Introduzione
L'Epopea di Gilgamesh è un poema epico babilonese, scritto in caratteri cuneiformi su tavolette d'argilla, che risale a circa 4500 anni fa.
Nella seconda metà del secolo scorso, continuando gli scavi che avevano portato alla luce gli stupendi palazzi di Ninive, l’antica capitale dell’impero Assiro, due archeologi, Sir Austen Layard e il suo assistente Hormuzd Rassam, quasi per caso notarono due vani annessi al palazzo; lì vi trovarono la biblioteca del re Assurbanipal III (668-627 a.C.), e in essa 20.000 testi su argilla che trattavano di matematica, astronomia, medicina, filosofia, e insieme ad essi 12 massicce tavole d’argilla che narravano le gesta di un uomo vissuto prima e dopo la grande catastrofe di un diluvio, GILGAMESH, quinto re della città di Uruk, la più grande città della Babilonia meridionale. La biblioteca di Ninive aveva restituito all’umanità non solo la prima grande epopea della storia del mondo, ma addirittura una più antica versione del Diluvio di quella descritta nella Bibbia! (foto in alto: sigillo di Ur III, credit: British Museum)
Nella seconda metà dell'Ottocento George Smith, un incisore di banconote britannico, venne assunto alla sezione assira del British Museum di Londra, grazie all'interessamento di sir Henry Rawlinson. Nel 1872 Smith trascrisse e tradusse l'Epopea di Gilgamesh grazie alle tavolette trovate nei magazzini del museo. Nella trascrizione tuttavia mancava una parte, corrispondente a 17 righe. La notizia arrivò al giornale Daily Telegraph, il quale sovvenzionò una spedizione per cercare le tavolette mancanti, mettendone a capo Smith stesso (foto in alo: tavoletta del Poema di Gilgamesh
La spedizione ottenne i risultati sperati. Il 14 maggio 1873 Smith rinvenne le tavolette mancanti: «scesi ad esaminare il deposito di frammenti di iscrizioni cuneiformi provenienti dagli scavi del giorno, togliendo la terra e spazzandola per leggerne il contenuto. Pulendone una trovai con mia gioia e sorpresa che conteneva la maggior parte delle diciassette righe di un’iscrizione appartenente alla prima colonna del racconto caldeo del Diluvio, che si inserivano nell’unico punto dove c’era una grave lacuna nel racconto».
L'opera
L'Epopea di Gilgamesh raccoglie quindi tutti quegli scritti che hanno come oggetto le imprese del mitico re di Uruk ed è da considerarsi il più importante dei testi mitologici babilonesi e assiri pervenuti fino a noi.
Tutti i popoli che sono venuti a contatto con il mondo sumerico hanno avvertito la grandezza dell'ispirazione, tanto è vero che tavolette cuneiformi con il testo di Gilgameš sono state trovate in Anatolia, scritte in ittita e hurrita, e in Siria-Palestina. I testi più antichi che trattano le avventure dell'eroe appartengono alla letteratura sumerica e scene dell'epopea si ritrovano, oltre che su vari bassorilievi, su sigilli cilindrici del III millennio a.C.
La vicenda si divide in vari episodi: l’incontro di Gilgamesh con Enkidu, che diventa suo amico; un viaggio nella foresta per uccidere un mostro; il disprezzo per una dea; la morte del compagno; la ricerca dell’immortalità. Questa storia, come ci dice la tavoletta IX nella colonna 4, si svolge "lungo la via del sole", la qual cosa a un archeologo o ad uno storico può non dire niente, ma ad un astrologo dice che lo scenario di tutta la vicenda sta in cielo, dato che "la via del sole" altri non è che l’ECLITTICA.
Infatti, le gesta e i luoghi del racconto (di questo come di altri racconti mitici) vanno inseriti, ricercati, non su di un mappamondo ma in alto nel cielo, e precisamente sulla fascia dell’eclittica, ché è quello il luogo ove appunto si svolgono gli eventi mitici e dove ha sede il motivo che sta alla base di detti eventi, ovvero l’obliquità dell’eclittica, cioè quella situazione astrale dovuta al fatto che la Terra è inclinata, rispetto al piano equatoriale, di 23°30’. Tale inclinazione fa sì che l’asse terrestre giri come una trottola, così se prolunghiamo questo asse fino al polo celeste nord, questo descrive intorno al suddetto polo un cerchio; il tempo occorrente a questo asse prolungato per ruotare intorno al polo settentrionale dell’eclittica è di circa 25.920 anni, durante i quali il suo orientamento passa da una stella all’altra, stella che noi chiamiamo Polare (dal greco polos, cioè asse, perno): nel 6.000 circa a.C. la Stella Polare era la iota della Costellazione del Dragone; nel 3.000 circa a.C. era Thuban l’alfa della stessa Costellazione; ai tempi della Grecia Classica era Kochab, la beta dell’Orsa Minore; oggi è l’alfa dell’Orsa Minore (che noi chiamiamo Polaris), mentre nel 4.000 d.C. sarà Vega, l’alfa della Costellazione della Lira.
