venerdì 28 gennaio 2011

Even the stars tremble: starquakes [English - Italiano]


The seismic vibrations of the stars can reveal valuable information about their age, size and internal dynamics. The Kepler telescope from NASA, dedicated specifically to search for extrasolar planets, is only entered as 100,000.

In English we call them "starquake, earthquakes star (or perhaps it would be more correct to call them" stellemoti?). Are vibrations that shake the surface of the star, whose analysis you can discover a lot about the star itself: how many years and than he still has, its structure, as it is, forming storms and starspots. Just as earthquakes on Earth, as it is revealing the internal structure of our planet, so the way in which the stars of their range is a spy hidden features.

This concept, which in itself does not have anything particularly original, now has the chance to be put to work on a large scale by NASA's Kepler mission. The program Kepler Asteroseismic Investigation aims to monitor the vibration surface of thousands of stars to find out more about them.
Although its primary mission remains to hunt down the extrasolar planets similar to Earth, the technical capabilities of the space telescope allow to obtain, as they say, two birds with one stone. In fact, the mechanism by which Kepler identifies exoplanets is the same that can detect the stellar vibrations. Thanks all'avanzatissima technology captures the subtle variations in brightness of a star when a planet (a microbe to the comparison) in front of the orbit. Even the seismic oscillations affecting the area of the disk, resulting in considerable changes in the brightness of the star. So Kepler has been collecting secret information about 100,000 stars.

The seismic waves in the stars are the result of turbulent convection inside. When the waves hit the surface, it begins to vibrate like a bell. Since the speed of wave propagation depends on its internal structure, that's what scientists can deduce there is still hydrogen in the star (it is the fuel for thermonuclear fusion reactions), estimating how long it shines and how long it will go ahead before disappearing. A celestial dating useful to refine models of stellar evolution. And most of all to get to know the galactic neighbors.

Anche le stelle tremano

Le vibrazioni sismiche delle stelle possono rivelare preziose informazioni sulla loro età, dimensione e dinamica interna. Il telescopio Kepler della NASA, dedicato specificatamente alla ricerca di pianeti extrasolari, sta schedando così 100.000 soli.

In inglese li chiamano “starquake”, terremoti stellari (o forse sarebbe più corretto chiamarli “stellemoti”?). Sono vibrazioni che scuotono la superficie delle stelle, dalla cui analisi è possibile scoprire molto sulla stella stessa: quanti anni ha e quanti gliene restano, com’è fatta la sua struttura, dove si formano le tempeste e le macchie stellari. Proprio come i terremoti sulla Terra rivelano com’è fatta la struttura interna del nostro pianeta, così il modo in cui le stelle oscillano è una spia delle loro caratteristiche nascoste.

Questo concetto, che in sé non ha nulla di particolarmente originale,  ora ha la possibilità di essere messo all’opera su grande scala  grazie alla missione Kepler della NASA. Il programma Kepler Asteroseismic Investigation mira a monitorare le vibrazioni superficiali di migliaia di stelle per scoprire di più sul loro conto.
Sebbene la sua principale missione resti dare la caccia ai pianeti extrasolari simili alla Terra, le capacità tecniche del telescopio spaziale permettono di ottenere, come si suol dire, due piccioni con una fava. Infatti il meccanismo con cui Kepler individua esopianeti è lo stesso che permette di rilevare le vibrazioni stellari. Grazie all’avanzatissima tecnologia, riesce a cogliere le impercettibili variazioni di luminosità di una stella quando un pianeta (un microbo al confronto) gli orbita davanti. Anche le oscillazioni sismiche alterano l’area del disco, producendo sensibili cambiamenti nella luminosità della stella. Così Kepler sta collezionando informazioni segrete su 100.000 stelle.

Le onde sismiche nelle stelle sono il risultato di turbolenti moti convettivi all’interno. Quando le onde colpiscono la superficie, questa si mette a vibrare come una campana. Poiché la velocità di propagazione delle onde dipende dalla sua struttura interna, ecco che gli scienziati riescono a dedurre quanto idrogeno c’è ancora nella stella (è il combustibile delle reazioni di fusione termonucleare), stimando da quanto tempo brilla e quanto tempo potrà andare avanti, prima di spegnersi. Una datazione celeste utile per raffinare i modelli di evoluzione stellare. E soprattutto per conoscere da vicino le vicine galattiche.


UH astronomers discover coolest objects outside solar system

Little green object is WISEPC J045853.90+643451.9 ,  first brown dwarf discovery by WISE NASA Space Infrared Telescope. This object is placed between 18 and 30 light year from Earth, and it's the coolest body known with  only 326°C.  Credit: NASA

University of Hertfordshire astronomers have measured the distances to 11 of the coolest objects ever discovered outside our solar system. The 11 cool objects – known as brown dwarfs – have masses intermediate between stars (more massive) and planets (less massive), and as a result do not burn hydrogen, making them extremely cool.
The work led by Federico Marocco, an astrophysicist in UH’s Centre for Astrophysics Research was carried out as part of a collaboration between UH, the astronomical Observatory of Torino and a wider international group.
Astronomers call very cool brown dwarfs like the ones discovered ‘T dwarfs’ and Federico and his team have discovered many of the coolest known examples ever found.
Federico Marocco said: “A proper understanding of such cool atmospheres is important for interpreting warm giant planets as well as brown dwarfs, since planet temperatures can overlap with those of brown dwarfs”.
The team made deep infrared measurements of each T dwarf with the UK Infrared telescope over a 4 year period and this allowed them to determine the distances of each dwarf. It was revealed the dwarfs were between 30 and 300 light years from the Sun. The new distance measurements show that our understanding of cool atmospheres is incomplete, and establishes benchmark measurements that future theories will be tested against.
“It may be that our solar system’s nearest neighbor is an undiscovered brown dwarf, just waiting to be revealed” said Marocco. The new discoveries have been published in a paper in the academic journal Astronomy & Astrophysics. 

Astronomi Misurano Le Distanze Fino Ai Più Freddi Oggetti Fuori Dal Sistema Solare

Un gruppo di astronomi dell’Università di Hertfordshire, nella Gran Bretagna, ha misurato la distanza a 11 dei corpi più freddi che conosciamo fuori dal Sistema Solare. Questi oggetti, conosciuti come nane brune, hanno masse che sono intermedie tra le stelle ed i pianeti giganti gassosi. Non bruciano idrogeno come le stelle, e questo le rende molto più fredde, ma sono diverse volte più massicce dei pianeti gassosi giganti.

Le nane brune si formano, esattamente come le stelle, per il collasso gravitazionale di nubi di gas nello spazio, ma che hanno massa insufficiente (inferiore all’8% circa della massa del Sole) per innescare reazioni di fusione nucleare al loro interno. Tali stelle irraggerebbero una debole luce per un centinaio di milioni di anni circa, in conseguenza alla conversione di energia gravitazionale in calore.
Nei primi stadi della loro vita, la maggior parte delle nane brune in effetti genera un po’ di energia grazie alla fusione del litio e del deuterio, elementi molto facili da fondere e che sono infatti assenti nelle stelle normali (che li bruciano immediatamente). La presenza del litio è un forte indizio che un oggetto di piccola massa sia una nana bruna.

