mercoledì 27 novembre 2013

La Cometa ISON al perielio: si frantumerà




Mentre la Cometa ISON si dirige verso il suo massimo avvicinamento al Sole (perielio) il 28 novembre 2013, gli scienziati la stanno osservando attraverso numerosi strumenti, aspettando che si possa dividere a causa dell'intenso calore e delle forze gravitazionali del Sole.
La cometa è troppo lontana per offrirci immagini ravvicinate ma è possibile utilizzare la sua luminosità per scoprire ulteriori indizi.
Meno luce a volte può significare che la maggior parte del materiale è stato espulso o che si sia disintegrata. Ma a volte anche una cometa disintegrata emana più luce, almeno temporaneamente, per cui i ricercatori stanno cercando di capire quello che sta succedendo per creare un modello del comportamento di questi oggetti.


Le recenti osservazioni hanno suggerito che ISON si fosse già frantumata.
Tuttavia, nel corso dei giorni 26-27 novembre 2013, grazie al Solar and Heliospheric Observatory in the Large Angle and Spectrometric Coronagraph Instrument (NASA/ESA), la cometa è apparsa abbastanza chiaramente mentre si muoveva da destra in basso dell'immagine, nella zona si spazio vicino ad una nube gigante di materiale solare (CME) che non è noto se la raggiungerà.

Se la cometa si fosse già frantumata, si sarebbe disintegrata completamente durante il passaggio ravvicinato col Sole.

Ció potrebbe comunque avvenire durante questa fase e potrebbe dare una grande opportunità agli scienziati per osservare l'interno della cometa e capire meglio la sua composizione interna, che contiene materiale primordiale del Sistema Solare.

Tutto questo lo scopriremo solo nei prossimo giorni.

Traduzione a cura di Arthur McPaul

Fonte:
http://www.sciencedaily.com/releases/2013/11/131127170445.htm












sabato 16 novembre 2013

Un Modello Spiega La Longevità Della Grande Macchia Rossa




La di Grande Macchia Rossa di Giove è uno dei fenomeni più misteriosi del Sistema Solare. In base a quello che gli scienziati hanno capito circa la dinamica dei fluidi, dovrebbe essere scomparsa secoli fa.

Pedram Hassanzadeh, studioso presso l'Università di Harvard, e Philip Marcus, professore di fluidodinamica presso l'Università della California, Berkeley, ritengono di poter spiegarne il perché.

Il loro studio, che Hassanzadeh ha presentato in occasione alla riunione annuale della divisione della American Physical Society il 25 novembre, fornisce inoltre informazioni sui vortici oceanici persistenti e sui vortici che contribuiscono alla formazione di stelle e pianeta.
"Sulla base delle attuali teorie, la Grande Macchia Rossa avrebbe dovuto spegnersi dopo alcuni decenni. Invece, persiste da centinaia di anni", ha detto Hassanzadeh, che è un borsista post-dottorato presso il Centro di Harvard per l'Ambiente e il Dipartimento Terra e Scienze Planetarie.
Molti processi tendono a dissipare i vortici come la Macchia Rossa. La turbolenza e le onde dovrebbero attenuare l'energia dei suoi venti. Il vortice perde anche altra energia dal calore radiante. Infine, la Macchia Rossa si trova tra due forti correnti a getto che scorrono in direzioni opposte che dovrebbero rallentarla.

Alcuni ricercatori sostengono che la Macchia Rossa guadagna energia assorbendo vortici più piccoli. "Alcuni modelli di computer mostrano che i grandi vortici vivrebbero più a lungo se si fondessero con vortici più piccoli, ma questo non accade abbastanza spesso per spiegare la longevità della macchia di Giove", ha detto Marcus.

Per sondare il mistero della sopravvivenza della Red Spot, Hassanzadeh e Marcus hanno costruito un modello. Si differenziava dai modelli esistenti perché era completamente tridimensionale ed in alta risoluzione.
Molti modelli sui vortici si concentrano sui venti orizzontali vorticosi, dove la maggior parte dell'energia risiede. I vortici hanno anche i flussi verticali, ma questi hanno molta meno energia.
"In passato, i ricercatori hanno ignorato il flusso verticale perché pensavano che non fosse importante e hanno usato le equazioni più semplici perché il modello era difficile da sostenere matematicamente", ha detto Hassanzadeh.

Eppure il movimento verticale rivela un ruolo chiave per la persistenza della Red Spot. Quando il vortice perde energia, il flusso verticale trasporta gas caldi dall'alto e gas freddi dal basso sotto al vortice verso il suo centro, ripristinando parte della sua energia perduta.
Il modello prevede inoltre un flusso radiale, che succhia venti dalle correnti a getto ad alta velocità verso il centro del vortice. Questo pompa energia nel vortice, consentedogli di durare più a lungo.