Questo fenomeno è detto Precessione degli Equinozi: i punti equinoziali (e quindi anche quelli solstiziali) non rimangono fermi là dove dovrebbero stare, ma si muovono lungo l’eclittica in direzione opposta a quella dell’ordine dei Segni. A tale fenomeno gli antichi attribuivano l’ascesa e la caduta delle varie Ere (o Età) del mondo. Si diceva infatti che la costellazione zodiacale che sorgeva ad oriente prima del sole (levata eliaca) segnava il luogo ove il sole sostava. Tale costellazione veniva chiamata pilastro del cielo, e dava il nome alle varie Età del Mondo (della durata di 2.160 anni). Nel 6.647 a.C. l’equinozio di primavera era in Gemelli: era quindi questa la costellazione pilastro; si parlerà allora di ERA DEI GEMELLI; poi si passò lentamente al TORO, quindi all’ARIETE, infine ai PESCI, "dove si trova tuttora e dove continuerà a rimanere per ancora un po’ di tempo. La nostra Era è segnata dall’avvento di Cristo il Pesce...L’Età precedente, quella dell’Ariete, era stata annunziata da Mosè disceso dal Sinai ‘con le due corna’, cioè incoronato con le corna dell’Ariete, mentre il suo gregge disobbediente si ostinava a danzare intorno al ‘vitello d’oro’, meglio inteso come un 'toro d’oro', il Toro. Così, erano i cieli nelle loro rivoluzioni a dare la chiave...Ciò che si muoveva di moto proprio in cielo - i pianeti con le loro settimane e i loro anni - assumeva una gravità sempre più maestosa. Essi erano le Persone dal Vero Divenire: lo zodiaco era il luogo degli accadimenti reali..." (G. de Santillana e H. von Dechend, Il mulino di Amleto, ed. Adelphi, Milano, 1983). Quindi, quando sentiamo parlare di diluvi, di terra piatta o quadrangolare, di terra emersa o di acque di sotto, ciò si riferisce ad avvenimenti e luoghi che non sono di questo mondo ma che riflettono regole, fenomeni cosmici, vicende e sconvolgimenti astrali: ogni diluvio, quindi, può essere visto come evento distruttore di un’Era per far posto a quella successiva. I diluvi descritti dai Greci, i quali erano a conoscenza di ben tre distruzioni successive (e pensiamo a quello di cui sono protagonisti Deucalione e Pirra), si presentano come miti astrali in cui si vede morire un mondo inteso come un’Età del mondo.
Molte tradizioni collegano questa o quella catastrofe con elementi o figure stellari; citiamo un esempio preso dalla tradizione leggendaria ebraica di epoca tarda, citata da Frazer: "Ora, il diluvio fu causato dall’incontro delle acque maschili del cielo con le acque femminili che sgorgavano dalla terra. I buchi nel cielo da cui sfuggirono le acque di sopra erano stati fatti da Dio quando tolse alcune stelle dalla costellazioni delle Pleiadi; e per fermare quella fiumana di pioggia dovette poi turare i due buchi con un paio di stelle prese in prestito dalla costellazione dell’Orsa. E’ per questo che, ancora oggi, l’Orsa corre dietro alle Pleiadi: vuole indietro i suoi piccoli, ma non riuscirà mai ad averli fino all’Ultimo Giorno". Per quanto riguarda il diluvio vissuto da Deucalione e Pirra, le sue acque si ritrassero grazie al suono della buccina (antico strumento musicale formato da una conchiglia tortile) di Tritone, strumento che era stato inventato da Aigokeros, cioè il Capricorno, il signore del solstizio d’inverno quando era la costellazione dell’Ariete a ‘portare’ il sole (dal che si dovrebbe dedurre che questo diluvio servì come passaggio dall’ERA DEL TORO a quella dell’ARIETE, ciò che lo daterebbe al 2.350 a.C.!). Ricapitolando, la terra come luogo in cui si svolgono le vicende mitiche non è il nostro globo: terra indica qui il piano che si forma collegando i quattro punti dell’anno segnati dagli equinozi e dai solstizi, ovvero l’eclittica: i quattro angoli, cioè le costellazioni che sorgono insieme al sole agli equinozi e ai solstizi, sono i punti che determinano una terra; così ogni Età del mondo ha la sua terra, ed è proprio per questo che si parla di fine del mondo: quando i punti dell’anno vengono determinati da un nuovo gruppo di costellazioni zodiacali portate dalla Precessione degli Equinozi, sorge una terra nuova. Quindi il cielo come luogo di svolgimento delle vicende mitiche, lo Zodiaco come terra in cui nascono i miti, in cui si muovono Dei ed Eroi, e fra questi, appunto, GILGAMESH, per due terzi dio e per un terzo uomo.
(Statua di Gigamesh, credit: British Museum)
La Storia di Gilgamesh
Gilgamesh è un re dispotico, crudele, violento. Gli uomini di Uruk, annichiliti dalla sua arroganza e malvagità, si rivolgono alla dea Ninsun, madre di Gilgamesh, pregandola di creare un suo doppio, cioè qualcuno che gli sia pari per forza fisica e impetuosità di cuore. Gilgamesh cesserà di essere un Signore-Padrone dispotico il giorno in cui avrà trovato un suo pari, che sia nel contempo suo rivale e amico, così profetizza la dea che crea perciò Enkidu, dal corpo villoso e dai lunghi capelli femminili. Enkidu è il contrario di Gilgamesh. Semiselvaggio, vive e si accoppia con gli animali, vivendo nelle grotte o nella foresta. Dotato di forza sovrumana, distrugge tutto quanto incontra. Un giorno un cacciatore lo incontra nella foresta, e rimane talmente spaventato che subito corre dal suo re a raccontargli l’accaduto. Udite le parole del cacciatore, Gilgamesh decide che l’unico modo per ammansire quel mezzo animale è allontanarlo dalla sua condizione di bestia, dalla sua selvatichezza. Per far questo è necessario che venga sedotto, che conosca l’amore di una donna. Quindi Gilgamesh manda da Enkidu una cortigiana con l’incarico di sedurlo. Ella si unisce a lui per sette giorni e sette notti e finalmente riesce a farne un uomo. "Enkidu - disse la donna - sei divenuto bello come un dio, perché vuoi continuare a errare in compagnia degli animali? Suvvia, vieni con me, che io ti condurrò a Uruk. E’ lì, appunto, che Gilgamesh infuria come un toro e tiene sotto i suoi piedi tutti gli uomini". "Guidami alla città di Uruk - rispose Enkidu - e in quanto a Gilgamesh e al suo crudele dominio, io muterò ben presto lo stato delle cose. Io lo provocherò e lo sfiderò, e gli mostrerò, una volte per tutte, che i giovani campagnoli non sono degli imbecilli". L’incontro tra i due avviene alla porta del tempio. Gilgamesh e Enkidu si azzuffano come tori selvaggi, ma è il re che inaspettatamente ha la peggio, e comprende così di aver incontrato il suo degno avversario. La profezia della dea si avvera, e il risultato finale della lotta fu l’inizio di una lunga e tenera amicizia.