La nana bruna Gliese 229 B è il puntino di luce al centro del'immagine, accanto alla ben più luminosa Gliese 229 A. Credit: Palomar Observatory/Hubble Space Telescope.

Le nane brune continuano a brillare nel rosso e soprattutto nell’infrarosso dopo che hanno finito il deuterio. La sorgente di energia per il loro brillare è semplicemente il calore rimasto dalla combustione del deuterio e del litio, che però si riduce lentamente. Le atmosfere delle poche nane brune conosciute hanno temperature che variano da 2.300 a 700 °C. Tutte le nane brune si raffreddano nel tempo, perché non hanno altre fonti di energia. Quelle più grosse si raffreddano più lentamente.

Si conoscono solo poche nane brune, e molte neppure certe. Si pensa che siano stelle molto comuni, ma la loro osservazione è resa difficile dalla loro bassissima luminosità, che le rende invisibili già a piccole distanze.
Il limite tra un pianeta gigante gassoso e una nana bruna è piuttosto indefinito, e la demarcazione maggiore è posta sul modo in cui sono nati: un pianeta orbita attorno a una stella più grande, mentre una nana bruna si è formata per collasso diretto di una nebulosa, come le stelle normali. L’unica differenza rispetto a queste è che la nebulosa era troppo piccola.

Piccolo schema che mostra le differenze nell'evoluzione di una stella come il Sole e una nana bruna

Recenti osservazioni delle nane brune conosciute hanno rivelato delle variazioni di luminosità regolari nell’infrarosso, che suggeriscono la presenza di nubi relativamente fredde e opache nell’atmosfera. Si pensa che la “meteorologia” di questi oggetti sia estremamente violenta, comparabile ma molto maggiore delle famose tempeste di Giove.

La ricerca di cui si parla in questo particolare caso, è stata portata avanti da Federico Marocco, un astrofisico del Centro di Ricerca Astrofisica dell’Università di Hetfordshire, come parte di una più grande collaborazione tra questa e l’Università di Torino.

Gli astronomi chiamano queste nane brune estremamente fredde con il nome di “Nane T” e Federico ed il suo team hanno scoperto alcune delle nane T più fredde.

Diagramma che mette vicine alcune nane brune conosciute, con segnate le relative temperature, e accanto in fondo a destra, anche Giove, per farsi un idea.

“Riuscire a capire bene corpi cosi freddi e le dinamiche che caratterizzano le loro atmosfere è importante per interpretare poi meglio anche i corpi caldi che conosciamo, non solo le nane brune. Eppoi spesso le temperature dei pianeti sono paragonabili a quelle di questo tipo di nane brune.”
Il team ha effettuato misurazioni di ogni nana bruna di classe T con un telescopi a infrarossi britannico, durante un periodo di 4 anni, e questo ha permesso loro di determinare la distanza precisa di ognuno di questi corpi. Le nuove misurazioni mostrano che le teorie che abbiamo a riguardo sono ancora incomplete e saranno necessarie nuove indagini più approfondite.
“Può facilmente darsi che il corpo stellare più vicino a noi sia una nana bruna non ancora scoperto, ma che no vede l’ora di farsi vedere.” ha spiegato Marocco. 

La nuova scoperta è stata pubblicata sulla rivista “Astronomy & Astrophysics”.

A cura di Adrian




Runaway Star Plows Through Space [English - Italiano]

A massive star flung away from its former companion is plowing through space dust. The result is a brilliant bow shock, seen as a yellow arc in a new image from NASA's Wide-field Infrared Survey Explorer, or WISE.

The star, named Zeta Ophiuchi, is huge, with a mass of about 20 times that of our sun. In this image, in which infrared light has been translated into visible colors we see with our eyes, the star appears as the blue dot inside the bow shock.
Zeta Ophiuchi once orbited around an even heftier star. But when that star exploded in a supernova, Zeta Ophiuchi shot away like a bullet. It's traveling at a whopping 54,000 miles per hour (or 24 kilometers per second), and heading toward the upper left area of the picture.

As the star tears through space, its powerful winds push gas and dust out of its way and into what is called a bow shock. The material in the bow shock is so compressed that it glows with infrared light that WISE can see. The effect is similar to what happens when a boat speeds through water, pushing a wave in front of it.
This bow shock is completely hidden in visible light. Infrared images like this one from WISE are therefore important for shedding new light on the region.
JPL manages and operates WISE for NASA's Science Mission Directorate, Washington.


Traduzione e adattamento a cura di Arthur McPaul 

Una massiccia stella espulsa lontano dal suo ex compagno, sta fuggendo via, attraverso la polvere nello spazio.

Il suo percorso appare come un arco brillante giallo, in una nuova immagine del NASA Wide-field Infrared Survey Explorer, o WISE, il celebre telescopio ad infrarossi che ha scansionato e mappato il cielo nel 2010.

La stella, di nome Zeta Ophiuchi, è enorme, con una massa di circa 20 volte quella del nostro Sole. In questa immagine, la luce negli infrarossi è stato convertita in colori visibili e la stella appare come il punto blu dentro l'arco d'urto.

Zeta Ophiuchi una volta orbitava intorno a una stella ancora più pesante. Ma quando quella stella esplose in una supernova, Zeta Ophiuchi fu cacciata via come un proiettile alla velocità enorme di 24 chilometri al secondo, dirigendosi verso la zona in alto a sinistra dell'immagine.

Mentre la stella attraversa lo spazio, i suoi potenti venti spingono il gas e la polvere in quello che è chiamato  "arco d'urto". Il materiale in tale arco è talmente compresso che risplende di luce infrarossa visibile con i sensori del telescopio WISE. L'effetto è simile a quello che succede quando una barca attraversa velocemente l'acqua, rifrangendo un'ondata di fronte ad essa.

Questo arco d'urto è completamente nascosto nella luce visibile. Le immagini ad infrarossi come questa di WISE sono dunque importanti per fare nuova luce sul fenomeno.

JPL dirige e gestisce WISE per la NASA's Science Mission Directorate, Washington. Il ricercatore principale, Edward Wright, è alla UCLA.

giovedì 27 gennaio 2011

Most Distant Galaxy Candidate Yet Seen by Hubble Space Telescope [English - Italiano]

This image of the Hubble Ultra-Deep Field is a small part of the deepest infrared image ever taken of the universe. The small blue box outlines the area where astronomers found what may be the most distant galaxy ever seen, 13.2 billion light-years away, meaning its light was emitted just 480 million years after the Big Bang. It is small and very faint and is shown separately in the larger box. The galaxy is shown as blue because it emitted very blue light due to its high rate of star birth, although by the time the light reached Hubble it had been stretched into the infrared by the expansion of space, giving it a redshift value of about 10. Its official name is UDFj-39546284, but astronomers refer to it as the "redshift 10 galaxy candidate." (Credit: NASA, ESA, Garth Illingworth (University of California, Santa Cruz) and Rychard Bouwens (University of California, Santa Cruz and Leiden University) and the HUDF09 Team)

Astronomers have pushed NASA's Hubble Space Telescope to it limits by finding what they believe to be the most distant object ever seen in the universe -- at a distance of 13.2 billion light years, some 3% of the age of universe. This places the object roughly 150 million light years more distant than the previous record holder. The observations provide the best insights yet into the birth of the first stars and galaxies and the evolution of the universe.

