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venerdì 29 ottobre 2010

Paul Davis afferma: l'invasione aliena è cominciata


Sapevamo della notizia già ieri mattina, ma abbiamo voluto attendere oggi ed avere conferma di questa incredibile dichiarazione di Paul Davies.

“Non sanno che noi siamo qui”, ecco perché gli alieni non ci stanno cercando. Se un giorno busseranno alle porte del pianeta Terra, Paul Davies però è pronto ad accoglierli. In gran segreto. Cosmologo e astrobiologo inglese, nonché professore all’Arizona State University, è l’uomo scelto per guidare il team di scienziati, avvocati e filosofi che gestirà il primo contatto. Si chiama Post-Detection Science and Technology Taskgroup ed è finanziato, come gran parte delle attività di Seti (Search for extraterrestrial intelligence), da uno che agli alieni ci crede da sempre: il cofondatore (miliardario) di Microsoft Paul Allen, che ha fornito pure i 25 milioni di dollari per l’Allen Telescope Array in California. Da tre anni i paraboloidi del mega radiotelescopio puntano verso gli “altri mondi” del cosmo per captare un segnale elettromagnetico. L’universo, per ora, tace.

Davies spiega con pazienza (e un po’ di insofferenza) il mistero di questo silenzio lungo millenni: "La civiltà più vicina, presumibilmente, è a non meno di un migliaio di anni luce da noi, così adesso loro vedrebbero la Terra come era mille anni fa, nel 1010, ben prima che inventassimo i radiotelescopi. Gli alieni potrebbero iniziare a trasmettere segnali radio verso di noi quando riceveranno i nostri, ossia tra circa 900 anni. Poi, ce ne vorrebbero altri 1000 perché la loro risposta arrivi". Un’eternità. Che per Davies possiamo colmare iniziando a scandagliare, oltre all’universo, il nostro stesso pianeta e ciò che lo circonda più da vicino. Sì, perché il cosmologo sembra davvero convinto che l’“invasione”, seppur pacifica, sia già iniziata. Bisogna cercare segnali di un’esistenza aliena, presente o passata: "Discariche nucleari, tracce di ingegneria mineraria nel sistema solare, “messaggi in bottiglia” sotto forma di informazioni digitali cifrate all’interno del Dna di organismi terrestri e via dicendo". Magari, poi, dimostrare che la vita non è un incidente casuale e raro, che anche sulla Terra può essere avvenuta più di una genesi. E’ la tesi ultima, e forse più affascinante, di Davies. L’esistenza di una “biosfera ombra” sul nostro pianeta. Nascosta, segreta, magari microscopica, comunque ancora tutta da scoprire. L’autore di The Eerie Silence (Il silenzio inquietante) ne parlerà al Festival di Genova il 31 ottobre.

Aspettando un segnale. Un bisbiglio sulle onde radio, un messaggio inviato dai laser. Nulla, il cosmo resta silenzioso. Dai mondi vicini e lontani, finora, non è arrivato niente che possa interessare gli scienziati del Progetto Seti (Search for extraterrestrial intelligence) che da mezzo secolo scandagliano l'universo alla ricerca di un ago nel pagliaio. Senza neppure sapere se l'ago esiste. Un silenzio che non demoralizza il cosmologo e astrobiologo inglese Paul Davies, professore all'Arizona State University e direttore del Post-Detecion Science and Technology Taskgroup, il gruppo scelto di scienziati, giornalisti, avvocati e filosofi che un giorno, chissà, darà il benvenuto al primo alieno. Professore, ma se gli alieni esistono perchè si nascondono e non comunicano con noi? "Perchè non sanno che noi siamo qui. La civiltà più vicina, presumibilmente, è a non meno di un migliaio di anni luce da noi, così adesso loro vedrebbero la Terra come era mille anni fa, nel 1010, ben prima che inventassimo i radiotelescopi. Gli alieni non avrebbero alcuna ragione di trasmettere segnali verso di noi, adesso. Potrebbero iniziare a farlo quando e se riceveranno i nostri primi segnali radio, ossia tra circa 900 anni. Poi, ce ne vorrebbero altri 1.000 perchè la loro risposta arrivasse qui". Autore di un libro che si chiama, guarda un pò, The Eerie Silence (il silenzio inquietante, pubblicato in Usa da Houghton Mifflin Harcourt), Davies ammette che i governi, compreso quello di Obama, non sono interessati alle sue ricerche. Ma c'è un mecenate, il cofondatore di Microsoft Paul Allen, che non fa mancare le risorse necessarie. Per esempio, i 25 milioni di dollari per la costruzione dell'Allen Telescope Array, entrato in funzione tre anni fa: un radiotelescopio multiplo interferometrico, situato in un campo della California, frutto di una collaborazione tra il Seti e l'Università di Berkeley, che dovrebbe captare i segnali di E.T. con le sue decine di parabolodi. Tiene sotto osservazione migliaia di stelle, troverà qualcosa, finalmente? "Finora Seti non ha scoperto alcun messaggioradio, anche se alcune brevi raffiche di onde, che si ripetono periodicamente nel tempo, potrebbero anche arrivare da radiofari alieni. E' utile continuare la ricerca, in fondo è appena iniziata. Ma penso che dovremmo ampliarla oltre i segnali elettromagnetici e includere qualsiasi traccia di tecnologia aliena nello spazio o intorno a noi, sulla Terra".