Passa il tempo, ed Enkidu nella nuova vita civile non si trova bene, e giorno dopo giorno si infiacchisce e intristisce sempre più. Allora Gilgamesh propone un’impresa: andare nella Foresta di Cedri a sfidare e uccidere il mostro Khumbaba. Giungono così presso la foresta foltissima, ai margini della quale si trova un’immensa porta; Enkidu la schiude, ma il grande portale, girando sui cardini, si richiude di colpo schiacciandogli la mano. Per dodici giorni Enkidu giace gemendo per il dolore, pensando di desistere dall’impresa. Ma Gilgamesh lo sprona, e i due entrano nella foresta dalla grande porta. Finalmente incontrano, sfidano e vincono il mostro Khumbaba. Gilgamesh però vuole risparmiargli la vita, mosso a compassione dai suoi lamenti, ma Enkidu insiste nell’ucciderlo, al che tutti e due sguainano le spade e staccano la mostruosa testa dal corpo gigantesco.
Al loro ritorno a Uruk, vittoriosi e festeggiati da tutti, si fa avanti la dea Ishtar, che ammaliata dall’impresa di Gilgamesh e più che altro dalla sua bellezza, gli chiede di giacere con lei diventando suo sposo. Ma Gilgamesh, sdegnosamente la rifiuta, al che la dea, furibonda, gli manda incontro il Toro Celeste, il cui galoppo è foriero di tempeste e terremoti e la cui venuta procura sette anni di siccità; ma Enkidu accorre in soccorso dell’amico, afferra una coscia e il membro del Toro Celeste, li strappa con un colpo violento e li getta in faccia alla dea., che umiliata e sconfitta se ne torna al suo cielo. Ma Ishtar ora fa le sue profferte a Enkidu, che lui sdegnosamente rifiuta, allora la dea lo punisce facendolo ammalare. Giorni e giorni dura l’agonia di Enkidu, finché il nono, vegliato dal suo amico, muore. Disperato Gilgamesh lo piange, e impone il lutto a tutta la nazione. Grande è il dolore per la perdita dell’amico, e grande è la paura che ‘forse’ anche lui dovrà morire.
Pensa così che l’unica soluzione è quella di diventare immortale, e parte alla ricerca di Utnapistim, che abita alla bocca dei due fiumi, l’unico che si è salvato dal diluvio e che gli Dei hanno fatto diventare un dio, pensando che lui saprà come renderlo immortale. Parte, e dopo molto tempo arriva alla Porta del Sole Tramontante sul monte Masu, che gli viene aperta dai guardiani, gli Uomini-Scorpione. Viaggia dodici ore nel buio di un sotterraneo, poi finalmente irrompe la luce del sole; spossato, si ferma in riva al mare dalla ninfa Siduri, colei che fa il vino e la birra, che inizialmente cerca di distoglierlo dall’impresa ma che poi lo aiuta indicandogli che il barcaiolo Ursanabi può condurlo da Utnapistim. Salpano quindi, e attraversano le Acque della Morte, e dopo 120 remate arrivano da Utnapistim detto Il Lontano, che vive nel luogo del transito del sole, a est della montagna. Qui Il Lontano gli racconta di come si salvò dal diluvio. Ma Gilgamesh vuole l’immortalità, e Utnapistim gli dice che deve stare sveglio sei giorni e sei notti, così avrà l’immortalità. Ma Gilgamesh è troppo stanco dal viaggio e subito si addormenta. Al risveglio si dispera per non aver avuto la forza di resistere al sonno, al che Utnapistim, mosso a compassione, gli rivela il segreto degli Dei, e cioè che in fondo al mare esiste una pianta che dà l’immortalità. Subito Gilgamesh si getta nel profondo dell’Oceano, trae a sé la pianta, ma non la mangia subito perchè vuole farne dono anche agli altri uomini di Uruk. Così si incammina e ritorna dalla porta da cui era entrato.
Lungo la strada vede un pozzo; è stanco e vuole rinfrescarsi; appoggia quindi la pianta su di una pietra e fa il bagno; ma all’improvviso un serpente, attratto dal profumo della pianta, esce dall’acqua e la ghermisce, e subito si spoglia della sua pelle e ritorna al pozzo. Gilgamesh si siede e piange la perduta immortalità. Affranto, ritorna a mani vuote a Uruk, e su una pietra l’intera storia incide.
Un Viaggio Astrologico
Che l’EPOPEA DI GILGAMESH vada collocata sulle vie del cielo anziché relegarla tra monti e paludi terrestri lo si deduce sia dai luoghi in cui la scena è inserita sia dal tipo di personaggi che via via il nostro eroe incontra. Non solo; possiamo sapere anche l’epoca in cui questa storia si svolge, e lo capiamo quando la dea Ishtar manda il Toro Celeste contro Gilgamesh, al quale poi Enkidu strappa la coscia e il membro; il Toro Celeste altri non è che la costellazione del Toro, costellazione che non è rappresenta da un toro intero ma tagliato a metà alla vita, mancante appunto della parte posteriore. Quindi, questa scena vuole raccontarci il passaggio dall’ERA DEI GEMELLI (qui rappresentati da Gilgamesh ed Enkidu) all’ERA DEL TORO (poco dopo infatti Enkidu muore e il Toro Celeste, così menomato, viene assunto in cielo in mezzo alle stelle!), ciò che avvenne intorno al 4.499 a.C. E’ quindi, questa, una storia ‘celeste’, e lo si deduce anche dalla serie di personaggi che la popolano; prendiamo ad esempio il Guardiano della Foresta di Cedri, quel mostro Khumbaba ucciso dai due amici: ebbene, i testi lo definiscono un dio, e pare corrispondere al dio elamitico Hmba, che addirittura è inserito in un elenco sumero di stelle col determinativo mul che precede appunto il nome delle stelle: mul Hmba, quindi, che era poi il nome con il quale i Sumeri chiamavano la stella Procione, l’alfa della costellazione del Cane Minore, stella che questo popolo aveva annoverato fra quelle della costellazione del Cancro. Non solo: la stella mul Hmba, poi, era rappresentante, tra i pianeti, di Mercurio.