The research is published Jan. 27, 2011, in the journal Nature.
The dim object is a compact galaxy made of blue stars that existed only 480 million years after the Big Bang. It is tiny. Over one hundred such mini galaxies would be needed to make up our Milky Way.
Co-author Ivo Labbé of the Carnegie Observatories puts the findings into context: "We are thrilled to have discovered this galaxy, but we're equally surprised to have found only one. This tells us that the universe was changing very rapidly in early times."
Previous searches had found 47 galaxies at somewhat later times, when the universe was about 650 million years old. The rate of star birth therefore increased by about ten times in the interval from 480 million years to 650 million years. "This is an astonishing increase in such a short period, happening in just 1% of the age of the universe," says Labbé.
"These observations provide us with our best insights yet into the earliest primeval objects yet to be found," adds Rychard Bouwens of the University of Leiden in the Netherlands.
Astronomers don't know exactly when the first stars appeared in the universe, but every step back in time takes them deeper into the early universe's "formative years" when stars and galaxies were just beginning to emerge in the aftermath of the Big Bang.
"We're moving into a regime where there are big changes afoot. And what it tells us is that if we go back another couple hundred million years toward the Big Bang we'll see absolutely dramatic things happening. That will be the time where the first galaxies really are starting to get built up," says Garth Illingworth of the University of California at Santa Cruz.
The even more distant proto galaxies will require the infrared vision of NASA's James Webb Space Telescope, which is the successor to Hubble, and next-generation ground-based telescopes, such as the Giant Magellan Telescope. These new facilities, planned for later this decade, will provide confirming spectroscopic measurements of the tremendous distance of the object being reported.

After over a year of detailed analysis, the galaxy was positively identified in the Hubble Ultra Deep Field -- Infrared (HUDF-IR) data taken in the late summer of both 2009 and 2010. These observations were made with the Wide Field Planetary Camera 3 (WFPC3) starting just a few months after it was installed into the Hubble Space Telescope in May of 2009, during the last NASA space shuttle servicing mission to Hubble.
The object appears as a faint dot of starlight in the Hubble exposures. It is too young and too small to have the familiar spiral shape that is characteristic of galaxies in the local universe, such as the Milky Way. Though individual stars can't be resolved by Hubble, the evidence suggests that this is a compact galaxy of hot stars that first started to form over 100 to 200 million years earlier in a pocket of dark matter.
The proto galaxy is only visible at the farthest infrared wavelengths observable by Hubble. This means that the expansion of the universe has stretched its light farther that any other galaxy previously identified in the HUDF-IR, to the very limit of Hubble's capabilities.

Astronomers plumb the depths of the universe by measuring how much the light from an object has been stretched by the expansion of space. This is called redshift value or "z." Before Hubble was launched, astronomers could only see galaxies out to a z approximately 1, corresponding to 6 billion years after the Big Bang. The Hubble Deep Field taken in 1995 leapfrogged to z=4, or roughly 90 percent of the way back to the beginning of time. The new Advanced Camera and the Hubble Ultra Deep Field pushed back the limit to z~6 after the 2002 servicing mission. Hubble's first infrared camera, the Near Infrared Camera and Multi Object Spectrometer reached out to z=7. The WFC3/IR reached back to z~8, and now plausibly has penetrated for the first time to z=10 (about 500 million years after the Big Bang). The Webb Space Telescope is expected to leapfrog to z~15, and possibly beyond. The very first stars may have formed between z of 30 to 15, or 100 to 250 million years post Big Bang.

The hypothesized hierarchical growth of galaxies -- from stellar clumps to majestic spirals -- didn't become evident until the Hubble Space Telescope deep field exposures. The first 500 million years of the universe's existence, from a z of 1000 to 10 is now the missing chapter in the hierarchical growth of galaxies. It's not clear how the universe assembled structure out of a darkening, cooling fireball of the Big Bang. As with a developing embryo, astronomers know there must have been an early period of rapid changes that would set the initial conditions to make the universe of galaxies that exist today. Astronomers eagerly await the new space and ground-based telescopes to find out!



Traduzione e adattamento a cura di Arthur McPaul
Scoperto l'oggetto più distante grazie al telescopio spaziale Hubble

Gli astronomi della NASA hanno spinto il telescopio spaziale Hubble oltre i suoi limiti scovando quello che riteniamo essere l'oggetto più distante mai visto nell'universo ad distanza di 13,2 miliardi di anni luce, cioè circa il 3% di l'età dell'Universo. Questo pone l'oggetto a circa 150 milioni di anni luce più lontano rispetto al precedente detentore del record. Le osservazioni forniscono le migliori intuizioni sulla nascita delle prime stelle e galassie e sull'evoluzione dell'Universo.

L'oggetto in questione è una galassia compatta fatta di stelle blu che esistevano solo 480 milioni di anni dopo il Big Bang. E 'molto piccolo e per costituire una galassia come la nostra Via Lattea, ne sarebbero necessarie almeno un centinaio.
Il co-autore Ivo Labbé dell'Osservatori Carnegie ha detto:"Siamo entusiasti di aver scoperto questa galassia, ma siamo altrettanto sorpresi di averne trovata una sola. Questo ci dice che l'Universo stava cambiando molto rapidamente durante la sua prima evoluzione".
Ricerche precedenti avevano trovato 47 galassie, quando l'universo era di circa 650 milioni di anni. Il tasso di natalità delle stelle è quindi aumentata di circa dieci volte nell'intervallo che va da 480 milioni anni a 650 milioni di anni. "Si tratta di un aumento sorprendente in un periodo così breve, che accade in appena l'1% l'età dell'Universo", spiega Labbé.

"Queste osservazioni ci offrono migliori intuizioni sugli oggetti antichi primordiali ancora da trovare", aggiunge Rychard Bouwens dell'Università di Leiden in Olanda.
Gli astronomi non sanno esattamente quando sono apparse le prime stelle nell'Universo, ma ogni passo indietro nel tempo ci porta più in profondità quando le stelle e le galassie erano appena iniziate ad emergere in seguito al Big Bang.
"Ci stiamo muovendo in un regime in cui ci sono grandi cambiamenti in corso e presto vedremo cose assolutamente drammatiche. Quello sarà il momento in cui le prime galassie si stavano davvero iniziando a costruire", spiega Garth Illingworth dell'Università della California a Santa Cruz.