Secondo Hassanzadeh, lo stesso flusso verticale potrebbe spiegare perché i vortici oceanici, come quelli formatisi in prossimità dello Stretto di Gibilterra, possono durare per anni nell'Oceano Atlantico. Il loro flusso verticale gioca un ruolo nell'ecosistema oceanico sollevando nutrienti alla superficie.

I vortici possono anche partorire la formazione di stelle e pianeti, della durata di milioni di anni, mentre attirano la polvere interstellare e le rocce in grandi masse.
Hassanzadeh e Marcus sanno che il loro modello non spiega del tutto la lunga vita della Red Spot.
Essi credono che l'assorbimento occasionale di vortici più piccoli, in linea con le osservazioni, puó fornire l'energia supplementare necessaria per centinaia di anni di vita. Essi hanno modificato il loro modello al computer per verificare questa tesi.
Forse, un giorno, la Grande Macchia Rossa di Giove vi sembrerà un pó meno misteriosa.

Traduzione a cura di Arthur McPaul

Fonte:
http://www.sciencedaily.com/releases/2013/11/131114131929.htm

giovedì 14 novembre 2013

Strano Oggetto Scoperto Ai Confini Del Sistema Solare



Qualcosa di strano vaga alla periferia del Sistema solare. Il suo nome è 2002 UX25 ed è un KBO (Kuiper Belt Object), un oggetto celeste del diametro di circa 650 chilometri, come molti altri  in quella regione che si estende oltre orbita di Nettuno che prende il nome di Fascia di Kuiper. Cos’ha dunque di così strano 2002 UX25?

La sua densità, che è minore di quella dell’acqua pura. Se riuscissimo ad adagiare questo grande sasso spaziale in una enorme vasca piena d’acqua, questo riuscirebbe a galleggiare. A scoprire la sorprendente caratteristica che rende 2002 UX25 il più grande oggetto solido del Sistema Solare con una densità così bassa è stato Mike Brown, planetologo del California Institute of Technology di Pasadena, il cui articolo è stato accettato per la pubblicazione sulla rivista The. Astrophysical Journal Letters.

Un oggetto di simili dimensioni e così leggero porta un certo scompiglio nell’attuale classificazione dei KBO. Infatti, quelli con un diametro minore di 350 chilometri hanno tipicamente densità inferiori a quella dell’acqua mentre quelli con diametri maggiori di 800 chilometri presentano densità maggiori. Vero è che 2002 UX25 si pone proprio nella terra di mezzo tra le due categorie, ma il fatto che la sua densità sia di ben il 18 per cento più bassa di quella dell’acqua solleva comunque molte domande sui processi di formazione degli oggetti di questo tipo che popolano il Sistema solare esterno.

Domande, queste e molte altre, a cui i planetologi cercheranno di dare risposte con le missioni presenti e future dedicate allo studio dei corpi celesti più remoti del nostro sistema planetario. La sonda New Horizons della NASA è nel pieno del suo lungo viaggio verso Plutone, che raggiungerà nel 2015. Seppure ‘declassato’ a pianeta nano, Plutone continua a sorprendere gli scienziati. Come nel luglio dello scorso anno, quando le immagini del telescopio spaziale Hubble permisero di scoprire la sua quinta luna, dal diametro di appena una ventina di chilometri, recentemente battezzata Stige dalla International Astronomical Union.

L’interesse per questa zona del Sistema Solare è alto anche in Europa. ODINUS (Origins, Dynamics and Interiors of Neptunian and Uranian Systems) dedicata allo studio di Urano e Nettuno è tra i candidati per la seconda delle missioni di classe L previste dal piano Cosmic Vision 2015-2025 dell’Agenzia Spazia Europea le (la prima è stata già assegnata alla missione JUICE verso Giove e le sue lune) e vede una importante partecipazione di personale dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziale dell’INAF. A breve dovrebbe arrivare la decisione ufficiale dell’ESA che potrebbe sancirne l’approvazione definitiva.

A cura di Arco Galliani

Fonte: http://www.media.inaf.it/2013/11/14/quelloggetto-esotico-ai-confini-del-sistema-solare/

mercoledì 13 novembre 2013

Un Pianeta Roccioso Dalle Dimensioni Terrestri




Nel mese di agosto, i ricercatori del MIT hanno individuato un pianeta extrasolare con un brevissimo periodo orbitale: Il team ha scoperto che Keplero 78b, un piccolo pianeta intensamente caldo a 400 anni luce dalla Terra, gira attorno alla sua stella in appena 8,5 ore ed è circa 1,2 volte la dimensione della Terra, rendendolo uno degli esopianeti più piccoli mai misurato.