Altro elemento interessante il fatto che per entrare nella Foresta di Cedri i due devono passare attraverso una porta! Ma che ci fa una porta in una foresta? La porta è sempre un passaggio fra due stadi, fra due mondi, fra il qui e il là. Abbiamo poi visto che Khumbaba corrisponde alla stella Procione, stella che si trova vicino alla costellazione del Cancro. Tutto questo sarebbe un arcano inghippo se non sapessimo che nel Cancro noi troviamo una delle Porte dello Zodiaco (l’altra è in Capricorno), ovvero la Porta dalla quale si incarna il genere umano (mentre da quella del Capricorno si incarnano gli Dei). E’ quindi un viaggio a ritroso quello che intraprendono Gilgamesh ed Enkidu: dalla Terra degli Uomini a quella del Cielo, passando per la Porta della Foresta di Cedri, appunto il Cancro. Altresì interessante notare che uno degli appellativi di Khumbaba era "dio della fortezza di intestini", ciò che ha fatto pensare ad alcuni studiosi che egli fosse l’abitante e il signore del labirinto, ovvero un predecessore del più famoso Minotauro. In un bassorilievo raffigurante Khumbaba, vediamo la sua faccia che sembra appunto fatta di intestini, raffigurata com’è da un’unica linea sinuosa, faccia che ha forti rassomiglianze con quella del dio messicano Tlaloc, il "dio della pioggia": qui, invece di un’unica linea sinuosa, abbiamo due serpenti che, attorcigliandosi l’un con l’altro, ‘formano’ la faccia del dio, che così assomiglia al Caducèo di Ermes-Mercurio.
Quindi, il Caducèo, il volto di Tlaloc e l’idea di un "dio degli intestini", non possono che indicarci Mercurio (consideriamo che questo pianeta, astrologicamente, ha il suo dominio, oltre che in Gemelli, anche in Vergine, Segno che nella Medicina Astrologica corrisponde agli intestini!). Ma che c’entra Mercurio con il Cancro? Nell’antichità Mercurio era considerato un dio lunare, e aveva forti rassomiglianze con il dio lunare egizio Thot, colui che aveva insegnato la scrittura agli uomini. Non solo: in Egitto, nella tomba del faraone Men-Maat-Ra-Sethi I, figlio di Ramesse I, troviamo menzionato il pianeta Mercurio come "Stella del Nord del Cielo", e comunque come Signore del Secondo Decano del Quarto Segno, appunto il Cancro, che nella raffigurazione zodiacale rappresenta il Nord.
Altri personaggi che ci danno un’ulteriore prova della collocazione astrale di questo mito, sono Utnapistim il Lontano, ovvero il Noè mesopotamico, che ha la sua dimora alla "bocca dei fiumi", e Siduri, l’ostessa divina. Si racconta che Gilgamesh giunse al passo del monte Masu, alle cui porte facevano la guardia gli Uomini-Scorpione. Consideriamo che Masu vuol dire gemelli, e che tra le stelle ‘masu’ babilonesi troviamo la lambda e la ipsilon Scorpii, ovvero le stelle gemelle del pungiglione dello Scorpione. Il monte Masu rappresenta quindi, nell’astronomia babilonese, la zona compresa tra la fine della costellazione dello Scorpione e l’inizio di quella del Sagittario, zona celeste in cui troviamo niente meno che il Centro della Galassia, luogo dal quale si diceva passavano le anime nel loro iniziale cammino post-mortem, ed è da lì che inizia, si legge nel testo, "un’oscurità che nessuno ha mai percorso". Del resto sappiamo che, astrologicamente parlando, nello Scorpione, ottavo Segno analogico all’ottavo settore oroscopico, viene rappresenta la morte del corpo fisico; interessante notare che se la vita inizia in Ariete, primo Segno, la morte non è, come ci si aspetterebbe, nell’ultimo Segno, cioè i Pesci, bensì, come visto, nell’ottavo. Da lì, infatti, vi sono altri quattro Segni che in pratica rappresentano il cammino e il processo evolutivo che l’anima deve compiere prima della sua rinascita in un nuovo corpo nel Segno dell’Ariete. Siamo quindi nel mondo delle tenebre, e Gilgamesh, come dice il testo, viaggia per dodici ore in un tunnel sotterraneo prima di vedere irrompere la luce del sole.
Finalmente il nostro eroe arriva in un giardino di pietre preziose: qui incontra Siduri, l’ostessa divina. Il personaggio Siduri è stato accostato da vari studiosi a quei personaggi che in molti poemi epici hanno il compito di assistere le anime nel momento della loro dipartita dal corpo, come ad esempio la monaca Gertrude nella cui locanda passavano le anime la prima notte dopo la morte. Siduri dà a Gilgamesh alcuni consigli su come arrivare al luogo in cui abita Utnapistim; prima di tutto dovrà trovare Ursanabi, il traghettatore, perché sarà lui ad accompagnarlo nel Mare della Morte. Ora noi dobbiamo considerare che ci sono stati tramandati dei nomi di costellazioni che suonano come Ade o Il Traghettatore: questi nomi noi li troviamo tra lo Scorpione e il Sagittario, dove prima avevamo visto il Centro Galattico. Si può pensare che Siduri e il traghettatore Ursanabi trovino la loro ‘casa’ in questi luoghi.