Le proto galassie ancora più distanti richiederanno la visione ai raggi infrarossi del James Webb Space Telescope, che sarà il successore di Hubble, e i telescopi di nuova generazione da terra, come il Giant Magellan Telescope. Questi nuovi impianti, previsti per i prossimi dieci anni, forniranno la conferma e le misure spettroscopiche della distanza di tali oggetti distanti.
Dopo oltre un anno di analisi, la galassia è stato identificata con la Ultra Deep Field di Hubble ad infrarossi (HUDF-IR) tra i dati ricavati nella tarda estate del 2009 e del 2010. Queste osservazioni sono state fatte con la Wide Field Planetary Camera 3 (WFPC3) pochi mesi dopo che era stata installata, cioè nel maggio del 2009, durante l'ultima missione dello Space Shuttle della NASA per la manutenzione di Hubble.
L'oggetto appare come un debole punto di luce stellare. Troppo giovane e troppo piccolo per avere la forma familiare a spirale che è caratteristica di galassie nell'universo locale, come la Via Lattea. Sebbene le singole stelle non possono essere risolte da Hubble, l'evidenza suggerisce che questa è una galassia compatta di stelle calde che si deve essere iniziata a formare dai 100 ai 200 milioni di anni prima in una tasca di materia oscura.

La proto galassia è visibile solo nella parte a più lunghezze d'onda infrarosse osservabili da Hubble. Ciò significa che l'espansione dell'Universo ha allungato la sua luce più che qualsiasi altra galassia precedentemente individuata nella HUDF IR, al limite della capacità di Hubble.
Gli astronomi scandagliano le profondità del cosmo misurando la quantità di luce da un oggetto che è stato allungato con l'espansione dello spazio. Questo viene chiamato redshift o valore "Z". Prima di Hubble, gli astronomi hanno potuto vedere solo le galassie con un Z di circa 1, corrispondenti a 6 miliardi di anni dopo il Big Bang. L'Hubble Deep Field adottato nel 1995, ha fatto balzare il valore di  Z = 4, pari a circa il 90 per cento della strada verso l'inizio del tempo. La nuova Advanced Camera e l'Hubble Ultra Deep Field ha rinviato il limite per Z ~ 6.
La prima fotocamera ad infrarossi di Hubble, la Near Infrared Camera e il Multi Object Spectrometer allungò Z a 7. Il WFC3/IR ha raggiunto Z ~ 8, e ora è plausibilmente penetrato per la prima volta a Z = 10 (circa 500 milioni di anni dopo il Big Bang). Con il Webb Space Telescope si prevede di saltare a Z ~ 15, e forse oltre. Le prime stelle potrebbero risalire a Z da oltre 15 fino a 30, o 100-250,000,000 anni dopo il Big Bang.

Non è chiaro come l'Universo sia uscito dalla fase di esplosione, ma gli astronomi ipotizzano che ci deve essere stato un primo periodo di rapidi cambiamenti che avrebbe fissato le condizioni iniziali per rendere l'Universo ricco galassie come le vediamo oggi. Gli astronomi attendono con impazienza i nuovi telescopi spaziali e terrestri per scoprirlo!

La ricerca è pubblicata il 27 gennaio 2011 sulla rivista Nature.

Foto in alto: 
Questa immagine della Hubble Ultra Deep Field, è una piccola parte della più profonda immagine ad infrarosso mai ripreso dell'Universo. La piccola scatola blu delinea l'area in cui astronomi hanno scoperto quello che potrebbe essere la galassia più distante mai vista, a 13.2 miliardi di anni luce di distanza, il che significa la sua luce è stata emessa solo 480.000 mila anni dopo il Big Bang. E' piccola e molto leggera ed è indicata separatamente nella casella più grande. La galassia è indicato come blu perché la luce emessa è molto azzurro grazie al suo alto tasso di nascita stellare, anche se per il momento la luce raggiunto Hubble era stato allungato nell'infrarosso con l'espansione dello spazio, dandogli un valore di redshift di circa 10 . Il suo nome ufficiale è UDFj-39546284, ma gli astronomi si riferiscono ad essa come il "redshift 10 galaxy candidate". (Credit: NASA, ESA, Garth Illingworth (University of California, Santa Cruz) and Rychard Bouwens (University of California, Santa Cruz and Leiden University) and the HUDF09 Team)



mercoledì 26 gennaio 2011

Betelgeuse ready to explode? [English - Italiano]

Betelgeuse, the red supergiant star at 640 light years from here, is dying. Massimo Turatto, director OA Trieste, in this interview reveals what really happens when it came his time (within the next million years), what you see from Earth because it would be better not to look out the window.

One morning we wake up and, looking out the window, we will see two suns shining above the city. Not exactly the two disks, as in Star Wars, but another new source beam in the sky, though point. Science fiction? No. It is the scenario that probably will occur (and will last for a few months) when the red supergiant Betelgeuse, now dying, will end his day, disintegrating in catastrophic explosions, visible to the naked eye, given its proximity to us, is only 640 light years from here, in the constellation of Orion.

It was enough that the physical Brad Carter, University of Queensland, to declare the site news.com.au that the event can happen before the infamous 2012, or at any time in the next few million years, to unleash the Apocalypse Cassandre , terrorizing the followers of the Mayan prophecy, galvanize fans of the famous saga of George Lucas, excited at the thought of Earth as the world Tatooine.

Sorry to play the part of the damper. But there is little to fear, and perhaps even less to celebrate. Massimo
Turatto, Director of INAF - Italian Astronomic Observatory of Trieste in this interview reveals truths and lies on the supernova that "soon" explode. Read it slowly, so it is useless to rush away from home. Nobody knows when the show will be staged, but it is very unlikely to happen right now. Also, it might not be so convenient to stay in the front row watching. We are still talking about a mega-bomb that explodes in our galaxy.

Massimo Turatto, it is possible that Betelgeuse explodes before 2012?
There is absolutely no way to predict it. What we know for sure is that stars of this type, at the end of their evolution, self-destruct in a spectacular explosion. Almost all the material is ejected into interstellar space at a speed of 30,000 kilometers per second, is released an impressive amount of energy and for a few days ago more light supernova in the galaxy. In the end, only leaves "ashes" means a compact neutron star or a black hole. Betelgeuse is intended to make this end soon enough: it is a red supergiant, 20 times larger than the Sun, now in the terminal phase. Means that it can die tomorrow or millions of years in cosmological terms, it is still a fraction of a very short time.

How to recognize a star "dying"?
The temperature of the outer layers of Betelgeuse is about 3,500 ° C, much lower than a young star of its size. At this stage, you are running low on fuel that powers the thermonuclear reactions in the core, a true central star, where the heat can reach tens of millions of degrees.

What you would see from Earth, following a nuclear disaster like that?
If Betelgeuse burst when it is angularly close to the Sun, it would be so brilliant that we would see as a bright dot in the sky, even during the day, but imagine a fireball, like the Sun! It would however be a 'point-like image, but very bright point.

It's never happened to see a supernova up close?
There are historical evidence of similar events in past centuries and millennia, like the explosion of a supernova in 1054, in the constellation of the Crab. In 1572 the Danish astronomer Tycho Brahe, he remarked, in 1604 Johannes Kepler and Galileo Galilei I saw another naked eye, in the Milky Way. The last, occurring without the aid of telescopes, dates back to 1987, was in the Large Magellanic Cloud, satellite galaxy to our own. Paradoxically, it is more difficult to detect such objects in our galaxy, because the clouds of dust and gas in the galactic plane obscures the view.

