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lunedì 11 ottobre 2010

L'addio di WMAP


Elegante fino all’ultimo. Il 20 agosto scorso ha chiuso gli occhi, quegli irresistibili occhi a microonde innanzi ai quali l’universo ha infine confessato la sua vera età. Pochi giorni più tardi, l’8 settembre, con lo stile impeccabile che ha contraddistinto i suoi nove anni di lavoro, si è fatto da parte. Ha azionato per l’ultima volta i propulsori. Ha detto addio a L2, il punto di equilibrio gravitazionale a 1.5 milioni di chilometri dalla Terra che, primo fra i satelliti, occupava dal 2001. E si è ritirato con discrezione in un’orbita di «parcheggio permanente». Già, la chiamano proprio così, permanent parking orbit. Una sorta di buen retiro interplanetario in cui, ora che la sua missione è terminata, il Wilkinson Microwave Anisotropy Probe—questo il nome completo di WMAP, il telescopio spaziale della Nasa che ha rivoluzionato la nostra concezione del cosmo—trascorrerà il resto dei suoi giorni orbitando attorno al Sole.

Cosa ci lascia, WMAP, dei suoi nove lunghissimi anni trascorsi a collezionare i più antichi fra i fotoni, quella «luce fossile» che per prima, a 380mila anni dal Big Bang, intraprese il suo vagabondare nello spazio e nel tempo?

Anzitutto, ci lascia un universo la cui storia e la cui fisionomia risultano radicalmente mutate rispetto all’idea che ne avevamo anche solo un decennio addietro. Un universo dal quale WMAP è riuscito a ottenere risposte precise a domande essenziali. Quanti anni hai? Qual è la tua storia? Di che pasta sei fatto? Partiamo dall’età, e non è un aspetto marginale. WMAP è stato in grado di stabilirla con una precisione impressionante: il nostro universo ha 13 miliardi e 750 milioni di anni. Una misura, questa, con un margine d’errore di appena l’uno per cento, talmente contenuto da farle meritare una menzione nel Guinness dei primati in quanto «la più accurata misura dell’età dell’universo».

Quanto alla storia, le osservazioni di WMAP indicano che non è stata affatto lineare: un istante dopo il momento iniziale, l’universo avrebbe attraversato una fase d’espansione rapidissima, detta «inflazione». Grazie alla precisione delle misure di WMAP, ora sappiamo quali modelli inflazionistici sono da scartare e quali sembrano invece meglio spiegare i dati a nostra disposizione.

Infine, la composizione. Se conosciamo non solo gli «ingredienti» dell’universo ma anche le rispettive «dosi», è ancora merito di WMAP. È unendo i puntini della sua mappa verde-blu delle anisotropie del fondo cosmico che sono emerse le cifre della nostra socratica ignoranza: la materia che conosciamo costituisce appena il 4.6 percento dell’universo. Il resto è formato da materia (23%) ed energia (72%) a noi sconosciute. Oscure, appunto.

Ma WMAP ci lascia anche un «collega», proprio lì in L2, che da poco più di un anno ha raccolto il testimone: il telescopio spaziale dell’Esa Planck. Tocca infatti ora a Planck portare avanti il lavoro egregio svolto da WMAP per definire i parametri dell’universo. E non si tratta solo di un testimone simbolico, ma anche tecnologico. «I ricevitori di Planck/LFI derivano direttamente dagli amplificatori HEMT sviluppati per WMAP. Autentici gioielli, che in questi lunghi anni hanno dato il meglio di loro stessi», spiega infatti Reno Mandolesi, associato INAF, che dello strumento LFI è il responsabile. «Il loro raccolto, la mappa a grande risoluzione angolare dell’anisotropia del fondo cosmico ottenuta da WMAP, è un risultato che rimarrà nella storia».

Foto in alto: L'immagine dettagliata dell'universo bambino ottenuta da sette anni di dati di WMAP. In essa si possono distinguere, nei diversi colori, fluttuazioni di temperatura antiche 13.7 miliardi di anni: sono i semi che hanno dato origine alle galassie. Crediti: NASA


A cura di Marco Malaspina

Fonte:
"http://www.media.inaf.it/2010/10/08/wmap-addio/"


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