Ursanabi dice a Gilgamesh di tagliare 120 pali che gli serviranno per spingere avanti la barca, così che le sue mani non tocchino le acque della morte. In pratica ogni palo serve per una remata, stimando così che per arrivare a destinazione ci vogliono 120 remate: consideriamo che dallo Scorpione, punto di partenza di questo viaggio di Gilgamesh alla ricerca della pianta della rinascita, fino ai Pesci, dove si presume viva Utnapistim, ci sono quattro Segni, ovvero 120°! Finalmente Gilgamesh arriva dinanzi a Utnapistim, che è poi, come detto, il Noè mesopotamico, e che gli racconta del Diluvio, di come Enki, dio delle acque, della sapienza e creatore dell’umanità, lo avesse avvertito della decisione di Enlil, dio della terra e del vento, di distruggere l’umanità, e di come costruire l’Arca. Questa misurava un acro ( un iku) di spazio piano, e altrettanto per ciascun lato, così che l’Arca era in pratica un cubo.Ovviamente il diluvio fu spaventoso, a tal punto che Enki redarguisce Enlil il quale poi si scusa con Utnapistim e sua moglie, concedendo loro di essere come Dei e di abitare "alla bocca dei fiumi". Questa "bocca dei fiumi" era il nome dato alla città di Eridu, a sua volta associata, e comunque rappresentante ‘terrestre’, della stella Canopo, l’alfa della costellazione della Carena, stella che secondo i babilonesi reggeva le profondità dell’Apsu, l’oceano d’acqua dolce che aveva forma di cubo, e l’Arca era anch’essa fatta a somiglianza dell’Apsu, visto che era un cubo e misurava "un iku" per lato. Per capire l’importanza di quanto ora detto, consideriamo che questa misura, "un iku", era il nome che i babilonesi davano al Quadrato di Pegaso, costellazione che, ‘guarda caso’, è racchiusa in quella dei Pesci.
Da quanto ora esposto vediamo come il viaggio di Gilgamesh sia stato un viaggio celeste, "lungo la via del sole", l’eclittica. Altre cose sarebbero da dire sui nascosti (ma poi non tanto) risvolti celesti nell’Epopea di Gilgamesh. Basti per ora sapere che ogni mito, ogni ‘caduta’, ogni ‘misurazione’, è la descrizione di quelle ‘correzioni’ che si debbono attuare ogniqualvolta il cielo muta, ogniqualvolta cioè vi è da rimettere a posto l’orologio cosmico.
Nel finale, il testo originale è ricco di lacune, dovute certamente alla mancanza di alcune tavolette, andate ormai perdute. Recentemente sono però state trovate altre tavolette che raccontano del suicidio di Gilgamesh insieme alla sua corte.
Cenni di religione e mitologia sumera
I sumeri avevano una religione politeista che aveva le proprie origini sul concetto di mito.
"Allorché il regno celeste venne sulla terra, esso fiorì in Eridu"
Così recita la più antica lista reale sumerica, scritta in caratteri cuneiformi alla fine del III millennio a.C. In questa lista sono contenuti nomi mitici di re di Eridu, Alulim e Alagar che vissero rispettivamente 28.800 e 36.000 anni, cioè prima del Diluvio Universale, conosciuto anche nella tradizione sumerica. La prima città sacra fu Eridu che conobbe una grande importanza in un epoca arcaica.
Il signore della terra dei Sumeri era Enki, dio della sapienza e degli oracoli che governa i "me", cioè le 100 forze divine che assicurano ad Eridu la supremazia sulle altre città sumeriche.
Enki è il signore di tutto ciò che sta sotto e decide di popolare la terra di uomini. La madre di Enki è Nammu, madre primigenia, la dea che ha generato il cielo e la terra. Essa accoglie il suggerimento del figlio che per aiutare gli altri dei nel compiere il loro lavoro propone di creare l'uomo. Nammu, con l'aiuto di 8 dee, plasma l'argilla usando l'abzu, l'acqua dolce sotterranea dispensatrice di vita. Una delle dee, Ninmah, mossa dall'invidia crea esseri deformi con difetti fisici ed anomalie sessuali contro la bellezza del genere umano. Enki, in risposta a questo, crea "umu'ul", cioè il vegliardo che simboleggia il compimento della felicità umana, in contrasto con la sofferenza di Ninmah. Inoltre offre all'uomo la possibilità di guardare al futuro: nascono così gli studiosi degli astri, del fegato di pecora (auruspici) che ritroviamo tra gli Etruschi, nonché gli oracoli. Enki si mostra il dio più vicino agli uomini.
Enki ha il debole per le donne. Ebbe numerosi incesti (del resto come Zeus) con diverse divinità e con le loro figlie: Ninkhursanga, Nirsikil, Nintu, Damgalnunna, Ninkurra (dea della fecondità), Uttu; quest'ultima interrompe la catena degli incesti. Il luogo di questo paradiso incestuoso ha il nome di Tilmun, terra di fecondità e ricchezza, già conosciuto dalla tradizione di el Obeid e trasmessa a quella semita. Questa terra oggi sembra individuata nell'isola di Bahrein, nel Golfo Persico. Dunque la mitologia di Eridu ha le sue origini in epoca protosumera.
Nel corso del tempo Eridu lasciò il posto ad Uruk come importanza politica. Questo si deve alla dea dell'amore Inanna, che approfittando dell'ubriacatura di Enki gli tolse le cento forze divine e le portò nella sua città preferita Uruk. Ogni dio, dunque, era venerato in una specifica città ed ogni divinità veniva impiegata per fini politici.
Il pantheon sumerico era molto variegato:
Anu, dio del cielo;
Enlil, dio del vento;
Uras o
Ki, dea della terra, che partorirà Inanna e Nintu, dee dell'amore e fecondità;
Enki, dio dell'acqua, simbolo di vita e della terra;
Mamitu, dio della morte;
Marbu, dio della tempesta, Guanna, il toro celeste che lotterà contro Gilghamesh;
Tiamat, genitrice di tutti loro, che in accadico rappresenta il nome del mare;
Abzu (Apsu in semitico-accadico), il procreatore.
Questi ultimi due sono noti nel mito di Enuma Elish, riutilizzato dai Babilonesi. Si descrive la lotta tra Enlil, geloso del salvataggio dell’uomo, ed Enki. Per vendicarsi, ordina a Tiamat di generare dei mostri e comandare su tutti gli dei.