How frequent are the explosions of supernovae?
The space and ground telescopes can detect dozens every day across the observable Universe. In the Milky Way it has on average one every 50 years. It must be said that Betelgeuse is not the only candidate for an imminent explosion. There are dozens of massive stars and older, fairly close to us and at the same level.


There would be consequences for us?  
I would have some concern, at least in the early hours. In addition to visible light, harmless, we would be hit by a stream of invisible electromagnetic radiation, particularly X-rays and ultraviolet rays, which could potentially change the Earth's atmosphere, ionization, and lowering it. From Betelgeuse we'll get a lot of energy of this kind between 5,000 and 10,000 times higher than the Sun, but being protected by the atmosphere, it is difficult to make a quantitative estimate of the impact on health and the environment. Almost certainly, such an event would send tilt in satellite telecommunications and may burn room sensors mounted on space telescopes, not rated for such intense radiation.

A supernova could change the balance of the planet?  
The distance at which there is no Betelgeuse. However, in the early hours there would be risks. It is not impossible, in general, that a supernova close to the Earth can cause serious damage. According to some, is one of the hypotheses to explain the mass extinction of dinosaurs.

What the scientists could discover in such an occasion? 
Very much. The observations of 1987 have allowed us to confirm that the explosion of massive stars by gravitational collapse occurs and revealed 20 neutrinos, particles that constantly rain down on Earth but do not allow themselves to grasp. For astronomers would be great opportunity to closely observe a phenomenon that may give rise to drops blacks.

The Sun is destined to end?  
No, primarily concerned with the fate of supernova stars with masses greater than 8 solar masses. But the Sun conceals other mysteries. For example I am fascinated by the idea that has maintained its radiation fairly constant for billions of years to allow the development of life and intelligent life.


a cura di Daria Cipollini
Betelgeuse: presto esploderà?
Betelgeuse, supergigante rossa a 640 anni luce da qui, sta morendo. Massimo Turatto, direttore OA Trieste, rivela in quest'intervista cosa succederà davvero quando sarà giunta la sua ora (entro i prossimi milioni di anni), cosa si vedrà dalla Terra e perché sarebbe meglio non affacciarsi dalla finestra.

Una mattina ci sveglieremo e, guardando fuori dalla finestra, vedremo due soli risplendere sopra la città. Non proprio due dischi, come in Star Wars, ma un’altra nuova sorgente abbagliante nel cielo, benchè puntiforme. Fantascienza? No. È lo scenario che verosimilmente si presenterà (e durerà per alcuni mesi) quando la supergigante rossa Betelgeuse, ormai in fin di vita, metterà fine ai suoi giorni, disintegrandosi in un’esplosione catastrofica, visibile a occhio nudo, data la sua vicinanza a noi: è a soli 640 anni luce da qui, nella costellazione di Orione.
È bastato che il fisico Brad Carter, dell’Università del Queensland, dichiarasse al sito news.com.au che l’evento può accadere prima del famigerato 2012, o in ogni momento nei prossimi milioni di anni, per scatenare le Cassandre dell’Apocalisse, terrorizzare i seguaci della profezia Maya, galvanizzare gli appassionati della celebre saga di George Lucas, esaltati al pensiero della Terra come il mondo Tatooine.
Ci spiace fare la parte dei guastafeste. Ma c’è poco da temere, e forse men che meno da festeggiare. Massimo Turatto, direttore dell’INAF – Osservatorio Astronomico di Trieste in quest’intervista svela verità e bugie sulla supernova che “presto” esploderà. Leggetela con calma, tanto è inutile precipitarsi fuori casa. Nessuno sa quando andrà in scena lo spettacolo, ma è assai improbabile che avvenga proprio ora. Inoltre, potrebbe non essere così conveniente stare in prima fila a guardare. Stiamo pur sempre parlando di una mega-bomba atomica che scoppia nella nostra galassia.

Massimo Turatto, è possibile che Betelgeuse esploda prima del 2012?
Non c’è assolutamente modo di prevederlo. Quello che sappiamo con certezza è che stelle di questo tipo, al termine della loro evoluzione, si autodistruggono con una spettacolare deflagrazione. Quasi tutto il materiale viene espulso nello spazio interstellare alla velocità di 30 mila chilometri al secondo, si sprigiona una quantità impressionante di energia e per alcuni giorni la supernova fa più luce dell’intera galassia. Alla fine, restano solo le “ceneri”: una stella di neutroni estremamente compatta, o un buco nero. Betelgeuse è destinata a fare questa fine abbastanza presto: è una supergigante rossa, 20 volte più grande del Sole, ormai in fase terminale. Significa che può morire domani o fra milioni di anni: in termini cosmologici, si tratta comunque di una frazione di tempo brevissima.

Come si riconosce una stella “in fin di vita”?
La temperatura degli strati esterni di Betelgeuse è di circa 3.500 °C, molto inferiore rispetto a una giovane stella delle sue dimensioni. Giunta a queste fase, si sta per esaurire il combustibile che alimenta le reazioni termonucleari nel nucleo, vera e propria centrale della stella, dove il calore può arrivare a decine di milioni di gradi.

Che cosa si vedrebbe dalla Terra, in seguito a un disastro nucleare del genere?
Se Betelgeuse scoppiasse nel momento in cui è angolarmente vicina al Sole, sarebbe così brillante che la vedremmo in cielo come un puntino luminoso, anche di giorno, ma non immaginiamo una palla infuocata, tipo il Sole! Sarebbe comunque un’ immagine puntiforme , molto brillante ma puntiforme.

È mai successo di vedere una supernova a distanza ravvicinata?
Esistono testimonianze storiche di eventi simili nei secoli e millenni scorsi, come l’esplosione di una supernova nel 1054, nella costellazione del Granchio. Nel 1572 l’astronomo danese Tycho Brahe ne osservò una, nel 1604 Giovanni Keplero e Galileo Galilei ne videro un’altra a occhio nudo, nella Via Lattea. L’ultima, osservabile senza ausilio di telescopi, risale al 1987: si trovava nella grande nube di Magellano, galassia satellite alla nostra. Paradossalmente, è più difficile scoprire oggetti di questo tipo nella nostra galassia, perché le nubi di polveri e gas sul piano galattico ne oscurano la vista.

Quanto sono frequenti le esplosioni di supernovae?
I telescopi spaziali e a terra riescono a rilevarne decine ogni giorno in tutto l’Universo osservabile. Nella Via Lattea se ne conta in media una ogni 50 anni. C’è da dire che Betelgeuse non è l’unica candidata a un’imminente esplosione. Ci sono decine di stelle massicce e anziane, abbastanza vicine a noi e allo stesso stadio.

Ci sarebbero conseguenze per noi?
Qualche preoccupazione ce l’avrei, almeno nelle prime ore. Oltre alla luce visibile, innocua, saremmo investiti da un flusso di radiazioni elettromagnetiche non visibili, in particolare raggi X e ultravioletti, che potrebbero teoricamente modificare l’atmosfera terrestre, ionizzandola e abbassandola. Da Betelgeuse ci arriverebbe una quantità di energia di questo tipo tra le 5.000 e le 10.000 volte superiore rispetto al Sole, ma essendo protetti dall’atmosfera, è difficile fare una stima quantitativa dell’impatto sulla salute e l’ambiente. Quasi certamente, un evento del genere manderebbe in tilt le telecomunicazioni satellitari e potrebbe bruciare i sensori delle camere montate sui telescopi spaziali, non tarati per radiazioni così intense.