Ora questo stesso team ha scoperto che Keplero 78b condivide un'altra caratteristica con la Terra: 1,7 volte la massa del nostro pianeta. Dalle stesse misure, hanno calcolato che anche la sua densità è molto simile, 5,3 grammi per centimetro cubo rispetto ai 5,5 grammi per centimetro cubo.

Le scoperte rendono Kepler 78b il più piccolo esopianeta noto.
Queste nuove misure forniscono una forte evidenza che Kepler 78b è composto per lo più di roccia e ferro.
Tuttavia, le somiglianze potrebbero finire qui in quanto a causa della sua estrema vicinanza alla sua stella ha temperature troppo elevate per sostenere la vita.
"È simile alla Terra, nel senso che ha circa la stessa dimensione e massa, ma ovviamente è molto più caldo raggiungendo almeno 2000 gradi", dice il membro del team di Josh Winn, professore associato di fisica al MIT e un membro dell'Istituto Kavli di Astrofisica e la ricerca spaziale.
Winn e colleghi, tra cui l'autore Andrew Howard, dell'Università delle Hawaii, hanno pubblicano i loro risultati di sulla rivista Nature.

I risultati del gruppo vengono visualizzati nella stessa edizione con un articolo da un gruppo separato di Ginevra, che riporta risultati simili, un accordo scientifico che per Winn conferma la misurazione di massa.

I pianeti con orbite molto vicine offrono agli scienziati una ricchezza di dati: ad esempio, ogni settimana Kepler 78b orbita attorno sua stella circa 20 volte, dando ricercatori numerose opportunità per osservarne il comportamento.
Il team precedentemente aveva determinato la sua orbita e le dimensioni analizzando la luce emessa dalla stella quando il pianeta transitava davanti ad esso. I ricercatori hanno rilevato un transito ogni volta che la luce della stella si affievoliva, misurando questo oscuramento per determinare le dimensioni del pianeta.

Misurare la massa del pianeta è stato uno sforzo un pó più complicato. Invece dell'inseguimento con il movimento del pianeta, i ricercatori hanno monitorato il moto della stella stessa. A seconda della sua massa, un pianeta è in grado di esercitare una forza gravitazionale sulla sua stella. Questo movimento stellare può essere rilevato come un leggerissimo ondeggiamento, noto come spostamento Doppler.

Winn e i suoi colleghi hanno cercato di misurare lo spostamento Doppler di Kepler 78 analizzando le osservazioni con il Keck Observatory alle Hawaii, per un periodo di otto giorni.
Nonostante la potenza ottica del telescopio, il segnale della stella era incredibilmente debole, rendendo il compito assai arduo per gli scienziati.
"Ciascuna delle otto notti eravamo agonizzanti e ci siamo chiesti più volte se in realtà se valesse ancora la pena continuare" , ricorda Winn.

Oltre a ció essi hanno dovuto fare i conti con sltr ostacoli rappresentati dalle macchie stellari ovvero le macchie scure sulla superficie delle stelle. Lo studente laureato Roberto Sanchis-Ojeda, che ha studiato l'effetto delle macchie stellari sulla rilevazione degli esopianeti, ha detto che esse possono essere fastidiosi cerotti che possono far apparire l'effetto Doppler di una stella maggiore del reale, complicando notevolmente i calcoli di massa della massa del pianeta.

Sanchis-Ojeda è stato in grado di risolvere questo enigma tenendo conto del periodo di rotazione di Keplero 78. Tracciando la frequenza con cui apparivano le macchie, ha stabilito che la stella compie una rotazione completa ogni 12,5 giorni, considerevolmente più lunga del periodo orbitale del pianeta ogni 8,5 ore. Da queste misure, Sanchis-Ojeda è stato in grado di calcolare il vero spostamento Doppler della stella rilevando che la stella ruota in modo relativamente lento, a 1,5 metri al secondo (circa la velocità di una camminata veloce).
"La stella si muove alla stessa velocità di quando camminiamo a scuola o andare a fare la spesa", osserva Sanchis-Ojeda". La differenza è che questa stella si trova a 400 anni luce di distanza, quindi immaginiamo quanto sia complicato misurare una velocità così lenta da così lontano".

Dallo spostamento Doppler della stella, il team ha determinato che la massa di Keplero 78b è 1,7 volte quella della Terra (una stima che suggerisce che il pianeta possa essere composto per lo più da roccia e ferro. Tale composizione, non è sorprendente, dato il pianeta ruota molto vicino alla sua stella.
Un pianeta meno massiccio, magari composto interamente da gas, non sarebbe in grado di tenere insieme in un'orbita così vicina. Molto resta ancora da scoprire sulla sua atmosfera e composizione.

Traduzione a cura di Arthur McPaul

Fonte:
http://www.sciencedaily.com/releases/2013/10/131030142815.htm