I babilonesi chiameranno in causa il loro dio Marduk che ucciderà Tiamat e fonderà Babilonia.
Enlil è anche il dio del destino, poiché è capace di porre fine ad ogni vita umana. Sarà lui a provocare il diluvio universale e se non fosse stato per Enki che avvertì il re Ziusudra, sarebbe scomparso tutto il genere umano. Si macchia di numerose colpe, come l'aver sedotto la dea Ninhil, figlia di Nammu. Per questo Enlil viene esiliato agli inferi, dove sarà accompagnato da creature infernali.
Fondamentale per i sumeri fu il mito di Gilgamesh, diretto discendente di Dumuzi, che può essere paragonato al dio-eroe greco Ercole. Si richiama ad un re sumero vissuto ad Uruk intorno al 2700 a.C., che sperimenta l'esperienza della mortalità umana e compie un viaggio verso la conoscenza perfetta.
Egli ci viene tramandato come per un terzo uomo e due terzi dio. Egli sconfigge anche Enmebaragesi, re di Kish, e sarà in lotta con la sua discendenza.
Tra le sue imprese, Gilgamesh avrebbe ucciso un toro divino, inviato sulla terra dalla dea Inanna, che opprimeva il proprio popolo.
La Bibbia ed i Sumeri
Attraverso documenti ed incisioni cuneiformi sono state ricostruite varie ipotesi circa diversi miti che si vengono ripresi anche nella Bibbia.
Abbiamo già accennato circa il Diluvio Universale che secondo la tradizione sumerica sarebbe avvenuto all'epoca del re Ziusudra (Utnapishtim per i Babilonesi), presso Nippur. Questo re, ritenuto giusto da Enki, viene avvisato dei piani diabolici di Enlil e si salva, salvando anche tutto il genere umano. Attualmente sono state fatte scoperte in tal senso presso Ur. Ciò potrebbe confermare l'ipotesi che il Diluvio Universale coinciderebbe con una grande alluvione dell'Eufrate (la Mesopotamia era ricca di alluvioni). Questa avrebbe lasciato il segno nella tradizione sumera, tramandandola poi a quella semita, attraverso gli accadi.
La Torre di Babele è stata cercata per anni dagli studiosi. La storia ci dice che l'ultimo a ristrutturarla fu Alessandro Magno, per dare splendore a Babilonia. Alcuni l'hanno identificata a Samarra, altri ad Aqar Kuf, presso Bagdad, altri ancora a Birs Nimrud, vicino Babilonia. Sicuramente si trattava di una Ziqqurat costruita dopo la grande alluvione. Tra l'altro la grande alluvione segna da sparti-acque nella storia mitologica sumera, in quanto i re antecedenti al diluvio sopravvivevano almeno 10.000 anni, quelli successivi 100 anni. Questo significa che l'uomo, dopo aver conosciuto la catastrofe alluvionale, si è reso conto dei limiti del tempo e della vita.
Successivamente al diluvio troviamo la lotta tra il pastore Dumuzi ed Enkimdu, il contadino.
I due rappresentano due classi sociali diverse in lotta tra loro. Nel mito la lotta è per la bellissima dea Inanna. Alla fine sarà Dumuzi a primeggiare, senza uccidere il rivale, anzi si accorderanno in pace. Dumuzi diventa dio dei pastori, ma Inanna discende agli inferi per essersi unita ad un uomo. Così Inanna per riscattarsi fa uccidere Dumuzi, ma, per amore, si pente e lo fa risorgere ogni sei mesi per averlo con se. Si innesca così un ciclo di morte e resurrezione nell'arco di ogni anno che i sumeri festeggiano.
In questo episodio si riscontrano tanti miti: la morte e la resurrezione, la fragilità della vita, l'amore, il pentimento, la fertilità. E' necessario ricordare che la Mesopotamia era diventata una regione fertile, dunque c'era di tutto, ma questo tutto era esposto ad ogni pericolo e poteva morire: nessuno può sentirsi al sicuro. Gli dei dunque non sono immortali, ma la loro importanza è legata al luogo dove si trovano, affinché possano accompagnare gli uomini nella loro avventura terrena e quindi essere immortali nella loro tradizione. Il mito di Dumuzi richiama il raccolto che viene effettuato ogni metà anno e viene festeggiato dai sumeri come fonte di vita e di fertilità. Questo mito verrà ripresero dai Babilonesi con Innin e Tammuz.
L'interpretazione di Sitchin
Zecharia Sitchin, autore di vari volumi legati all'interpretazione del mito sumero, è balzato agli onori della cronaca già alla fine degli '70, con il celebre libro "Il Dodicesimo Pianeta".
Per il noto scrittore e studioso arzebo, la mitologia sumera non è semplice mito, ma piuttosto cronaca storica di fatti e avvenimenti realmente accaduti.
Come gia esposto in una mia pubblicazione (vedi:
Le Falsità di Sitchin), Sitchin ha certamente interpretato in modo forzato quello che è un mito di tipo religioso, aggiungendo connotazioni di tipo pseudo-scientifico per avvalorare la sua strampalata tesi.
Con la pubblicazione del suddetto articolo, ho ricevuto numerosi consensi per il dettagliato "debunking" di alcuni stralci presi qua e la delle sue enciclopediche pubblicazioni, ma anche numerose critiche, che la maggior parte delle volte si sono spente in un fuoco di paglia.
A distanza di un anno dal mio lavoro, mi sembra doveroso ampliare e chiarire quanto già esposto.