Una supernova potrebbe cambiare gli equilibri del pianeta?
Alla distanza a cui si trova Betelgeuse no. Tuttavia, nelle prime ore ci sarebbero dei rischi. Non è da escludere, in generale, che una supernova molto vicina alla Terra possa causare seri danni. Secondo alcuni, è una delle ipotesi per spiegare l’estinzione di massa dei dinosauri.

Cosa potrebbero scoprire gli scienziati in un’occasione simile?
Moltissimo. Le osservazioni del 1987 hanno permesso di confermare che l’esplosione della stelle massicce avviene per collasso gravitazionale e hanno rivelato 20 neutrini, particelle che piovono continuamente sulla Terra ma non si lasciano afferrare. Per gli astronomi sarebbe un’opportunità grandiosa di osservare da vicino un fenomeno che può dare origine ai buchi neri.

Anche il Sole è destinato a fare questa fine?
No, il destino di supernova riguarda principalmente stelle con masse superiori a 8 masse solari.  Ma il Sole nasconde altri misteri. Per esempio mi affascina l’idea che abbia mantenuto la sua radiazione abbastanza costante per miliardi di anni in modo da permettere lo sviluppo della vita e della vita intelligente.


Astronomers Release the Largest Color Image of the Sky Ever Made [English-Italiano]


The Sloan Digital Sky Survey-III (SDSS-III) has released the largest digital color image of the sky ever made, and its free to all. The image has been put together over the last decade from millions of 2.8-megapixel images, thus creating a color image of more than a trillion pixels. This terapixel image is so big and detailed that one would need 500,000 high-definition TVs to view it at its full resolution.


"This image provides opportunities for many new scientific discoveries in the years to come," exclaims Bob Nichol, a professor at the University of Portsmouth and Scientific Spokesperson for the SDSS-III collaboration.
The new image is at the heart of new data being released by the SDSS-III collaboration at 217th American Astronomical Society meeting in Seattle. This new SDSS-III data release, along with the previous data releases that it builds upon, gives astronomers the most comprehensive view of the night sky ever made. SDSS data have already been used to discover nearly half a billion astronomical objects, including asteroids, stars, galaxies and distant quasars. The latest, most precise positions, colors and shapes for all these objects are also being released.
"This is one of the biggest bounties in the history of science," says Professor Mike Blanton from New York University, who is leading the data archive work in SDSS-III.
Illustration: This illustration shows the wealth of information on scales both small and large available in the SDSS-III's new image. The picture in the top left shows the SDSS-III view of a small part of the sky, centered on the galaxy Messier 33 (M33). The middle top picture is a further zoom-in on M33, showing the spiral arms of this Galaxy, including the blue knots of intense star formation known as "HII regions." The top right-hand picture is a further zoom into M33 showing the object NGC604, which is one of the largest HII regions in that galaxy. The figure at the bottom is a map of the whole sky derived from the SDSS-III image, divided into the northern and southern hemispheres of our galaxy. Visible in the map are the clusters and walls of galaxies that are the largest structures in the entire universe. (Credit: M. Blanton and the SDSS-III)


Blanton and many other scientists have been working for months preparing the release of all this data. This data will be a legacy for the ages, explains Blanton, as previous ambitious sky surveys like the Palomar Sky Survey of the 1950s are still being used today. We expect the SDSS data to have that sort of shelf life," comments Blanton.

The image was started in 1998 using what was then the worlds largest digital camera a 138-megapixel imaging detector on the back of a dedicated 2.5-meter telescope at the Apache Point Observatory in New Mexico, USA. Over the last decade, the Sloan Digital Sky Survey has scanned a third of the whole sky. Now, this imaging camera is being retired, and will be part of the permanent collection at the Smithsonian in recognition of its contributions to Astronomy.
"Its been wonderful to see the science results that have come from this camera," says Connie Rockosi, an astronomer from the University of California Santa Cruz, who started working on the camera in the 1990s as an undergraduate student with Jim Gunn, Professor of Astronomy at Princeton University and SDSS-I/II Project Scientist. Rockosi's entire career so far has paralleled the history of the SDSS camera. "Its a bittersweet feeling to see this camera retired, because Ive been working with it for nearly 20 years," she says.
But what next? This enormous image has formed the basis for new surveys of the Universe using the SDSS telescope.

These surveys rely on spectra, an astronomical technique that uses instruments to spread the light from a star or galaxy into its component wavelengths. Spectra can be used to find the distances to distant galaxies, and the properties (such as temperature and chemical composition) of different types of stars and galaxies.
"We have upgraded the existing SDSS instruments, and we are using them to measure distances to over a million galaxies detected in this image," explains David Schlegel, an astronomer from Lawrence Berkeley National Laboratory, and the Principal Investigator of the new SDSS-III Baryon Oscillation

Spectroscopic Survey (BOSS). Schlegel explains that measuring distances to galaxies is more time- consuming than simply taking their pictures, but in return, it provides a detailed three-dimensional map of the galaxies' distribution in space.
BOSS started taking data in 2009 and will continue until 2014, explains Schlegel. Once finished, BOSS will be the largest 3-D map of galaxies ever made, extending the original SDSS galaxy survey to a much larger volume of the Universe. The goal of BOSS is to precisely measure how so-called "Dark Energy" has changed over the recent history of the Universe. These measurements will help astronomers understand the nature of this mysterious substance. "Dark energy is the biggest conundrum facing science today," says Schlegel, "and the SDSS continues to lead the way in trying to figure out what the heck it is!"

In addition to BOSS, the SDSS-III collaboration has been studying the properties and motions of hundreds of thousands of stars in the outer parts of our Milky Way Galaxy. The survey, known as the Sloan Extension for Galactic Understanding and Exploration or SEGUE started several years ago but has now been completed as part of the first year of SDSS-III.

In conjunction with the new image, astronomers from SEGUE are also releasing the largest map of the outer Galaxy ever released. "This map has been used to study the distribution of stars in our Galaxy," says Rockosi, the Principal Investigator of SEGUE. "We have found many streams of stars that originally belonged to other galaxies that were torn apart by the gravity of our Milky Way. We've long thought that galaxies evolve by merging with others; the SEGUE observations confirm this basic picture."

SDSS-III is also undertaking two other surveys of our Galaxy through 2014. The first, called MARVELS, will use a new instrument to repeatedly measure spectra for approximately 8500 nearby stars like our own Sun, looking for the tell-tale wobbles caused by large Jupiter-like planets orbiting them. MARVELS is predicted to discover around a hundred new giant planets, as well as potentially finding a similar number of "brown dwarfs" that are intermediate between the most massive planets and the smallest stars.
The second survey is the APO Galactic Evolution Experiment (APOGEE), which is using one of the largest infrared spectrographs ever built to undertake the first systematic study of stars in all parts of our Galaxy; even stars on the other side of our Galaxy beyond the central bulge. Such stars are traditionally difficult to study as their visible light is obscured by large amounts of dust in the disk of our Galaxy. However, by working at longer, infrared wavelengths, APOGEE can study them in great detail, thus revealing their properties and motions to explore how the different components of our Galaxy were put together.
"The SDSS-III is an amazingly diverse project built on the legacy of the original SDSS and SDSS-II surveys," summarizes Nichol. "This image is the culmination of decades of work by hundreds of people, and has already produced many incredible discoveries. Astronomy has a rich tradition of making all such data freely available to the public, and we hope everyone will enjoy it as much as we have."

