certo un campo magnetico di tali dimensioni, non poteva che lasciare il segno.
Fonte1:
L’articolo su Science: http://www.sciencemag.org/lookup/doi/10.1126/science.1258022
Fonte2:
http://www.media.inaf.it/2014/11/13/il-magnetismo-del-sistema-solare/
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