Questa ottima sintesi della sua teoria, reperita dal web, ci offre una chiara visione del suo personale pensiero interpretativo del mito sumero:
Il nome accadico Anunnaki vuol dire "Coloro che dal Cielo sono venuti sulla Terra". Secondo Zecharia Sitchin il "cielo" degli Anunnaki cui si riferiscono i testi sumerici, detto Ni.bi.ru, era il "pianeta del transito", il "centro del cielo", cioè un pianeta del nostro Sistema Solare. Sitchin è uno studioso ben noto a chi segue la cosiddetta archeologia spaziale: è nato in Russia ma è cresciuto in Palestina, e qui ha acquisito una completa padronanza della lingua ebraica antica e moderna, studiando in modo approfondito le lingue semitiche ed europee, l'Antico Testamento, la storia e l'archeologia del Medio Oriente. In particolare, ha compiuto ricerche sul mito di Gilgamesh e sui racconti biblici. Gilgamesh è un re semi leggendario di Uruk (quinto re della I dinastia, forse realmente esistito attorno al 2600 a.C.), la sua leggenda ha dato luogo a una serie di poemi; nel corso del II millennio a.c., gli scribi accadici ne hanno fatto un'epopea in dodici canti, il cui soggetto è la ricerca illusoria dell'immortalità. Uno degli episodi, quello concernente il Diluvio con il personaggio di Utnapishtim, presenta notevoli analogie col racconto del Diluvio biblico. Nei testi sumerici scritti in grafia cuneiforme si trovano altre cronache affini ai racconti biblici come, ad esempio, la creazione dell'uomo. La prima colonia di Sumer fu la città E.ri.du, nome che significa letteralmente "Casa costruita lontano", essa sorgeva su una collina eretta artificialmente alla foce dell'Eufrate, in mezzo alla edinu, che significa "pianura", o anche E.din, "Patria dei Giusti", da cui deriva "Eden", biblico nome del giardino paradisiaco, prima dimora terrestre dell'uomo.
Le teorie di Sitchin sono esposte in una serie di libri facenti parte di un vasto progetto editoriale, iniziato nel 1976 e denominato The Earth Chronicles (Cronache della Terra). Come molti sostenitori della paleoastronautica, Sitchin è convinto che opere come La Bibbia, L'epopea di Gilgamesh, le iscrizioni reali degli Accadi e dei Sumeri, debbano essere considerate come vere e proprie documentazioni storico-scientifiche; e da questi testi ne ricava che la nascita e lo sviluppo della vita sulla Terra sarebbe stata guidata da esseri extraterrestri. Nella Bibbia questi esseri vengono chiamati col nome di Nephilim (o Nefilim, dalla parola ebraica Nafal, "caduti") che significa "coloro che sono scesi (o caduti) sulla Terra dal Cielo", mentre nella lingua degli Accadi questi esseri diventano gli Anunnaki, che letteralmente significa "coloro che sono venuti sulla Terra". Gli Anunnaki avrebbero avuto un ruolo importante nella veloce evoluzione della civiltà umana e in particolare di quella sumerica. I signori di Nibiru, sin dall'antichità, sarebbero scesi sulla Terra per sfruttare le risorse minerarie del nostro pianeta. All'inizio furono inviate delle sonde automatiche per verificare l'abitabilità del nostro mondo. Quando il pianeta Nibiru giunse nel punto della sua orbita più vicino alla Terra fu inviata una prima spedizione umana capeggiata da Enlil, un nome che ricorre spesso nella mitologia dei Sumeri. I luoghi scelti furono la Valle del Nilo, la Valle dell'Indo e la Mesopotamia.
Il sottosuolo mesopotamico, in particolare, era ricco di petrolio ed era possibile ottenere combustibile e fonti di energia per le strutture installate; il terreno pianeggiante favoriva la costruzione di veri e propri campi di atterraggio. I "visitatori" fondarono le prime città e costruirono dei veri e propri luoghi di lavorazione dei prodotti minerari a loro utili. Secondo Sitchin i nomi delle prime città sumeriche rivelano la funzione del Sumer come territorio di scambio o come base per le operazioni a terra degli "Dèi" e degli "dèi minori": Bad.Tibira era il "luogo luminoso dove viene lavorato il minerale grezzo"; La.ra.ak ("Luce splendente da vedere") era un fuoco sempre acceso come un faro, sul quale si orientavano le navi spaziali in fase di atterraggio; Sippar ("Città degli Uccelli") era l'aeroporto spaziale; Shu.rup.pak ("Luogo del massimo benessere") era il centro della medicina. Enlil stesso fondò Nibru.ki ("posto di Nibiru sulla Terra") come sede di rappresentanza.
Alcuni ritrovamenti archeologici hanno contribuito ad accrescere il mistero. A Tell-Brak, un sito preistorico sul fiume Khabur, sono state recuperate dalla cosiddetta "piattaforma di mattoni grigi" del Tempio degli Occhi centinaia di piccole statuette di alabastro. Le statuette, chiamate "Divinità Occhio", sono caratterizzate da uno strano cappello affusolato, mentre altre sembrano essere madri con bambino. La forma vagamente umanoide di alcune di queste statue ha alimentato la fantasia dei sostenitori della paleoastronautica. Rappresentazioni di extraterrestri divinizzati? Le "Divinità Occhio" sarebbero la sintesi di un culto legato ad esseri supremi che lo stesso Sitchin vede come personaggi dotati di pesanti tute spaziali oppure come oggetti assimilabili ai moderni satelliti terrestri. Nel suo libro La Genesi, Sitchin afferma che durante la missione degli Anunnaki sulla Terra, alcune unità rimanevano in orbita ad occuparsi della navetta spaziale, oltre che ad osservare dall'alto ciò che avveniva sul pianeta. Il termine sumero che li definisce è Igi.gi, e significa "coloro che osservano e vedono".
I "visitatori" però non erano venuti sulla Terra soltanto per osservarla. Consideravano molto utile e prezioso l'oro e cominciarono ad estrarne in gran quantità soprattutto in Africa (nell'odierno Zimbabwe). Con il passare del tempo le operazioni di raccolta diventavano sempre più faticose. Accadde che gli Anunnaki smisero di prendere ordini dai signori di Nibiru e decisero di ammutinarsi. Fu così che per alleggerire il lavoro decisero di creare una razza di lavoratori sfruttando forme di vita già presenti sulla Terra. All'inizio cercarono di effettuare incroci tra diverse specie. Infine, il grande passo fu compiuto: in una zona dell'Africa orientale viveva un ominide dall'aspetto scimmiesco che sembrava, più di ogni altra creatura, predisposto a essere modificato geneticamente. Un ovulo di ominide femmina venne fecondato con il seme di un Anunnaki, dando origine a una creatura ibrida detta “Lulu", ovvero "il misto".