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LA FOTO DIGITALE DEL CIELO PIU' GRANDE MAI REALIZZATA. Adattamento e traduzione a cura di Arthur McPaul

Lo Sloan Digital Sky Survey-III (SDSS-III) ha rilasciato la più grande immagine digitale a colori del cielo mai fatta, realizzata da milioni foto degli ultimi dieci anni di 2,8 megapixel, che ha dato vita ad una unica a colori di oltre un trilione di pixel.
Questa immagine terapixel è così grande e dettagliata che per vederla a piena risoluzione sarebbero necessari almeno 500 mila televisori ad alta definizione.


"Questa immagine offre l'opportunità per molte nuove scoperte scientifiche, negli anni a venire", ha riferito Bob Nichol, professore presso l'Università di Portsmouth e Portavoce scientifico per la SDSS-III.

Illustrazione in alto :Questa figura mostra la ricchezza di informazioni su scale piccole e grandi disponibili in nuova immagine del SDSS-III. L'immagine in alto a sinistra mostra la vista SDSS-III di una piccola parte del cielo, centrata sulla galassia Messier 33 (M33). L'immagine in alto al centro è un ulteriore zoom su M33, che mostra i bracci a spirale della galassia, tra i nodi blu intenso della formazione stellare nota come "regioni HII." L'immagine in alto a destra è un ulteriore zoom che mostra l'oggetto M33 NGC604, una delle più grandi regioni HII in quella galassia. La figura in fondo è una mappa di tutto il cielo derivata dall'immagine SDSS-III, suddivisa in due emisferi settentrionale e meridionali della nostra galassia. Nella mappa sono visibili i cluster di galassie che sono le più grandi strutture in tutto l'universo. (Credit: Blanton M. e la SDSS-III)

La nuova immagine è al centro dei nuovi dati rilasciati dalla collaborazione SDSS-III alla 217a riunione dell'American Astronomical Society a Seattle. Questo nuovo rilascio dei dati, associato con le versioni precedenti di dati su cui si basa, offre agli astronomi la visione più completa del cielo notturno mai fatto. I dati SDSS sono già stati utilizzati per scoprire quasi mezzo miliardo di oggetti astronomici, tra cui asteroidi, stelle, galassie e quasar distanti. Le ultime immagini rilasciate hanno più precise posizioni, colori e forme di questi oggetti.

"Questo è uno dei più grandi doni nella storia della scienza", ha detto il professor Mike Blanton alla New York University, che guida il lavoro di archivio dati in SDSS-III. Blanton e molti altri scienziati hanno lavorato per mesi alla preparazione di tutti questi dati che saranno un'eredità per i secoli, spiega Blanton, come precedenti ambiziose indagini indagini del cielo tra cui la Palomar Sky Survey del 1950 che sono ancora in uso oggi.
L'immagine è stata avviata nel 1998 con quella che allora era la più grande macchina fotografica digitale al mondo, un rivelatore di immagine da 138-megapixel sul retro di un telescopio dedicato di 2,5 metri all'Apache Point Observatory nel New Mexico, USA. Negli ultimi dieci anni, la Sloan Digital Sky Survey ha scannerizzato un terzo di tutto il cielo. Ora, questa termocamera è in pensione, e farà parte della collezione permanente dello Smithsonian per i suoi contributi al Astronomia.

Connie Rockosi, astronomo presso l'Università della California di Santa Cruz ha detto che "E' una sensazione agrodolce vedere questa fotocamera in pensione, perché ci ho lavorato per quasi 20 anni".

Questa immagine sarà la base per nuove indagini dell'Universo utilizzando il telescopio SDSS. Queste indagini si basano sugli spettri, una tecnica che utilizza gli strumenti astronomici per diffondere la luce di una stella o galassia nelle sue lunghezze d'onda componenti. Lo spettro può essere utilizzato per calcolare le distanze di galassie lontane e le proprietà (come la temperatura e composizione chimica) di diversi tipi di stelle e galassie.

"Abbiamo aggiornato gli strumenti esistenti SDSS e li stiamo utilizzando per misurare le distanze di oltre un milione di galassie rilevate in questa immagine" spiega David Schlegel, un astronomo del Lawrence Berkeley National Laboratory e Principal Investigator del nuovo SDSS-III Barion Spettroscopic Oscillation (BOSS). Schlegel spiega che la misura delle distanze di galassie fornisce anche una mappa dettagliata tridimensionale della loro distribuzione nello spazio.

BOSS ha iniziato a prendere i nuovi dati nel 2009 e continuerà fino al 2014, ha spiegato Schlegel. Una volta finito, BOSS sarà la più grande mappa in 3-D delle galassie mai fatta dall'uomo. L'obiettivo di BOSS è quello di misurare con precisione come la cosiddetta "energia oscura" è cambiata nel corso della recente storia dell'Universo. Queste misure aiuteranno gli astronomi a comprendere la natura di questa sostanza misteriosa. "L'energia oscura è il più grande enigma della scienza cosmica dei giorni nostri" ci dice Schlegel, "e la SDSS continuerà a guidare la ricerca per cercare di capire cosa diavolo sia!"

Oltre al BOSS la collaborazione SDSS-III studia le proprietà ed i movimenti di centinaia di migliaia di stelle nelle parti esterne della nostra Via Lattea. L'indagine, conosciuta come Sloan for Galactic Understanding and Exploration o SEGUE ha iniziato diversi anni fa ma ora è stata completato come parte del primo anno di ricerca SDSS-III.

In concomitanza con la nuova immagine, gli astronomi di SEGUE stanno anche rilasciando la più grande mappa della galassia esterna mai rilasciata. "Questa mappa è stata utilizzata per studiare la distribuzione delle stelle nella nostra Galassia", dice Rockosi, Principal Investigator di SEGUE".

Abbiamo trovato diverse correnti di stelle che originariamente appartenevano ad altre galassie che sono state distrutte dalla gravità della nostra Via Lattea. Abbiamo a lungo pensato che le galassie si evolvono attraverso la fusione con le altre e le osservazioni di SEGUE confermno questo quadro di base".

SDSS-III ha anche avviato due indagini: la prima, chiamata MARVELS, userà un nuovo strumento per misurare ripetutamente gli spettri per le circa 8500 stelle vicine come il nostro Sole, cercando le oscillazioni causate da grandi pianeti simili a Giove in orbita attorno loro. MARVELS prevede di scoprire un centinaio di nuovi pianeti giganti, così come un numero analogo di "nane brune", che sono intermedie tra i pianeti più massicci e le stelle più piccole.