UN MESSAGGIO CIFRATO NEL GENOMA
I radiotelescopi e i ricevitori ottici hanno puntato, fino a ora, verso qualche migliaio di stelle che stanno entro un raggio di 100 anni luce da noi. Ancora molto resta da fare se si pensa che solo la nostra galassia comprende 400 miliardi di stelle disseminate in uno spazio di 100.000 anni luce e nell'universo ci somo miliardi di altre galassie.

Magari gli alieni usano tecnologie o mezzi di segnalazione differenti dai nostri - "ma se vogliono attirare l'attenzione farebbero bene a utilizzare i nostri mezzi" - eppure più importante del messaggio, per Davies, è trovare dei segni chiari della loro esistenza, presente o passata: "Discariche nucleari sulla Terra o sulla Luna, attrezzatura abbandonata su qualche pianeta, tracce di ingegneria mineraria nel sistema solare, messaggi in bottiglia (tra virgolette) sotto forma di informazioni digitali cifrate all'interno del Dna di organismi terrestri, tracce di biotecnologie o nanomacchine antiche di 100 milioni di anni, sfere di Dyson (il fisico John Dyson ha teorizzato che una civiltà extraterrestre tecnologicamente avanzata possa circondare la propria stella con strutture artificiali in grando di produrre energia, ndr "Sette")...".

Qualsiasi anomalia che rompe l'omogeneità e la regolarità dell'universo, o più semplicemente del sistema solare o della Terra, potrebbe far accendere il campanello d'allarme nell'ufficio di Davies: qualcosa di mancante dove invece dovrebbe esserci, o qualcosa in più che lì, in quel posto, proprio non dovrebbe starci. Negli anni Sessanta, l'astronomo Frank Drake, fondatore di Seti, fece due calcoli matematici e stabilì che nella galassia potrebbero esserci 10mila civiltà intelligenti. Finora non n'è scoperta mezza. Ma l'incognita è ancora più a monte. "Non abbiamo alcuna idea se l'origine della vita è un meraviglioso incidente casuale che è avvenuto solo una volta nell'universo o se la vita esplode ovunque vi siano condizioni simili alla Terra. Per dimostrare che la vita non è un incidente casuale e raro, basterebbe trovare un tipo completamente differente di vita sulla Terra". Se c'è stata più di una genesi sulla Terra, è la tesi di Davies, perchè non in altre parti dell'universo. Da qui è partita la sua ricerca di una "biosfera ombra" sul nostro pianeta.

Oggi dice di aver scoperto "un sacco di cose eccitanti", ma ancora non ne vuole parlare. "Forse lo farò al Festival di Genova", insinua. In sostanza, suggerisce che ci può essere vita aliena intelligente anche qui sulla Terra, sotto forma di bizzarri microrganismi, magari con messaggi cifrati nel genoma. Fa spallucce, invece, davanti alla scoperta di Gliese 581g, un pianeta a 20 anni luce da noi che potrebbe ospitare la vita - "la giusta taglia e la giusta distanza dal suo sole", ha esultato Paul Butler, astronomo alla Carnegie Institution di Washington - perchè, sostiene invece Davies, "non mi esalta la scoperta di un altro pianeta abitabile: innanzitutto abitabile non significa abitato e nessuno sa se la vita, in sè, evolve sempre verso l'intelligenza. La probabilità potrebbe essere estremamente ridotta". A Hollywood l'alieno ha assunto le forme più disparate, da E.T. ad Avatar. Lei come lo immagina? "Come un'intelligenza post-biologica, forse una quintelligence, un'intelligenza quantistica". Ossia, dimenticatevi omini verdi, oggetti volanti, mostri dalle mille teste. Se là fuori c'è qualcun altro, che pensa come o meglio di noi, potrebbe essere pura energia, una mente perfetta. Che magari non ha neppure voglia di venire a contatto con dei primitivi come gli umani.

Se invece gli alieni busseranno alle porte della Terra, se manderanno finalmente un segnale rivelando che non siamo soli, cosa succederà? "Il mio Post-Detection Taskgroup enterà in azione. Per maggiori cliccate sul website: http://beyond.asu.edu/seti/index.php". Fondamentale, è evitare il panico o l'isteria. Come avvenne durante la memorabile trasmissione radio del 30 ottobre 1938, con cui il ventitreenne Orson Welles, interpretando La guerra dei mondi di H.G.Wells, fece credere a mezza America che i marziani avevano invaso la Terra.


IL TYCOON DEI MEDIA TRANSGALATTICI
Paul Davies l'ha messo in chiaro da tempo. Se un segnale dovesse arrivare, sotto qualsiasi forma, non divulgherà nè al pubblico nè ai governi - Nazioni Unite comprese - da qualche angolo dell'universo è partito. Un segreto da custodire per evitare che gli umani, in ordine sparso, si mettano a comunicare con gli alieni. Lo farà (lo farebbe?) soltanto lui, unico tycoon dei media transgalattici. Secondo voi, siamo in mani sicure?

Articolo scritto da Sara Gandolfi e apparso sul settimanale "Sette" (Corriere della Sera) n°43 del 28 ottobre 2010

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