Tale creatura fu chiamata Adama, ovvero il "venuto dalla terra", e da essa ebbe origine il genere umano. Sitchin ritiene che le cronache sumeriche riportino la storia della creazione dell'uomo in modo corretto, sia dal punto di vista del tempo che del luogo. Dopo di ciò ebbe inizio "il Regno degli Dèi" sulla "Terra dei due Fiumi" con la fondazione di Eridus, circa 428.000 anni fa. Per 144.000 anni, pari a 40 rivoluzioni dell'orbita di Nibiru, gli Anunnaki avevano sopportato il pesante lavoro che i signori di Nibiru imponevano loro di fare, prima di ribellarsi. Ciò significa che il "Lulu" è apparso sulla Terra circa 280.000 anni fa, "al di là di Ab.zu", cioè a nord dello Zimbabwe. Ed è precisamente a quell'epoca e in quella regione dell'Africa Orientale che i paleoantropologi fanno risalire la comparsa dello Homo Sapiens sulla Terra.
All'inizio gli uomini venivano impiegati come lavoratori nelle miniere e laddove fosse necessaria la forza manuale. In seguito, gli Anunnaki diedero loro un'istruzione sommaria e informazioni concernenti il pianeta Nibiru. Agli uomini fu anche concesso di costruire dei villaggi di capanne disposti intorno alle basi aliene. Gli uomini si diffusero ben presto su tutta la Terra ma questa proliferazione preoccupò gli Anunnaki, che si trovarono impreparati a gestire i problemi derivanti da una simile mole di popolazione. A modificare gli eventi in modo inaspettato giunse una catastrofe ricordata in tutte le mitologie del mondo come il Diluvio Universale. Sitchin ipotizza che la causa di quest'evento fu, al termine dell'ultima glaciazione cioè circa 13.000 anni fa, uno slittamento della massa di ghiaccio delle calotte polari che provocò un'ondata tale da sommergere interi paesi costieri e l'entroterra di numerosi continenti. Tutto ciò che gli Anunnaki avevano costruito venne distrutto nell'arco di pochi mesi durante quella gigantesca inondazione. Gli alieni non fecero alcunché per salvare l'umanità, limitandosi a mettere in salvo loro stessi decollando a bordo delle astronavi.
Se le cose stanno così, dove sono oggi gli Anunnaki? Le loro visite avrebbero luogo ogni 3.600 anni, cioè ogni volta che Nibiru, nel percorrere la sua lunghissima orbita, si avvicina maggiormente alla Terra. Se esiste, si tratta di un pianeta che descrive un'orbita irregolare e il cui punto più vicino al Sole si trova tra Marte e Giove. Prendendo come partenza la data del Diluvio (all'epoca Nibiru si sarebbe trovavo in un punto abbastanza vicino alla Terra), calcolata attorno all'11600 a.C., tenendo conto dei passaggi già avvenuti attorno l'8000 e il 4400 a.C., il prossimo passaggio si avrebbe attorno all'anno 2800. Il pianeta, dopo aver raggiunto nell'anno 1000 il punto più lontano dal Sole, avrebbe già percorso più della metà del viaggio di avvicinamento alla Terra. Per Sitchin il fenomeno degli UFO è da collegare alla normale attività di controllo e osservazione dei messaggeri degli Anunnaki (probabilmente dei robot o delle biomacchine che guidano questi oggetti), che vigilano sulla Terra in attesa del ritorno dei loro padroni. Secondo Sitchin sarebbero questi gli Angeli descritti nel Vecchio Testamento; questi esseri sono spesso chiamati anche "Guardiani" o "Malachim", che in ebraico significa "messaggeri". A sostegno di questa teoria fa notare la somiglianza di alcune statuette raffiguranti i Malachim, eseguite circa 5500 anni fa dalle popolazioni mesopotamiche, con i cosiddetti "grigi", gli alieni macrocefali più frequentemente descritti dai testimoni UFO.
Solo fantascienza?
Sitchin dunque, crede nella vita extraterrestre, crede che gli Anunnaki non siano dei, cioè esseri immortali e sovrumani, ma "alieni" o "extraterrestri".
Il mito sumero dunque sarebbe la cronaca e le ancestrali memorie di un popolo che rimembra le vicende di extraterrestri, ritenuti, forse per ignoranza "dei".
La creazione dell'uomo quindi, secondo Sitchin, non sarebbe un dono mistico e dogmatico dei "creatori", in una visione molto attigua a quanto crede anche la religione cristiana, ma semplicemente un "esperimento" genetico degli "scienziati" En.Ki e Ninharsagh, che necessitavano di schisvi per estrarre oro dalle miniere.
Il luogo etereo degli alieni "Anunnaki", Ni.Bi.Ru., sarebbe quindi un pianeta, il "dodicesimo pianeta del nostro Sistema Solare, orbitante in 3600 anni attorno al Sole.
Col tempo gli "extraterrestri", soprattutto per volontà di En.Ki., amante delle figlie degli uomini, si accoppiariano con le loro creature genetiche, dando vita ai semidei, tra cui molti degli eroi della mitologia sumera, come presumibilmente lo stesso Gilgamesh.
Il Diluvio Universale, sarebbe stato quindi una "punizione" del fratello di En.Ki, En.lil, per sterminare la progenie genetica degli uomini.
Per Sitchin, sempre secondo sue personalissime interpretazioni del mito, l'aspra lotta tra En.lil e En.Ki, sarebbe terminata con numerosi conflitti atomici, che avrebbero poi portato al trionfo del figlio di Marduk, come sovrano unico della Terra.
Gli Anunnaki quindi, fuggirono via dalla Terra, per tornare sul loro pianeta errante Nibiru.
Una trama degna di Hollywood, come lo stesso Sitchin, pare abbia detto al New York Times di recente!