La seconda indagine è l'APO Galactic Evolution Experiment (apogeo), che sta utilizzando uno dei più grandi spettografi mai costruiti a raggi infrarossi per intraprendere il primo studio sistematico delle stelle in tutte le parti della nostra galassia; stelle anche al di là della nostra Galassia al di là del rigonfiamento centrale. Queste stelle sono tradizionalmente difficili da studiare perchè la loro luce visibile è oscurata da grandi quantità di polvere nel disco della nostra Galassia. Tuttavia, lavorando a lungo, in particolari lunghezze d'onda infrarosse, APOGEE potrà studiarle in grande dettaglio, rivelando così le loro proprietà e come le diverse componenti della nostra galassia sono state messe insieme.

"La SDSS-III è un progetto incredibilmente diversificato costruito sull'eredità del SDSS originale e indagini di SDSS-II", riassume Nichol. "Questa immagine è il risultato di decenni di lavoro fatto da centinaia di persone, e ha già prodotto molte scoperte incredibili.




domenica 23 gennaio 2011

New Looks at Phobos from Mars Express Flyby [English - italian note]

Phobos, as seen by Mars Express on Jan. 9, 2011 from a distance of about 100 km. Credit: ESA/DLR/FU Berlin (G. Neukum

The Mars Express team released the images today from the close flyby the spacecraft made of Phobos on January 9. The images weren’t downloaded from Mars Express until Jan. 18, and then they were processed, so these are hot off the press. The team didn’t provide much explanation, but enjoy the images. There’s one 3-D view in the group, so grab your 3-D glasses.

Il team di Mars Express ha rilasciato le immagini dell'incontro ravvicinato di Phobos del 9 Gennaio 2011.

Another view of Phobos from Mars Express. Credits: ESA/DLR/FU Berlin (G. Neukum)


A sequence of images from 5 different channels on the high resolution camera on Mars Express. Credits: ESA/DLR/FU Berlin (G. Neukum) - 
Sequenza di 5 "canali" HRSC, orbita 8.974: (da sinistra a destra) S1 stereo (4,1m/pixel), P1 fotometrica (8,1m/pixel),nadir ND (3,9m/pixel), P2 fotometrica (8,2m/pixel), S2 stereo (4,3m/pixel).

3-D view of Phobos from Jan. 9, 2011. Credits: ESA/DLR/FU Berlin (G. Neukum)

Here’s the on 3-D view, and the team explained that due to the stereo viewing geometry during the flyby a small part of the moon’s edge is only visible for the right eye resulting in odd 3D-perception in this area. This part has been slightly adjusted for better viewing. Also, for the left eye at the left edge of the image four small data gaps have been interpolated.

Image of Phobos with a resolution of 8.2 m/pixel in orbit 8974. The ellipses marked the previously planned (red) and currently considered (blue) landing sites for the Russian Phobos-Grunt mission. Credits: ESA/DLR/FU Berlin (G. Neukum)
Le ellissi marcano il sito precedente scelto (rosso) e l'attuale confermato (azzurro)  per l'atterraggio per la missione russa Phobos-Grunt. 


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Mars Sliding Behind Sun After Rover Anniversary

NASA's Mars Exploration Rover Opportunity is spending the seventh anniversary of its landing on Mars investigating a crater called "Santa Maria," which has a diameter about the length of a football field. Image credit: NASA/JPL-Caltech/Cornell/ASU

PASADENA, Calif. - The team operating NASA's Mars rover Opportunity will temporarily suspend commanding for 16 days after the rover's seventh anniversary next week, but the rover will stay busy.

For the fourth time since Opportunity landed on Mars on Jan. 25, 2004, Universal Time (Jan. 24, Pacific Time), the planets' orbits will put Mars almost directly behind the sun from Earth's perspective.

During the days surrounding such an alignment, called a solar conjunction, the sun can disrupt radio transmissions between Earth and Mars. To avoid the chance of a command being corrupted by the sun and harming a spacecraft, NASA temporarily refrains from sending commands from Earth to Mars spacecraft in orbit and on the surface. This year, the commanding moratorium will be Jan. 27 to Feb. 11 for Opportunity, with similar periods for the Mars Reconnaissance Orbiter and Mars Odyssey orbiter.

Downlinks from Mars spacecraft will continue during the conjunction period, though at a much reduced rate. Mars-to-Earth communication does not present risk to spacecraft safety, even if transmissions are corrupted by the sun.

NASA's Mars Reconnaissance Orbiter will scale back its observations of Mars during the conjunction period due to reduced capability to download data to Earth and a limit on how much can be stored onboard.

Opportunity will continue sending data daily to the Odyssey orbiter for relay to Earth. "Overall, we expect to receive a smaller volume of daily data from Opportunity and none at all during the deepest four days of conjunction," said Alfonso Herrera, a rover mission manager at NASA's Jet Propulsion Laboratory, Pasadena, Calif.

The view is presented in false color to emphasize differences among materials in the rocks and the soils. Image credit: NASA/JPL-Caltech/Cornell/ASU

The rover team has developed a set of commands to be sent to Opportunity in advance so that the rover can continue science activities during the command moratorium.

"The goal is to characterize the materials in an area that shows up with a mineralogical signal, as seen from orbit, that's different from anywhere else Opportunity has been," said JPL's Bruce Banerdt, project scientist for Opportunity and its rover twin, Spirit. The area is at the southeastern edge of a crater called "Santa Maria," which Opportunity approached from the west last month.

Drives last week brought Opportunity to the position where it will spend the conjunction period. From that position, the rover's robotic arm can reach an outcrop target called "Luis de Torres." The rover's Moessbauer spectrometer will be placed onto the target for several days during the conjunction to assess the types of minerals present. The instrument uses a small amount of radioactive cobalt-57 to elicit information from the target. With a half-life of less than a year, the cobalt has substantially depleted during Opportunity's seven years on Mars, so readings lasting several days are necessary now to be equivalent to much shorter readings when the mission was newer.

The panorama spans 125 compass degrees, from north-northwest on the left to south-southwest on the right. Image credit: NASA/JPL-Caltech/Cornell/ASU

Opportunity will also make atmospheric measurements during the conjunction period. After conjunction, it will spend several more days investigating Santa Maria crater before resuming a long-term trek toward Endurance crater, which is about 22 kilometers (14 miles) in diameter and, at its closest edge, about 6 kilometers (4 miles) from Santa Maria.

Opportunity's drives to the southeastern edge of Santa Maria brought the total distance driven by the rover during its seventh year on Mars to 7.4 kilometers (4.6 miles), which is more than in any previous year. The rover's total odometry for its seventh anniversary is 26.7 kilometers (16.6 miles).

Opportunity and Spirit, which landed three weeks apart, successfully completed their three-month prime missions in April 2004, then began years of bonus extended missions. Both have made important discoveries about wet environments on ancient Mars that may have been favorable for supporting microbial life. Spirit's most recent communication was on March 22, 2010. On the possibility that Spirit may yet awaken from a low-power hibernation status, NASA engineers continue to listen for a signal from that rover.

JPL, a division of the California Institute of Technology in Pasadena, manages the Mars Exploration Rover project for NASA's Science Mission Directorate, Washington.